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CORSO BIBLICO SULLE LETTERE DI S.PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2012 19:28
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18/11/2012 21:04
 
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Introduzione alle "Lettere" di S. Paolo

 

Nel precedente incontro in una introduzione molto breve alle Lettere avevamo posto il problema della loro datazione, cioè ci eravamo chiesti se veramente siano i documenti più antichi del cristianesimo, come si ritiene comunemente. Avevamo, inoltre, preso in considerazione una teoria secondo la quale alcuni Vangeli sono precedenti, anche come stesura definitiva, alle Lettere di S. Paolo. Ricordate in proposito il v.14 di Mc 13 di cui abbiamo ampiamente parlato nella lezione della scorsa settimana?

 

Le "Lettere" ci forniscono delle notizie preziose sulle prime comunità cristiane. A ben vedere anche i Vangeli - leggendo tra le righe - ci possono dare un'immagine delle comunità per la quale sono stati scritti. Ma le "Lettere" contengono delle annotazioni, delle considerazioni decisamente molto più complete.

Sappiamo, per esempio, attraverso questi documenti come erano strutturate le comunità alle quali erano indirizzati; sappiamo che vi erano presenti gli episcopi e i presbiteri. Possiamo affermare che conosciamo la struttura primitiva della Chiesa principalmente attraverso le Lettere di S. Paolo e - in secondo piano - attraverso gli Atti degli Apostoli. Si tratta di notizie preziose, quindi, sull'organizzazione della Chiesa, sulla condizione sociale delle primitive comunità cristiane, sulla loro composizione, su quali persone ne entravano a far parte, su come si svolgeva l'apostolato, sui luoghi in cui ci si trovava per pregare e per celebrare l'Eucarestia e, anche, su come veniva celebrata.

Le lettere di S. Paolo sono perciò una miniera da tutti i punti di vista. Inoltre notiamo che ci dicono tantissimo sulla società pagana (o non cristiana). Ad esempio, noi conosciamo bene i problemi che la Chiesa di Corinto viveva in quanto inserita in un particolare contesto sociale determinato dal fatto che ivi ci fosse uno dei più grandi porti del Mediterraneo.

Anche dal punto di vista storico noteremo come le "Lettere" siano stupende.

Da questi testi dovremmo dedurre un altro elemento: il rapporto con il mondo pagano. Infatti il cristianesimo nasce in un ambiente molto connotato religiosamente e, a parer mio, anche tanto aperto e si trova ad affrontare con Paolo non solo la cultura degli ellenisti (cioè di quegli ebrei che ormai lontani da generazioni dalla Palestina parlavano soltanto greco, ma avevano mantenuto le leggi e le tradizioni dei loro antenati) e a confrontarsi con un mondo che dalla Palestina era culturalmente assai lontano, con tutti i problemi connessi. Uno di questi - notevole e vivo ancora oggi - consisteva nel fatto che la cultura ebraica non aveva il concetto della persona intesa come anima e corpo, ma quello del medesh secondo cui non si possono separare l'anima e il corpo che costituiscono un insieme indistinto. Pensate che cosa puo' aver significato l'introdurre questo concetto nella mentalità di una società che non l'aveva minimamente presente, anzi ne conosceva uno esattamente opposto, cioè il concetto del dualismo che abbiamo ancora oggi. Noi, infatti, non ragioniamo in termini biblici perché restiamo influenzati dalla concezione filosofica che distingue l'anima dal corpo. Ci vorranno decenni ancora per giungere -almeno noi cattolici - a questo cambiamento di cultura.

Quindi pensiamo a quanto può essere successo - almeno da questo punto di vista - quando S. Paolo nelle "Lettere" cercava di esporre concetti difficili a persone che non li avrebbero potuti comprendere se non cambiando il modo di esporli.

 

Oggi si parla di inculturazione a proposito dell'annunzio del Vangelo da parte della Chiesa nelle varie parti del mondo. Si puo' forse annunciare il Vangelo in Africa adoperando lo stesso linguaggio che si una in Europa? Certamente no, perché la cultura africana ha dei contenuti e dei concetti molto diversi dai nostri. E, allora, il Vangelo si deve adattare alla cultura africana perché sia compreso dagli africani.

I nostri missionari quando andavano a diffondere la buona novella fuori dall'Europa traducevano il Cristo in termini comprensibili alle diverse culture locali.

Abbiamo un esempio storico in Matteo Ricci che quattrocento anni fa diffuse il Vangelo in Cina, dopo averlo tradotto in lingua cinese e avere adottato anche il modo di vestire di quei luoghi.

Come notiamo, si tratta di un'opera difficile che anche S. Paolo si è sforzato di compiere.

 

Abbiamo già conosciuto un caso di inculturazione (in uno dei corsi precedenti) nel Vangelo di Giovanni, il quale usa il concetto di lògos (Verbo) mutuato dagli stoici in un tentativo di dialogo con gli ebrei lontani - come il filosofo Filone Alessandrino - e, appunto, con gli stoici (il lògos infatti, era uno dei principi a cui essi si appellavano).

 

Nelle Lettere troveremo, poi, le problematiche teologiche in quanto in questi testi si pongono i fondamenti del cristianesimo: chi è Gesù Cristo. Qual è il rapporto fra noi cristiani e gli ebrei? e tra l'Antico Testamento e il Vangelo annunciato da Gesù?

 

Inoltre, nelle lettere di Paolo evidenzieremo notevoli problemi di natura etica come l'incesto (ad es. nella "Lettera ai Corinti") e situazioni di morale spicciola, come il rapporto con l'autorità statale.

 

Appare chiaro che le Lettere sono una sfida, che noi raccogliamo, tante volte anche a livello di interpretazione. Ad esempio, abbiamo sentito affermare che S. Paolo era un po' misogino, come risulta dai suoi accenni alle donne. Ma anche questo atteggiamento va interpretato correttamente per non stravolgere il messaggio paolino.

 

Per comprendere bene il contenuto delle Lettere dobbiamo fare alcuni riferimenti che sono un po' impegnativi: si tratta, cioè, di sapere in quale contesto storico Paolo opera e con quale ambiente filosofico e culturale si incontra e si scontra.

Secondo l'interpretazione di alcuni storici, S. Paolo non avrebbe detto nulla di nuovo ma avrebbe attinto dallo stoicismo e dal neoplatonismo. A tale proposito ricordiamo che è in corso a Milano un convegno sul rapporto tra l'apostolo e Seneca, il filosofo romano maggiore esponente dello stoicismo.

In base a recenti studi, delle quattordici lettere tra Paolo e Seneca (ritenute tutte fino a poco tempo fa non autentiche) due sarebbero certamente false, mentre per le altre vi sarebbero validi motivi per un approfondimento sulla questione della loro autenticità.

Alcuni studiosi ritengono che Paolo avrebbe inquinato tutto il cristianesimo introducendo concetti stoici e noeplatonici, così togliendo allo stesso cristianesimo la sua originalità e riducendolo alla stregua di una delle tante correnti filosofiche della sua epoca. Ecco perché Tacito puo' scrivere che a Roma, dove giungevano i "rifiuti" da tutto l'impero, il peggiore rifiuto che potesse arrivare fosse costituito dai cristiani.

 

Iniziamo ora il nostro cammino nella storia e nella cultura dell'epoca di Paolo, terminato il quale esamineremo le singole Lettere seguendo il loro ordine cronologico.

Vi invito alla necessaria lettura degli Atti degli Apostoli che tracciano a grandi linee quella che è stata la missione di S.Paolo.

 

 

Per poter comprendere il periodo storico in cui operò Paolo di Tarso occorre risalire per sommi capi alle vicende della Palestina successive alla fine della dominazione siriana. Questa dominazione era stata la conseguenza del costituirsi nel Mediterraneo orientale e nel medio oriente dei regni ellenistici derivati dalla dissoluzione dell'impero di Alessandro Magno.

Quanti fra i presenti hanno seguito le lezioni degli anni precedenti troveranno la ripetizione di alcune notizie sull'ellenismo.

Vorrei ricordare che alcune date che indicherò sono la considerarsi relativamente esatte, perché su di esse non concordano le fonti che ho consultato.

Già in uno dei precedenti corsi avevamo visto che la Palestina, nei secoli che precedettero la nascita di Cristo (cioè dall'ottavo al primo), era stata oggetto di conquista da parte di grandi Stati (come l'Assiria, il regno babilonese e l'Egitto) che confinavano con il suo territorio e di quelle che si espandevano nel Mediterraneo orientale (come la Grecia di Alessandro Magno e Roma).

Dopo la rivolta contro la Siria guidata da Giuda Maccabeo negli anni 167-164 a.C., la Palestina riconquistò per un breve periodo (circa un secolo) l'indipendenza con la dinastia degli Amonei, iniziata nel 143 a.C. con Simone, che fu proclamato sommo sacerdote ed etnarca (capo del popolo, cioè re).

In quell'epoca presero consistenza le correnti principali del giudaismo, i Farisei e i Sadducei, delle quali si parla nel Nuovo Testamento. Il contrasto tra queste due correnti e le lotte fratricide fra gli appartenenti alla dinastia degli Armonei diedero spunto all'intervento dei romani, i quali occuparono la Palestina (con Pompeo nel 63 a.C.) e la inglobarono nei loro possedimenti, appoggiandosi al partito sadduceo capeggiato da Ircano. Costui venne proclamato sommo sacerdote, ma non etnarca.

Così la Palestina tornò ad essere suddita di un altro Stato, avendo perso l'indipendenza riconquistata un secolo prima.

Contro il nuovo oppressore che, tra l'altro, imponeva gravosi tributi, si manifestò subito una forte opposizione.

Gli stessi Esseni, setta religiosa aliena da ogni tipo di violenza, sorta nel II secolo a.C., accusavano l'impero romano di divorare i popoli come l'aquila.

 

Prima di continuare con i cenni storici è opportuno soffermarci sull'ellenismo.

L'ellenismo, definito come la civiltà e la storia in genere del bacino del Mediterraneo medio e orientale, inizia a partire dal 333 a.C. (anno della partenza di Alessandro il Macedone alla conquista dell'oriente) e viene fatto concludere convenzionalmente con il 31 a.C. (anno della battaglia navale di Azio). Ma anche successivamente l'ellenismo continuò ad improntare per più di un secolo la cultura e le consuetudini dei popoli tra i quali si era esteso e perfino quelle della stessa Roma.

L'ellenismo si formò nel contatto tra la civiltà greca classica ormai matura e le civiltà orientali (iranico-babilonese, ebraica, egiziana). I successori di Alessandro Magno nei vari regni ellenistici favorivano sempre i greci e la fondazione di città e di colonie greche. La lingua greca ("koiné")anche dopo la conquista romana, divenne la lingua franca cioè di uso comune (koiné significa "comune") e la più diffusa del bacino del Mediterraneo orientale, in sostituzione dell'aramaico, del fenicio e dell'egiziano. Chiaramente le varie culture di quella zona furono fortemente influenzate da quella greca.

Gli orientali furono colpiti dalla diversa concezione dell'uomo portata dai greci, i quali lo consideravano libero e non servo del re o di Dio. Si diffuse una nuova concezione del rapporto tra uomo e Stato, inteso questo non più come comunità di sangue, ma come comunità di partecipazione ai diritti e ai doveri comuni sulle stesso territorio. In quel periodo ebbe grande diffusione il fenomeno della diaspora degli ebrei, che costituirono comunità molto importanti ad Alessandria e a Leontopoli in Egitto e ad Antiochia in Siria e si insediarono perfino a Roma.

Gli ebrei della diaspora parlavano greco e raccoglievano numerosi proseliti e i soldati giudei che avevano prestato servizio presso altri re al ritorno in patria portavano la lingua greca, nuove abitudini e una visione del mondo molto diversa da quella del giudaismo. Molte persone delle classi più elevate cominciarono ad assumere nomi greci a partire dal II secolo a.C.

 

Dopo la battaglia di Azio ebbe fine la repubblica romana e si costituì l'impero con Cesare Ottaviano Augusto che visse fino al 14 d.C. Proprio durante il suo regno, in piena "pax romana", avvenne la nascita di Cristo. Ad Augusto successe Tiberio, che regnò dal 14 al 37 d.C., quindi durante gli anni della predicazione, della morte e della resurrezione di Gesù e della fondazione della Chiesa. Dopo Tiberio regnarono Caligola (dal 37 al 41), Claudio (dal 41 al 54) e Nerone (dal 54 al 68).

All'epoca di Claudio nella numerosa comunità giudaica di Roma iniziò l'evangelizzazione, che era stata estesa anche ai pagani, probabilmente ad opera dello stesso Pietro il quale, secondo Eusebio ("Storia ecclesiastica") si recò nella capitale dell'impero intorno al 44.

I contrasti tra i giudei osservanti e giudei convertiti al cristianesimo (seguaci di Cristo) provocarono l'espulsione di questi ultimi da Roma nel 49. Qualche anno dopo e principalmente in Roma avvenne con Nerone (dal 64 al 67) la grande persecuzione dei cristiani accusati di odio del genere umano e di avere causato l'incendio della capitale.

Negli ultimi anni del regno di Nerone, proprio in coincidenza con la persecuzione, viene collocata l'epoca del martirio in Roma di Pietro (per crocefissione) e di Paolo (per decapitazione).

Il primo incontro fra la fede cristiana e il mondo romano è indicato negli Atti degli Apostoli (At 2,10) dove si dice che al discorso di Pietro subito dopo l'evento della Pentecoste in Gerusalemme assistettero anche alcuni "stranieri di Roma".

Al momento della morte di Gesù la Palestina faceva parte della provincia della Siria governata dal legato di Roma. Il potere, nonostante la presenza di un etnarca (o re) giudeo, era saldamente nelle mani dei romani i quali avevano lasciato al sinedrio alcune competenze politiche, religiose e sociali riguardanti la vita e gli affari dei giudei, riservandosi i gradi più elevati della giustizia, ivi compresa la comminazione della pena di morte. Il sinedrio, in ebraico sanhedrin e in greco synedrion era il supremo consesso politico, religioso e giudiziario ebraico. attivo in Palestina fino alla distruzione del tempio, fu trasferito a Jahvne nel 70 d.C. dopo aver perso i poteri politici ed essere diventato completamente fariseo.

L'insofferenza dei giudei per il dominio romano si manifestò con sommosse e ribellioni più volte represse. Queste ribellioni culminarono la prima volta con la guerra insurrezionale dal 66 al 70 terminata con la distruzione del tempio e di parte della città di Gerusalemme, il massacro di molti cittadini e la riduzione in schiavitù dei superstiti; la seconda volta con la guerra giudaica dal 131 al 134 conclusasi nuovamente con la vittoria dei romani i quali distrussero Gerusalemme e la riedificarono come colonia romana interdetta agli ebrei.

Paolo operò dal 34/35 al 67 in un'epoca in cui era sempre viva la cultura ellenistica ed erano presenti, in contrapposizione con il giudaismo e il movimento cristiano, in particolare due correnti di pensiero: l'epicureismo e lo stoicismo.

Degli stoici e degli epicurei si parla negli Atti degli Apostoli (At 17,18 e segg.) quando costoro disputarono in Atene con Paolo durante il secondo viaggio missionario.

 

 

L'epicureismo

Gli epicurei traevano il loro nome dal fondatore della scuola, Epicuro, vissuto tra il 314 e il 270 a.C. Secondo costoro l'anima esiste ma non è immortale perché svolge la sua funzione solo quando è contenuta nel corpo e, separandosene alla morte, si dissolve. Le divinità esistono, vivono negli spazi che separano un mondo dall'altro, sono perfette, autosufficienti dal mondo e ad esso indifferenti. Le divinità non provvedono quindi alle cose del mondo. In polemica con gli stoici, Epicuro considerava l'uomo libero da ogni costrizione esterna da parte di un fato o di una divinità che guidasse le azioni umane. Questo filosofo riteneva perciò che l'uomo dovesse ricercare in se stesso la causa fondamentale della propria felicità o infelicità. La felicità consisteva nel piacere che è uno stato di equilibrio e di armonia e di assenza del dolore. E nella scelta del piacere consisteva la vera salvezza. A differenza degli stoici, gli epicurei non ammettevano un vero e proprio diritto naturale con un sistema di leggi sempre comunque valide. E allora ciò che è giusto non vale per se stesso, ma solo in quanto conforme all'utilità.

 

 

 

Gli stoici

Gli stoici prendono il nome da stoà (il portico) in cui aveva sede la scuola filosofica fondata da Zenone in Atene intorno al 300 a.C.

La filosofia degli stoici era chiaramente orientata, a differenza di quella degli epicurei, al conseguimento della virtù e alla realizzazione dell'ideale del saggio. Al centro di quella filosofia era posto il concetto di lògos inteso come "ragione", principio organizzativo della vita cosmica e della vita morale. Per gli stoici tutta la realtà, compresa la divinità, è corporea e tutto il mondo è pervaso da un'unica forza vivente. E la divinità non è distinta dal mondo ma è il principio interno che lo regge lo ordina (panteismo). Gli stoici sostenevano la separazione dell'anima al corpo dopo la morte ed avevano elaborato il concetto di dovere. Per loro il bene supremo era la virtù e quattro erano le virtù fondamentali: la prudenza, la temperanza, la fortezza e la giustizia. E' facile qui vedere delle analogie con il cristianesimo.

Gli stoici puntavano a una nuova purezza dei cuori e a una ripresa morale di tipo spirituale, che apriva la strada verso nuovi orizzonti religiosi. Alcuni di essi credevano in un Dio unico, in una volontà razionale capace di essere tutt'uno con il mondo.

Il filosofo Seneca, il più noto esponente della corrente stoica, fu contemporaneo di Gesù e dei suoi apostoli e morì suicida nel 65 d.C. durante la persecuzione di Nerone. Viene considerato da molti come il pensatore dell'epoca più vicino al cristianesimo.

Nonostante le notevoli differenze tra le due scuole, il fine a cui mira la saggezza stoica è analogo a quello epicureo e cioè l'autosufficienza dell'uomo, la sua libertà interiore che lo rende capace di bastare a se stesso in ogni situazione.

 

I SADDUCEI erano un antico partito religioso e politico ebraico e derivavano il loro nome da Zedoq, sommo sacerdote all'epoca di Salomone. Costituivano l'aristocrazia ebraica rappresentata dalla classe sacerdotale e dalle famiglie ad essa legate, e si caratterizzavano per conservatorismo, distacco dal popolo e simpatia per l'ellenismo. Si consideravano custodi autentici della legge e respingevano le dottrine dei Farisei non esplicitamente contenute nella Torah, come la resurrezione dei morti, l'esistenza degli angeli, la tradizione orale e l'universalismo. I Sadducei scomparvero dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme.

 

I FARISEI erano sorti all'epoca dei Maccabei (II secolo a.C.) e derivavano dal movimento degli Assidei. Erano il partito della tradizione e dell'ortodossia ebraica e credevano nella resurrezione dei morti, nel giudizio finale e nella retribuzione, nell'avvento del messia, nell'esistenza degli angeli, nella provvidenza, nella libertà del volere e quindi nella responsabilità delle azioni.

Il termine "fariseo" trae origine dalla parolaparùsh (pluraleparusim ) che significa "il separato" ed è sinonimo di qaddish (consacrato).

I Farisei osservavano con zelo le prescrizioni della Legge, il riposo del sabato e le norme di purità e pregavano tre volte al giorno. Nel Talmud sono descritte con una certa ironia sette categorie di Farisei:

1- Il gruppo delle "spalle larghe" che scrivevano le loro

buone azioni sulla schiena perché fossero note a tutti gli uomini;

2- i "vacillanti" che andavano per strada strusciando i

piedi per terra e urtando contro i ciotoli per farsi notare;

3- gli "sbattitesta" che chiudevano gli occhi per non vedere le donne e sbattevano la testa contro i muri;

4- gli "umili perfetti" che camminavano piegati in due;

5- i "Farisei di calcolo" che praticavano la Legge per godere delle possibili ricompense;

6- i "Farisei della paura" che facevano il bene perché temevano il castigo;

7- i "Farisei del dovere", cioè i buoni Farisei.

 

I farisei si consideravano gli eredi del riformatore Esdra, che veneravano come il secondo fondatore dell'ebraismo dopo Mosè e l'iniziatore del giudaismo. Attendevano il riscatto del popolo senza il ricorso alla violenza nei confronti degli occupanti romani e forse per questo sopravvissero alla rovina del Tempio e alla distruzione di Gerusalemme che travolsero invece sadducei, esseni, zeloti e sicari.

L'imperatore Tito concesse dopo il 70 d.C. al rabbino fariseo Iohanan Ben Zakkai di trasferire e mantenere a Jahvne il sinedrio, per cui i farisei rimasero l'elemento determinante di tutto il giudaismo posteriore

 

 

Gli ESSENI. Questo nome deriva forse dall'aramaico Assajja (silenziosi o puri) da cui il greco essenòi. Costituivano una setta ascetica ebraica sorta nel II secolo a.C. dagli Assidei e durata fino al I secolo d.C. . Gli esseni vivevano segretamente tra il Mar Morto e il deserto di Giuda sotto la guida di un "maestro di giustizia". Avevano vita comunitaria ed erano divisi per classi secondo il grado di perfezione e secondo una struttura piramidale, praticavano obbligatoriamente il celibato e mettevano in comune tutti i beni personali. Si consideravano l'unico vero popolo di Dio opponendosi alla classe ebraica dominante, e attendevano tre portatori della salvezza:

1- un messia legislatore profetico;

2- un messia di Aronne (quale sommo sacerdote);

3- un messia d'Israele (quale re).

Ritenevano sacri i pasti consumati in comune e le abluzioni che procuravano la remissione dei peccati. Alcuni ritengono che Gesù abbia celebrato la Pasqua secondo il calendario solare esseno di 364 giorni (diverso da quello lunisolare in uso nell'ambiente farisaico), avendo egli agito insieme a Giovanni il Battista e ai suoi primi seguaci fianco a fianco con le comunità essene.

 

Gli ZELOTI. Questo nome deriva dal greco zelotes (fanatici). Erano un partito politico e religioso ebraico attivo nel I secolo d.C. fondato da Giuda il Galileo all'epoca del censimento di Quirino (6-7 d.C.). Si opposero presto ai farisei che rifiutavano la lotta armata contro i romani. Non accettavano di sottostare agli stranieri pagani e idolatri, di pagare i tributi e rifiutavano il censimento romano. Avevano viva l'attesa del messia liberatore e miravano alla ribellione contro lo straniero. Una loro frangia estrema fu quella dei sicari (dal latino "sica" il pugnale, che portavano nascosto sotto le vesti per colpire a tradimento).

Gli zeloti ebbero larga parte nell'insurrezione degli anni 66-70 d.C. e un migliaio di essi resistette nella fortezza di Masada fino al 73 e si suicidò in massa piuttosto che arrendersi. Parteciparono anche all'insurrezione degli anni 131-134 che segnò la loro fine.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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