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CORSO BIBLICO SULL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2012 20:44
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16/11/2012 20:39
 
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Capitolo 12

 

 

vv. 1-18 - lettura.

 

Stiamo leggendo una parte dell'Apocalisse che ha suscitato molte interpretazioni, alcune delle quali totalmente errate.

 

vv. 1-3.

Notiamo due segni (v. 1 e v. 3).

"Segno", dal greco semeìon, significa una realtà storica concreta, visibile, che però richiede di essere decifrata.

Il Vangelo di Gv parla spesso di segni quando si sofferma a considerare i miracoli di Gesù, il quale afferma che la vera fede non è quella che sorge dai segni. Lo diceva in quanto coloro che vedevano il miracolo si fermavano al portentoso, al fantastico, senza decifrarlo, senza decodificarlo.

Per comprendere meglio questo concetto riandiamo al Vangelo di Giovanni (cap. 11), al segno emblematico (nel senso di miracolo), cioè alla resurrezione di Lazzaro. E' l'ultimo miracolo, quello che anticipa la resurrezione di Gesù. Ecco perché un segno ha bisogno di essere decifrato: se si guarda solo al miracolo della resurrezione di Lazzaro si vede un uomo morto che risuscita. Ma andando al di là si capisce che quel segno visibile ha ben altro significato: la risurrezione di Gesù.

 

Consideriamo ora nel Vangelo di Giovanni un altro grande segno, molto conosciuto e dal significato chiaro: la moltiplicazione dei pani e dei pesci (cap. 6). Fissiamo l'attenzione solo sui pani. La gente che ha assistito al miracolo vorrebbe andare da Gesù "per farlo re". E proprio Gesù risponde: "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati." (v. 26).

Subito dopo inizia il grande discorso (nella sinagoga di Cafarnao) sul pane di vita che, alla fine, otterrà un risultato negativo: "Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui" (v. 66). Rimasero solo i dodici apostoli. E conosciamo al riguardo la bellissima espressione di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna...". (v. 68).

La gente aveva assistito a un miracolo, aveva mangiato a sazietà, ma non aveva decodificato il segno perché si era fermata all'apparenza. Doveva capire,invece, che quel miracolo rimandava a Gesù, "il pane della vita" (Gv 6,35).

In questo capitolo dell'Apocalisse siamo di fronte a due realtà storiche concrete, ovviamente espresse in modo simbolico. Starà a noi decodificarle e comprenderle in profondità.

Analizziamo ora i due segni:

 

I segno

"...una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle." (v. 1).

In ordine cronologico, il sole è una delle prime creature di Dio; dà luce, esprime la potenza divina, a volte anche in senso negativo. Infatti il sole può bruciare e portare l'aridità; può imporsi con la sua forza ed essere segno della potenza e della benevolenza del Signore. Abbiamo così una donna vestita con la potenza e la benevolenza di Dio "con la luna sotto i suoi piedi.".

Noi sappiamo che la luna, allora, scandiva il tempo e anche i mesi. Infatti i calendari antichi erano quasi tutti "lunari", compilati sulla base delle fasi della luna. Ancora oggi certe attività agricole vengono effettuate in relazione alle fasi lunari.

Questa donna ha sotto i suoi piedi la luna che scandisce il tempo; quindi è già entrata nella dimensione dell'eternità. Il tempo non la interessa più; è sotto i suoi piedi: domina il tempo.

 

"...una corona...." è segno di un premio vinto (ricorda la corona degli atleti vincitori).

"...di dodici stelle." Il numero dodici richiama un elemento dell'Antico Testamento, le tribù d'Israele, e uno del Nuovo, gli apostoli. Non sappiamo a quale dei due elementi si riferisca il numero; probabilmente ad entrambi. Questa donna porta sul suo capo una corona che indica una sintesi della storia della salvezza: l'Antico e il Nuovo Testamento. Si tratta di una realtà nuova che proviene dalla fusione di altre due.

 

Chi è questa donna?

Per scoprirlo leggiamo:

a) Isaia 66, 5-11 ("Giudizio su Gerusalemme").

All'inizio del brano troviamo una donna che partorisce prima ancora di provare le doglie. Ci aspetteremmo quindi una descrizione quasi di vita quotidiana. E invece scopriamo che questa donna è simbolo di Gerusalemme, ovvero di Sion, della città santa che partorisce i figli in senso non fisico ma spirituale.

 

b) Michea 4, 9-13

Qui compare una figlia di Sion che grida, che spasima "come una partoriente" (v. 10). Apparentemente potrebbe trattarsi di una giovane, ma dal contesto comprendiamo invece che è il simbolo del popolo d'Israele.

 

 

c) Sofonia 3, 14-18

E' uno dei brani poetici più belli. Anche in questi versetti vediamo la dimensione comunitaria. La figlia di Sion è Gerusalemme, è il popolo stesso d'Israele.

 

d) Osea 2 ("Il Signore e la sposa infedele").

Si parla qui di una donna, sposa infedele, che nonostante tutto non suscita l'infedeltà di Dio.

 

A questi brani dell'Antico Testamento aggiungiamo la lettura di due del Nuovo e cioè:

1) Giovanni 2

Il capitolo inizia con il primo "segno" di Gesù, il miracolo di Cana, in cui torna la parola "donna" rivolta a Maria. Si parla di un banchetto di nozze in cui non compare la sposa e caratterizzato dal vino, che era l'elemento principale del banchetto messianico (il grande banchetto che Dio imbandirà per tutti i popoli sul suo alto monte, direbbe Isaia).

Alcuni elementi del racconto ci fanno trarre questa conclusione: Maria è, qui, simbolo della sposa che, grazie all'opera di Cristo (il vino nuovo dei tempi messianici), si ricongiunge nelle nozze mistiche con il suo sposo che è Dio. E allora Maria rappresenta la Chiesa, incarnata in una persona.

2) Giovanni 19 e in particolare i vv. 25-27.

"Stavano poi presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!»".

Anche in questa scena ritorna il termine "donna". Ricordiamo che nel Vangelo di Giovanni Maria compare due volte ma non è chiamata da Gesù con il suo nome proprio bensì con la parola "donna" e, in subordine, "madre".

Proprio riprendendo i brani profetici dell'Antico Testamento appena letti (la figlia di Sion che partorisce i figli) possiamo dire: ecco la nascita della Chiesa.

Maria in Gv. 19 è colei che genera nuovi figli (Giovanni) e quindi simboleggia la Chiesa intera. Anche per questo motivo, secondo la dottrina cattolica, Maria è immagine, oltre che modello, della Chiesa. Non per niente è vergine e madre: sono questi due elementi che contraddistinguono la Chiesa.

 

A questo punto possiamo affermare che i due brani del Nuovo Testamento appena citati ci aiutano a identificare meglio la donna del cap. 12 dell'Apocalisse.

 

II segno

"...un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso..." (v. 3).

Rilettura dei vv. 3 e 4, carichi di simboli mortiferi, cioè che portano la morte (il rosso vivo è il colore della morte).

E' un drago di un'intelligenza straordinaria (le sette teste) che detiene la regalità terrena (i sette diademi), che si chiama (v. 9) "...il serpente antico, colui che chiamano il diavolo e satana e che seduce tutta la terra...". Identifichiamo allora questo drago: è il serpente antico. Ce lo dice Giovanni stesso; non sono possibili equivoci.

Il brano sottinteso nel versetto ora letto è Genesi 3 (cioè il racconto del peccato originale con il ruolo ricoperto dal serpente).

 

Emerge dal v. 4 un elemento importante:

"Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato".

Per questa donna con le doglie del parto giunge il momento cruciale, perché il drago è pronto per divorare il bambino non appena sarà nato. Tutto fa pensare che il drago possa riuscire nel suo intento. Invece leggendo i vv. 5 e 6 scopriamo il primo insuccesso dell'enorme drago rosso, nonostante la sua intelligenza e la sua capacità di dominio.

Umanamente parlando, tutto era contro la donna e il suo bambino. Ma il bimbo appena nato viene rapito immediatamente in cielo, perché è il Messia (vedere il salmo 2). Il drago perde anche la donna, la quale si rifugia nel deserto che nella Bibbia può essere luogo di tentazione (le tentazioni di Gesù), luogo di incontro con Jahwe (i quarant'anni nel deserto del popolo di Israele, periodo di purificazione, ma anche di rapporto intimo con il Signore, tanto che i profeti quando vogliono indicare un tempo ideale del popolo si riferiscono proprio a questo) e anche luogo di rifugio e di salvezza (come per Davide ricercato da Saul).

 

Un secondo elemento importante per identificare questa donna: il senso comunitario, in quanto ha il senso del popolo perché si identifica con la Chiesa perseguitata, ma nonostante tutto preservata da Dio. Infatti al v. 14 leggiamo che alla donna vennero date "...le due ali della grande aquila..." (che è Dio) "...per volare nel deserto..." (v. 14).

Per alcuni studiosi la nostra donna potrebbe addirittura rappresentare il popolo di Israele che ha generato il Messia. Chiaramente si tratta di un'interpretazione comunitaria.

Io credo che siano validi tutti e tre i significati (Maria - la Chiesa - il popolo di Israele), perché il simbolismo della donna è talmente ricco che nessuna interpretazione esclude l'altra: è l'Israele; è il nuovo Israele (la Chiesa); è l'immagine perfetta della Chiesa, la Madonna.

Penso proprio che sia da accettare questa triplice dimensione, ovviamente con una sottolineatura particolare per le ultime due interpretazioni (la Chiesa e la Madonna), come la Chiesa stessa ci indica.

 

Affrontiamo ora una difficoltà: la donna, che noi interpretiamo - per esempio - come la Chiesa, genera Gesù..

Sarebbe molto più facile interpretare questa donna come la Madonna che ha generato Gesù, anziché come la Chiesa che genera Gesù. Ma vari elementi, nello stesso tempo, ci indicano proprio che la nostra donna va interpretata come la Chiesa.

E' bellissimo: la Chiesa, ancora oggi, genera Cristo.

Nella Chiesa esiste una dinamica particolare che le consente di essere generata da Cristo e nel contempo di generare il Cristo, come avviene in particolare nel sacramento della Eucarestia.

Senza la Chiesa non si può celebrare l'Eucarestia, non si può rigenerare il sacrificio pasquale, ma nello stesso tempo senza l'Eucarestia non potrebbe esistere la Chiesa. Perciò si dice che l'Eucarestia è contemporaneamente culmen et fons (culmine e fonte) della vita della Chiesa. Quindi è effetto e causa insieme.

 

vv. 7 e segg.

Davanti al drago sconfitto dall'arcangelo Michele, comandante dell'esercito di Dio, ecco che viene intonato il grande canto del cielo per celebrare una vittoria: satana è vinto.

La "gran voce nel cielo" non canta la vittoria di Michele, anzi dice:

"Ma essi lo hanno vinto

per mezzo del sangue dell'Agnello

e grazie alla testimonianza del loro martirio..." (v. 11)

Quindi satana è vinto dal sangue dell'Agnello e dai martiri associati alla passione di Cristo.

Alla fine del canto troviamo un avvertimento:

"Ma guai a voi, terra e mare,

perché il diavolo è precipitato sopra di voi..." (v. 12)

Il diavolo è sconfitto, ma ancora all'opera:

"...pieno di grande furore,

sapendo che gli resta poco tempo". (v. 12)

Per "martiri" possiamo intendere i testimoni del Vangelo (dal greco martüria = testimonianza).

E' bello constatare come la tentazione sia una realtà che viviamo tutti, ma nello stesso tempo sapere che Cristo ci rende vittoriosi associandoci al mistero della sua Croce, alla sua vittoria sulla morte.

Il capitolo 12 si conclude con un versetto che crea la premessa per il successivo capitolo: "E si fermò sulla spiaggia del mare". (v. 18)

 

Capitolo 13

 

vv. 1-18, lettura.

Compaiono due bestie; una esce dal mare e l'altra dalla terra.

Molti interpreti superficialmente intendono la prima bestia come una singola persona o come il diavolo stesso. In realtà non è vero, perché abbiamo visto che il diavolo è il drago e proprio questo dà potere alla bestia. Ma la bestia non è il diavolo; ne ha solo ricevuto il potere.

Un brano biblico da tener presente è il cap.7 di Daniele (lettura), nel quale il profeta narra la visione di quattro bestie il cui significato ci aiuta a identificare la bestia dell'Apocalisse. Infatti le quattro bestie rappresentano:

1) l'impero babilonese;

2) l'impero persiano;

3) l'impero di Alessandro Magno;

4 ) l'impero di Antioco IV Epifane.

Si tratta chiaramente degli imperi che hanno perseguitato Israele.

 

La prima bestia che esce dal mare ha un po' le stesse caratteristiche del drago, del quale è un portavoce o, meglio, un delegato.

Notiamo la parodia che Giovanni mette in scena al v. 4 del nostro capitolo: "Chi è simile alla bestia e può combattere con essa?" che si riallaccia al precedente cap. 5 in cui si chiedeva: "Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?".

Qui si sta cercando di imitare quanto succede in cielo.

Quando individueremo la bestia vedremo quante volte si è resa presente nella storia.

 

"...e gli uomini adorarono il drago... e adorarono la bestia..." (v. 4).

Siamo davanti a una adorazione.

Stando a quanto è stato detto in questo capitolo, al parallelo con Daniele e a ciò che dirà Giovanni in seguito, noi possiamo sicuramente identificare questa bestia con il potere imperiale e non con i singoli imperatori, ossia con una forma di governo che si incarna in varie persone.

Tale potere ha tre caratteristiche:

1) l'arroganza;

2) la bestemmia;

3) la pretesa di essere adorato.

Alla luce di queste indicazioni possiamo rileggere molti poteri dei secoli passati ed anche, forse, di oggi.

 

Il brano, se interpretato compiutamente, appare come uno dei più rivoluzionari che siano stati mai scritti.

Tutte le caratteristiche di tale potere imperiale, direbbe Giovanni, derivano dal demonio Infatti coloro che detengono questo tipo di potere sono arroganti, bestemmiano e pretendono adorazione.

Ovviamente siamo su un piano storico: il potere imperiale, che qui concretamente perseguita la Chiesa, rappresenta una vicenda che dura da duemila anni. Questa bestia, perciò, diventa emblematica e simbolica di varie forme di potere nei secoli.

 

 

Capitolo 13 (continuazione)

 

 

vv. 11-18 - lettura

"I falsi profeti al servizio della bestia."

 

La seconda bestia, ignorata da molti, è al servizio della prima e possiede tutte le caratteristiche del falso profeta, di colui che, invece di annunciare la verità, inganna, imbroglia blandendo (è facile ricordare le tentazioni a Gesù nel deserto).

Come falso profeta, la bestia è in grado di compiere grandi prodigi; è intollerante e, soprattutto, vuole imporre a tutti il suo marchio.

Nella lettura dell'Apocalisse abbiamo già incontrato persone con un sigillo, con un marchio, ma si trattava di coloro che avevano il sigillo dell'Agnello sulla fronte, dei salvati - quindi -. La seconda bestia cerca di instaurare sulla terra un potere parallelo a quello di Dio. Il marchio imposto dalla bestia serve per indicare l'appartenenza a lei, mentre il sigillo di Dio designa l'appartenenza a Lui e, quindi, la salvezza.

Chi appartiene alla bestia non è salvo, ma schiavo.

 

Rilettura dei vv. 16 e 17.

Si accenna qui al diritto di cittadinanza romana. Il civis (il cittadino romano) non era sicuramente paragonabile agli altri sudditi dell'imperatore in quanto godeva, per questa sua condizione, di numerosi vantaggi. Ricordiamo al riguardo S. Paolo che, portato in giudizio davanti al procuratore, invocava il suo stato di civis e ottiene di essere giudicato a Roma dall'imperatore, evitando così la pena infamante della crocefissione.

 

Tutto ciò fa pensare alla propaganda imperiale dell'epoca e anche a quella di vari regimi totalitari del nostro secolo. Ogni sistema politico oppressivo ha bisogno della seconda bestia che lo prepari, che lo sostenga, che imbrogli il popolo. Nella situazione alla quale si riferisce il nostro brano la propaganda era diretta a inculcare nei sudditi l'idea che l'imperatore fosse un essere divino. Sappiamo che il primo tentativo in questo senso venne compiuto da Caligola (finito tragicamente) mentre il secondo fu messo in atto da Domiziano, alla cui persecuzione si riferisce l'Apocalisse. Quest'ultimo, senza più incontrare resistenza, pose come elemento unificante dell'impero il principio dell'imperatore-dio. E, infatti, iniziava i testi delle sue ordinanze definendosi "signore e dio".

Allora, storicamente, possiamo identificare probabilmente la seconda bestia con la classe sacerdotale, che in ogni parte del vastissimo impero sosteneva e propagandava il culto imperiale. Vediamo, quindi, che i sacerdoti avevano una notevole importanza in questo senso e consideriamo anche che nella storia ogni regime deve fare i conti con la religione o per tentare di distruggerla o per cercare di utilizzarla per i propri scopi.

Emblematico è il caso della chiesa ortodossa russa, in un primo tempo perseguitata dal regime e poi dallo stesso Stalin fatta diventare propria alleata. E questo è stato anche il gioco dell'imperatore Costantino (e di altri regimi succedutisi nella storia dei popoli) con il Cristianesimo.

 

Il marchio. E' significativo il termine tecnico usato da Giovanni, cáragma, che indica il sigillo dell'imperatore e che diventa il marchio d'infamia che, dal nostro punto di vista, caratterizza i servi della bestia.

 

"Seicentosessantasei"

Si ritiene erroneamente che sia il numero del demonio mentre invece è il numero della bestia. Si tratta, quindi, di qualcosa di concreto, di reale, di storico.

 

Nell'antichità, in ebraico come in greco, ogni lettera aveva un valore numerico dovuto alla sua collocazione nell'alfabeto. Ed era abbastanza diffuso il metodo di ricavare da un numero il nome corrispondente, e viceversa, in quanto il numero di una parola è costituito dal totale delle sue lettere. Nel nostro caso la somma dei numeri del nome da scoprire è 666.

Per gli studiosi sorse il problema di considerare le lettere come appartenenti all'alfabeto ebraico oppure a quello greco. Poiché il testo dell'Apocalisse è redatto in greco ed è rivolto a persone che conoscevano bene tale lingua, si può ritenere che si tratti dell'alfabeto greco. Sulla base di queste premesse i nomi corrispondenti al numero seicentosessantasei potrebbero essere due:

latínos (latino) oppure titan (titano), che erano i soprannomi dell'imperatore romano.

Qualche altro interprete afferma che si tratterebbe di lettere ebraiche e che di conseguenza il numero corrisponderebbe a Nerone - Cesare. Tale significato appare errato in quanto l'Apocalisse venne scritta all'epoca di Domiziano.

Accettiamo, quindi, il significato di latínos e di titan.

 

Notiamo ora che 666 significa tre volte sei.

Se fosse un numero perfetto dovremmo avere 777, cioè tre volte sette. Invece il nostro è il numero imperfetto per eccellenza (ossia sette meno uno); l'incompiutezza viene ripetuta per tre volte e perciò 666 significa l'incompiutezza assoluta, l'imperfezione assoluta. Per Giovanni, allora, si tratta del numero della perfetta imperfezione. Quindi la bestia, essere imperfetto per natura, è già sconfitta.

Possiamo leggere il seicentosessantasei in senso reale (l'impero romano) e in senso simbolico (l'imperfezione per eccellenza). Ne consegue che ogni regime umano è per sua natura imperfetto.

La Chiesa stessa nella sua parte umana ha delle imperfezioni, tanto è vero che nel corso dei secoli è cambiata e si trasforma ancora. Pensiamo a qualche sottolineatura. Fino al Concilio di Trento secondo la teologia si dava grande importanza alla vita monastica, alla vita religiosa consacrata. Il clero, infatti, non aveva molto peso e i vescovi erano generalmente legati ai vari principi regnanti. Dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II si è dato rilievo allo stato sacerdotale e dedicata particolare cura alla formazione del clero. Dal Vaticano II in poi la sottolineatura maggiore è per i laici, ai quali sono rivolte molte cure e che vengono chiamati a varie corresponsabilità.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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