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POSSIAMO CREDERE NELLA REINCARNAZIONE ?

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2023 11:47
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14/09/2012 12:41
 
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Al fine di far comprendere bene le cose a chi ci legge, desidero fare chiarezza anche sul pensiero di questo grandioso padre della Chiesa, che purtroppo molti citano fuori contesto e continuano poi ad attribuirgli una idea completamente estranea, anzi contraria, alla sua fede, come nel caso in questione.


 


Con quelle parole Agostino non intende affatto avallare la dottrina della reincarnazione (che egli chiama metemsomatosi o metempsicosi)


Esprimeva solo le domande che ogni anima e quindi anche lui si pone,  a cui non fa seguito in quel momento, la sua risposta.


Per quanto riguarda la somigliana di Platone con Plotino dice solo che erano così simili da sembrare la stessa persona (usa infatti il termine "crederesti") .


 


In questi capitoli della CITTA' DI DIO Agostino articola molto bene il suo pensiero riguardo alla dottrina della reincarnazione e quindi dissipa del tutto ogni dubbio al suo riguardo.


 


dal libro 12


L'insipiente teoria ciclare.
20. 1. Le orecchie dei credenti infatti non sopportano di udire che li attende un simile destino (il ritorno alla vita terrena, di cui stava parlando nel capitolo precedente -ndr)  dopo aver trascorso in mezzo a tante sventure la vita, seppure si può considerare vita questa che è piuttosto una morte, e tanto grave, che la morte che da essa ci libera si teme per amore di questa morte. Dunque dopo sì grandi, molteplici e orribili mali, superati nella purificazione mediante la sapienza della vera religione, si giungerebbe alla visione di Dio e così si diventerebbe beati nella contemplazione della luce ideale mediante la partecipazione alla sua immutevole immortalità, obiettivo finale del nostro amore ardente, per poi abbandonarla in base a una fatale necessità. E coloro che l’abbandonano, scagliati fuori da quella immortalità, verità, felicità, sarebbero risommersi nella mortalità terrena, nella avvilente insipienza, nelle esecrabili passioni, in cui si perde Dio, in cui si ha in odio la verità, in cui si cerca la felicità attraverso i piaceri contaminanti. E questo sarebbe avvenuto in passato e avverrebbe in futuro sempre alla stessa maniera incessantemente, a determinati periodi e lunghezze delle durate antecedenti e successive. E tutto questo perché sia possibile a Dio conoscere le sue opere con cicli stabiliti che eternamente vanno e vengono, attraverso la nostra falsa felicità e vera infelicità, sia pure alternate, ma eterne per l’incessante ripetersi. E questo perché Dio non potrebbe cessare dall’agire e perché non potrebbe cogliere con la scienza l’infinito. Chi potrebbe ascoltare simili idee, chi crederle, chi sopportarle? Ed anche se queste palingenesi fossero vere, non solo sarebbe più prudente non parlarne, ma anche più filosofico ignorarle. Esprimo il mio pensiero come posso. Infatti se nell’aldilà non le conserveremo nella memoria e per questo saremo felici, perché qui dalla loro conoscenza viene resa più pesante la nostra infelicità? Se al contrario di là necessariamente le conosceremo, ignoriamole per lo meno di qua, in maniera che sia più felice di qua l’attesa del sommo bene che di là il suo conseguimento, dato che di qua si attende di conseguire la vita eterna, di là si sa che la vita felice ma non eterna a un certo momento si deve perdere.

Il destino dell'uomo.
20. 2. Ma essi dicono che non si può giungere alla felicità nell’aldilà, se non si conosceranno con la cultura di questo mondo quei cicli, in cui si avvicendano felicità e infelicità. Perché ammettono allora che quanto più si amerà Dio tanto più facilmente si giungerà alla felicità, se poi insegnano queste teorie da cui tale amore è illanguidito?. Chi infatti non amerebbe più fiaccamente e più tiepidamente un essere che sa di dover ineluttabilmente abbandonare e opporsi alla sua verità e sapienza, e questo dopo esser giunto, secondo la propria capacità, alla piena conoscenza di lui nella perfezione della felicità? Non si riesce ad amare fedelmente neanche un amico, se si sa che diventerà nemico. Ma non sono vere quelle palingenesi le quali ci minacciano una vera infelicità che non finirà mai ma che s’interromperà spesso e incessantemente con intervalli di falsa felicità. Non v’è nulla infatti di più falso e ingannevole di una felicità, durante la quale, pur nella immensa luce della verità, ignoriamo, ovvero, pur nel più alto grado della felicità, temiamo di tornare ad essere infelici. Se infatti di là ignoreremo la futura disgrazia, ha maggior conoscenza di qua la nostra infelicità, perché conosciamo la futura felicità. Se poi di là non ci sarà nascosta la sventura imminente, trascorre più serenamente il tempo l’anima afflitta perché, quando esso sarà passato, sarà elevata alla felicità, che l’anima felice perché, trascorso il periodo, dovrà tornare all’afflizione. In tal modo l’attesa della nostra infelicità sarebbe felice e l’attesa della nostra felicità infelice. Ne consegue che sopportando di qua i mali presenti e temendo di là i futuri, siamo destinati ad essere sempre infelici, anziché una volta felici.


20. 3. Ma queste teorie sono falseLo proclama la pietà, lo dimostra la veritàA noi infatti è veracemente promessa quella vera felicità che implica la tranquillità che sempre si deve conservare e mai interrompere. Seguendo dunque la via dritta, che per noi è Cristo 41, con la sua guida che è salvezza, volgiamo il razionale cammino della fede lontano dai futili e insignificanti giri ciclici dei miscredenti. Il platonico Porfirio non volle seguire l’opinione della sua scuola su questi cicli e sulle andate e ritorni delle anime, alternatisi senza fine, sia per reazione all’insignificanza della teoria, sia in ossequio alla cultura cristiana. Preferì sostenere, come ho già detto nel libro decimo 42, che l’anima è stata mandata nel mondo per conoscere il male, affinché liberatasene con la catarsi, una volta tornata al Padre, non torni a subirlo. A più forte ragione noi dobbiamo biasimare ed evitare questo errore contrario alla fede cristiana. Considerate dunque vuote di senso queste palingenesi, nulla ci costringe a pensare che il genere umano non ha un inizio nel tempo da cui è cominciato ad esistere, mentre, secondo questa teoria, nella realtà in base a non saprei quali cicli non ci dovrebbe esser nulla di nuovo che non si sia avuto prima e non si avrà dopo attraverso determinati intervalli. Se infatti l’anima viene liberata per non tornare alla schiavitù, in una forma in cui prima non era stata liberata, avviene in lei qualcosa di nuovo che prima non era mai avvenuto, e questo avvenimento sublime è una felicità eterna che non verrà mai meno. E se nell’essere immortale avviene una novità tanto grande, non ricondotta nel passato e non riconducibile in futuro da alcun ciclo, perché si sostiene che nelle cose mortali ciò non può avvenire? Affermano che non avviene nell’anima il fatto nuovo della felicità perché torna a quella in cui è sempre vissuta. Al contrario la liberazione stessa diviene un fatto nuovo perché l’anima si libera dalla infelicità in cui mai è vissuta e in lei si ha anche il fatto nuovo della infelicità che mai si era avuto. Se poi questa novità non rientra nell’ordinamento delle cose, dirette al fine dalla divina provvidenza, ma avviene fatalmente, dove sono andati a finire quei cicli determinati nel periodo, nei quali non si verificherebbero eventi nuovi ma tornerebbero sempre i medesimi che furono? Se poi questa novità non esula dall’ordinamento della provvidenza, tanto nell’ipotesi della immediata creazione come in quella della caduta, è possibile che avvengano eventi nuovi i quali prima non avvennero e tuttavia non sono estranei all’ordinamento della realtà. È stato possibile per l’anima procacciarsi per impreveggenza una infelicità nuova, che tuttavia non era imprevista per la divina provvidenza, tanto che l’ha inclusa nell’ordinamento della realtà e ne ha liberato l’anima con disegno provvidenziale. Con quale sfrontata leggerezza umana si osa affermare dunque che è impossibile per la divinità creare cose nuove non per sé ma per il mondo, che prima non ha creato e che mai ha tenuto fuori del disegno provvidenziale? Se poi affermano che le anime liberate dalla carne non torneranno più all’infelicità, ma che con questo evento non avviene nulla di nuovo perché sempre anime diverse le une dalle altre sono state liberate, sono liberate e saranno liberate, per lo meno concedono, se questo è il loro pensiero, che nuove anime sono create, per le quali vi sono una nuova infelicità e una nuova liberazione. Se dicono infatti che sono anteriori al tempo e che sono sempre esistite per l’addietro, inoltre che da esse continuamente sono formati nuovi uomini e che, se costoro vivranno nella sapienza, saranno liberati dai loro corpi in maniera da non essere più ricondotti alla schiavitù terrena, vengono necessariamente a sostenere che le anime sono infinite. Infatti per quanto esteso fosse un numero finito di anime, non basterebbe nelle infinite durate anteriori perché da esso derivassero sempre uomini nuovi, nell’ipotesi che le anime, una volta liberate dalla soggezione alla morte, non vi sarebbero mai più tornate in seguito. Quindi non potranno spiegare come sia infinito il numero delle anime nella realtà che, a sentir loro, per essere nota a Dio, deve essere finita.

Inizio e aumento contro l'identico.
20. 4. Dunque quelle palingenesi sono state dimostrate assurde, perché con esse si sostiene che l’anima necessariamente tornerà alle medesime sventure. Quindi la cosa più conveniente che rimane per la pietà è credere che è compossibile a Dio produrre esseri mai prodotti prima e, data la ineffabile prescienza, non porre il proprio volere nel divenire. Riguardo al problema se il numero delle anime liberate e destinate a non tornare alla schiavitù terrena possa sempre aumentare, se la vedano quei tali che fanno discorsi tanto profondi sulla limitazione dell’infinità delle cose. Io per me chiudo questo mio discorso con un dilemma. Nell’ipotesi che l’aumento sia possibile, perché negare che poté esser creato ciò che non era mai stato creato, se il numero delle anime redente, che anteriormente non si era avuto, non si verifica soltanto una volta ma non cessa mai di crescere? Se al contrario è necessariamente stabilito che si dia un determinato numero delle anime liberate destinate a non tornar mai più nell’infelicità e che questo numero non venga accresciuto ulteriormente, anche esso indubbiamente, qualunque sia, prima certamente non si aveva. Difatti senza un inizio non poteva esser accresciuto e giungere alla dimensione della sua grandezza. E tale inizio in questi termini prima non si ebbe. E affinché esso si desse, è stato creato un uomo, prima del quale non ce n’era stato un altro.

Il corpo dopo morte e la metemsomatosi.
19. Ora trattiamo l’argomento che ci siamo proposti, relativo al corpo dei progenitori. La morte considerata buona per i buoni è nota non solo ai pochi intellettuali o credenti ma a tutti, perché con essa avviene la separazione dell’anima dal corpo, e con tale separazione il corpo dell’essere animato, che palesemente viveva, palesemente si estingue. Ma non sarebbe sopraggiunta ai progenitori se non come conseguenza del peccato. Non è giusto dubitare che non sia nel riposo l’anima dei defunti che furono onesti e devoti. Tuttavia sarebbe auspicabile per loro che continuassero a vivere col proprio corpo in piena salute 38 affinché coloro, i quali ritengono felicità somma vivere senza corpo, rifiutino, con un parere contrario, questa loro opinione. Nessuno di essi oserebbe infatti anteporre agli dèi immortali i loro saggi, sia che attendano la morte o siano già morti, cioè o già privi del corpo o in attesa di esserne privi. Eppure in Platone il Dio supremo promette agli dèi un regalo straordinario, cioè la vita imperitura, ossia una sorte comune col proprio corpo. E sempre Platone ritiene che le cose andranno benissimo per gli uomini se condurranno questa vita nella pietà e giustizia. In tal caso, separati dal proprio corpo, saranno accolti sul petto degli stessi dèi, che non abbandonano mai i propri corpi,ossia dimentichi di se stessi guarderanno di nuovo la volta celeste e cominceranno a voler tornare nel corpo 39Così verseggia con originalità Virgilio alludendo alla dottrina platonica. Platone infatti ritiene che l’anima dei mortali non può essere per sempre nel proprio corpo, che si dissolve a causa dell’ineluttabile destino della morte, ma non persiste perennemente senza il corpo. Suppone appunto che si avvicendino ininterrottamente i vivi ai morti e i morti ai vivi. Sembrerebbe che i saggi differiscano dagli altri uomini perché dopo la morte sono condotti sulle stelle. Lassù ciascuno starebbe in pace un po’ più a lungo nell’astro a lui conveniente. Da lì, di nuovo dimentico della infelice condizione di una volta e dominato dal desiderio di avere un corpo tornerebbe agli affanni e tribolazioni dei mortali. Quelli poi che avessero condotto una vita da insipienti tornerebbero in breve ai corpi di uomini o di bestie in corrispondenza alle loro colpe 40. Dunque Platone ha attribuito a questo stato molto penoso anche le anime eminenti per saggezza, alle quali non fu assegnato un corpo con cui vivere in una perenne immortalità. Non possono, meschine, né rimanere nel corpo né senza di esso continuare in una perenne condizione spirituale. Ho detto nei libri precedenti 41 che Porfirio ha dichiarato all’evo cristiano di arrossire di questa teoria platonica. Perciò non solo ha escluso il corpo belluino dall’anima umana ma ha anche affermato che l’anima dei saggi si libera dai legami terreni per rimanere, rifuggendo qualsiasi corpo, perennemente felice presso il Padre. Quindi affinché non sembrasse che era sconfitto da Cristo che promette ai beati la vita perenne, anche egli assegna all’eterna felicità le anime pure per catarsi senza alcun ritorno alle tribolazioni del passato. Ma per contraddire Cristo, negando la risurrezione dei corpi immuni dalla morte, afferma che vivranno per sempre non solo senza il corpo di terra ma assolutamente senza corpo 42. Tuttavia non ha suggerito, con questa teoria di così vaga derivazione, per lo meno che i suoi adepti non ossequiassero con culto religioso divinità con tanto di corpo. La teoria si spiega soltanto perché non ha ritenuto che le anime, anche se non unite al corpo, fossero migliori degli dèi. Dunque i platonici non oseranno, come penso che non oseranno, considerare le anime umane più nobili degli dèi sommamente felici anche se assegnati a un corpo indefettibile. Perché dunque la dottrina cristiana sembra loro un’assurdità? Essa insegna che i progenitori furono creati in tale condizione che, se non peccavano, da nessuna morte sarebbero stati disgiunti dal corpo ma, privilegiati con l’immortalità come premio dell’adempimento della obbedienza, sarebbero vissuti nel corpo per sempre. I beati inoltre avranno il medesimo corpo, nel quale qui in terra furono tribolati, in una forma tale che non possono avvenire corruzione o impedimento alla loro carne e dolore o afflizione alla loro felicità.

Anima e corpo nella risurrezione.
20. Pertanto ora l’anima dei defunti che sono beati non considera penosa la morte per cui è stata separata dal corpo, perché la loro carne, ormai priva di sensibilità, riposa nella speranza 43 anche se ha ricevuto molti maltrattamenti. I beati infatti non desiderano il corpo perché sono nell’oblio, come vorrebbe Platone, ma piuttosto perché ricordano il bene loro promesso da colui che non inganna e che ha dato loro sicurezza sul buono stato perfino dei loro capelli 44. Attendono quindi con fervore e costanza la risurrezione del corpo, nel quale hanno sofferto tante pene che ormai non soffriranno più. Se infatti non odiavano la propria carne 45 quando col potere spirituale la dominavano, se per debolezza resisteva all’intelligenza, molto più l’amano perché anche essa diverrà spirituale. Come infatti lo spirito sottomesso alla carne non impropriamente è considerato carnale, così la carne sottomessa allo spirito è considerata spirituale. Certamente non sarà mutata in spirito, come alcuni pensano interpretando questa frase: È seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale 46. Sarà però sottomessa allo spirito per straordinaria e stupenda compiacenza nell’obbedire fino a raggiungere la serena aspirazione alla indissolubile immortalità con la liberazione da ogni stimolo d’inquietudine, da qualsiasi decomposizione e gravezza.


Anche per quanto riguarda Agostino dunque, come Clemente, è chiaro il suo pensiero sull'argomento.
E la sua ottica rispecchia quella della Chiesa da cui aveva ereditato il pensiero e la dottrina.


[Modificato da Credente 06/12/2023 11:47]
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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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