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POSSIAMO CREDERE NELLA REINCARNAZIONE ?

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2023 11:47
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14/09/2012 12:24
 
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La fede cristiana NON ammette la dottrina della reincarnazione (detta anche METEMPSICOSI) sia sulla base della Scrittura, che di quanto è stato concordemente professato e trasmesso nella Chiesa a partire dai primi cristiani.

Tuttavia gli assertori di tale dottrina obiettano che la Bibbia contenga alcuni passi che, secondo loro, insegnerebbe la reincarnazione.

I testi biblici cui generalmente fanno riferimento sono:

Avendo Gesù chiesto ai suoi discepoli cosa pensava la gente di lui, essi risposero: "chi Elia, chi Geremia, chi qualcuno dei profeti; (Mt.16,13) 

sembra pertanto che la mentalità corrente dei contemporanei di Gesù fosse incline ad accettare come possibile la reincarnazione, e Gesù non rettifica questa mentalità.

Davanti al cieco nato i discepoli rivolgono a Gesù la seguente domanda (Gv.9,1 ss): "chi ha peccato, lui o i suoi genitori?" Gesù risponde che né lui ha peccato né i suoi genitori, ma che "era così per la gloria di Dio".

Sembra di capire che se Dio è giusto, e la responsabilità di quella cecità non è da imputarsi né ai genitori né al cieco stesso, siccome Dio,essendo giustissimo, non potrebbe essere glorificato per una condanna imputata ad un innocente, l’unica spiegazione possibile sarebbe che il cieco non ha peccato nella vita presente ma in quella passata per la quale paga la pena; 

3) Dopo la trasfigurazione Pietro chiede a Gesù come mai le Scritture dicono che Elia deve precedere la venuta del Messia. Gesù dice: " Elia è già venuto e hanno fatto di lui quello che hanno voluto" riferendosi a Giovanni Battista(Mt.17,10-13)

Sembra quindi di capire che Gesù dica che Giovanni sia da considerarsi Elia reincarnato.

4) S.Paolo in Romani 9,18-21 scrive che pur essendo inspiegabile che Dio preferisse Giacobbe ad Esaù non vi è in Lui alcuna ingiustizia.

Sembra di capire che tale preferenza sia da ricercare in una colpa commessa da Esaù in una vita precedente.

5) Nel Vecchio Testam. (Sap.8,19-20) troviamo: "Ero un fanciullo di nobile indole, avevo avuto in sorte un’anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia."

Sembra di avere la conferma della preesistenza dell’anima (non della reincarnazione).

Esamineremo qui di seguito ciascuno di questi testi biblici per vedere se effettivamente possano riferirsi alla reincarnazione.


[Modificato da Credente 19/11/2020 12:11]
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14/09/2012 12:31
 
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I testi biblici sopra esposti, che sembrano avvalorare la dottrina sulla reincarnazione, in realtà non lo dimostrano affatto considerando quanto segue:

-

Gesù, non entra nel merito del pensiero dei contemporanei al riguardo delle loro credenze, ma si limita a porre l’accento sulla sua identità di Figlio di Dio, e che non ha nulla a che vedere con tali credenze popolari.

E’ interessante notare che in Gv.3,4 Nicodemo pone a Gesù la domanda: "perché dici che bisogna nascere di nuovo? Può forse un uomo entrare una seconda volta nel seno della madre e rinascere?"

Questa domanda fa intendere che i dottori della legge respingevano o ignoravano del tutto l’idea della reincarnazione. Nei testi rabbinici compreso il Talmud, non se ne trova traccia, così come pure nei rotoli di Qumran.

Gesù nella risposta precisa che bisogna rinascere di acqua e di Spirito e questo chiarifica che la nuova nascita deve avvenire in forza del battesimo nello Spirito, nella vita corrente, e non in una vita futura.

Gli apostoli possono aver riferito la domanda pensando a una possibile colpa del cieco nato contratto durante la gestazione; questa credenza trovava riscontro negli insegnamenti rabbinici del tempo. Ammesso tuttavia che essi pensassero realmente a una colpa contratta dal cieco in una vita precedente, non ottengono dalla risposta di Gesù la conferma alla loro domanda. Pertanto il Signore non dà affatto luogo a supporre che esista una vita precedente del cieco nato.

Tuttavia ci si chiede come può la condizione del cieco essere motivo della gloria di Dio?

Gesù nella sua risposta afferma che tale condizione non è determinata né da colpa del cieco né dei suoi diretti genitori. Quindi allora di chi è la colpa?

E’ senza dubbio da attribuirsi al peccato originale che ha stravolto l’intera creazione generando conseguenze di malattie, di disagi e di dolore in tutta la natura e chi più, chi meno ne facciamo tutti l’esperienza pur senza esserne sempre direttamente responsabili. Questa conclusione lo si può trarre anche da altri testi evangelici in cui Gesù afferma in Lc.13,1-5 che "i diciotto su cui cadde la torre di Siloe oppure "i Galilei il cui sangue Pilato mescolò con i suoi sacrifici, non erano più peccatori degli altri uomini" (come riteneva la credenza popolare ) .

Pertanto Dio viene glorificato nel momento in cui il danno (provocato a partire dal peccato originale, con tutte le implicazioni di peccato derivato da singoli e da collettività), trova la sua risoluzione e la restaurazione nell’intervento salvifico di Cristo. Il cieco nato porta la conseguenza del peccato dell’umanità di cui anche lui è parte. Inoltre impersona la cecità acquisita all’origine dall’umanità e che Cristo viene a sanare facendo così risplendere la Gloria di Dio che era stata ottenebrata non solo per il cieco ma per tutta l’umanità.



Elia non era morto ma era stato rapito al cielo in un carro di fuoco, pertanto non poteva essersi reincarnato in Giovanni Battista. Pertanto anche lo stesso Origene, nel suo commento al Vangelo di Luca afferma che Elia non poteva essersi incorporato nel Battista il quale quindi profetava "con lo spirito di Elia", cioè con la sua forza, con il vigore e l’autorità che era stato dato ad Elia come pure ad Eliseo, il suo discepolo che ricevette anch’egli una parte di questa forza spirituale.

</DIR>

Uno dei primi Padri della Chiesa, S. Giustino, dice in proposito, nel suo "dialogo con Trifone": "è venuto Giovanni il Battista su cui si è posato lo Spirito di Dio, già presente in Elia".

Dunque non è assolutamente possibile attribuire a questo testo nessun appoggio per la dottrina reincarnazionista.

4) Dio non fa preferenze di persone, tuttavia sceglie chi vuole indipendentemente da particolari meriti, secondo un suo preciso disegno che è certamente dettato dall’amore che ha verso tutti indistintamente. Esaù impersona il primo di due popoli, Giacobbe il secondo. Nel disegno divino il primo popolo sarebbe stato posposto al secondo quando con l’ingresso del popolo dei Gentili (i pagani) nella chiesa costituita da Cristo, il popolo d’Israele è stato preceduto dal nuovo popolo.

Quindi in questa unificazione dei due popoli occorre vedere non una discriminazione da parte di Dio ma piuttosto la volontà di portare tutti alla salvezza, altrimenti si sarebbe salvato solo il popolo ebreo. Tale interpretazione trova molte conferme nelle lettere di S.Paolo.

5) Il testo di Sap.8,19-20 mette in discussione persino la tesi preesistenzialista di Origene il quale dice che il corpo rappresenta una condanna per le anime che peccarono. In questo testo troviamo invece che il corpo avuto dall’anima buona è un dono e pertanto è senza macchia. Questo brano in ogni caso non è detto che si richiami alla preesistenza dell’anima perché può essere che l’autore intenda dire che un corpo sano venga donato ad un’anima che il Signore, nella Sua prescienza vede che sarà buona.

Inoltre si potrebbe intendere questo testo in chiave messianica come riferita a Cristo, il quale da preesistente che era, si fece uomo venendo appunto in un corpo immacolato.

Pertanto nessuno di questi brani possono essere portati a sostegno della dottrina sulla reincarnazione.

Accertato quindi che nella Bibbia non vi è nessuna esplicitazione della dottrina sulla reincarnazione, al contrario, invece, proprio nella Bibbia troviamoun’esplicita esclusione di tale dottrina: Si tratta del testo di Ebrei 9,27-28 che dice:

"è stabilito per gli uomini che muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio".

Questo testo è determinante per la definizione del problema dal punto di vista biblico.

SOLUZIONE DELLA QUESTIONE SECONDO LA RAGIONE

Origene, a cui viene erroneamente attribuita la paternità della dottrina sulla reincarnazione in realtà non aveva mai parlato di reincarnazione ma di preesistenzadelle anime. Secondo una sua ipotesi, che per altro egli stesso dichiara discutibile nel suo lavoro "Dei Principi", Dio, avendo terminato ogni lavoro nei sei giorni della creazione, avrebbe anche terminato di creare le anime umane, che avendo successivamente peccato in maniera più o meno grave, sarebbero state inviate nei corpi a scontare la pena proporzionata al loro peccato.

Questa posizione di Origene fu ritenuta erronea nel Concilio Costantinopolitano II (553 d.C.) che con un anatematismo riteneva eretica la sua concezione sulla preesistenza delle anime.

Vi è da aggiungere che a prescindere dal concilio citato, Origene che era molto stimato in precedenza da S. Girolamo e da S. Gregorio di Nissa, fu attaccato da questi proprio per la sua tesi contraria alla fede cristiana tradizionale che non ammetteva l’ipotesi origenista.

Una confutazione organica della dottrina sulla preesistenza delle anime, della trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro e della reincarnazione in genere, la possiamo trovare in S.Tommaso d’Aquino. Sintetizzando il suo pensiero espresso nella sua "Summa contra Gentiles" troviamo:

-

Ogni cosa creata passa dalla potenza all’atto. Perciò prima ad esempio troviamo il seme che è la vita in potenza e poi l’anima che rappresenta l’atto della vita. Da ciò risulta che l’anima non preesiste al corpo.

Per l’anima è naturale essere prima unita al corpo e poi separata e non viceversa. Infatti è naturale per ogni forma unirsi alla propria materia altrimenti il composto di forma e di materia sarebbe estraneo alla natura.

L’anima è forma e parte della specie umana. Se esistesse per sé stessa senza il corpo sarebbe imperfetta mentre nell’ordine naturale ciò che è perfetto precede ciò che è imperfetto.

Se le anime furono create prima dei corpi, l’invio a questi ultimi sarebbe avvenuto per violenza e non secondo natura. Inoltre se fossero rimaste prive di corpi per un periodo più o meno lungo avrebbero anche subito la violenza di non potersi unire ad un corpo, cosa che invece costituisce la tendenza naturale dell’anima; anche ciò è inammissibile perché ciò che è violento è contro natura.

Per natura ogni cosa desidera la propria perfezione quindi è il corpo che desidera l’anima e non viceversa.

Le anime separate non si unirebbero ai corpi per spontanea volontà perché saprebbero di dover soffrire; mentre nessuno vuol diventare peggiorare la propria condizione.

L’anima non può essere stata creata prima dei corpi per disposizione divina in quanto la Genesi dice che "Dio vide che era una cosa buona" a proposito delle singole creature e "Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone" a proposito di tutto il creato. Ora Dio crea per promuovere ad uno stato superiore, non ad uno inferiore; Perciò non poteva aver creato anime separate dai corpi.

Non può rientrare nella sapienza di Dio nobilitare i corpi a scapito delle anime. Origene sapendo questo suppose che le anime avessero peccato e fossero inviate nei corpi a scontare la pena. Ma ciò è insostenibile per i seguenti motivi:

l’esistenza dell’uomo non sarebbe un bene secondo natura mentre la Genesi dice che " tutte le cose che Dio aveva fatto erano molto buone".

Dal male non può venire un bene se non indirettamente e quindi i corpi non potevano essere considerati "molto buoni" dall’unione con anime in peccato.

S. Paolo dice di Giacobbe ed Esaù: "non essendo ancora nati, e non avendo fatto niente di bene o di male fu detto: il maggiore servirà il minore". Quindi prima della loro nascita nessuno di loro due aveva peccato.

Per acquisire la conoscenza delle cose, le anime hanno bisogno dei corpi che permette ad esse di elaborare, attraverso i sensi, le cognizioni e i ricordi. Se l’anima avesse la cognizione delle cose a prescindere dal corpo, bisognerebbe concludere che il corpo le risulterebbe d’impaccio dal momento che nascendo una persona non sa nulla e deve imparare tutto. Ma la natura non aggiunge ciò che costituisce un impaccio bensì ciò che facilita. Perciò l’uomo non sarebbe una realtà naturale.

L’anima unendosi al corpo non perde la scienza ma l’acquista in quanto lo scopo per cui è creata è quella di giungere alla contemplazione della verità mediante gli atti di virtù.

Se si interroga un ignorante in modo da fargli rispondere attraverso una riflessione logica alle domande poste, questi acquisirà una conoscenza progressiva. Perciò egli non ricorda conoscenze avute in precedenza ma conosce solo i principi per natura.

Se la conoscenza delle conclusioni fosse naturale come quella dei principi ne seguirebbe che le conclusioni sarebbero uguali per tutti come lo è per i principi; mentre invece non è così come mostra l’evidenza. Perciò le anime non preesistono ai corpi.

Il nostro intelletto conosce per natura l’ente e le proprietà che appartengono all’ente; in questo si fonda la conoscenza dei primi principi, mentre le conclusioni si raggiungono a partire dai principi.

Anche la conoscenza dei primi principi si acquista mediante i sensi come per esempio non conosceremmo che il tutto è maggiore della parte se i sensi non avessero percepito un tutto; perciò nell’anima prima dell’unione col corpo non vi è neppure la conoscenza dei primi principi, tantomeno la conoscenza di altre cose.

Se preesistessero un numero infinito di anime bisognerebbe che il mondo non abbia mai fine perché queste si incarnino tutte: ma ciò non è secondo rivelazione che stabilisce un termine per il mondo. Se invece preesistesse un numero limitato di anime potrebbero essere eccedenti oppure insufficienti per animare i corpi che vengono all’esistenza in questo mondo.

Non è possibile ammettere che una stessa anima si unisca contemporaneamente a più corpi in quanto può esistere solo un’anima col proprio corpo, avendo essi tra loro il rapporto di atto e potenza.

La virtù del motore deve essere proporzionata al corpo che deve muovere e tale è l’anima per il corpo. Perciò il numero delle anime dev’essere uguale a quello dei corpi. Ciò esclude la trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro.

L’unità come l’essere, derivando dalla forma, dove c’è unità di forma deve esserci anche unità numerica. Quindi non è possibile che una singola anima si unisca con diversi corpi. Da ciò consegue pure che le anime non sono preesistite ai loro corpi.

ULTERIORI OBBIEZIONI SECONDO LA RAGIONE.

-

Ciò che sempre dovrà essere (l’anima) sempre dovrà essere esistita; perciò l’anima si presuppone preesistente al corpo.

Dalla incorruttibilità della verità intelligibile si può dimostrare che l’anima è incorruttibile. Perciò si può dedurre che anche l’anima è eterna.

Se ogni volta che viene formato un corpo inizia anche un’anima si potrebbe pensare che all’universo mancano molte parti principali che lo rendono imperfetto. Il che è inammissibile.

Se Dio si riposò il settimo giorno significa che aveva finito di creare ogni cosa compreso le anime umane; mentre questo non sarebbe vero se deve ancora creare anime per ogni corpo che nasce.

</DIR>

Alle obbiezioni di cui sopra S. Tommaso risponde :

-

Sebbene l’anima abbia la virtù di esistere sempre non si può concludere che sia esistita da sempre o anche solo in precedenza rispetto al corpo.

Dal fatto che la verità è eterna rispetto alle cose che si conoscono si deduce che sono eterni gli oggetti conosciuti e non il soggetto che conosce. Dall’eternità della verità intelligibile si può dimostrare l’immortalità dell’anima e non la sua eternità e/o la preesistenza.

La perfezione dell’universo va considerata in rapporto alla specie e non agli individui. Le anime umane sono diverse non secondo la specie ma secondo il numero.

Anche il riposo di Dio dopo la creazione va inteso nel senso della cessazione nel creare nuove specie e non nuovi individui.

 

Occorre esaminare attentamente anche la Tradizione della Chiesa, per poter capire la questione posta pur mantenendo i limiti imposti dalla sinteticità di questo lavoro:

L’insegnamento della Chiesa non ha mai ammesso in alcun modo l’idea della reincarnazione delle anime.

I Padri della Chiesa non hanno mai avallato tale dottrina ma al contrario vi si sono opposti.

Spesso i sostenitori della reincarnazione citano espressioni dei Padri, attribuendo loro l’avallo per tale dottrina. In realtà tali citazioni sono estrapolate ad arte, togliendo le parti che servono a concludere il loro pensiero sulla questione.

Un esempio tipico è la citazione di S.Gregorio di Nissa il quale trova un elemento positivo nella teoria della reincarnazione solo perché attribuisce all’anima il suo carattere di immortalità, (e i reincarnazionisti se ne fanno un loro portabandiera) ma passa poi a confutare sistematicamente tale dottrina dichiarandola dettagliatamente incompatibile con la fede cristiana (ma di questo i reincarnazionisti non fanno cenno). E’ il solito vecchio sistema di cui si sono serviti sempre i contrabbandieri dell’errore a scapito della verità.

S.Agostino nel "De Civitate Dei" dichiara inaccettabile la reincarnazione e inconciliabile con la fede cristiana: oltre ad altri motivi che gli fanno ritenere stravagante questa dottrina, egli dice che l’amore per Dio e per il prossimo risulterebbe paralizzato già solo dall’idea di doversi reincarnare ciclicamente nella prigione del proprio corpo.

Per concludere è opportuno ricordare che la fede cristiana pone al centro la certezza nella resurrezione dei corpi, non nella reincorporazione in altri corpi ma resurrezione proprio del corpo che abbiamo avuto dal nostro concepimento e per tutta la durata dell’unica vita vissuta.

Se si tiene conto che secondo la fede nella resurrezione della carne, ogni corpo vissuto sulla terra dovrà riavere la propria anima ne consegue che non è possibile accettare la fede della reincarnazione che ammette invece che una singola anima possa venire in più corpi.

Diverse persone riferiscono di ricordarsi di vite passate, o sotto ipnosi o sotto altre forme di coscienza; questa condizione non dimostra che si tratti di reincarnazione, in quanto può trattarsi di condizionamento psicologico o da parte dell’ipnotizzatore o addirittura da parte del "padre della menzogna" che è perfettamente capace di suscitare nell’immaginazione visioni, percezioni, ricordi, con parvenza di realtà.

Sorge allora legittima la domanda: in che modo verranno scontate tante colpe non eccessivamente gravi, che comunque ci rendono indegni della salvezza eterna? Non sarebbe necessario un ritorno in un nuovo corpo per scontarne la pena?

La risposta della fede a questa domanda è il PURGATORIO e non la reincarnazione ( cf. il relativo argomento trattato il questo sito sotto il titolo PURGATORIO).

Il presente lavoro non esaurisce l’argomento ma rappresenta una sintesi . Si spera di aver comunque fornito un quadro sufficientemente chiaro

Si risponde alla seguente obbiezione:

<Elia non poteva essersi incorporato nel Battista il quale quindi profetava "con lo spirito di Elia", cioè con la sua forza, con il vigore e l’autorità che era stato dato ad Elia >

Si può anche interpretare così, anche se però l'affermazione di Gesù mi sembra abbastanza precisa e categorica "Elia è già tornato, ma non è stato riconosciuto" Secondo l'interpretazione di cui sopra, l'affermazione dovrebbe essere così formulata: "Battista ha profetato con la forza, il vigore e l'autorità di Elia, ma voi non avete compreso"

Non mi sembra che le due frasi dicano la stessa cosa.

Mi sembra anche strano che Pietro abbia potuto fare una simile domanda se non fosse stato a sua volta convinto di ciò che la tradizione affermava. Eppure Gesù non lo corregge. Mah!

Risposta:

Mt 11,14. E, se lo volete accettare, Egli è l'Elia, che doveva venire.

Qui Gesù cita un  passo del profeta Malachia 4:5 : «Ecco io vi mando Elia il profeta prima che venga il giorno dell'Eterno, giorno grande e spaventevole». Tratti in errore dalla versione dei 70. che rendono questo versetto colle parole: «Ecco io vi mando Elia il Tisbita», gli Ebrei aspettavano letteralmente che Elia il Tisbita riapparisse (tornando dal cielo dove era stato assunto col proprio corpo) prima della venuta del Messia.

Ma Gesù dice loro implicitamente che ciò era un errore, poiché la profezia era già stata adempiuta, essendo il promesso precursore non altri che Giovanni (il quale aveva avuto una nascita regolare). È da osservare, che né la testimonianza di questo versetto, né quella simile recata da nostro Signore in Matteo 17:12sono in contraddizione con la negativa di Giovanni, non essere Egli Elia Giovanni 1:21 ; poiché la domanda fattagli si riferiva evidentemente alla riapparizione di Elia il Tisbita in persona.

Mat 17,10-12 Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.

Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro».

Mc 9,11. Poi gli domandarono, dicendo: Perché dicono gli Scribi, che prima deve venire Elia?

Sapendo, che una volta raggiunti gli altri discepoli, non sarà loro più lecito di parlare del notevole evento di quella notte, essi colgono l'occasione per chiedere spiegazioni intorno ad una difficoltà che la vista di Elia aveva fatta venire in mente loro . Gli Scribi, citando le Scritture, insegnavano che prima che fosse apparso "l'Angelo dei Patto" (il Messia), Elia doveva apparire. Or come potea ciò conciliarsi con l'avvenuta apparizione di Elia in quella notte stessa? Essi credevano che Gesù il Messia; ma perché dunque non l'aveva Elia preceduto? Era forse quella breve apparizione di Elia sulla scena della trasfigurazione l'adempimento della profezia e né devono essi tre soli, fra tutto il popolo, essere i testimoni? E perché Elia non era egli rimasto con loro? Ovvero doveva egli apparire ancora e, in tal caso, perché questa inversione nell'ordine degli eventi?

Vedendo che con tale divieto non ci sarebbe modo di chiedere spiegazioni in appresso, e con l'animo pieno della scena di cui erano stati testimoni, i discepoli colgono avidamente l'occasione di farsi sciogliere una difficoltà intorno alla vaticinata venuta di Elia quale precursore de Messia. Se Gesù era il Messia (e di ciò non poteva esserci più alcun dubbio dopo quello che avevano pure allora veduto e udito), come dunque Elia non era ancora apparso secondo le profezie? Ovvero questa breve apparizione, sulla cima di una montagna della Galilea, nel mezzo della notte, la presenza non d'altri testimoni che di essi tre discepoli, doveva considerarsi come l'adempimento della profezia di Malachia? Gesù spiega loro che di Giovanni Battista parlava il profeta, perché Giovanni doveva venire nello spirito e nella virtù d'Elia, onde porre mano alla riforma morale d'Israele e preparare la via del Signore. Tutti i discepoli conoscevano già la sua storia quale Precursore .

L'apparizione di Elia nella sua gloria riconduceva naturalmente i loro pensieri alla popolare credenza che, innanzi alla venuta del Messia, dovesse quel profeta apparire in persona sulla terra. La spiegazione data da Cristo Matteo 11:14 , che Giovanni Battista era venuto (da intendersi nello spirito e colla potenza di Elia), e come suo precursore in adempimento della profezia di Malachia, era stata o dimenticata o non mai compresa da loro. Se prima della trasfigurazione essi avevano conservato qualche dubbio, dopo di essa non potevano più dubitare che Gesù fosse il Messia. Essi avevano veduto coi loro propri occhi il vero Elia che era stato assunto in cielo, e certamente nessuno che avesse la minima rassomiglianza con esso aveva preceduto Cristo; quindi la domanda: "Come dunque dicono gli Scribi che conviene che prima venga Elia?". Con pazienza grandissima il Signor nostro spiegò loro di nuovo ciò che a loro stessi aveva già detto, intorno a Giovanni, e questa volta la verità rifulse ai loro intelletti, ed essi l'accolsero.

La maggior parte dei Padri primitivi, gli scrittori Cattolici in genere, e molti scrittori moderni, ritengono che questa venuta di Elia debba ancora avverarsiletteralmente e servire d'introduzione alla seconda venuta del Signore. Essi son d'avviso che la profezia di Malachia, non sia stata ancora adempiuta definitivamente, perché il Battista non andò davanti al Signore, se non "nello spirito e virtù d'Elia".

 

Gv 1,21. Ed essi gli domandarono: Che sei adunque? (letteralmente: che dunque?) Sei tu Elia? Ed egli (Giovanni) disse: Io non lo sono.

I Giudei aspettavano in quei tempi (e la aspettano ancora) Elia il Tisbita, che doveva scendere in persona dal cielo, prima della venuta del Messia, e da ciò ebbe origine questa domanda in quel senso personale Giovanni nega di essere Elia, ma non nega di essere l'Elia di cui Malachia profetizzò ( 4:5) poiché subito dopo dichiara di essere stato mandato per preparare la via del Signore. Mentre corregge le loro false nozioni sopra Elia, spiega il suo vero carattere e la sua missione in modo così chiaro che essi avrebbero potuto comprendere essere egli l'Elia annunziato dal profeta (Matteo 9:14 );; Marco 9:11 -13

Considerazione

Giovanni Battista nega di essere Elia, Gesù invece dice che lo era. Sono essi in contraddizione?

Se Giovanni era un vero profeta non avrebbe potuto affermare di sè una cosa falsa. Tutt'al più se non lo sapeva, avrebbe dovuto dirlo. Ma invece lo negò esplicitamente. Infatti non era Elia il Tesbita e diceva il vero.

Gesù allora perchè diceva che Battista era Elia? Perchè indicava così il messaggero che avrebbe preparato la sua missione e diceva ugualmente il vero.

Solo in tal modo si capisce sia l'affermazione dell'annunziatore che dell'Annunziato, circa l'identità del Battista.

Eb 9,27 E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio...

Questa espressione è vincolante per la nostra fede tanto più che non è diversamente interpretabile da come appare esplicitamente; infatti

Il Concilio ecumenico Vaticano II, parla - citando Eb 9,27- dell'«unico corso di questa vita terrestre»:

«Siccome poi non conosciamo il giorno ne l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinchè, finito l'unico corso della nostra vita terrena (cfr. Eb 9,27), meritiamo di entrare con Lui nel banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati (cfr. Mt 25,31-46), ne ci si comandi, come a servi cattivi e pigri (cfr. Mt 25,26), di andare al fuoco eterno (Mt 25,41), nelle tenebre esteriori dove "ci sarà il pianto e lo stridore dei denti" (Mt 22,13 e 25,30) ».

Dagli atti del Concilio ricaviamo che l'inciso fu aggiunto al testo conciliare e approvato con una precisa intenzione anti-reincarnazionista.

Se guardiamo poi le cose con un pò di attenzione, dobbiamo constatare che la reincarnazione è esclusa dal magistero costante della Chiesa cattolica, anche solenne e definitorio, in modo implicito, perché risultano condannati punti di dottrina che sono assolutamente solidali con la teoria della reincarnazione, sotto qualunque forma la si voglia concepire.

Così non si può sostenere la reincarnazione senza sostenere anche la preesistenza delle anime, che è stata esplicitamente condannata dalla Chiesa durante il Sinodo di Costantinopoli del 553 e nel Concilio di Braga del 561.

Non si può sostenere la reincarnazione senza ammettere che il giudizio non segue sempre e immediatamente la morte. Ora, la Chiesa ha definito solennemente che alla morte segue sempre immediatamente il giudizio e le anime vanno subito (mox), a seconda delle colpe e dei meriti, in purgatorio, all'inferno o in paradiso.

Chi sostiene la reincarnazione deve necessariamente professare una antropologia in cui l' anima intrattiene con il corpo un legame accidentale, mentre la Chiesa ha definito che l'anima è la forma del corpo, cioè il legame dell'anima con il corpo è essenziale.

Chi sostiene la reincarnazione deve ritenere che la resurrezione dei corpi non avviene per riassunzione del proprio corpo, ma - nella migliore delle ipotesi ( II reincarnazionismo tende almeno a una concezione della salvezza di natura radicalmente spiritualista: il cammino della perfezione attraverso i corpi ha come meta definitiva uno stato non più corporeo La presenza nel corpo e infatti una pena e una punizione) -di un altro corpo, mentre il magistero insiste a parlare di «proprio» corpo, di identità reale fra il corpo terreno e il corpo glorioso.

Secondo il magistero della Chiesa infatti la resurrezione sarà «nei loro corpi» (Simbolo «Quicumque»), «con i loro corpi» (II concilio Ecumenico di lione, Professione di fede cit, DS 859; e Solenne professione di fede di paolo VI [1968], n° 28, bn-chindion Vaticanum, voi 3, n" 564), «in questa carne, in cui ora viviamo" (Formula detta «Fides Damasi», DS 72), «la risurrezione di questa stessa carne che abbiamo, e non di un'altra» (Professione di fede prescritta ai Valdesi [ 1208], DS 797), «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti» (concilio ecumenico Lateranensis IV [1215], Capitolo «Firrmter» contro gli Albigesi e i Catari, DS 801)

Di recente Giovanni Paolo II ha sintetizzato così questo insegnamento costante della Chiesa cattolica: «La speranza cristiana ci assicura inoltre che l "esilio dal corpo" non durerà e che la nostra felicità presso il Signore raggiungerà la sua pienezza con la risurrezione dei corpi alla fine del mondo. [...] una vera e propria risurrezione dei corpi, con la piena reintegrazione delle singole persone nella nuova vita del cielo, e non una reincarnazione intesa come ritorno alla vita sulla stessa terra, in altri corpi».**

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14/09/2012 12:39
 
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     Origene viene citato dai reincarnazionisti come esempio di sostenitore delle loro dottrine.
Ma vediamo come stanno le cose.

Origene si occupa di alcuni passi biblici che vengono addotti dagli gnostici come prova della reincarnazione. Nel suo commentario a san Giovanni prende in esame la complicata questione di Elia. In Gv 1,21 il Battista alla domanda: «Sei Elia?», risponde: «No». Eppure, secondo Luca, l'angelo del Signore rivela a Zaccaria che Giovanni opererà «con lo spirito e la forza di Elia» (Lc 1,11.17); e Gesù stesso in Mt 11,14 dice: «Egli è Elia che deve venire».

«Quanto alla prima domanda - commenta Origene - ( Contro Celsum III, 75, in Contro Celso, trad. di Aristide Colonna, UTET, Torino 1971, pp. 287-288.) qualcuno sosterrà che Giovanni non aveva coscienza di essere Elia: e forse di questo [passo] si serviranno coloro che su tali fondamenti aderiscono alla dottrina della metensomatosi, secondo cui l'anima si rivestirebbe di [nuovi] corpi obliando completamente le vite precedenti. Costoro aggiungeranno che anche alcuni tra i Giudei seguivano tale dottrina in quanto dicevano del Salvatore che era forse uno dei profeti antichi risorto non dalla tomba ina dalla nascita. Come avrebbero potuto infatti pensare che fosse uno dei profeti risorto dai morti, dal momento che Maria era indicata come sua madre e Giuseppe il falegname era ritenuto suo padre? [...] Un altro che sia però [veramente] uomo della Chiesa (ekkiésiastikos) respingerà decisamente come falsa la dottrina della metensomatosi e, quindi, non ammetterà che l'anima di Giovanni fosse una volta Elia, fondandosi sulle parole dell'angelo sopra citate, in cui si parla, a proposito della nascita di Giovanni, non di anima bensì di spirito e di potenza di Elia: "Egli andrà innanzi a lui con lo spìrito e la potenza di Elia, per riportare i cuori dei padri nei figli" (Lc 1,17). Egli è in grado di documentare la distinzione tra spirito e anima e tra quella che è detta potenza dello spirito e quella dell'anima con infiniti passi scritturali, che non è il caso qui e ora di citare in lungo e in largo, per non portare il discorso troppo per le lunghe. Basterò qui -a provare come la potenza sia distinta dallo spii no -quel passo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà" (Lc 1,35). A provare che gli spiriti che sono nei profeti sono considerati, per così dire, proprietà dei profeti stessi, in quanto loro donati da Dio, basterà quel passo: "Ma gli spiriti dei profeti devono essere sottomessi ai profeti" (2 Cor 14,32): e quell'altro: "Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo" (4 Re 2,15). E pertanto non è per nulla assurdo che Giovanni, il quale con questo spirito e questa potenza di Elia riporta i cuori dei padri nei figli, in virtù di questo spirito sia chiamato Elia che deve tornare. Costui proverà la sua affermazione anche con questo ragionamento: se il Dio dell'universo è fatto proprio dai santi fino al punto da esser chiamato loro Dio (è detto infatti "Dio di Abramo e Dio di Isacco e Dio di Giacobbe" [cfr. Es 3,6] ), a ben maggior ragione lo Spirito Santo è fatto proprio dai profeti tanto da esser chiamato Spirito dei profeti, per esempio, di Elia e di Isaia».( in loannem, libro VI, par. 64-68; Commento al Vangelo di Giovanni, a cura di Eugenio Corsim, UTET, Tonno 1968, pp 305-308.)

Elia - spiega in seguito Origene - non è morto, ma è stato assunto in cielo, quindi il suo ritorno non sarebbe una nuova incorporazione, ma il ritorno di un vivente.

In Mt 14,1-2 Erode dice ai suoi cortigiani di Gesù: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti». Da questo alcuni concludono che Erode credeva nella reincarnazione. Origene, nel commentario a Matteo, respinge questa interpretazione:

«Dirà poi qualcuno che Erode e certuni del popolo aderivano a quella falsa dottrina della trascorporazione [metensòmatòseòs pseudodoxia], dalla quale erano indotti a credere che costui fosse stato una volta Giovanni quando era nato ed era ritornato dai morti alla vita come Gesù, ma che tale falsa opinione [auté he pseudo-doxza\ sia da considerarsi probabile è impedito dal tempo di non più di sei mesi che è intercorso fra la nascita di Giovanni e quella di Gesù». (Commentanum inMatthaeum 10, 20 (inJacques-Paul Migne [a cura di]. Patrologia Greca, Pangi s.d., XIII, 887).

Spiegando il passo di Mt 15,21-28 a proposito dei cagnolini che raccolgono le briciole sotto la tavola, passo anch'esso interpretato in senso reincarnazionista (le anime dei cagnolini sarebbero anime di uomini caduti in corpi di animali), Origene fornisce una importante chiave di interpretazione metaforica della reincarnazione, che si riduce così a un'immagine da non prendersi alla lettera.

«Altri, completamente estranei alla dottrina della Chiesa [xenoi tou ekkiészastikou logou\, pensano che le anime passano dai corpi umani nei corpi di cani secondo la loro diversa malvagità: noi invece, che non troviamo niente di simile nella divina Scrittura, affermiamo che c'è un passaggio dalla condizione di più spirituali a quella di meno spirituali, e la si subisce per la troppa ignavia e negligenza. Slmilmente succede che una volontà povera di spirito per aver trascurato il Logos, si converta, così da diventare spirituale, come colui che una volta era cagnolino, bramoso di mangiare le briciole che cadevano dalla mensa dei suoi padroni, consegua lo stato di figlio. Poiché molto contribuisce la virtù a che uno divenga figlio di Dio, mentre il male, il furore delle parole violente e l'impudenza a far si che, secondo le parole della Scrittura, sia chiamato "cane". Allo stesso modo interpreterai gli altri nomi presi da animali privi di ragione».23

E Origene non respinge solo la reincarnazione di anime umane in corpi di animali, ma anche il passaggio da corpi umani ad altri corpi umani.

Contro Celsum IV, 17 «Se egli avesse compreso, qual destino attende l'anima nella eternità della vita futura, e che cosa si deve pensare veramente sulla sua essenza e sulla sua origine, egli [Celso] non avrebbe messo in burla, come fa, l'avvento di un essere immortale in un corpo mortale, inteso non secondo la dottrina platonica della trasmigrazione dell'anima, ma secondo una più alta speculazione» (trad cit di A Colonna, p 311)

Da questi testi si comprende bene che il pensiero di Origene riguardo alla reincarnazione è chiaro e segue l'insegnamento della Chiesa che respinge tale dottrina.

Documentazioni varie:

dal libro CRISTIANESIMO E REINCARNAZIONE di Pietro Cantoni (Pag.12-17)

La dottrina della reincarnazione era estranea nell’ebraismo veterotestamentario.

(Per la concezione ebraica veterotestamentaria) l'uomo non è un'anima a cui è aggiunto un corpo, cosi come non è neppure soltanto un corpo animato. Nella Sacra Scrittura è sottolineata prepotentemente l'unità dell'uomo, senza escludere la sopravvivenza di "qualcosa" dopo la morte. Una sopravvivenza però che tende a reintegrare l'unità perduta, tende cioè alla resurrezione "della carne", un evento che solo l'intervento di Dio può produrre.

Così è innegabile che la concezione biblica più arcaica conosce una sopravvivenza dell'uomo in uno stato umbratile. Ciò che sopravvive sono i refaim, i "deboli". Si tratta di una visione delle cose sostanzialmente uguale a quella omerica. I refaim stazionano nello Scheol, che si divide in settori diversi, secondo il comportamento degli uomini in vita. Si tratta però sempre di un luogo sotterraneo. I refaim sono inoperosi e incapaci di ricordare e conoscere qualcosa della vita terrena.

Nei testi dell'Antico Testamento e nell'antropologia che riflettono non vi è dunque posto per la reincarnazione. Sono i cabbalisti che ve l'hanno trovata -usando però solo di un metodo allegorico molto spinto - in un periodo lontanissimo da quello della redazione dei testi sacri.

In tutta la tradizione giudaica non troviamo niente di sicuro a monte dell'VIII-X secolo, se si eccettua il caso di Filone d'Alessandria (circa 20 a.C.-50 d.C.).6

"Non vi è la prova definitiva dell'esistenza della dottrina del gilgul (Letteralmente "giro" della ruota), è il termine ebraico per "reincarnazione". Nel Giudaismo durante il periodo del Secondo Tempio. Nel Talmud non vi è riferimento ad essa".

I principali filosofi ebrei del Medioevo (per esempio Maimonide) l'hanno respinta.

In contrasto con la cospicua opposizione della filosofia, la trasmigrazione viene data per scontata nella Gabbala sin dalla sua prima espressione letteraria: ilSeferha-Bahir (tardo XII secolo, nella Francia meridionale) .9 II fatto che nel Bahirnon ci sia traccia di apologetica della dottrina deporrebbe a favore di una sua origine più antica, forse risalente addirittura alla fine del periodo del Secondo Tempio. È certo comunque che a partire dal Bahir la trasmigrazione diventa una delle dottrine più importanti della Cabbala.

"E un atto della misericordia divina che egli dia all'anima, che dovrebbe essere completamente annientata nell'inferno, una chance di purificarsi per mezzo di una nuova, anche se necessariamente dolorosa, migrazione". Questa è la concezione di Scèscet di Mercadell, un cabbalista catalano della scuola del Nachmanide.

Dal caso isolato di Filone tuttavia non si può assolutamente concludere a una reincarnazione diffusa in Israele come credenza popolare talmente radicata da essere data per scontata e da non meritare perciò nessuna particolare menzione. Un'affermazione categorica del genere sarebbe assolutamente gratuita, perché -come abbiamo già detto - noi possiamo risalire con certezza, nella documentazione sulla reincarnazione in ambiente giudaico, a parte il caso di Filone, non oltre l’VIII-X secolo d.C.

( Cfr idem, Le origini della Kabbala, cil ,pp 238-239 Scholem fa riferimento alla testimonianza di Sa'adia in polemica contro certi ebrei che sostengono teorie stravaganti di un autore arabo - Al Baghdadi -, il quale afferma che ci sono ebrei favoreli alla trasmigrazione delle anime e al Libro delle luci di Anan, considerato il precursore del Qaraitismo. Si tratta quindi di circoli marginali rispetto alla grande tradizione del Giudaismo).

Sarebbe poi anche altamente inverosimile perché, come nota acutamente K.Hoheisel: "Simili fenomeni sono assolutamente noti alla storia di Israele. Così il culto sulle alture appartenne evidentemente per secoli, nell'Israele preesilico, a ciò che era ovvio e quindi non propriamente tramandato. Ciò nondimeno era già, prima che la polemica dei profeti lo mettesse al centro dell'interesse, perlomeno un piccolo capitolo marginale nella storia religiosa di Israele", e comunque sempre degno di una qualche menzione. Ma di una qualche testimonianza chiara su una credenza nella reincarnazione non c'è proprio la minima traccia.

Nel periodo intratestamentano dobbiamo tuttavia valutare anche le testimonianze di Giuseppe Flavio (e 11-ca 38-dopo il 100 d.C.). Questi attribuisce ai farisei la credenza alla "potenza dei virtuosi di ritornare in vita".

Ma si tratta solo della credenza nella resurrezione dei corpi, come dimostra l'analogo termine di 2 Mac 7,9 e altri passi chiari. Giuseppe Flavio, nell’opera Antichità giudaiche (18,14) dice che gli esseni conducevano un tipo di vita simile a quella dei pitagorici. Ma anche qui non ci sono elementi per concludere a una credenza nella reincarnazione, soprattutto se si riflette sul fatto che le fonti dirette degli esseni che possediamo dopo i ritrovamenti di Qumràn non accennano minimamente a esistenze successive in corpi diversi, mentre sembra attestata la fede nella resurrezione.

In definitiva, l'unico punto dell'Antico Testamento dove troviamo una affermazione che presenta una qualche rilevanza per il nostro problema, è nel libro della Sapienza, dove leggiamo queste parole poste sulla bocca di Salomone:

"Ero un fanciullo di nobile indole, avevo avuto in sorte un'anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia" (Sap 8,19-20).

Questo testo è interpretato diversamente da cattolici e protestanti. La maggioranza degli esegeti protestanti (che ritengono il libro non canonico, cioè "apocrifo") non ha difficoltà a riconoscere che il versetto 20 insegna la preesistenza delle anime. Mentre vi è unanimità presso gli esegeti cattolici nel considerare che, se il versetto preso isolatamente potrebbe anche riflettere questa dottrina, ciò però contraddice apertamente il contesto (cfr. Sap 15,11 e 7,1-2) e non si compone con le dottrine preesistenzialiste di Platone o Filone da cui lo si vorrebbe influenzato. Infatti, a costoro è estranea una concezione secondo la quale all'anima è attribuito un corpo in funzione della sua bontà o cattiveria. Per Platone l'anima è inquinata dal suo contatto con il corpo e per Filone sono le anime cattive che entrano nei corpi. L'autore non avrebbe invece in vista altro scopo che quello di sottolineare il primato qualitativo dell'anima nel contesto di una creazione simultanea. Ammesso comunque (e non concesso) che si parli di preesistenza, anche in questo caso non vi è l’idea della reincarnazione.


I sostenitori della reincarnazione portano alcuni brani estrapolati dai padri della Chiesa come ad esempio:

SAN CLEMENTE ALESSANDRINO (150-220 d.C.)
Negli Stromata, vol. 3, p. 433 (Édition des Bénédictins), san Clemente afferma che, sebbene l’uomo sia stato creato dopo altri esseri, "la specie umana è più antica di tutte queste cose". Nel suo Protreptico (Esortazione ai pagani), scrive:
Noi esistevamo lungo tempo prima della fondazione del mondo; avevamo vita nello sguardo di Dio, perché il nostro destino è vivere in Lui. Noi siamo le creature ragionevoli del Verbo Divino; pertanto, abbiamo avuto esistenza fin dal principio, perché in principio era il Verbo… Non è per la prima volta che Egli si dimostra pietoso verso di noi quando erriamo, Egli ebbe pietà di noi fin dal principio
....

Clemente in verità si appoggia a ciò che dice s.Paolo in Ef.1,4: "...Egli ci elesse in lui (Gesù) PRIMA DELLACREAZIONE DELMONDO, perchè fossimo santi e immacolati....predestinandoci ad essere suoi figli adottivi..." ciò che intende dunque s.Clemente è completamente diverso dalla reincarnazione.


Il senso di quanto afferma Clemente Alessandrino in quelle parole del Protreptico, si comprendono ancora meglio alla luce dei seguenti brani in cui egli confuta le tesi di Giulio Cassiano e di Marcione, secondo i quali la condizione terrena dell’uomo è una discesa dell’anima decaduta in corpi degeneri:

Dagli Stromati III Cap 17/ 13 /14

quell'illustre signore (il docetista Giulio Cassiano) ritiene - in maniera troppo platonica! - che l'anima, divina di origine, effeminata dal desiderio, scenda dall'alto quaggiù alla generazione e alla morte .

Capitolo 17

Se la generazione è un male, dicano pure quei blasfemi che nel male era il Signore che ha partecipato della generazione, nel male la vergine che lo generò. Ahimè, che malvagi! Essi bestemmiano la volontà di Dio e il mistero della creazione quando inveiscono contro la generazione! Di qui il docetismo di Cassiano e di Marcione; di qui il " corpo psichico " di Valentino. Essi dicono: " L'uomo diventò simile al bestiame ", venendo all'accoppiamento. No: quando tutto preso dall'orgasmo vuoi montare su un letto altrui, allora sì l'uomo s'imbestia. " Divennero cavalli pazzi per le femmine: ognuno nitriva dietro la moglie del vicino". E il serpente poi avrebbe contratto dagli animali privi di ragione l'attitudine al consiglio insidioso * e avrebbe a poco a poco persuaso Adamo ad acconsentire all'unione con Èva, come se i progenitori non avessero avuto questa facoltà per natura, secondo alcuni pretendono: così si calunnia di nuovo la creazione d'aver foggiato la natura umana inferiore a quella dei bruti, al cui modello si sarebbero conformati i primi creati da Dio. Invece la natura stimolava loro, come i bruti, alla procreazione, ma essi si lasciarono eccitare prima di quanto fosse loro conveniente, giovani comperano, fuorviati da un inganno: e allora giusto fu il verdetto di Dio contro di loro, che non seppero attendere l'ordine della sua] volontà; ma santa è la generazione, per la quale si è formato il mondo, e gli esseri vivi, e le nature angeliche e le potenze e le anime e i comandamenti e la legge e il Vangelo e la "gnosi" di Dio! "Ogni carne è erba e ogni gloria di uomo è come fiore di erba; e l'erba si secca e il fiore cade, ma la parola del Signore dura", quella parola che ha consacrato la nostra anima e l'ha unita allo Spirito. E d'altra parte il piano divino che si attua per noi nella chiesa come poteva raggiungere il suo fine senza il corpo? Mentre Egli stesso, il "capo della chiesa", venne sulla terra nella carne, benché " brutto e malformato nell'aspetto ", insegnandoci così a volgere lo sguardo alla natura invisibile e incorporea della Causa divina.

Capitolo 14

Ed ecco che egli vuoi forzare Paolo a sostenere che la generazione consiste in un inganno, là dove dice: " Temo che, come il serpente ingannò Èva, i vostri pensieri si corrompano traviando dalla semplicità che conduce a Cristo"

A vero dire il Signore venne, come tutti ammettono, "per [risanare] ciò che è perduto"

ma perduto non [perché calato] dall'alto fino alla nostra generazione qui sulla terra . La generazione è creata ed è creazione dell'Onnipotente, che non avrebbe mai fatto calare l'anima da una condizione migliore ad una peggiore. Il Salvatore venne per quelli che son perduti nei pensieri, venne per noi: i nostri pensieri si corruppero in seguito alla disobbedienza ai comandamenti, per la nostra avidità di piaceri. E ciò forse perché il nostro primo progenitore anticipò il tempo, cioè si lasciò eccitare alle lusinghe del matrimonio prima del momento stabilito, e peccò: poiché " chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei"

4. Così egli non attese il momento della volontà [divina]. Era dunque il medesimo Signore che anche allora condannava la concupiscenza che previene il matrimonio. E quando l' apostolo dice: "Rivestitevi dell'uomo nuovo, che è creato secondo Dio ", parla a noi, plasmati come siamo stati plasmati dalla volontà dell'Onnipotente, e parla di " vecchio " e " nuovo " non in rapporto a generazione o rinascita, ma alla vita condotta nella disobbedienza e nell'obbedienza.

-

"Sopravvesti di pelle" chiama Cassiano i corpi: e qui dimostreremo poi che sono in errore lui e quanti la pensano come lui, quando intraprenderemo la spiegazione dell'origine dell'uomo come logica prosecuzione di ciò che deve essere detto prima. Poi dice: "Quelli che sono soggetti ai rè della terra generano e sono generati ", " invece la nostra patria è nel cielo, donde anche attendiamo il Salvatore". Che anche queste siano parole vere, pure noi lo sappiamo, giacché dobbiamo comportarci come " ospiti e pellegrini ", gli sposati come non sposati, i possidenti come non possidenti, quelli che hanno figli come padri di esseri mortali, come preparati a lasciare le ricchezze, a vivere pure senza moglie, se sarà necessario": non usando appassionatamente delle cose create, ma " con animo pieno di gratitudine " e sapendo di esserne superiori.

</DIR>

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Da quanto sopra si ricava che il pensiero di Clemente non ammette neppure la dottrina della preesistenza delle anime, ipotizzata da Origene. Questo risulta evidente leggendo tutti i capitoli dal 13 al 17 della terza parte degli Stromati.

I sostenitori della reincarnazione solitamente prendono isolatamente talune espressioni patristiche e gli fanno concludere cose diverse da quello che i padri volevano dire. Ma solo leggendo per intero il loro pensiero, e confrontandoli con altri loro scritti, si arriva a comprendere cosa effettivamente volevano dire.

La stessa operazione di estrapolazione fuori contesto e privo di ricostruzione critica fatta per Clemente è stata fatta per Agostino, Gerolamo, Gregorio di Nissa, Giustino ed altri, i cui scritti testimoniano esplicitamente o implicitamente che la dottrina sulla reincarnazione è estranea al pensiero della Chiesa primitiva e successiva.

I sostenitori della reincarnazione citano perfino Agostino:

 

DALLE CONFESSIONI DI SANT’AGOSTINO: “ Quando, Oh, Signore, ho io peccato? Quando ero nell'utero di mia madre o prima che io fossi? La mia infanzia seguirà ad altra età già morta? o prima ancora? E dove e chi io fui? Ho io peccato o i miei genitori?..." 
E in altra occasione dice: Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la filosofia, ha finalmente dissipato le tenebre dell’errore e ora traspare soprattutto attraverso Plotino, platonico così simile al suo maestro che crederesti abbiano vissuto l’uno insieme all’altro, o meglio (dato che così lungo periodo di tempo li separa) che Platone sia rinato nella persona di Plotino.

[Modificato da Credente 14/09/2012 12:40]
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14/09/2012 12:41
 
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Al fine di far comprendere bene le cose a chi ci legge, desidero fare chiarezza anche sul pensiero di questo grandioso padre della Chiesa, che purtroppo molti citano fuori contesto e continuano poi ad attribuirgli una idea completamente estranea, anzi contraria, alla sua fede, come nel caso in questione.


 


Con quelle parole Agostino non intende affatto avallare la dottrina della reincarnazione (che egli chiama metemsomatosi o metempsicosi)


Esprimeva solo le domande che ogni anima e quindi anche lui si pone,  a cui non fa seguito in quel momento, la sua risposta.


Per quanto riguarda la somigliana di Platone con Plotino dice solo che erano così simili da sembrare la stessa persona (usa infatti il termine "crederesti") .


 


In questi capitoli della CITTA' DI DIO Agostino articola molto bene il suo pensiero riguardo alla dottrina della reincarnazione e quindi dissipa del tutto ogni dubbio al suo riguardo.


 


dal libro 12


L'insipiente teoria ciclare.
20. 1. Le orecchie dei credenti infatti non sopportano di udire che li attende un simile destino (il ritorno alla vita terrena, di cui stava parlando nel capitolo precedente -ndr)  dopo aver trascorso in mezzo a tante sventure la vita, seppure si può considerare vita questa che è piuttosto una morte, e tanto grave, che la morte che da essa ci libera si teme per amore di questa morte. Dunque dopo sì grandi, molteplici e orribili mali, superati nella purificazione mediante la sapienza della vera religione, si giungerebbe alla visione di Dio e così si diventerebbe beati nella contemplazione della luce ideale mediante la partecipazione alla sua immutevole immortalità, obiettivo finale del nostro amore ardente, per poi abbandonarla in base a una fatale necessità. E coloro che l’abbandonano, scagliati fuori da quella immortalità, verità, felicità, sarebbero risommersi nella mortalità terrena, nella avvilente insipienza, nelle esecrabili passioni, in cui si perde Dio, in cui si ha in odio la verità, in cui si cerca la felicità attraverso i piaceri contaminanti. E questo sarebbe avvenuto in passato e avverrebbe in futuro sempre alla stessa maniera incessantemente, a determinati periodi e lunghezze delle durate antecedenti e successive. E tutto questo perché sia possibile a Dio conoscere le sue opere con cicli stabiliti che eternamente vanno e vengono, attraverso la nostra falsa felicità e vera infelicità, sia pure alternate, ma eterne per l’incessante ripetersi. E questo perché Dio non potrebbe cessare dall’agire e perché non potrebbe cogliere con la scienza l’infinito. Chi potrebbe ascoltare simili idee, chi crederle, chi sopportarle? Ed anche se queste palingenesi fossero vere, non solo sarebbe più prudente non parlarne, ma anche più filosofico ignorarle. Esprimo il mio pensiero come posso. Infatti se nell’aldilà non le conserveremo nella memoria e per questo saremo felici, perché qui dalla loro conoscenza viene resa più pesante la nostra infelicità? Se al contrario di là necessariamente le conosceremo, ignoriamole per lo meno di qua, in maniera che sia più felice di qua l’attesa del sommo bene che di là il suo conseguimento, dato che di qua si attende di conseguire la vita eterna, di là si sa che la vita felice ma non eterna a un certo momento si deve perdere.

Il destino dell'uomo.
20. 2. Ma essi dicono che non si può giungere alla felicità nell’aldilà, se non si conosceranno con la cultura di questo mondo quei cicli, in cui si avvicendano felicità e infelicità. Perché ammettono allora che quanto più si amerà Dio tanto più facilmente si giungerà alla felicità, se poi insegnano queste teorie da cui tale amore è illanguidito?. Chi infatti non amerebbe più fiaccamente e più tiepidamente un essere che sa di dover ineluttabilmente abbandonare e opporsi alla sua verità e sapienza, e questo dopo esser giunto, secondo la propria capacità, alla piena conoscenza di lui nella perfezione della felicità? Non si riesce ad amare fedelmente neanche un amico, se si sa che diventerà nemico. Ma non sono vere quelle palingenesi le quali ci minacciano una vera infelicità che non finirà mai ma che s’interromperà spesso e incessantemente con intervalli di falsa felicità. Non v’è nulla infatti di più falso e ingannevole di una felicità, durante la quale, pur nella immensa luce della verità, ignoriamo, ovvero, pur nel più alto grado della felicità, temiamo di tornare ad essere infelici. Se infatti di là ignoreremo la futura disgrazia, ha maggior conoscenza di qua la nostra infelicità, perché conosciamo la futura felicità. Se poi di là non ci sarà nascosta la sventura imminente, trascorre più serenamente il tempo l’anima afflitta perché, quando esso sarà passato, sarà elevata alla felicità, che l’anima felice perché, trascorso il periodo, dovrà tornare all’afflizione. In tal modo l’attesa della nostra infelicità sarebbe felice e l’attesa della nostra felicità infelice. Ne consegue che sopportando di qua i mali presenti e temendo di là i futuri, siamo destinati ad essere sempre infelici, anziché una volta felici.


20. 3. Ma queste teorie sono falseLo proclama la pietà, lo dimostra la veritàA noi infatti è veracemente promessa quella vera felicità che implica la tranquillità che sempre si deve conservare e mai interrompere. Seguendo dunque la via dritta, che per noi è Cristo 41, con la sua guida che è salvezza, volgiamo il razionale cammino della fede lontano dai futili e insignificanti giri ciclici dei miscredenti. Il platonico Porfirio non volle seguire l’opinione della sua scuola su questi cicli e sulle andate e ritorni delle anime, alternatisi senza fine, sia per reazione all’insignificanza della teoria, sia in ossequio alla cultura cristiana. Preferì sostenere, come ho già detto nel libro decimo 42, che l’anima è stata mandata nel mondo per conoscere il male, affinché liberatasene con la catarsi, una volta tornata al Padre, non torni a subirlo. A più forte ragione noi dobbiamo biasimare ed evitare questo errore contrario alla fede cristiana. Considerate dunque vuote di senso queste palingenesi, nulla ci costringe a pensare che il genere umano non ha un inizio nel tempo da cui è cominciato ad esistere, mentre, secondo questa teoria, nella realtà in base a non saprei quali cicli non ci dovrebbe esser nulla di nuovo che non si sia avuto prima e non si avrà dopo attraverso determinati intervalli. Se infatti l’anima viene liberata per non tornare alla schiavitù, in una forma in cui prima non era stata liberata, avviene in lei qualcosa di nuovo che prima non era mai avvenuto, e questo avvenimento sublime è una felicità eterna che non verrà mai meno. E se nell’essere immortale avviene una novità tanto grande, non ricondotta nel passato e non riconducibile in futuro da alcun ciclo, perché si sostiene che nelle cose mortali ciò non può avvenire? Affermano che non avviene nell’anima il fatto nuovo della felicità perché torna a quella in cui è sempre vissuta. Al contrario la liberazione stessa diviene un fatto nuovo perché l’anima si libera dalla infelicità in cui mai è vissuta e in lei si ha anche il fatto nuovo della infelicità che mai si era avuto. Se poi questa novità non rientra nell’ordinamento delle cose, dirette al fine dalla divina provvidenza, ma avviene fatalmente, dove sono andati a finire quei cicli determinati nel periodo, nei quali non si verificherebbero eventi nuovi ma tornerebbero sempre i medesimi che furono? Se poi questa novità non esula dall’ordinamento della provvidenza, tanto nell’ipotesi della immediata creazione come in quella della caduta, è possibile che avvengano eventi nuovi i quali prima non avvennero e tuttavia non sono estranei all’ordinamento della realtà. È stato possibile per l’anima procacciarsi per impreveggenza una infelicità nuova, che tuttavia non era imprevista per la divina provvidenza, tanto che l’ha inclusa nell’ordinamento della realtà e ne ha liberato l’anima con disegno provvidenziale. Con quale sfrontata leggerezza umana si osa affermare dunque che è impossibile per la divinità creare cose nuove non per sé ma per il mondo, che prima non ha creato e che mai ha tenuto fuori del disegno provvidenziale? Se poi affermano che le anime liberate dalla carne non torneranno più all’infelicità, ma che con questo evento non avviene nulla di nuovo perché sempre anime diverse le une dalle altre sono state liberate, sono liberate e saranno liberate, per lo meno concedono, se questo è il loro pensiero, che nuove anime sono create, per le quali vi sono una nuova infelicità e una nuova liberazione. Se dicono infatti che sono anteriori al tempo e che sono sempre esistite per l’addietro, inoltre che da esse continuamente sono formati nuovi uomini e che, se costoro vivranno nella sapienza, saranno liberati dai loro corpi in maniera da non essere più ricondotti alla schiavitù terrena, vengono necessariamente a sostenere che le anime sono infinite. Infatti per quanto esteso fosse un numero finito di anime, non basterebbe nelle infinite durate anteriori perché da esso derivassero sempre uomini nuovi, nell’ipotesi che le anime, una volta liberate dalla soggezione alla morte, non vi sarebbero mai più tornate in seguito. Quindi non potranno spiegare come sia infinito il numero delle anime nella realtà che, a sentir loro, per essere nota a Dio, deve essere finita.

Inizio e aumento contro l'identico.
20. 4. Dunque quelle palingenesi sono state dimostrate assurde, perché con esse si sostiene che l’anima necessariamente tornerà alle medesime sventure. Quindi la cosa più conveniente che rimane per la pietà è credere che è compossibile a Dio produrre esseri mai prodotti prima e, data la ineffabile prescienza, non porre il proprio volere nel divenire. Riguardo al problema se il numero delle anime liberate e destinate a non tornare alla schiavitù terrena possa sempre aumentare, se la vedano quei tali che fanno discorsi tanto profondi sulla limitazione dell’infinità delle cose. Io per me chiudo questo mio discorso con un dilemma. Nell’ipotesi che l’aumento sia possibile, perché negare che poté esser creato ciò che non era mai stato creato, se il numero delle anime redente, che anteriormente non si era avuto, non si verifica soltanto una volta ma non cessa mai di crescere? Se al contrario è necessariamente stabilito che si dia un determinato numero delle anime liberate destinate a non tornar mai più nell’infelicità e che questo numero non venga accresciuto ulteriormente, anche esso indubbiamente, qualunque sia, prima certamente non si aveva. Difatti senza un inizio non poteva esser accresciuto e giungere alla dimensione della sua grandezza. E tale inizio in questi termini prima non si ebbe. E affinché esso si desse, è stato creato un uomo, prima del quale non ce n’era stato un altro.

Il corpo dopo morte e la metemsomatosi.
19. Ora trattiamo l’argomento che ci siamo proposti, relativo al corpo dei progenitori. La morte considerata buona per i buoni è nota non solo ai pochi intellettuali o credenti ma a tutti, perché con essa avviene la separazione dell’anima dal corpo, e con tale separazione il corpo dell’essere animato, che palesemente viveva, palesemente si estingue. Ma non sarebbe sopraggiunta ai progenitori se non come conseguenza del peccato. Non è giusto dubitare che non sia nel riposo l’anima dei defunti che furono onesti e devoti. Tuttavia sarebbe auspicabile per loro che continuassero a vivere col proprio corpo in piena salute 38 affinché coloro, i quali ritengono felicità somma vivere senza corpo, rifiutino, con un parere contrario, questa loro opinione. Nessuno di essi oserebbe infatti anteporre agli dèi immortali i loro saggi, sia che attendano la morte o siano già morti, cioè o già privi del corpo o in attesa di esserne privi. Eppure in Platone il Dio supremo promette agli dèi un regalo straordinario, cioè la vita imperitura, ossia una sorte comune col proprio corpo. E sempre Platone ritiene che le cose andranno benissimo per gli uomini se condurranno questa vita nella pietà e giustizia. In tal caso, separati dal proprio corpo, saranno accolti sul petto degli stessi dèi, che non abbandonano mai i propri corpi,ossia dimentichi di se stessi guarderanno di nuovo la volta celeste e cominceranno a voler tornare nel corpo 39Così verseggia con originalità Virgilio alludendo alla dottrina platonica. Platone infatti ritiene che l’anima dei mortali non può essere per sempre nel proprio corpo, che si dissolve a causa dell’ineluttabile destino della morte, ma non persiste perennemente senza il corpo. Suppone appunto che si avvicendino ininterrottamente i vivi ai morti e i morti ai vivi. Sembrerebbe che i saggi differiscano dagli altri uomini perché dopo la morte sono condotti sulle stelle. Lassù ciascuno starebbe in pace un po’ più a lungo nell’astro a lui conveniente. Da lì, di nuovo dimentico della infelice condizione di una volta e dominato dal desiderio di avere un corpo tornerebbe agli affanni e tribolazioni dei mortali. Quelli poi che avessero condotto una vita da insipienti tornerebbero in breve ai corpi di uomini o di bestie in corrispondenza alle loro colpe 40. Dunque Platone ha attribuito a questo stato molto penoso anche le anime eminenti per saggezza, alle quali non fu assegnato un corpo con cui vivere in una perenne immortalità. Non possono, meschine, né rimanere nel corpo né senza di esso continuare in una perenne condizione spirituale. Ho detto nei libri precedenti 41 che Porfirio ha dichiarato all’evo cristiano di arrossire di questa teoria platonica. Perciò non solo ha escluso il corpo belluino dall’anima umana ma ha anche affermato che l’anima dei saggi si libera dai legami terreni per rimanere, rifuggendo qualsiasi corpo, perennemente felice presso il Padre. Quindi affinché non sembrasse che era sconfitto da Cristo che promette ai beati la vita perenne, anche egli assegna all’eterna felicità le anime pure per catarsi senza alcun ritorno alle tribolazioni del passato. Ma per contraddire Cristo, negando la risurrezione dei corpi immuni dalla morte, afferma che vivranno per sempre non solo senza il corpo di terra ma assolutamente senza corpo 42. Tuttavia non ha suggerito, con questa teoria di così vaga derivazione, per lo meno che i suoi adepti non ossequiassero con culto religioso divinità con tanto di corpo. La teoria si spiega soltanto perché non ha ritenuto che le anime, anche se non unite al corpo, fossero migliori degli dèi. Dunque i platonici non oseranno, come penso che non oseranno, considerare le anime umane più nobili degli dèi sommamente felici anche se assegnati a un corpo indefettibile. Perché dunque la dottrina cristiana sembra loro un’assurdità? Essa insegna che i progenitori furono creati in tale condizione che, se non peccavano, da nessuna morte sarebbero stati disgiunti dal corpo ma, privilegiati con l’immortalità come premio dell’adempimento della obbedienza, sarebbero vissuti nel corpo per sempre. I beati inoltre avranno il medesimo corpo, nel quale qui in terra furono tribolati, in una forma tale che non possono avvenire corruzione o impedimento alla loro carne e dolore o afflizione alla loro felicità.

Anima e corpo nella risurrezione.
20. Pertanto ora l’anima dei defunti che sono beati non considera penosa la morte per cui è stata separata dal corpo, perché la loro carne, ormai priva di sensibilità, riposa nella speranza 43 anche se ha ricevuto molti maltrattamenti. I beati infatti non desiderano il corpo perché sono nell’oblio, come vorrebbe Platone, ma piuttosto perché ricordano il bene loro promesso da colui che non inganna e che ha dato loro sicurezza sul buono stato perfino dei loro capelli 44. Attendono quindi con fervore e costanza la risurrezione del corpo, nel quale hanno sofferto tante pene che ormai non soffriranno più. Se infatti non odiavano la propria carne 45 quando col potere spirituale la dominavano, se per debolezza resisteva all’intelligenza, molto più l’amano perché anche essa diverrà spirituale. Come infatti lo spirito sottomesso alla carne non impropriamente è considerato carnale, così la carne sottomessa allo spirito è considerata spirituale. Certamente non sarà mutata in spirito, come alcuni pensano interpretando questa frase: È seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale 46. Sarà però sottomessa allo spirito per straordinaria e stupenda compiacenza nell’obbedire fino a raggiungere la serena aspirazione alla indissolubile immortalità con la liberazione da ogni stimolo d’inquietudine, da qualsiasi decomposizione e gravezza.


Anche per quanto riguarda Agostino dunque, come Clemente, è chiaro il suo pensiero sull'argomento.
E la sua ottica rispecchia quella della Chiesa da cui aveva ereditato il pensiero e la dottrina.


[Modificato da Credente 06/12/2023 11:47]
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14/09/2012 12:44
 
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La Reincarnazione
di Bruto M.Bruti

  La dottrina della reincarnazione è, nella sua realizzazione pratica, come una ruota che parte da un punto per fare ritorno nel luogo di partenza. La diversità degli esseri  è  momentanea, presente soltanto nelle esistenze
intermedie che si manifestano fra la partenza e l'arrivo: minerali, poi piante, poi animali, poi uomini fra loro disuguali e infine l'uguaglianza e
cioè uno spirito perfetto, identico.  Secondo tale dottrina gli uomini sarebbero più o meno avanzati a seconda che siano più o meno vicini al punto di arrivo, che è  simile al pleroma gnostico: 
il pleroma gnostico è una sorta di magma originario e indistinto e lo gnostico Basilide  lo chiama apertamente il nulla.

  Nella dottrina della reincarnazione:

A)     gli uomini non hanno più un proprio essere, una propria identità personale: infatti essi non hanno conoscenza delle proprie esistenze anteriori, non possono rintracciare la propria continuità e la propria unicità. Questa amnesia delle esistenze precedenti è in contraddizione proprio con la teoria della reincarnazione la quale presuppone l'esistenza
di uno spirito indipendente dal corpo, cioè di uno spirito che sta nel corpo come una sostanza di natura completa e che pertanto guida il corpo come il pilota guida la nave. Infatti, se  lo spirito è una sostanza in se stessa completa, nel disincarnarsi dovrebbe portare via con sé i ricordi e, senza perdere il possesso di questi, dovrebbe entrare nel nuovo corpo, allo stesso
modo in cui il pilota non perde i propri ricordi nel passare da una nave all'altra.

B)      L'ignoranza(=cioè da ignorare) delle esistenze anteriori rende inutile la reincarnazione. Infatti, considerando l'ignoranza delle esistenze precedenti, non si vede in che modo la reincarnazione possa servire a favorire il progresso individuale. Per i reincarnazionisti la dottrina della reincarnazione servirebbe a far progredire gli individui attraverso vite
successive corrispondenti al loro stato di avanzamento spirituale: questa sarebbe la cosiddetta 
legge del Karma. Perché  l'avanzamento dello spirito possa avere luogo, esso dovrebbe essere perfettamente consapevole dell'esperienza acquisita in ciascuna delle esistenze precedenti, ma come si può realizzare un tale progresso se lo spirito perde il ricordo delle esistenze precedenti?

C) gli uomini non  hanno più una vera famiglia: infatti, per la dottrina della reincarnazione i figli esistevano già prima che i genitori prestassero
loro un corpo in cui incarnarsi. Prima di essere nostri- secondo tale dottrina - i figli furono di altri genitori, che furono probabilmente anche
di altra famiglia, di altra nazione, di altra patria, di altra razza. Gli stessi genitori potranno reincarnarsi in un corpo prestato loro dai figli.

C)      gli uomini non avrebbero più una vera identità sessuale: infatti la reincarnazione può avvenire in un corpo sessualmente diverso dal
precedente. (anche per questo c'è oggi una falsa identità nell'identificarsi omosessuali o assessuati....)

D)     Non ci sarebbe vera differenza fra l'uomo e l'animale: perché possiamo essere stati animali e possiamo esserlo in futuro.

Ammessa la dottrina della reincarnazione diventa facile, da un punto di vista filosofico, giustificare comportamenti devianti come l'incesto, l'omosessualità, la zoofilia. Inoltre, da questo nucleo filosofico reincarnazionista, è inevitabile che abbiamo origine dottrine contrarie alla famiglia e alla giuste e naturali disuguaglianze fra gli uomini

  Dalla dottrina della reincarnazione deriva anche una concezione 
panteista:
l'uomo si salva da solo attraverso successive reincarnazioni e Dio finisce per identificarsi con la somma di tutte le cose. Ma se non esiste più un Dio personale e trascendente, la natura non è più l'opera del Creatore, non è più il frutto del logos, il risultato di un progetto razionale e pertanto non esisterebbero più né verità, né leggi, né diritti assoluti, sacri, inviolabili . La natura diventerebbe soltanto una sorta di materiale nato dal caso, frutto di semplici e momentanei rapporti di forza, un materiale su
cui il più potente ha il diritto di esercitare la sua forza: rimarrebbe un solo diritto e  anche un solo dovere, quello della forza.

  In realtà, il  vero e autentico dominio dell'uomo sulla natura può attuarsi soltanto attraverso la conoscenza ed il rispetto delle leggi naturali.

  La natura non può essere dominata calpestandone le leggi: la natura si lascia dominare solo conoscendone le leggi ed applicandole.

 "- Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, ne si può parlare di libertà di -usare e abusare -, o di disporre delle cose come meglio aggrada.
 La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di -mangiare il frutto dell'albero -( cf Gen 2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire-".
( Giovanni Paolo II)



Alcune  obiezioni scientifiche alla reincarnazione.

 La regressione ipnotica sarebbe, per i reincarnazionisti, prova della reincarnazione.

  In realtà nel sub-conscio avviene una caotica rielaborazione di tutti i dati pervenuti durante l'esistenza ed è possibile che ci sia una
identificazione con dati, storie e avvenimenti depositati e rielaborati nell'inconscio, 
identificazione indotta dall'ipnotizzatore
: l'influsso dell'ipnotizzatore è evidente nel fatto che, se suggerisce al soggetto un ritorno all'infanzia, questo agisce e parla come un bambino; se gli suggerisce di essere stato un animale, questo parla e agisce come  un
animale; se gli suggerisce di tornare ad un altra vita, comincia ad elaborare la storia di un'altra vita. Inoltre i racconti dei soggetti in stato di ipnosi sono suggeriti più o meno consapevolmente dagli stessi ipnotizzatori.

  Infatti i soggetti ipnotizzati da ]oe Keeton accettano lo schema del loro ipnotizzatore: asseriscono tutti di essersi reincarnati subito dopo la morte.

  Quelli ipnotizzati da Arnall Bloxham trascorrono lunghi periodi nelle sfere astrali. Quelli di Helen Wambach si scelgono il sesso prima di reincarnarsi e quelli di Edith Fiore si reincarnano tra parenti che si odiano.

  Le famose esperienze del Deja vu sono facilmente spiegabili con dati ed
elaborazione dei dati che riemergono dal sub-conscio in seguito ad associazioni emotive indotte da immagini, sensazioni, luoghi, persone, situazioni che contengono elementi analoghi a quelli depositati nel sub-conscio.

  Inoltre la stessa parapsicologia fornisce strumenti analitici per dimostrare come molti casi di presunta reincarnazione siano in realtà
fenomeni di possessione.

Bibliografia:

cfr Fernando Palmés S.J., Gli errori dello spiritismo, I Dioscuri,
trad. it., Genova 1989, pp.388-392 ,
  Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n.3.
 cfr  J. Head-S.L. Cranston, Il libro della reincarnazione, Milano 1980;
I. Stevenson, Reincarnazione, Milano 1975; H. Wambach, Life before life, New
York 1979; E. Fiore, You Have  Been Here Before, New York 1979; F.
Liverziani, La reincarnazione e i suoi fenomeni, Roma 1985.
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03/12/2012 15:40
 
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Scriveva il grande filosofo J. Maritain: "Come è possibile che una infelice vita di un uomo, con tutta la sua insignificanza, i suoi accecamenti, le sue miserie, sbocchi d’un tratto sull’eternità? Come è possibile che una retribuzione eterna, una fine eterna e immutabile, sia fissata per noi in virtù dei buoni o cattivi movimenti di un libero arbitrio debole e bizzarro, torbido come il nostro? Ecco la risposta che propone la fede cristiana: la sproporzione fra la precarietà del viaggio e l’importanza del termine, è in realtà compensata, con eccesso e sovrabbondanza, dalla generosità e dall’umanità del nostro Dio Salvatore" (De Bergson à Thomas d’Aquin, New York, 1944, pp143 e 145).

L’uomo non può comprare la sua redenzione, né pagare a Dio il suo riscatto. San Paolo enuncia la fede della Chiesa con queste parole: "Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene" (Efesini 2, 8-9). Non è l’uomo che diviene Dio, ma è Dio che gli dona di partecipare, per amore, alla propria vita.

Questa premessa, che ci viene dalla fede, supportata anche da una riflessione ragionevolmente accettabile, ci chiarisce come sia incompatibile con il messaggio cristiano credere nella reincarnazione. C’è bisogno di ritornare a riparlarne poiché in certi ambienti influenzati da spiritualità molto vaghe e sincretiste, questa credenza si fa diffondendo specie tra i giovani che adattano la loro fede cattolica all’idea della reincarnazione.

La reincarnazione nella storia

La credenza nella reincarnazione non è universale e in occidente se ne trova traccia solamente quando i filosoficominciano a cercare una risposta religiosa alla domande metafisiche: da dove veniamo? Dove andiamo? Perché il male e la sofferenza? Perché le sorti umane sono così diverse le une dalle altre? Per rispondere a queste domande compare la teoria o dottrina della metempsicosi che – come indica il termine greco – vuol dire passaggio dell’anima da un corpo all’altro (trasmigrazione): ad ogni morte del corpo in cui è ospitata essa passa in un altro corpo, sia umano che animale, vegetale o minerale, finché non si libera da ogni vincolo con la materia.

In India, secondo i libri sacri Upanishad (VI-V sec a.C), alla morte dell’uomo non sussiste che il suo essere spirituale, il legato alla legge del karma secondo cui, attraverso le sue azioni, l’uomo determina il proprio futuro: se deve purificarsi dal male commesso, con una nuova vita il suo  va ad abitare in un altro corpo. Il processo di reincarnazioni è indefinito finché non si raggiunge lo stato di purezza che permette di immergersi e fondersi nel grande Tutto.

In Occidente la dottrina della reicarnazione ha conosciuto un ritorno di interesse nell’epoca dell’Illuminismo seducendo pensatori e poeti come Kant, Lessing, Goethe, Schopenhauer. La si trova nelle scuole esoteriche, negli ambienti spiritistici e occultistici specialmente nel pensiero teosofico della Blavatsky o antropoteosofico di Steiner."Nascere, morire, rinascere e sempre progredire: questa è la legge" è ciò che Allan Kardec – noto spiritista – ha fatto scrivere sulla sua tomba.

Nel pensiero spiritualista contemporaneo, il modello indù è ripreso, combinato e mescolato a sincretismi spesso estranei al genuino spirito religioso induista e lo troviamo nei movimenti New Age. Oggi i sondaggi ci riferiscono che un quarto della popolazione europea inclina a credere alla reincarnazione. Essa però avverrebbe sempre in un corpo umano con un processo di continuo miglioramento di sé.

La speranza cristiana

Per il cristianesimo l’uomo è creatura, voluta da Dio in unità di anima e corpo così che il corpo non è la prigione dell’anima, ma ne è parte integrante. Sappiamo anche per esperienza che l’uomo, per quanto si eserciti, non è mai perfetto e pronto alla comunione con Dio dopo la morte, ma abbisogna di una purificazione. Ma l’obiettivo finale, la ragione per cui la reincarnazione non trova spazio nella fede cristiana è Cristo morto e risorto. In Cristo non c’è più posto per una ricerca senza fine di una meta che pare irraggiungibile. Non più migrare, dunque, ma resurrezione.Questo è il cuore della fede cristiana. Tertulliano afferma in De Resurrectione Carnis: "La speranza dei cristiani ha nome resurrezione dai morti; tutto ciò che siamo, lo siamo in questo atto di fede". L’incarnazione del Figlio di Dio ha permesso all’uomo di divenire "eredità divina", come ricorda S.Ireneo: "Certo, la carne non può essa stessa accedere all’eredità del regno di Dio, ma essa può venire introdotta dallo Spirito nel regno di Dio, in eredità" (Adv.Haer., V,9,4).

La fede nella resurrezione della carne ha quindi la sua origine in Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto carne, morto, sepolto e risorto: se Dio ha creato tutto per la sua glorificazione, allora anche questo nostro corpo è destinato ad essere portatore di Dio.

Noi siamo destinati a risorgere, non a reincarnarci in un altro essere, e saremo invasi in tutto il nostro essere spirituale e corporeo dalla vita del Cristo risorto. Così in Gesù risuscitato, la nostra aspirazione e il nostro desiderio di non morire saranno appagati al di là di ogni attesa. Se tuttavia siamo chiamati a perfezionarci e sempre convertirci al meglio, ciò non avverrà per mezzo di reicarnazioni successive, ma per la fedeltà di un Amore che in ogni attimo della nostra vita ci avvicina al Dio dell’amore e della perfezione.

Laura ROSSI

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26/08/2013 17:01
 
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 La concezione ebraica della reincarnazione

 

Per la concezione ebraica veterotestamentaria l'uomo non è un'ani­ma a cui è aggiunto un corpo, cosi come non è neppu­re soltanto un corpo animato. Nella Sacra Scrittura è sottolineata prepotentemente l'unità dell'uomo, sen­za escludere la sopravvivenza di «qualcosa» dopo la morte. Una sopravvivenza però che tende a reintegrare l'unità perduta, tende cioè alla resurrezione «della car­ne», un evento che solo l'intervento di Dio può pro­durre.

Così è innegabile che la concezione biblica più ar­caica conosce una sopravvivenza dell'uomo in uno stato umbratile. Ciò che sopravvive sono i refaim, i «deboli». Si tratta di una visione delle cose sostanzialmente uguale a quella omerica. I refaim stazionano nello Scheol, che si divide in settori diversi, secondo il comportamento de­gli uomini in vita. Si tratta però sempre di un luogo sot­terraneo. I refaim sono inoperosi e incapaci di ricordare e conoscere qualcosa della vita terrena.

Nei testi dell'Antico Testamento e nell'antropolo­gia che riflettono non vi è dunque posto per la reincarnazione. Sono i cabbalisti che ve l'hanno trovata -usando però solo di un metodo allegorico molto spin­to - in un periodo lontanissimo da quello della reda­zione dei testi sacri.

In tutta la tradizione giudaica non troviamo niente di sicuro a monte dell'VIII-X secolo, se si eccettua il ca­so di Filone d'Alessandria (circa 20 a.C.-50 d.C.).6

«Non vi è la prova definitiva dell'esistenza della dot­trina del gilgul (Letteralmente «giro» della ruota), è il termine ebraico per «rein­carnazione». Nel Giudaismo durante il periodo del Secondo Tempio. Nel Talmud non vi è riferimento ad essa».

I principali filosofi ebrei del Medioevo (per esempio Maimonide) l'hanno respinta.

In contrasto con la cospicua opposizione della filosofia, la trasmi­grazione viene data per scontata nella Gabbala sin dal­la sua prima espressione letteraria: il Seferha-Bahir (tar­do XII secolo, nella Francia meridionale) .9 II fatto che nel Bahirnon ci sia traccia di apologetica della dottrina deporrebbe a favore di una sua origine più antica, for­se risalente addirittura alla fine del periodo del Secon­do Tempio. È certo comunque che a partire dal Bahir la trasmigrazione diventa una delle dottrine più im­portanti della Cabbala.

«E un atto della misericordia divina che egli dia al­l'anima, che dovrebbe essere completamente annien­tata nell'inferno, una chance di purificarsi per mezzo di una nuova, anche se necessariamente dolorosa, mi­grazione». Questa è la concezione di Scèscet di Mercadell, un cabbalista catalano della scuola del Nachmanide.

Dal caso isolato di Filone tuttavia non si può assolu­tamente concludere a una reincarnazione diffusa in Israele come credenza popolare talmente radicata da essere data per scontata e da non meritare perciò nes­suna particolare menzione. Un'affermazione categori­ca del genere sarebbe assolutamente gratuita, perché -come abbiamo già detto - noi possiamo risalire con cer­tezza, nella documentazione sulla reincarnazione in ambiente giudaico, a parte il caso di Filone, non oltre l’VIII-X secolo d.C.

( Cfr idem, Le origini della Kabbala, cil ,pp 238-239 Scholem fa ri­ferimento alla testimonianza di Sa'adia in polemica contro certi ebrei che sostengono teorie stravaganti di un autore arabo - Al Baghdadi -, il quale afferma che ci sono ebrei favoreli alla trasmigrazione delle ani­me e al Libro delle luci di Anan, considerato il precursore del Qaraitismo. Si tratta quindi di circoli marginali rispetto alla grande tradizione del Giudaismo).

 

 

Sarebbe poi anche altamente in­verosimile perché, come nota acutamente K.Hoheisel: «Simili fenomeni sono assolutamente noti alla storia di Israele. Così il culto sulle alture appartenne evidente­mente per secoli, nell'Israele preesilico, a ciò che era ovvio e quindi non propriamente tramandato. Ciò nondimeno era già, prima che la polemica dei profeti lo mettesse al centro dell'interesse, perlomeno un picco­lo capitolo marginale nella storia religiosa di Israele», e comunque sempre degno di una qualche menzione. Ma di una qualche testimonianza chiara su una cre­denza nella reincarnazione non c'è proprio la minima traccia.

Nel periodo intratestamentano dobbiamo tuttavia valutare anche le testimonianze di Giuseppe Flavio (e 11-ca 38-dopo il 100 d.C.). Questi attribuisce ai farisei la credenza alla «potenza dei virtuosi di ritornare in vi­ta».

Ma si tratta solo della credenza nella resurrezione dei corpi, come dimostra l'analogo termine di 2 Mac 7,9 e altri passi chiari. Giuseppe Flavio, nell’opera Antichità giudaiche (18,14) dice che gli es­seni conducevano un tipo di vita simile a quella dei pi­tagorici. Ma anche qui non ci sono elementi per concludere a una credenza nella reincarnazione, soprat­tutto se si riflette sul fatto che le fonti dirette degli esseni che possediamo dopo i ritrovamenti di Qumràn non accennano minimamente a esistenze successive in corpi diversi, mentre sembra attestata la fede nella re­surrezione.

In definitiva, l'unico punto dell'Antico Testamento dove troviamo una affermazione che presenta una qualche rilevanza per il nostro problema, è nel libro della Sapienza, dove leggiamo queste parole poste sul­la bocca di Salomone:

«Ero un fanciullo di nobile indole, avevo avuto in sorte un'anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia» (Sap 8,19-20).

Questo testo è interpretato diversamente da cattoli­ci e protestanti. La maggioranza degli esegeti prote­stanti (che ritengono il libro non canonico, cioè «apo­crifo») non ha difficoltà a riconoscere che il versetto 20 insegna la preesistenza delle anime. Mentre vi è una-

nimità presso gli esegeti cattolici nel considerare che, se il versetto preso isolatamente potrebbe anche riflet­tere questa dottrina, ciò però contraddice apertamen­te il contesto (cfr. Sap 15,11 e 7,1-2) e non si compone con le dottrine preesistenzialiste di Platone o Filone da cui lo si vorrebbe influenzato. Infatti, a costoro è estra­nea una concezione secondo la quale all'anima è attri­buito un corpo in funzione della sua bontà o cattive­ria. Per Platone l'anima è inquinata dal suo contatto con il corpo e per Filone sono le anime cattive che en­trano nei corpi. L'autore non avrebbe invece in vista altro scopo che quello di sottolineare il primato quali­tativo dell'anima nel contesto di una creazione simul­tanea. Ammesso comunque (e non concesso) che si parli di preesistenza, anche in questo caso non vi è l’idea della reincarnazione.

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19/11/2020 12:03
 
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Ireneo di Lione, intorno all'anno 170, nella sua opera CONTRO LE ERESIE, ci ha lasciato una sua importante confutazione della dottrina della METEMPSICOSI (detta anche REINCARNAZIONE), che attesta al tempo stesso quale era l'idea che anche i primi cristiani avevano su questa dottrina.



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19/11/2020 12:05
 
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19/11/2020 12:06
 
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19/11/2020 12:08
 
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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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