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CORSO BIBLICO SULL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2012 20:44
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16/11/2012 20:38
 
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Capitoli 10 e 11

 

 

Ci aspetteremmo di sentire la settima tromba, invece avviene un cambiamento di scena.

 

Cap. 10, 1-11 e cap. 11, 1-13- lettura

Come nel cap.7 ci aspettavamo l'apertura del settimo sigillo e ci siamo trovati di fronte alla visione dei centoquarantaquattromila e delle innumerevoli schiere dei salvati, così ora, dopo il suono della sesta tromba, la narrazione viene interrotta da una visione di speranza costituita dal piccolo libro aperto e dai due testimoni.

 

L'angelo che compare è un personaggio con particolari caratteristiche, tanto che qualche studioso l'ha identificato con Dio. "...la fronte cinta di un arcobaleno...", "...la faccia come il sole..." e "...avvolto in una nube..." fanno pensare, infatti, a caratteristiche tipiche delle manifestazioni divine. Ma ciò non corrisponde al vero perché l'angelo giura in nome di Dio ("...e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli." v. 6).

 

Il ruggito del leone e i sette tuoni: anche queste due manifestazioni (vedi profeta Amos) potrebbero far pensare alla voce stessa del Signore.

Di fatto si tratta di un angelo che dà inizio ad una investitura profetica. Noi sappiamo che Giovanni era un profeta che soffriva a causa della proclamazione della parola. Ora l'angelo gli affida una missione: "Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni e re" (v. 11).

E ai profeti si era già accennato nel precedente cap.10 nel quale, al v. 7 nel testo italiano, leggiamo una versione che non rende letteralmente il significato del termine greco eueggélisen. Anziché "...si compirà il mistero di Dio come Egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti.", si dovrebbe tradurre:"...si compirà il mistero di Dio di cui fu data (o comunicata) buona notizia ai suoi servi, i profeti."

Allora il mistero di Dio racchiude in sé una buona notizia e non è, quindi, un mistero di morte e di distruzione. E' il Vangelo. Potremmo dire che questo mistero divino che si compie rappresenta un giudizio di salvezza.

 

Per smentire le previsioni catastrofiche dei profeti leggiamo il salmo 96, vv. 10-13 che ci apre il cuore alla gioia: tutta la creazione è in festa per il giudizio di Dio.

Questo bellissimo salmo ci dice che il cristiano si pone davanti alla morte, al momento dell'incontro con il Signore giudicante, con tripudio e con gioia. Dio viene a giudicare la terra, a liberare finalmente il suo popolo. Ben venga la morte per il cristiano. E prepariamoci ogni giorno all'incontro con il Signore. Io vi raccomando la lettura di un libro fondamentale della spiritualità cristiana, scritto da S.Alfonso Maria de' Liguori,: "Apparecchio alla morte".

 

Ap.10, vv. 8-9 - lettura

"...il libro aperto..." (v. 8) e "...prendilo e divoralo..." (v. 9).

A questo proposito leggiamo: "Il libro ingoiato." Ezechiele 3, 1-11 (Abbiamo già considerato la fine del cap.2 in relazione alla precedente visione del rotolo scritto su entrambi i lati.).

Il profeta, ascoltato o non ascoltato, deve annunziare la parola, non può tacere.

 

Consideriamo ora un brano più drammatico del precedente:

Geremia 15, 10-21 "Rinnovo della vocazione".

"Quando le tue parole mi vennero incontro,

le divorai con avidità; ..." (v. 16)

Il profeta divora le parole di Dio, come fanno Ezechiele e Giovanni.

 

"Non mi sono seduto per divertirmi

nelle brigate dei buontemponi,

ma spinto dalla tua mano sedevo solitario..." (v. 17)

Ecco la solitudine del profeta.

 

E nel v. 18 leggiamo la quasi bestemmia di Geremia:

"Tu sei diventato per me un torrente infido,

dalle acque incostanti."

La risposta del Signore è contenuta nei vv. 19-21: mentre il profeta si lamenta, Dio gli rivela la verità e lo rende vero verso se stesso.

"Se tu ritornerai a me io ti riprenderò..." (v. 19).

Ciò significa che Geremia si è allontanato dal Signore, ma che il Signore non si è allontanato da lui.

 

"...se saprai distinguere ciò che è prezioso

da ciò che è vile." (v.19)

Quando siamo in uno stato d'animo che non ci consente di distinguere il bene dal male, le cose autentiche da quelle false, è saggio seguire il consiglio di S.Ignazio il quale sosteneva che quando ci si trova in uno spirito di desolazione non di debba operare alcuna scelta. Conviene rimanere fermi sulle decisioni precedenti. Poi, quando sarà passato lo spirito di desolazione, si potranno nuovamente assumere decisioni.

 

Constatiamo che lo sfondo del nostro brano dell'Apocalisse si trova proprio in Ezechiele cap.3. Come il profeta, Giovanni viene invitato a diventare intermediario fra Dio e gli uomini. Se fino a questo punto avevamo trovato come intermediari gli angeli e l'Agnello, ora leggiamo che Giovanni diventa profeta. Quale onore per un uomo! Ciò significa che anche noi possiamo essere intermediari fra Dio e gli altri uomini; possiamo essere (e di fatto siamo) dei profeti.

Dolcezza e amarezza sono le caratteristiche del "piccolo libro aperto". Analogamente il rotolo di cui parla il profeta Ezechiele (cap. 3) era "dolce come il miele" (dolcezza), ma in realtà conteneva guai, distruzioni e altro ancora (amarezza).

Questa è sempre la duplice valenza della parola di Dio, che è parola di giudizio e di salvezza, che è parola di purificazione finalizzata alla gioia. Sempre.

 

Mentre vi parlo penso alla recente visita del Papa a Cuba.

Dovremmo rileggere i discorsi da lui pronunciati in occasione di questo ultimo viaggio: la sua parola è dolce e amara; parola di verità che fa male, ma che apre nuove speranze. E' la parola di Dio e dei suoi profeti. Fa male ma nel stesso tempo è balsamo per curare la ferita aperta.

Non dobbiamo mai allontanarci dal Signore, nemmeno quando abbiamo la consapevolezza tremenda dei nostri peccati, perché Egli è l'unico che può risanarci. La consapevolezza di essere peccatori deve portarci ancora più vicino a Dio. Non dobbiamo sottostare al tentatore. Pensiamo a quanto ciò sia vero non solo per ciascuno di noi, ma per tutta la Chiesa, che sarà sempre bisognosa di purificazione. Una purificazione che, però, non è desolazione e morte, ma preludio alla resurrezione e, quindi, a una nuova primavera, a un nuovo sviluppo.

 

Questa, da sempre, è la storia della Chiesa, non compresa da quei cristiani che ritengono che la Chiesa abbia agito sempre e solo bene. Ricordiamo, ad esempio, papa Paolo III che, pur avendo mantenuto nella sua vita una condotta lussuriosa e quindi censurabile, convocò il Concilio di Trento, indubbiamente su ispirazione dello Spirito Santo.

E', questa, la Chiesa, casta meretrix; e non c'è da stupirsi. Anche il riconoscere i propri demeriti può diventare un punto di forza, a condizione di non accodarsi a tutte le critiche che da secoli, senza la minima ricerca storica, vengono rivolte in merito a determinati episodi della vita della Chiesa.

 

Il Cap. 11 inizia con una misurazione del Santuario di Dio. Al riguardo leggere Ezechiele 40, 41, 42, un grande oracolo di salvezza.

 

La misurazione indicava:

1) separazione (misuro questo terreno per separarlo da tutti gli altri);

2) appropriazione (misuro il terreno perché è di mia proprietà);

3) preservazione (questo terreno è mio e nessuno può usarlo senza il mio

permesso).

 

Lettura di Ez. 43, 1-9

Finita la misurazione, "La gloria del Signore entrò nel tempio...". Dio ha ripreso possesso del suo Santuario che è stato misurato.

 

 

 

 

Capitolo 11 (continuazione)

 

 

vv. 1-2 - rilettura

"Ma l'atrio...non lo misurare..." (v. 2)

Secondo alcuni interpreti l'atrio rappresenterebbe il popolo d'Israele che sarà dato in balìa dei pagani dopo l'avvento della Chiesa, divenuta adesso popolo santo di Dio. Per altri studiosi, invece, si tratterebbe di quella parte della Chiesa che deve essere perseguitata, che sta vivendo il momento della persecuzione.

 

Un dato sicuro: la durata della persecuzione è fissata in quarantadue mesi..

Si tratta di un tempo reale o simbolico?

Diremmo l'uno e l'altro, perché tre anni e mezzo - ossia quarantadue mesi - costituiscono la durata della persecuzione di Antioco IV Epifane, considerata la persecuzione per eccellenza (vedere Daniele 7 e 9). Tre e mezzo, tra l'altro, dà proprio l'idea dell'incompiuto in quanto è la metà di sette, simbolo della totalità, della compiutezza. Quindi tre anni e mezzo diventa il simbolo del tempo limitato.

E', anche questo, un segno di grande speranza. I pagani potranno spadroneggiare ma solo per tre anni e mezzo.

Vediamo, allora, effettivamente i due livelli: il simbolico (la durata per eccellenza, per antonomasia) e il reale (una durata autentica, ossia un tempo comunque limitato).

 

vv. 3 -13 - lettura.

I due testimoni.

E' molto bello constatare che in questa persecuzione durata milleduecentosessanta giorni (ossia tre anni e mezzo) Dio non dimentica il suo popolo;anzi, è presente attraverso i suoi due testimoni.

Per sapere chi sono questi due testimoni cerchiamo riferimenti nei testi dei Profeti e precisamente in Zaccaria 4, 1-14. I due olivi di cui si parla richiamano certamente la visione dell'Apocalisse (cap. 11) e rappresentano le due persone destinate a salvare il popolo in un tempo cruciale della storia d'Israele, cioè il momento del ritorno dall'esilio.

Il primo olivo simboleggia Zorobabele che incarna il potere civile e che, secondo il sogno dei profeti, sarebbe dovuto diventare re; essere, quindi, l'unto, il consacrato, il messia. L'altro olivo, invece, rappresenta il Sommo Sacerdote Giosué, colui che personifica il potere spirituale.

Secondo l'interpretazione delle figure dei due olivi data da Zaccaria, e di cui il nostro brano è una evidente ripresa, si tratta di due persone che si assumono in nome di Dio l'incarico di guidare il popolo alla salvezza.

vv. 6 -12 lettura

I due testimoni, che sembrerebbero invincibili, richiamano Elia (il cielo chiuso e la trasfigurazione sul Tabor) e Mosè (i flagelli e le piaghe d'Egitto).

Le indicazioni fornite ci indurrebbero a pensare che potrebbe trattarsi proprio di loro, ma poi scopriamo che, una volta esaurita la missione, i due personaggi diventano apparentemente vincibili (vv. 7-10) tanto che la "bestia" prende il sopravvento e sembra trionfare. Ma il trionfo è passeggero, perché dopo tre giorni e mezzo, tempo relativamente breve, i testimoni non solo risorgono ma salgono al cielo in una nube (v. 12).

 

v. 13

Nel momento della loro salita al cielo "...ci fu un grande terremoto che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti, presi dal terrore, davano gloria al Dio del cielo."

Questo quadro ci riporta al Vangelo, come per esempio al terremoto e ad altri eventi catastrofici avvenuti alla morte di Gesù sulla croce.

 

I nostri due testimoni restano comunque nel vago in quanto potrebbero identificarsi anche con gli apostoli Pietro e Paolo, morti per Cristo e saliti alla gloria.

Difficile è identificare la città colpita dal terremoto. Pietro e Paolo sono morti a Roma e nel v. 8 è scritto: "I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto...".

Questa grande città potrebbe essere Roma, perché Sodoma è la città lussuriosa per eccellenza e l'Egitto è la nazione che indubbiamente opprime il popolo. E Roma era molto lussuriosa e perseguitava i cristiani.

 

Ma la città "...dove appunto il loro Signore fu crocifisso" potrebbe essere Gerusalemme. Indubbiamente incontriamo notevoli difficoltà di interpretazione.

 

Fissiamo ora l'attenzione su un particolare che non si nota nel testo italiano e che è dovuto a una errata traduzione dal greco.

Nei vv. 7-8 i tempi dei verbi nella versione italiana sono al futuro (e corrispondono al greco); nel vv. 9-10 le voci verbali sono ancora al futuro, mentre il testo greco ha i tempi degli stessi verbi al presente. Quindi la traduzione esatta di alcune voci verbali dei vv. 9-10 dovrebbe essere: "...vedono il loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permettono..." e "...fanno festa...si rallegrano e si scambiano doni..." (v. 10).

Dopo il futuro del vv. 7 e 8 e il presente dei vv. 9-10 abbiamo il passato dei vv. 11-13 (tradotto esattamente in italiano).

Vediamo, allora, una strana successione dei tempi verbali (che è al contrario della normale successione temporale), perché nell'ordine il futuro precede il presente che a sua volta anticipa il passato.

Queste voci verbali, che in realtà sono "atemporali" e ci mettono in una situazione temporale diversa da quella a cui siamo abituati, indicano che il nostro brano va interpretato certamente in senso storico ma anche in senso metastorico (cioè al di fuori della storia, oltre la storia). Sostanzialmente torna il paragone della "strada" di cui si è parlato in precedenti incontri. Di conseguenza i due testimoni potrebbero tranquillamente essere non solo Pietro e Paolo, ma altri due martiri uccisi dal potere imperiale (la bestia) o addirittura due vittime delle persecuzioni del nostro secolo. Si tratta, cioè, di fatti storici che però diventano tipici in quanto si ripeteranno sempre. Ecco perché siamo nel tempo e, contemporaneamente, fuori dal tempo: futuro, presente e passato anziché passato, presente e futuro.

La città potrebbe quindi essere Gerusalemme o Roma, come Berlino o l'Avana o altre.

 

Dio non abbandona il suo popolo: questa è la nota dominante, il senso del cap. 11.

La persecuzione apparentemente ha successo, il potere imperiale (o dittatoriale) apparentemente annienta i discepoli di Cristo, ma "...dopo tre giorni e mezzo..." (v. 11) avviene la rivincita. I due testimoni salgono al cielo e avviene la manifestazione di Dio; nello stesso momento "...ci fu un grande terremoto..." (v. 13).

 

Quando il buio sembra farsi più fitto e sta per suonare la settima tromba, un raggio di luce stupendo ci apre il cuore alla speranza. Dio non ci abbandona come non ha mai abbandonato il suo popolo e neppure i due testimoni che sono nel tempo e fuori dal tempo. Stiamo tranquilli. Ora comprendiamo bene che l'Apocalisse non ci sta descrivendo la battaglia escatologica ma il "tempo" che si perpetuerà sino alla fine dei tempi: ci saranno persecuzioni che non prevarranno, martiri che verranno uccisi, ma vivranno nel Signore. L'invito pressante è a non cedere allo sconforto.

 

Alcuni studiosi interpretano i due testimoni non tanto come due persone in carne ed ossa quanto come un simbolo della Chiesa di sempre.

Si tratterebbe di un'interpretazione collettiva che si appoggia in particolare sulle due lampade (v. 4). Come ricordiamo, la lampada e il candelabro sono il simbolo della Chiesa. Ecco perché queste due lampade ci fanno pensare alla Chiesa come comunità. E, riprendendo quanto si leggerà in seguito, vediamo che la bestia dichiara guerra alla Chiesa.

Siamo di fronte, allora, a un annuncio di speranza e di salvezza: la bestia non prevarrà comunque, perché Dio sorregge e purifica il suo popolo.

 

Un elemento che ci aiuta a capire che ci troviamo ancora nella storia e non nell'escatologia è dato proprio dall'intervento parziale di Dio: il terremoto "...che fece crollare un decimo della città..." (v. 13). Notiamo che non siamo giunti al momento finale, perché i nove decimi della città rimangono indenni.

Inoltre, nell'ultima parte del v. 13 leggiamo che lo scopo di questa manifestazione divina è la conversione dei superstiti, i quali, "...presi da terrore, davano gloria al Dio del cielo".

Teniamo presente che alcune persone, proprio perché prese dal terrore, arrivano vicino al Signore.

 

Dio è un grande pedagogista e si esprime attraverso la Bibbia, che si presenta come uno stupendo trattato di pedagogia. Per ciascuno di noi il Signore ha pensato il cammino adatto.

Parlando del Sacramento della penitenza si diceva che non sempre il cristiano si confessa perché contrito (cioè dispiaciuto di aver peccato e di avere così tradito la fiducia, l'amore di Dio), ma perché attrito (ossia addolorato di aver peccato soltanto per il timore dei castighi che gli verranno inflitti). Comunque, sia la contrizione che l'attrizione sono valide per accedere al sacramento: l'importante è confessarsi. Ne è conferma l'atto di dolore originale che recita: "...perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso Te, infinitamente buono...".

La grazia del sacramento della penitenza produce dall'attrizione la contrizione per essenza.

 

Teniamo presente che nella tribolazione, nella persecuzione, nella morte e poi nel trionfo della resurrezione, la vita della Chiesa non fa che ripresentare la vita di Cristo di cui la Chiesa è il Corpo mistico.

E poiché la Chiesa non è un'entità astratta, ma è costituita da ciascuno di noi, come membri dei Corpo mistico siamo tenuti a ripetere l'esperienza terrena di Gesù, dalla passione alla gloria. In effetti di tratta di quanto si vive nell'Eucarestia: la celebrazione del mistero pasquale.

 

La settima tromba

vv. 14-19 - lettura

Secondo il v. 7 del cap.10 quando "...il settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la tromba, allora si compirà il mistero di Dio...". Qui, al v. 14, leggiamo:

" Il regno del mondo

appartiene al Signore nostro e al suo Cristo...".

Tutto è compiuto; Dio regna.

Siamo di fronte a una scena celeste, ad una grande liturgia in cielo che afferma la regalità divina sul mondo. A differenza di quanto scritto nei libri precedenti, al v. 17 la tradizionale espressione: "Signore Dio Onnipotente che era, che è e che viene" è sostituita da "Signore Dio Onnipotente che sei e che eri". Dio è arrivato; tutto è compiuto.

 

Per capire che cosa comporta l'avvento del regno di Dio riandiamo al Salmo 2 ("Il dramma messianico") che ha tante attinenze con questo brano e con quelli successivi.

Si evidenziano due aspetti:

1) l'ira delle nazioni, impotente, tanto da non produrre alcun effetto, proprio come detto nel salmo 2:

"... insorgono i re delle terra

e i principi congiurano insieme..." (v. 2)

mentre:

"Se ne ride chi abita i cieli,

li schernisce dall'alto il Signore..." (v. 4).

2) l'ira di Dio che, invece, è efficace. Infatti:

"...è giunta l'ora della tua ira,

il tempo di giudicare i morti..." (Ap. 11, 18).

L'ira di Dio porta con sé il tempo del giudizio, ma nello stesso tempo la regalità divina porta il premio.

 

Il cap. 11 si conclude con l'arrivo di Dio, riprendendo il tema della misurazione del tempio:

"Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l'arca dell'alleanza" (v. 19).

Notiamo anche che la seconda parte del v. 19, con il terremoto, le folgori, gli scoppi di tuono, richiama il v. 5 del cap. 8.

Questa scena celeste vede come protagonisti Dio e il suo popolo, nonostante tutto i vincitori.

 

A proposito della figura un po' mitica dell'arca leggiamo 2 Maccabei 2, 1-8 in cui si parla anche dell'eredità di Dio contemplata da Mosè dalla cima del monte Nebo (vedere Deut. 34, 1-5).

Il secondo libro dei Maccabei riporta una tradizione, diffusa all'epoca, secondo la quale Geremia, nell'imminenza della distruzione del Tempio da parte dei Babilonesi, aveva preso l'arca e gli arredi sacri, che Giosia aveva fatto collocare nel santuario, e li aveva portati in salvo sul monte Nebo, in un luogo di cui si persero le tracce. L'arca rimarrà nascosta lassù fino a quando il Signore non avrà riunito la totalità del suo popolo.

Ora l'arca è nuovamente rivelata (Ap. 11,19) perché la gloria del Signore ha ripreso possesso del suo santuario e Dio ha finalmente radunato tutto il suo popolo.

Si realizza così la profezia di Geremia, un profeta che proclamava la legge incisa nel cuore e non l'osservanza formale della legge stessa. Qualche studioso sostiene che la predicazione di Geremia sia la più simile, come anticipazione, a quella di Gesù.

In questo capitolo Giovanni anticipa una realtà che poi descriverà e dice che Dio regna ed è re dell'universo. Dal cap. 12 in avanti l'autore spiegherà come gradualmente questa realtà sia potuta accadere.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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