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CORSO BIBLICO SULL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2012 20:44
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16/11/2012 19:25
 
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Colpisce la scarsissima competenza degli italiani quando parlano di religione.

Quasi nessun cattolico ha mai letto seriamente i testi sacri. E a proposito di serietà di studi religiosi ricordo, come ho già detto l'anno scorso, che in varie facoltà teologiche islamiche il primo anno di studio è riservato alla memorizzazione di tutto il Corano e dei più importanti testi sacri delle principali religioni.

 

Tema del corso è l'Apocalisse, dal greco apocalypsis e significa rivelazione, svelamento di qualche cosa che è nascosto e viene reso chiaro, manifesto.

Il linguaggio dell'Apocalisse è molto complicato e difficile, tanto che per decifrarlo dovremmo possedere innumerevoli nozioni di simbolismi antichi. Non abbiamo infatti sufficienti conoscenze per poter dare un esatto significato a tutte le immagini che compaiono nel testo. Pensate che, ad esempio, un versetto apocalittico di Zaccaria ha ben 42 interpretazioni diverse.

Nell'Apocalisse il linguaggio è simbolico, allegorico; il bene e il male sono sempre in contrasto fra loro.

La letteratura apocalittica sembra il regno della fantasia con strane e mostruose bestie e con sconvolgimenti della natura. E' bene sottolineare il pericolo di dare un'interpretazione letterale ai testi apocalittici, come per esempio l'interpretazione millenaristica ("mille e non più mille!").

 

La letteratura apocalittica ha un contesto ben preciso: nasce sempre in momenti drammatici della storia d'Israele e della Chiesa; momenti di oppressione e di perdita della libertà, di contrasto tra il bene e il male. Ricordiamo la persecuzione di Antioco IV che voleva imporre una cultura unica in Israele e distruggere la cultura ebraica oppure la persecuzione sistematica dei cristiani da parte dell'imperatore romano. Sono momenti drammatici nei quali si manifesta il contrasto tra il bene (Iahwe, Dio) e il male (identificato in Antico IV e nell'imperatore romano). Però in questo contrasto appare sempre essenziale un punto: la certezza della vittoria di Dio. Quanto sia potente il male non ci interessa perché Jahwe comunque vincerà; il male sarà sempre sconfitto da Dio. E' un Dio che non combatte e non vince da solo, ma agisce in funzione del suo popolo. Il vincitore assieme a Dio sarà sempre il suo popolo.

Ecco una bella caratteristica della letteratura apocalittica: Dio e il popolo sono uniti sempre.

Un grande sviluppo dell'apocalittica, che prima era solo accennata. avviene intorno al I 50 a.C., epoca delle persecuzioni, con alcuni libri ispirati ed altri non ispirati.

Al centro di questo genere letterario c'è l'escatologia, dal greco "escatà", discorso sulle cose ultime, sull'aldilà. L'apocalittica suscita attesa del momento supremo, di quando

Dio verrà a ristabilire ciò che è giusto e buono e a distruggere ciò che è malvagio. E in quel momento ci sarà il trionfo di Dio e del suo popolo.

L'apocalittica diventa un modo di interpretare la storia attuale perché io so che Dio trionfa e perché so che facendo parte del popolo di Dio sono chiamato a contribuire al suo trionfo.

In questo senso vivo in prima persona il contrasto tra il bene e il male.

Quali sono i retroterra del libro dell'Apocalisse? Sono i brani apocalittici dell'Antico Testamento. Infatti in vari autori troviamo diversi brani apocalittici come, per esempio, in:

a) Daniele, libro scritto intorno al 150 a.C.;

b) Ezechiele, risalente al periodo dell'esilio babilonese {580 - 560 a.C..); c) Zaccaria {520 a.C. ca.), in particolare nei capitoli 9-14;

d) Isaia {740-700 a.C.), 34-35; 63-1,6; 24-27; e) Gioele {400 a.C:), nei capitoli 3 e 4.

Comprendiamo facilmente che la letteratura apocalittica ha origine nei profeti.

Due elementi ritorneranno durante la lettura di questi brani: 1 ) l' annuncio di un giudizio;

2) un avvenire di pace.

Sia il giudizio sia l'avvenire avranno tre protagonisti:

1) Dio;

2) il nemico; 3) il popolo.

Dio entra in gioco sempre più personalmente, fino a restare l'unico a combattere il male sulla terra.

Il nemico potrà essere simbolico come Edom, oppure un animale mitico (leviatan), oppure nomi inventati {come in Ez. 38 e 39 Gog e Magog, che sono due figure mitiche dell'apocalittica). Ovviamente il nemico viene sempre sconfitto.

C'è, poi, il popolo che viene coinvolto e non è, quindi, semplice spettatore della lotta tra il bene e il male.

Il nemico agisce perché il popolo ha bisogno di purificazione e una volta purificato verrà collocato nella Gerusalemme.

Leggiamo ora i capitoli 3 e 4 di Gioele. Appare significativo il titolo che comprende questi due capitoli: "L'era nuova e il giorno del Signore".

 

Ecco, questi brani non sono proprio da intendere in modo letterale (per esempio, là dove si parla della guerra santa). Notiamo anche che qui non sono presenti quegli elementi fantasiosi che troveremo nei brani apocalittici successivi. Nei capitoli apocalittici arcaici di Gioele si parla della natura, degli uomini e dei popoli nemici di Dio.

Lettura di

Ezechiele 38 e 39: entrano in scena personaggi e regni mitici.

E' bene ripetere che l'apocalittica è un genere letterario che ha la sua origine nella profezia e che porta alla speranza. I primi apocalittici sono stati, come abbiamo visto, i profeti. Allora, se è vero che i profeti sono stati mandati da Dio per tenere vivo nel popolo l'ideale messianico, l'apocalittica rende ancora più efficace il loro messaggio. E i testi apocalittici sono libri di speranza che ci aiutano a leggere il presente alla luce del futuro.

Nella Bibbia c'è un intreccio fra passato, presente e futuro, intreccio profondo che ritroviamo anche, ad esempio, nella Messa che - come la Pasqua ebraica - è memoriale. L'apocalittica lascia scoperto il passato per proiettarsi nel futuro. Il presente è disperazione, ma non ci si deve preoccupare perché arriverà il momento in cui Dio vincerà e con Lui il suo popolo. Questo messaggio di speranza ha origine dal momento fondamentale della storia d'Israele: l'esilio.

Bellissimo nella teologia ebraica è il tema della sofferenza di Dio, cioè di un Dio talmente identificato con il suo popolo da non essere un Dio lontano, ma un Dio che soffre attraverso la sofferenza di un popolo. Se notiamo bene siamo ad un passo dall'incarnazione e dalla. morte in croce.

Con il ritorno deludente dall'esilio occorrevano dei profeti che parlassero di tempi migliori. Matura l'idea che la salvezza non sia terrena e la speranza dei profeti si proietta sempre di più verso l'escatologia.

L'apocalittica è il profetismo proiettato alla fine dei tempi, al ritorno all'era primordiale, all'Eden.

Con Daniele, ultimo profeta, l'apocalittica prenderà il posto del profetismo. Per quest'ultimo il male deriva dall'uso stolto della libertà, mentre per l'apocalittica esso è frutto delle potenze demoniache.

II^ lezione

Inquadramento storico dell'Apocalisse.

La lettura e l'interpretazione dell'Apocalisse richiedono un inquadramento storico che serve a conoscere in quale ambiente culturale e politico quel libro venne scritto.

Per comprendere bene la situazione in cui si è sviluppata la Chiesa nel primo secolo dopo Cristo occorre risalire all'origine e alle cause dell'evoluzione dei costumi e della cultura nell'area del Mediterraneo orientale in cui si è svolta la storia d'Israele dal III secolo a.C. fino alla conquista romana. E' perciò necessario parlare dell'ellenismo. Alcune date che saranno esposte e che sono riportate nella tavola cronologica allegata sono da considerare soltanto indicative, perché su di esse non tatti gli storici sono concordi.

Ellenismo.

L'ellenismo è stato definito come la civiltà e la storia in genere del bacino del Mediterraneo medio e orientale ed ha inizio a partire dal 333 a.C., anno della partenza di Alessandro Magno il Macedone per la conquista . dell'oriente, e termina convenzionalmente nel 31 a.C., anno della battaglia di Azio (in cui Ottaviano sconfigge Antonio) e dell'avvio del periodo della pax romana.

L'ellenismo si formò, quindi, nel contatto fra la civiltà greca classica ormai matura e forse decadente e le civiltà orientali (iranico-babilonese, ebraica, egiziana). Il confronto fra le civiltà orientali e quella greca ebbe come conseguenza logica o l'assorbimento o la radicalizzazione delle posizioni di ciascuna. Tale confronto fu condizionato profondamente dalla situazione politica e sociale che la conquista di Alessandro Magno aveva determinato.

Dopo un primo tentativo di unione fra greci e barbari, voluto da Alessandro Magno, i diadochi (suoi successori nei vari regni ellenistici) favorirono sempre i greci e la fondazione di città o di colonie greche.

La lingua greca (Koiné), anche dopo la conquista romana, divenne la lingua franca cioè di uso comune (koiné significa "comune") e la più diffusa del bacino del Mediterraneo orientale, in sostituzione dell'aramaico, del fenicio e dell'egiziano. Sopravvissero alcune culture, come l'ebraica e l'egiziana, ma fortemente influenzate da quella greca.

In Gerusalemme si verificarono varie opposizioni all'egemonia ellenistica ed anche atteggiamenti contrastanti. Con l'ellenismo, tollerante sul piano religioso, si sviluppò la credenza dell'immortalità dell'anima, già presente nella religione egizia (almeno per i giusti).

Gli orientali furono colpiti dalla diversa concezione dell'uomo portata dai greci. L'uomo per questi era libero, mentre per gli orientali era servo del re e, a maggior ragione, di Dio.

I valori presso i greci (vedi Socrate e Platone) non erano soltanto rispettati in funzione della salvezza, ma costituivano i fondamenti della società.

I greci portarono una vitalità eccezionale e fondarono in Palestina nuove città (es. Filadelfia e Tolemaide), tutte con il teatro e la palestra.

Portarono anche una nuova concezione del rapporto tra uomo e stato, inteso questo non più come comunità di sangue, ma come comunità di partecipazione ai diritti e ai doveri comuni sullo stesso territorio.

Si diffuse il fenomeno della diaspora degli ebrei, che costituirono numerose e consistenti comunità in tutto il bacino del Mediterraneo orientale ed anche in Libia e a Roma. Di primaria importanza furono le comunità di Alessandria. e Leontopoli in Egitto e di Antochia in Siria.

Si noti che già prima della conquista. greca comunità ebraiche erano sorte in Babilonia.

Gli ebrei della diaspora parlavano greco ed accoglievano numerosi proseliti. I soldati giudei che avevano prestato servizio presso qualche re ellenistico al ritorno in patria portavano la lingua greca, nuove abitudini e una visione del mondo molto diversa.

Molte persone delle classi più elevate cominciarono ad assumere a partire dal II sec. a.C. nomi greci e ad assorbire una nuova mentalità.

Il pensiero greco e i relativi costumi influenzarono molto il giudaismo. Si posero in discussione varie usanze e regole (come la circoncisione) e si modificò la mentalità di alcuni strati della popolazione.

Il giudaismo che era entrato in crisi subito dopo il ritorno dall'esilio in Babilonia si divise in correnti e in sette (come i sadducei, i farisei e gli esseni). La prima crisi si verificò appunto nel IV sec. a.C. con lo scisma samaritano e con la costituzione di un altro Tempio sul monte Garizim.

Sopravvisse alla fine, dopo la distruzione del Tempio, solo il farisaismo che confluì poi nel cristianesimo e nel rabbinismo.

Scomparve con il 70 d.C. (distruzione del Tempio) la casta sacerdotale dei sadducei.

Note storiche.

Dopo la dominazione persiana, succeduta a quella babilonese, la Palestina fu conquistata da Alessandro Magno e alla morte di questi (323 a.C.) entrò nell'orbita dei regni postalessandrini (dei diadochi). In un primo periodo appartenne ai re Tolomei (Egitto), poi nel 200 a.C. circa, dopo la battaglia di Cesarea di Filippo, passò alle dipendenze dei re Seleucidi (Siria) e vi rimase fino al 141 a.C. Dal 14I al 63 a.C. vi fu un periodo di relativa indipendenza.

II dominio romano sulla Palestina venne favorito anche dalle lotte interne e si realizzò gradualmente dopo la prima conquista da parte di Pompeo che nel 63 a.C. occupò Gerusalemme ed entrò nel Tempio.

I vari re vassalli che governavano allora la Palestina, suddivisa in più parti, erano nominati addirittura dai Romani, che rafforzarono prima della nascita di Cristo il loro potere in quei territori anche per difenderli dai tentativi di conquista dei Parti.

Ottaviano, divenuto imperatore a vita con il titolo di Augusto, costruì a Gerusalemme la torre Antonia e il palazzo della città alta.

La Siria. (comprendente anche la Palestina) divenne provincia imperiale e nel 29/30 a.C. Erode iniziò la ricostruzione del Tempio.

La nascita di Cristo avvenne in un periodo in cui l'influenza dell'ellenismo aveva ormai raggiunto il massimo sviluppo, anche grazie alla conquista della Grecia da parte dei Romani che, a loro volta, assimilarono molti elementi della civiltà, della cultura e della religione dei greci.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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