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CORSO BIBLICO SULLE LETTERE DI S.PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2012 19:28
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18/11/2012 21:02
 
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Non tutti hanno un'opinione positiva di S.Paolo. Per esempio, in un libro che ha per titolo "L'Anticristo", Friedrich Nietzsche, un filosofo ateo definito uno dei maestri del sospetto, che aveva una grande ammirazione per Cristo (da lui considerato un vero superuomo) dice che l'ebreo Saulo ha "rovinato" tutto il messaggio di Cristo. Paolo ha manipolato il messaggio che liberava l'uomo e ha nuovamente ingabbiato l'uomo. Il rivoluzionario Gesù è stato riportato da Paolo nell'istituzione Chiesa.

 

Lettura di un brano tratto da "L'Anticristo":

"La "buona novella" fu seguita subito dalla peggiore di tutte, quella di Paolo. In Paolo si incarna il tipo opposto dell'annuncio della "lieta novella"; il genio dell'odio, nella visione dell'odio, nella logica implacabile dell'odio. Che cosa non ha sacrificato all'odio questo disvangelista? Prima di tutto il Salvatore: l'inchiodò sulla sua croce. La vita, l'esempio, l'insegnamento, la morte, il senso e il diritto di tutto il Vangelo - null'altro esisteva più che ciò che intendeva nel suo odio questo coniatore di monete false, null'altro che quel che poteva essergli utile non la realtà, non la verità storica!...... E ancora una volta l'istinto sacerdotale del giudeo commise lo stesso grande delitto contro la storia - cancellò semplicemente l'ieri e l'avanti ieri del cristianesimo, e inventò per sé una storia del cristianesimo primitivo. V'è di più: Paolo falsificò nuovamente la storia d'Israele, per farla apparire come la preparazione dei suoi atti: tutti i profeti hanno parlato del suo "Salvatore". La Chiesa falsò più tardi perfino la storia dell'umanità, per farla divenire preludio del Cristianesimo...".

Per Nietzsche, Paolo è il falsificatore del messaggio di Cristo. Egli aveva un suo progetto di religione per realizzare il quale ha usato quanto detto e fatto da Gesù.

Per combattere i dubbi, come quelli insinuati da F. Nietzsche, si deve andare alla fonte ed è ciò che noi ci accingiamo a fare.

 

Lettura di Atti 9, 1-9 ("La vocazione di Saulo").

Qui è narrata l'esperienza sconvolgente di Saulo-Paolo.

Ora non mi dilungo sulla biografia e sul rapporto tra gli Atti degli Apostoli, le lettere e la vita di Paolo la cui personalità appare molto complessa e tutt'altro che facile. L'esperienza che abbiamo ora ascoltato è come una boa attorno alla quale ruota tutta la vita di Paolo. Noi siamo soliti intitolare il brano appena letto "La vocazione di Paolo". Potremmo anche parlare di conversione, ma dovremmo allora vedere se Paolo è veramente un convertito. Infatti secondo alcuni studiosi egli ha semplicemente portato alle estreme conseguenze l'ebraismo diventando cristiano; non si è per nulla convertito ma si è soltanto evoluto. Altri sostengono che Paolo sia semplicemente un uomo che a un certo punto mette Cristo al centro della sua vita.

In questo senso cambia la prospettiva: Paolo fa un'esperienza che è preceduta da quel "chiamato per nome: Saulo".

 

Uno dei momenti della "lectio divina" consiste nel ricordare tutti gli avvenimenti che nella Bibbia si riferiscono all'episodio sul quale noi stiamo pregando e meditando. Tutto il testo Sacro è disseminato di "chiamati per nome". Pensiamo solo al Vangelo in cui la prima "chiamata per nome" è Maria, seguita poi dagli apostoli e da altri ancora.

Ecco, la vocazione (chiamata per nome) che ti fa scoprire chi sei.

Al contrario di quanto scrive Nietzsche, Paolo nelle sue Lettere si definisce sempre apòstolos e dulos, cioè "inviato" e "servo" di Cristo. E Paolo non ha discepoli ma solo collaboratori (sünerghés), ossia dei discepoli di Cristo che con lui collaborano per la diffusione del Vangelo. Ecco il punto di vista subordinato: al centro c'è Gesù.

 

Saulo viene afferrato da Cristo e quindi per lui cambia tutto. Paolo era un uomo entusiasta prima della vocazione nel perseguitare i cristiani e rimane entusiasta anche dopo, tanto è vero che viaggia per annunciare Cristo.

Paolo cambia non se stesso ma la prospettiva di vita. Questo è importante anche per noi, perché il Signore ci vuole a suo totale servizio. E ci accetta con tutti i nostri difetti.

Io mi sto convincendo che anche i difetti più marcati - se impiegati per il Signore - possono diventare positivi. Ad esempio, una persona che tende a stare al centro dell'attenzione quanto bene puo' fare per Cristo se parla di Lui e se riesce a portargli qualcuno! Egualmente un timido può fare tanto bene con la sua sensibilità nel momento in cui comincia a parlare di Dio. Teniamo presente che siamo tutti capolavori del Signore ma non lo sappiamo.

 

Lettura della lettera ai Filippesi 3,7-9

Questo brano autobiografico ci aiuta a comprendere quanto si diceva prima a proposito della conversione (in greco metànoia). Notiamo che per capire il significato esatto delle parole dei testi scritti in lingua greca dobbiamo riferirci ai termini originali. E quest'anno lo faremo spesso. Allora, la "metànoia" è il "cambiamento della mente" che possiamo anche tradurre con "cambiamento della mentalità".

Esattamente questa è stata l'esperienza di Paolo: quando è stato chiamato per nome tutto il resto per lui è diventato "come spazzatura". Ecco la sublimità della conoscenza di Gesù Cristo. Vi raccomando di tenere ben presente questo concetto perché si tratta di un'esperienza alla quale siamo chiamati anche noi.

 

Lettura della Lettera ai Filippesi 3,11-14.

Troviamo in questi versetti un'intuizione molto bella. Nella frase contenuta nel v.14 c'è tutto un programma: la vita come pellegrinaggio, come cammino e come lotta; c'è una fede che è dono ma che deve essere continuamente alimentata e conquistata; c'è una risposta nostra a fronte della chiamata del Signore Gesù. Ecco l'esperienza che dovrebbe fare ciascuno di noi: Cristo è tutto. Ne consegue che Paolo sia uno dei discepoli di Cristo perché ha posto Cristo al centro. E allora egli non puo' avere che sünerghés (collaboratori) e adelfoi (fratelli). E Paolo non puo' essere che apostolos e dulos (inviato e servo).

 

 

 

Le lettere di Paolo

 

Secondo la comune opinione le Lettere di Paolo sono da considerarsi i documenti più antichi del cristianesimo in quanto sarebbero state scritte prima dei Vangeli.

Da qualche anno, però, un gruppo di esegeti sostiene un'ipotesi (che costituisce un ritorno alle origini e che sembrava definitivamente accantonata con l'avvento del metodo critico) in base alla quale i Vangeli sarebbero stati scritti e redatti nella stesura in nostro possesso nei primissimi anni seguiti alla morte di Gesù, tanto è vero che si può fare risalire all'anno 40 il Vangelo di Marco.

Il più famoso degli studiosi che hanno avvalorato questa ipotesi era Jean Carmignac sulla base della scoperta - negli anni attorno al 1950 - dei rotoli di Qumran. In questa località del deserto vicino al Mar Morto si era ritirato, probabilmente un secolo e mezzo prima di Cristo, un gruppo ebraico di circa cinquemila Esseni che ritenevano di avere il Sommo Sacerdote legittimo in contrapposizione alla figura del re e del sacerdote che si erano identificati nella medesima persona con la dinastia degli Asmonei. Tale comunità, oltre alla Bibbia, possedeva - come la tradizione farisaica - i propri testi sacri che, perfettamente conservati dal clima secco del deserto, furono trovati casualmente circa cinquant'anni fa.

Sono stati rinvenuti nelle grotte di Qumran - contenuti in alcuni rotoli - molti versetti sparsi, scritti in ebraico e in greco e a tutt'oggi non classificati, che hanno suscitato molto scalpore. In particolare, è stato ritrovato un versetto in lingua greca, che ha un unico riferimento nella Bibbia e nei testi collegati: il Vangelo di Marco..

Allora la comunità essena, eliminata dai romani intorno agli anni 60, possedeva già un versetto di Marco?

Questa ipotesi ha provocato una serie di studi sulla datazione dei Vangeli che potrebbero conseguentemente essere retrodatati di almeno vent'anni.

 

Leggiamo in Marco 13 il versetto 14 di capitale importanza, nella sua interpretazione, per la datazione del Vangelo in quanto parla di "abominio della desolazione", espressione che abbiamo già sottolineato lo scorso anno leggendo il libro di Daniele (9,27).

Il profeta si riferiva al re empio Antioco IV Epifane che voleva collocare la statua di Zeus nel tempio di Gerusalemme (nel quale, invece, non doveva entrare nessuna effigie umana).

Che significa, allora, nel Vangelo di Marco questa citazione per di più al futuro ("...vedrete l'abominio della desolazione stare là...")?

Sappiamo che un tentativo analogo a quello di Antioco IV Epifane era stato compiuto dall'imperatore romano Caligola che aveva ordinato di porre una propria grande statua nel tempio di Gerusalemme nonostante la vivace reazione degli ebrei. Questo disegno non si attuò in quanto, durante il trasporto della statua, Caligola - nell'anno 41 - venne ucciso. Perché, allora, Marco nel versetto 14 cita Daniele usando la sua stessa espressione ("abominio della desolazione"). Secondo alcuni studiosi ciò è dovuto al fatto che il Vangelo di Marco sarebbe stato redatto prima dell'anno 41 quando si era certi che la statua di Caligola stava per arrivare a Gerusalemme.

 

(Seguono alcune indicazioni bibliografiche)

 

 

 

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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