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CORSO BIBLICO SULLE LETTERE DI S.PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2012 19:28
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18/11/2012 21:24
 
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Prima lettera ai Corinzi - continuazione

 

Lettura 1 Cor 15,1-19. "Il fatto della risurrezione".

A Corinto alcuni cristiani sostenevano la non esistenza della risurrezione dei morti. Ricordiamo qui il discorso di Paolo ai filosofi di Atene sulla risurrezione (At 17,31-32). Quando l'apostolo inizia a parlare su questo argomento gli viene risposto: "Ti sentiremo su questo un'altra volta.". Se Paolo avesse avviato una discussione sull'immortalità dell'anima avrebbe trovato probabilmente persone disposte ad ascoltarlo, anzi a dargli ragione, perché per la cultura greca si trattava di un concetto ovvio.

Per i greci l'anima - preesistente - si trova purtroppo imprigionata in un corpo e ritorna, per fortuna, al suo cielo dopo la morte del corpo. Mentre i filosofi più antichi parlavano della trasfigurazione delle anime, i filosofi più evoluti, come Platone, ammettevano l'immortalità dell'anima. Paolo - e con lui il cristianesimo - va oltre e parla di risurrezione, non solo dell'anima che comunque non muore, ma anche del corpo.

Ci è facile immaginare lo scandalo dei greci di fronte a tali affermazioni.

 

Per sostenere la fondatezza del concetto di risurrezione dei corpi S. Paolo non introduce alcun elemento filosofico. Dice semplicemente che se una persona afferma che la risurrezione non esiste, ciò significa che nemmeno Cristo è risorto. E se Cristo non è risorto - qui sta la forza del pensiero paolino - è vana la predicazione degli apostoli e "...vana la vostra fede".(15,17). Addirittura voi corinzi sareste dei bugiardi attribuendo a Dio un atto (la risurrezione di Gesù) da Lui mai compiuto. Ma voi sareste soprattutto delle persone che rimangono nel loro peccato.

In questo passaggio Paolo dice che Cristo non è Dio perché è morto in croce ma - e riusciamo a capirlo anche noi - è Dio perché è risuscitato dai morti, primo di molti altri. Altrimenti Gesù Cristo sarebbe stato, da un punto di vista politico, una delle tante vittime, più o meno innocenti, dell'autoritarismo romano e della chiusura religiosa degli ebrei. Gesù Cristo al massimo sarebbe stato il portatore di una filosofia. E, infatti, il cristianesimo, se gli togliessimo la risurrezione, sarebbe soltanto una delle tante dottrine etiche, filosofiche anche oggi esistenti.

 

In un'intervista comparsa sul quotidiano cattolico "Avvenire" si parla di un libro in cui si sostiene che attualmente esistono nel mondo due superpotenze: una politica, gli Stati Uniti d'America, e l'altra morale, il Vaticano.

Cominciamo ad allargare gli orizzonti e parliamo di Chiesa cattolica, sicuramente non perfettamente indentificabile con la Santa Sede. Ma preoccupa il fatto che si voglia ridurre il messaggio di Cristo, e quindi della Chiesa, ad un puro e semplice messaggio etico che scaturisce da una concezione dell'uomo che propugna alcuni valori (come la filantropia) che altri non riconoscono. Ciò significa togliere la radice - che è Cristo morto e risorto - di tutto un messaggio. Il cristianesimo non è una delle tante filosofie esistenti. Io credo che oggi sia molto diffusa un'opera strisciante di riduzione del cristianesimo come quella che predica l'amore universale ("Fate l'amore e non la guerra", "vogliamoci bene", ecc.). Ma Gesù Cristo è venuto a portare la "spada" e non la pace (Mt 10,34).

Di conseguenza teniamo presente che se noi cristiani non fossimo capaci di portare un po' di guerra, nel senso di mettere le persone di fronte alle proprie responsabilità e ai propri difetti (e noi prima di tutti), avremmo fallito completamente.

E la nostra forza viene non dall'amore per l'uomo ma da Gesù Cristo morto e risorto. E' il suo amore per l'uomo che ci contagia: noi amiamo il mondo intero perché amiamo Gesù.

 

S. Paolo porta tre prove della risurrezione di Gesù Cristo.

La prima prova è fornita dalle Scritture ("...è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture...." - 1 Cor 15-4), ossia dai testi dell'Antico Testamento - ad es. il libro dei Profeti - che parlano di quell'evento.

 

La seconda prova viene dai testimoni oculari secondo un interessante elenco fornitoci da Paolo (15,5-7)

- L'apparizione a Cefa (Simone) è citata in Lc 24,33-35 (lettura) ma senza alcuna descrizione.

Notiamo che l'incontro di Pietro con Gesù risorto (Gv 21) sul lago era stato preceduto da un'altra apparizione. E la domanda di Gesù nella seconda apparizione a Pietro: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?..." (Gv 21,15) possiamo considerarla come la logica continuazione di un perdono già accordato all'apostolo.

 

- L'apparizione ai Dodici (per Giovanni le apparizioni furono almeno due e alla seconda e alla seconda fu presente anche Tommaso).

Il vangelo di Luca (24,30-43) ci parla dell'apparizione al termine della quale Gesù mangiò il pesce.

 

L'apparizione a "...più di cinquecento fratelli in una sola volta.." (15,6) della quale non abbiamo notizie

 

- L'apparizione a Giacomo (15,7) di cui i Vangeli non parlano.

 

L'apparizione "...a tutti gli apostoli" (15,7). Dobbiamo chiederci chi siano per Paolo gli apostoli visto che erano già stati citati i Dodici (v.5). Paolo si considerava uno degli apostoli pur non essendolo in senso stretto, perché non era stato tra coloro che avevano condiviso la vita terrena di Gesù, erano stati partecipi della sua morte e testimoni della sua risurrezione.

 

Come terza prova abbiamo la testimonianza personale di Paolo (1 Cor 15,8) al quale Gesù apparve sulla vista di Damasco (At 9,3-6).

 

A questo punto negare la risurrezione di Gesù significa negare i presupposti stessi del cristianesimo, negare che noi siamo stati liberati dal peccato.

La risurrezione va vista un po' come il "sigillo di autenticità" con il quale il Padre afferma che era proprio suo Figlio quell'uomo morto in croce per redimerci dal peccato. Quindi, senza la risurrezione la croce non avrebbe alcun valore e semplicemente sarebbe un oggetto di tortura sul quale è morto uno dei tanti innocenti.

Gesù Cristo con la sua risurrezione ha salvato l'uomo dal peccato.

 

Lettura 1 Cor 15,20-28

Questo è un brano difficile sul quale occorre soffermarsi.

E' facile capire che Cristo è il primo risorto. Adamo, il primo uomo, ha coinvolto tutti nella morte e per misteriosa solidarietà uno è stato causa di un male per tutti. Come Adamo è stato causa di un male (la morte) così Gesù Cristo è stato il primo risorto che coinvolgerà tutti nel bene. Inseriti in Cristo tutti moriamo e risorgiamo in Lui.

Gesù risorge per primo e quando verrà nel giorno del giudizio (la parousia) farà risorgere "quelli che sono di Cristo" e consegnerà finalmente il regno al Padre. E, a questo punto, anche Cristo sarà sottomesso al Padre.

Questa sottomissione costituiva per gli ariani una prova della non divinità di Gesù Cristo, che veniva considerato semplicemente un figlio adottivo di Dio.

Secondo la Chiesta cattolica con tale sottomissione Cristo - il Figlio - termina la sua funzione mediatrice che ha all'interno della Trinità. Il Verbo, che è l'incarnazione, ha la funzione di intermediario della salvezza. Attraverso Gesù Cristo, che è il Figlio di Dio, si realizza la salvezza. Quest'opera continua fino alla fine dei tempi e la Chiesa e i Sacramenti sono una attualizzazione della presenza di Cristo.

Quando avrà consegnato il regno a Dio Padre, Cristo non avrà più significato nella sua funzione di mediatore della salvezza. Dio avrà realizzato in pienezza il suo progetto e il Figlio regnerà con il Padre.

 

La risurrezione permette a Cristo di arrivare alla fine a dominare su tutti i mali e sulle potenze del male e a trionfare anche sulla morte, che sarà l'ultimo avversario ad essere sconfitto. E allora tutti vivranno in Lui.

Notiamo come questo sia un brano teocentrico in cui viene evidenziata la funzione mediatrice di Cristo che ci porta al Padre.

 

Lettura 15,29-30

A Corinto c'era l'uso di farsi battezzare al posto di un morto applicando così allo stesso il battesimo ricevuto. E questa usanza corrisponde all'idea del suffragio e dell'indulgenza, realizzati però per mezzo del battesimo.

Paolo su questa abitudine non prende posizione negativa o positiva, ma si domanda che senso possa avere il credere nel battesimo (per i morti) se poi questi stessi morti non risorgeranno.

 

Lettura 15,35-44

In questi versetti quanto è tradotto con il termine "animale" viene indicato nel testo greco con psükicós (psichico), che andrebbe meglio reso con "terreno" oppure con "naturale".

E San Paolo scrive che nella risurrezione ci sarà una evoluzione della nostra corporeità e il nostro corpo sarà glorioso: il chicco di grano che è stato seminato diverrà spiga. Se il nostro corpo ha un'evoluzione, la pienezza di questa sarà raggiunta nella risurrezione e il nostro corpo sarà glorioso, non più soggetto allo spazio e al tempo.

 

Lettura 16,51-56

Qui l'apostolo sostiene che nel giorno del giudizio ci sarà la trasformazione in un corpo spirituale anche di coloro che in quel momento saranno ancora vivi.

 

Nei vv. 54 e 55 leggiamo il grande inno riguardante la morte. Noi ci soffermiamo solo sul v. 56: "Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge" In questo versetto per "legge" di intende la Torah.

Se è vero che la morte è causata dal peccato, perché dire che la Torah è la forza del peccato? Perché, secondo San Paolo, la "Legge" non dà la grazia (che viene invece da Gesù Cristo) ma sottolinea il peccato e, così facendo, ci espone al peccato stesso. Entra così in gioco la questione della buona fede e dell'ignoranza.

La Torah elenca minutamente tutti i peccati ma non dà la grazia per superarli.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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