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CORSO BIBLICO SULLE LETTERE DI S.PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2012 19:28
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18/11/2012 21:34
 
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8. La Chiesa di Roma

 

Paolo conosce la composizione di questa comunità. Essa è composta (secondo Rossano) prevalentemente da schiavi. La comunità di Roma è diversa da quella di Corinto. In quest'ultima ci sono degli schiavi ma anche delle persone molto influenti.

 

Nella comunità di Roma pare ci sia una donna importante. Questa informazione la apprendiamo dagli Annalí di Tacito i quali documentano nell'anno 64 la presenza di cristiani nella capitale dell'impero. Tacito parla di una certa Pomponia Grecina, appartenente all'aristocrazia imperiale, la quale viene accusata dal marito di avere, una religione estranea. Il marito però, dopo averla accusata davanti al tribunale, la scusa, per cui ella può continuare a vivere tranquillamente; infatti, in caso contrario, sarebbe stata uccisa.

Questa accusa però - narra Tacito - "la spinse a vivere una vita solitaria": forse questa è la prima cristiana perseguitata appartenente al periodo in cui Paolo scrive ai Romani.

Paolo scrive dunque ad una comunità composta per la maggior parte da schiavi,, ma forse anche da qualche membro dell'aristocrazia.

 

A Roma c'era un numero di Giudei, per cui è probabile che la comunità sia anche composta da Giudei convertiti; tuttavia la maggior parte è costituita da Gentili. Tra Giudei e Gentili nasce una certa rivalità, in quanto i Giudei anche a Roma suscitano qualche turbamento analogo (ma inferiore) a quello di cui si parla nella lettera ai Galati Per questo, anche nella lettera ai Romani c'è una sia pur lieve venatura polemica. La rinveniamo quando Paolo prima parla dei peccati dei Gentili ed in seguito invita i Giudei a non sentirsi migliori, in quanto anche foro commettono peccati. In un'altra occasione invece invita i Gentili a non credersi superiori ai Giudei solo perché si sono convertiti.

 

 

 

XVII lezione

Lettera ai Romani - continuazione

 

Affrontiamo alcune problematiche presenti nella lettera ai Romani.

I° problema: la giustificazione

E', ovviamente, la questione che tanto scalpore ha suscitato qualche secolo fa e che ha portato alla divisione della Chiesa e, quindi, alla Riforma e al protestantesimo.

 

II° problema: l'ebraismo

(che analizzeremo successivamente). Gli ebrei si salvano o non si salvano?

 

III° problema: la giustizia di Dio

Dio è buono o è giusto? è misericordioso oppure è giudice?

 

Ricordiamo, per inciso, che nell'ottobre dello scorso anno la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale delle Chiese luterane hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione.

 

Giustificazione significa giustificare, cioè rendere giusto, far diventare giusto (dal greco dicaioo, verbo che richiama il termine dicaiosüne, la giustizia tipica di Dio e del discepolo, che troviamo nel Nuovo Testamento e nell'Antico - secondo la versione dei "settanta" -).

Già nella lettera ai Galati San Paolo aveva accennato al problema che ora affronta esplicitamente: che cosa ci rende giusti?

E' una domanda che potremmo formulare così: che cosa ci salva? Ci salva la fede o ci salvano le opere? In quest'ultimo caso: ci salvano le opere della Legge o le opere del cristiano?

Un ebreo si salva perché mette in pratica la Legge?

Tutto questo rappresentava un grave problema per San Paolo.

Sarebbe anche interessante sapere che significato attribuisce, ad esempio, Matteo al termine "giustizia" quando parla della giustizia dei cristiani.

Inoltre: se è la fede che salva a che servono le opere?

Se io credo che Gesù Cristo è morto e risorto duemila anni fa e ha salvato così tutta l'umanità; se ricevo il battesimo e sono, quindi, "innestato" nella salvezza a che servono le opere?

Non dimentichiamo che questa è la fondamentale problematica gnostica secondo la quale ci si salva per la conoscenza e per la sapienza, date dall'alto, le quali permettono di conoscere i misteri di Dio. E non ha alcuna importanza che si mettano più o meno in pratica nella propria vita questi misteri.

 

Ricordiamo la duplice dimensione presente nel Prologo del Vangelo di Giovanni: fos, la luce (guai se non ci fosse un Dio che ci attira a sé!) e zoè, la vita. Senza la vita, potremmo dire senza le opere, non si dimostra assolutamente di possedere la luce. Ecco, allora, il Prologo giovanneo che è una sintesi mirabile di luce e di vita.

Non basta la luce, non basta l'elezione di Dio che ci ha scelti per svelarci i suoi misteri che, se non vengono vissuti nella pratica quotidiana, non servono a nulla.

 

Lettura della lettera ai Romani 1,16-17.

Si tratta di due versetti fondamentali in cui vengono enucleati in poche parole i temi che S. Paolo svilupperà poi nella lettera, come il rapporto tra giudeo e greco.

Sono il centro e la sintesi di tutta la lettera ai Romani.

Nella comunità di Roma i cristiani giudeizzanti erano certamente in numero notevole e sicuramente legati alla Legge mosaica. S. Paolo, perciò, si trova costretto ad elaborare con notevole cura la sua dottrina; deve fare una sintesi del pensiero suo - e soprattutto - di quello della Chiesa.

L'apostolo deve sviluppare temi solo accennati nella lettera ai Galati.

 

Ricordo quanto detto in una precedente lezione: la Legge è il pedagogo, una realtà che Dio ci ha dato per insegnarci come comportarci esteriormente, ma che non può cambiarci il cuore in quanto manca ancora la grazia.

 

Lettura delle lettera ai Galati 2,15-21.

In questi versetti sono riportate parole molto accese rivolte da Paolo a Pietro. Penso che qui sia abbastanza chiaro il pensiero di Paolo.

Pietro, che prima sedeva a tavola con i "pagani" e si adattava a stare con loro, quando giungono "alcuni da parte di Giacomo" (capo della Chiesa di Gerusalemme), cominciò a privilegiare i giudei e a staccarsi dai "pagani". Paolo, allora, lo rimprovera e gli dice: noi che siamo giudei e che abbiamo la Legge crediamo che ci salvino Gesù Cristo e la fede in Lui e non la Legge. E il bellissimo versetto 20 ("Sono stato crocefisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me") nel suo contesto significa semplicemente l'unione profonda che esiste tra Cristo e il battezzato; unione che si realizza non per le opere compiute dal battezzato ma per "essenza", in quanto la presenza di Cristo fa parte della natura del battezzato stesso.

Per tutta l'eternità il battesimo imprime il carattere, un sigillo indelebile. Tutti i battezzati (anche coloro che dimenticano il proprio battesimo) sono stati crocifissi con Cristo per risorgere con Lui.

Una volta stabilita l'alleanza, Dio non viene mai meno al suo patto.

 

 

 

 

 

 

La giustizia di Dio

Lettura della lettera ai Romani 3,21-31; 4,1-12

Paolo si rivolge a persone che conoscono bene l'Antico Testamento e ad altre alle quali, molto probabilmente, era già stato portato l'esempio di Abramo. Infatti, se Gesù Cristo deriva da Abramo, anche noi che siamo suoi discendenti in ispirito, pur nella fede, dobbiamo adeguarci alle opere di Abramo.

 

Lettura di Genesi 15,1-21. "Le promesse e l'alleanza".

Dobbiamo ricordare che l'alleanza di Dio con Abramo era duplice.

Che senso hanno le parole pronunciate dal Signore nel concludere l'alleanza con Abramo? Già il Signore aveva promesso ad Abramo grandi cose e copiosa discendenza quando lo aveva invitato a lasciare Ur dei Caldei e la sua famiglia. Ed Abramo aveva avuto fede. Ma - lo vediamo nel cap. 15 - Abramo attraversa un momento di sfiducia quando constata che nessuna delle promesse divine si è realizzata. Abramo, però, continua a credere, si fida di Dio e questa fede gli viene accreditata come giustizia.

Il Signore stipula qui un'alleanza unilaterale perché, seguendo un rito antichissimo, passa da solo con il forno fumante e la fiaccola ardente tra gli animali squartati. Sappiamo che si trattava di un'usanza che seguivano i contraenti per impegnarsi ad osservare il patto: se uno di loro non avesse rispettato la parola data, avrebbe subito la sorte di quegli animali, ossia lo squartamento.

 

Mentre per i cristiani giudeizzanti il segno dell'alleanza era rappresentato dalla circoncisione, per Paolo la prima alleanza con Abramo non era subordinata ad alcuna condizione perché stipulata direttamente dal Signore. Soltanto in un tempo successivo ad Abramo verrà richiesta la circoncisione.

 

Leggiamo in proposito Genesi 17,1-12

Si tratta di un brano di tradizione sacerdotale, in cui si parla dell'alleanza alla quale si riferivano i cristiani giudeizzanti di Roma. E qui abbiamo conferma che la circoncisione viene imposta solo in un secondo tempo.

 

Ricordo che il Pentateuco è il prodotto di diverse scuole ed è stato composto in epoche diverse. Il particolare, questo brano dovrebbe essere opera dei circoli sacerdotali deportati in Babilonia per i quali era indispensabile mantenere l'unità del popolo disperso. E tale unità era assicurata, infatti, dalla religione e dal quel segno religioso fondamentale costituito dalla circoncisione. Proprio per mezzo di questo segno gli ebrei dimostravano di essere stati prescelti da Dio.

 

San Paolo dice chiaramente che Dio stipulò la prima alleanza con Abramo, che non era circonciso, proprio perché egli potesse essere il padre anche di tutti i non circoncisi. E l'alleanza con Abramo si trasmette a tutta la sua discendenza e, quindi, non solo al popolo eletto.

 

Lettura della lettera agli Ebrei 11,8-3 e 17-18.

Viene introdotto un elemento nuovo: la fede di Abramo non consiste solo nel credere alle promesse di Dio ma anche nell'obbedire totalmente a Dio, fino al punto di andare a sacrificare il figlio Isacco, il quale sembrava essere la realizzazione di tutte le promesse divine.

Vediamo che l'idea delle opere è sottostante alla fede, anche se in questo brano le opere non vengono ancora menzionate esplicitamente.

 

Lettura delle lettera di Giacomo 2,14-26

"La fede e le opere".

L'obbedienza, cioè la fede, si manifesta nelle opere, nel compiere proprio ciò che Dio vuole.

La fede di Abramo, di cui parla la Genesi, trova la sua pienezza nell'episodio di Isacco, quando diventa obbedienza totale alla volontà divina. L'uomo viene giustificato sia in base alla fede che alle opere.

 

Sulla lettera di Giacomo e sulla sua datazione è in corso un dibattito. Secondo alcuni studiosi questa sarebbe anteriore agli scritti di Paolo e sembrerebbe più vicina all'ebraismo delle lettere dell'apostolo; secondo altri, invece, poiché la dottrina di Paolo, male interpretata, aveva già provocato gravi abusi, Giacomo aveva scritto questa lettera per porvi rimedio.

Si tratterebbe, cioè, di una reazione a una teologia interpretata erroneamente e diventata prassi, con un conseguente modo di vivere (dei cristiani) privo di significato cristiano. Per questo motivo la lettera di Giacomo sarebbe da considerare posteriore alla lettera di Paolo ai Romani.

 

 

 

XVIII lezione

Lettera ai Romani - continuazione

 

Terminiamo il discorso sulla giustificazione, cioè su Dio che ci rende giusti, leggendo alcuni brani della "Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione" tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale del 31 ottobre 1999.

 

Lettura del punto 9

"Nel Nuovo Testamento, in Matteo (5,10; 6,33;21,32), Giovanni (16,8-11), nella Lettera agli Ebrei (5,1-3; 10,37-38) e nella lettera di Giacomo (2,14-26) i temi della "giustizia" e della "giustificazione" non sono trattati nello stesso modo. Anche nelle lettere paoline il dono della salvezza è evocato in diversi modi: fra l'altro, come "liberazione in vista della libertà" (Gal 5,1-13; cfr. Rm 5,11), "pace con Dio" (Rm 5,1), "nuova creazione" (2 Cor 5,17), come "vita per Dio in Cristo Gesù" (Rm 6,11 . 23) o "santificazione in Cristo Gesù" (cfr. 1 Cor 1,2; 1,30; 2 Cor 1,1). Tra queste descrizioni ha un posto di spicco quella della "giustificazione" del peccatore nella fede per mezzo della grazia di Dio (Rm 3,23-25), che è stata più specialmente messa in evidenza all'epoca della Riforma."

- Vediamo che anche San Paolo usa vari modi per esprimere il medesimo concetto. Se vogliamo interpretare correttamente un'espressione paolina sul tema della giustificazione, dobbiamo considerare attentamente quanto lo stesso concetto è stato espresso con altri termini.

 

Lettura del punto 11

"La giustificazione è perdono dei peccati (Rm 3,23-25; At 13,39; Lc 18,14), liberazione dal potere di dominio esercitato dal peccato e dalla morte (Rm 5,12-21) e liberazione dalla maledizione della Legge (Gal 3,10-14). Essa è già da ora accoglienza nella comunione con Dio, e lo sarà pienamente nel regno di Dio che viene (Rm 5,1-2). La giustificazione unisce a Cristo, alla sua morte e risurrezione (Rm 5,12-21). Essa si realizza nel ricevere lo Spirito Santo nel battesimo il quale è incorporazione nell'unico corpo (Rm 8,1-2 . 9-10; 1 Cor 12,12-13). Tutto questo viene unicamente da Dio, a causa di Cristo, per opera della grazia mediante la fede nel "Vangelo del Figlio di Dio" (Rm 1,1-3).

- Giustificazione significa che Dio per sua grazia, e non per merito nostro, ci ha liberati dal peccato, dalla morte e dal dominio della Legge orale ebraica. Il Signore ci inserisce già in una comunione con Lui che non è ancora perfetta: lo diventerà quando saremo in paradiso.

 

Lettura del punto 12

"I giustificati vivono della fede che sgorga dalla parola di Cristo (Rm 10,17) e agisce nell'amore (Gal 5,6), il quale è frutto dello Spirito (Gal 5,22-23). Poiché i credenti continuano tuttavia a subire le tentazioni di potenze e di concupiscenze esteriori e interiori (Rm 8,35-39; Gal 5,16-21) e cadono nel peccato (1 Gv 1,8 . 10), essi debbono sempre di più porsi all'ascolto delle promesse di Dio, confessare i loro peccati (1 Gv 1,9), partecipare al corpo e al sangue di Cristo ed essere esortati a vivere in modo conforme alla volontà di Dio e in modo giusto. Per questo motivo l'apostolo dice ai giustificati: "Tendete alla vostra salvezza con timore e tremore. E' Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni" (Fil 2,12-13). Ma la buona novella permane: "Non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1) e nei quali Cristo vive (Gal 2,20). Mediante l'opera di giustizia di Cristo vi sarà per tutti gli uomini "la giustificazione che dà la vita" (Rm 5,18).

- Dio non ci salva nostro malgrado, perché ci rispetta fino in fondo e non ci costringe ad operare secondo la sua volontà per obbligarci ad andare in paradiso.

Ecco, il rispetto assoluto della nostra libertà.

Cristo ci ha già salvati e ci invita ad accogliere questa salvezza con la volontà e con l'operare, perché altrimenti - direbbe Giovanni in modo molto duro - se diciamo di amare Dio e non amiamo i nostri fratelli, non non amiamo nemmeno Dio e, al limite, illudiamo noi stessi.

Lettura del punto 37

"Insieme confessiamo che le buone opere - una vita cristiana nella fede, nella speranza e nell'amore - sono la conseguenza della giustificazione e ne rappresentano i frutti . Quando il giustificato vive in Cristo e agisce nella grazia che ha ricevuto, egli dà, secondo un modo di esprimersi biblico, dei buoni frutti.

Tale conseguenza della giustificazione è per il cristiano anche un dovere da assolvere, in quanto egli lotta contro il peccato durante tutta la sua vita; per questo motivo Gesù e gli scritti apostolici esortano i cristiani a compiere opere d'amore."

- Il modo migliore per dimostrare che si sta lottando contro il peccato consiste nella pratica delle opere. L'odio (il peccato) si vince con l'amore.

Ecco, allora, il senso delle "buone opere" che danno proprio l'idea che ci stiamo muovendo secondo la giustizia che Dio ci ha donato.

 

Lettura del punto 38

"Secondo la concezione cattolica, le buone opere, compiute per mezzo della grazia e dell'azione dello Spirito Santo, contribuiscono a una crescita nella grazia, di modo che la giustizia ricevuta da Dio è preservata e la comunione con Cristo approfondita. Quando i cattolici affermano il "carattere meritorio" delle buone opere, essi intendono con ciò che, secondo la testimonianza biblica, a queste opere è promesso un salario in cielo. La loro intenzione è di sottolineare la responsabilità dell'uomo nei confronti delle sue azioni, senza contestare con ciò il carattere di dono delle buone opere, e tanto meno negare che la giustificazione stessa resta un dono immeritato della grazia".

 

Lettura del punto 39

"Anche nei luterani si riscontra il concetto di una preservazione della grazia e di una crescita nella grazia e nella fede. Anzi, essi sottolineano che la giustizia in quanto accettazione per mezzo di Dio e partecipazione alla giustizia di Cristo, è sempre perfetta. Al tempo stesso affermano che i suoi effetti possono crescere nella vita cristiana. Considerando le buone opere del cristiano come "frutti" e "segni" della giustificazione e non "meriti" che gli sono propri, essi comprendono, allo stesso modo, conformemente al Nuovo Testamento, la vita eterna come "salario" immeritato nel senso del compimento della promessa di Dio ai credenti (cfr. Fonti del cap. 4.7, pp.42-43)."

 

Completiamo il nostro discorso sulla giustificazione con la lettura della lettera ai Galati 5,13-29.

Gesù Cristo ci dà tutta la grazia necessaria per uscire dalla spirale del peccato.

Come vi avevo preannunciato, non si puo' parlare di giustificazione senza parlare della giustizia di colui che rende l'uomo giusto.

Sappiamo che nella Bibbia quando si parla dell'uomo non si puo' che riferirsi a Dio perché l'uomo è a sua immagine e somiglianza. Di conseguenza per comprendere la giustizia umana bisogna riandare alla giustizia divina, così come per capire l'amore umano bisogna riferirsi all'amore divino.

E, allora, consideriamo la parola greca dicaiosüne (la giustizia) che compare nel Nuovo Testamento ben 91 volte, 57 delle quali nelle lettere di Paolo e diverse volte in Matteo. Un personaggio del Vangelo di Mt detto "giusto" è Giuseppe.

Per capire che cosa intenda questo evangelista per "giustizia" dobbiamo leggere, come provocazione, un brano del suo Vangelo.

 

Lettura Mt 5,20. "La nuova giustizia superiore all'antica".

Noi sappiamo che il vangelo di Matteo, più degli altri, si richiama all'Antico Testamento con continue ed espresse citazioni, in quanto vuole dimostrare che Gesù realizza in pienezza le premesse e le promesse ivi contenute. Sappiamo anche che il nostro evangelista scrive per una comunità di ebrei convertiti. Ovviamente nell'Antico Testamento la giustizia è applicata prima di tutto a Dio.

 

Facciamo adesso un escursus attraverso i salmi per cercare di dare una connotazione più precisa alla giustizia divina.

Lettura del salmo 35,1-28 "Preghiera di un giusto perseguitato".

Già il titolo ci dice che si tratta di una preghiera molto umana ma anche divina. La giustizia di Dio è la salvezza del suo servo. Dio è giusto perché salva e aiuta il suo servo perseguitato e perché prende le difese del debole.

L'idea principale del nostro salmo è la salvezza del giusto e l'idea derivata è quella della salvezza dell'empio. Di conseguenza siamo portati a considerare come prima caratteristica della giustizia divina la giustizia distributiva; ma ciò non è vero, perché, secondo la Bibbia, Dio è giusto perché salva.

 

Lettura del salmo 36.

Quando il riferimento etico, cioè della morale, non è più il Signore ma soltanto dei valori intermedi cadiamo nel relativismo etico e non abbiamo, quindi, alcuna base consistente alla quale rapportarci. Se il riferimento del diritto non è Dio (e questa rappresenta una delle grandi intuizioni dell'antichità), se l'origine della legge non è Dio ma altro, quella legge non è giusta in sé. Se l'origine di una legge è il nostro interesse particolare, quella legge nasce ingiusta. Si tratta di una contraddizione in termini. Questo dovrebbe costituire per noi cattolici un modo per valutare una norma e la sua coercività. In coscienza siamo obbligati a rispettare certe leggi? Qualche volta potremmo non esserlo ma dovremmo allora assumerci le responsabilità conseguenti.

Notiamo che nel salmo appare presente l'aspetto della salvezza nella giustizia, la quale è la grazia divina che si traduce nei doni della Provvidenza. Potremmo dire che il Signore è giusto perché provvede ai bisogni dell'uomo. Dio è giusto perché salva e perché è provvidente.

Allora: giustizia = salvezza; giustizia = provvidenza.

 

Lettura del salmo 65

In questo salmo viene ripresa l'idea della salvezza e della provvidenza con l'aggiunta dell'idea del perdono. La giustizia divina sta nel perdono dei peccati.

 

Lettura del salmo 40.

Ritornano gli stessi argomenti dei salmi precedentemente letti con l'aggiunta del tema della fedeltà. Giustizia di Dio = fedeltà. Dio è giusto perché è fedele.

Ricordo che durante lo studio dei salmi si era detto che "fedeltà" era un concetto espresso in ebraico con la parola hesed e traducibile in italiano non con un solo termine bensì come "fedeltà misericordiosa" oppure con "misericordia fedele".

Dio è giusto perché fedele al suo patto, l'alleanza, che rappresenta il più grande segno della sua misericordia.

 

Leggiamo il salmo 111 ("Elogio delle opere divine") che esprime ancor meglio quest'ultimo concetto.

Si tratta evidentemente di un salmo alfabetico: l'inizio di ogni verso corrisponde a una lettera dell'alfabeto ebraico (allo scopo di facilitarne la memorizzazione).

Qui risulta particolarmente chiaro che la giustizia è sinonimo della fedeltà all'alleanza che il Signore ha stipulato. Nell'Antico Testamento la giustizia di Dio consiste nella sua fedeltà al patto da lui stesso stipulato; fedeltà che comporta salvare l'uomo, aiutarlo sempre (la Provvidenza!) e proteggere soprattutto i deboli (l'orfano, la vedova e lo straniero), gli umili, i perseguitati e i poveri.

Ci troviamo in un concetto di amore grandissimo: Dio è giusto perché è fedele e protegge il debole da "qualcuno". Fa quindi parte della giustizia divina anche rovesciare i potenti oppressori. 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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