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GESU' CRISTO: SIGNORE DEL COSMO E DELLA STORIA

Ultimo Aggiornamento: 10/12/2012 16:01
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10/12/2012 15:57
 
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GESÙ, SIGNORE DELLA STORIA DA BENEDETTO XV A BENEDETTO XVI

 

 

Dio è Amore e per questo Signore della storia: il senso della prima Enciclica di Papa Benedetto XVI

 

Che Gesù sia il Signore della storia lo ha evidenziato bene il Santo Padre Benedetto XVI, laddove, nella sua prima enciclica Deus Caritas Est, ha parlato della signoria di Cristo sul mondo, una signoria di amore. In un mondo, quello contemporaneo, sempre più secolarizzato e relativista dove ognuno vuole essere padrone di se stesso, Papa Benedetto XVI propone invece la totale obbedienza al Dio di Gesù Cristo. È Lui il vero Signore della storia e soltanto chi si apre a Lui può divenire permanentemente libero. In una società in cui tutti vogliono essere liberi, l’assenza sempre più evidente di Dio dalla vita delle persone, rende tutti schiavi della moda, del consumismo, della mentalità dominante, schiavi, e non invece liberi, come il Dio cristiano permette di essere.

L’enciclica di Benedetto XVI è rivolta ad un occidente opulento, benestante che tuttavia si ritrova quotidianamente a dover fare i conti con una totale incapacità di riconoscersi dipendente da qualcuno, da qualcosa. Dio è stato eliminato e ognuno è oggi schiavo di se stesso, dei propri piaceri, delle proprie illusioni. All’occidente Benedetto XVI ricorda la necessità che tutti ritornino a riconoscersi figli, dipendenti dal vero Signore della storia. Chi vuole tornare ad essere libero è a Cristo che deve guardare. Chi vuole tornare ad essere uomo compiuto è figlio che deve cercare di essere.

L’enciclica si rivolge anche al Sud del mondo, a quei paesi oggi sempre più poveri e che faticano a crearsi condizioni sociali ed economiche dignitose. Anche a loro Benedetto XVI ricorda che Dio è amore e che anche Lui, in Gesù Cristo, ha patito le medesime sofferenze. Non è una magra consolazione, quanto la vera essenza della vita. Ciò che davvero conta, infatti, non è il benessere o la carestia, quanto semmai vivere la propria condizione di vita come offerta a Cristo, come donazione di sé a Lui che per primo si è donato per tutti. L’uomo deve lottare per avere condizioni di vita migliori ma nello stesso tempo deve offrire il proprio presente a Cristo come Lui offrì il suo al Padre.

Dio è amore e con esso Egli intende investire il mondo. La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, presenta al mondo un Dio che intende reggere le sorti del mondo con il suo amore. Il programma del Dio cristiano, dunque, non è innanzitutto un programma sociale, un programma di giustizia così come l’uomo la intende, ma è un programma che intende mostrare la signoria amorevole di Dio sull’uomo. Gesù, nel primo testo firmato dal Santo Padre Benedetto XVI, viene presentato come Signore della storia ma la sua signoria è qui un abbassamento, un umiliarsi, uno spogliarsi di sé per farsi tutto in tutti. È questa la signoria di Cristo che Benedetto XVI spiega bene nella prima parte del suo testo. Il Cristianesimo, dice Benedetto XVI, approfondisce il significato che l’antica Grecia dava all’amore, e al posto della parola “eros” che stava a significare l’amore «per eccellenza» «tra uomo e donna», usa la parola “agape” «per esprimere un amore oblativo». È questa la «nuova visione», la «novità essenziale» portata dal Cristianesimo. Essa non è da intendersi quale rifiuto dell’eros e della corporeità - anche se tendenze di tal genere ci sono state -. L’eros, infatti, è stato posto nella natura dell’uomo da Dio, e come tale non va eliminato, ma, semmai disciplinato. Esso - spiega Papa Ratzinger - «ha bisogno di disciplina, di purificazione e di maturazione per non perdere la sua dignità originaria e non degradare a puro “sesso”, diventando una merce». Dove l’amore inteso come unione di eros e agape trova la sua forma più radicale? In Gesù Cristo. Egli - spiega il Papa - «è l’amore incarnato di Dio», ed è in Lui che «l’eros-agape raggiunge la sua forma più radicale». «Nella morte in croce, Gesù, donandosi per rialzare e salvare l’uomo, esprime l’amore nella forma più sublime». E ancora: «A questo atto di offerta Gesù ha assicurato una presenza duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristia, in cui sotto le specie del pane e del vino dona se stesso come nuova manna che ci unisce a Lui. Partecipando all’Eucaristia, anche noi veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. Ci uniamo a Lui e allo stesso tempo ci uniamo a tutti gli altri ai quali Egli si dona; diventiamo così tutti “un solo corpo”. In tal modo amore per Dio e amore per il prossimo sono veramente fusi insieme. Il duplice comandamento, grazie a questo incontro con l’agape di Dio, non è più soltanto esigenza: l’amore può essere “comandato” perché prima è donato».

Ecco allora che nella seconda parte dell’enciclica, il Santo Padre spiega come questo amore «oblativo» si mostra nella storia, nella vita pratica di tutti i giorni, nelle difficoltà e nelle incongruenze che ogni uomo quotidianamente è chiamato a vivere. La signoria di Cristo sul mondo, insomma, si esplica nella carità, un’attività che, se giustamente interpretata, «deve rispecchiare l’amore trinitario». Tale attività, tuttavia, pur presente da sempre nella Chiesa, ha subìto fin dal secolo XIX, «un’obiezione fondamentale»: «essa - scrive il Pontefice - sarebbe in contrapposizione con la giustizia e finirebbe per agire come sistema di conservazione dello status quo».

Sostanzialmente l’obiezione che si fa alla Chiesa è che «con il compimento di singole opere di carità» essa «favorirebbe il mantenimento del sistema ingiusto in atto» rendendolo in qualche modo sopportabile e «frenando così la ribellione e il potenziale rivolgimento verso un mondo migliore». «In questo senso - scrive ancora Papa Ratzinger - il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale, un sogno che nel frattempo è svanito». Alla questione sociale e in particolare al marxismo - lo ha ricordato Benedetto XVI -, il magistero pontificio ha risposto subito con l’Enciclica “Rerum novarum” di Leone XIII (1891) e poi con la trilogia di Encicliche sociali di Giovanni Paolo II: “Laborem exercens” (1981), “Sollicitudo rei socialis” (1987), “Centesimus annus” (1991). Alle problematiche sociali, insomma, la Chiesa ha risposto con l’elaborazione di una sua dottrina sociale «molto articolata, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini della Chiesa». Ma, ammonisce il Pontefice, «la creazione, di un giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica, quindi non può essere incarico immediato della Chiesa». La dottrina sociale cattolica, infatti, non intende conferire alla Chiesa un potere sullo Stato, ma semplicemente purificare ed illuminare la ragione, «offrendo il proprio contributo alla formazione delle coscienze, affinché le vere esigenze della giustizia possano essere percepite, riconosciute e poi anche realizzate». Tuttavia, «non c’è nessun ordinamento statale che, per quanto giusto, possa rendere superfluo il servizio dell’amore». E così ecco ribadito da Papa Ratzinger il valore del principio di sussidiarietà con l’annotazione che laddove «lo Stato vuole provvedere a tutto», esso «diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare il contributo essenziale di cui l’uomo sofferente - ogni uomo - ha bisogno: l’amorevole dedizione personale». E ancora: «Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo». 

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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