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DAL CREATO SI PUO' RISALIRE AL CREATORE

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2019 11:18
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06/09/2012 16:21
 
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La RAGIONE  può condurci alla FEDE.

    Osservando le orme lasciate sul terreno, anche dopo molto tempo, si possono dedurre molte caratteristiche di chi le ha lasciate.
La sua dimensione, il suo peso, quanto tempo prima può esservi passato, e addirittura le sue fattezze generali, analizzando la profondità, la forma, i contorni delle orme lasciate, la solidificazione avvenuta. Anche se si tratta solo di un incavo nel terreno, esso ci dice tantissime cose e certamente che lì è passato un essere che aveva tali e tal'altre caratteristiche.

Da questo semplice dato di fatto, dovremmo a maggior ragione, dedurre l'esistenza la potenza e la benevolenza di un Essere che ha lasciato innumerevoli impronte in ogni angolo attorno a noi, e in noi stessi.

Non possiamo negare l'evidenza di una tale quantità di prove, che ci vengono da tutta la Creazione di fronte a cui a volte si preferisce chiudere gli occhi della ragione pur di negare Dio.

Tale atteggiamento viene riprovato nella lettera di Paolo ai Romani 1,20

 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità;
21 essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22 Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti...

 
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Gli insegnamenti del magistero cattolico sull’agnosticismo


1. La dottrina del Vaticano I e il problema del fideismo. Fra gli insegnamenti del Magistero della Chiesa cattolica che interessano più direttamente l’oggetto della posizione filosofica agnostica vi sono in primo luogo quelli riguardanti la capacità della ragione umana di pervenire alla verità delle cose, senza fermarsi alla loro apparenza, e precipuamente la dottrina filosofica circa la conoscenza naturale di Dio ( DIO, IV.1; METAFISICA, V.2). Nella Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I (1870) viene solennemente affermato che la Chiesa «ritiene e insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalla cose create» (DH 3004). La Dei Filius specifica inoltre ciò che è possibile conoscere di Dio mediante la ragione: ovvero la sua esistenza e i principali attributi della sua natura; e ribadisce che tale conoscenza costituisce un necessario presupposto della fede nella Rivelazione. A tale dottrina il Concilio farà poi corrispondere la condanna di ogni affermazione la quale sostenga che «Dio uno e vero, creatore e Signore nostro, non possa essere conosciuto con certezza dal lume della ragione naturale, attraverso le cose create» (DH 3026). La ragione umana è dunque ritenuta capace, anche con le sue sole forze, di conoscere l’esistenza di Dio come principio e fine di tutte le cose e di elevarsi, mediante l’osservazione delle sue opere, alla conoscenza dei suoi attributi di onnipotenza, di perfezione e di bontà. Tale verità, che appartiene di per sé all’ambito della filosofia, viene qui affermata come definizione di fede, cosa che implica la riprovazione di ogni forma di agnosticismo, soprattutto nelle sue molteplici espressioni moderne.


Secondo alcuni autori, fra i quali C. Fabro, occorrerebbe per questo qualificare di “agnosticismo teologico” tutte quelle posizioni teologiche le quali, radicalizzando la trascendenza di Dio e la debolezza della ragione umana, dichiarano che è possibile conoscere di Dio soltanto le verità che provengono dalla Rivelazione, ossia dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione. Così alcuni esponenti, nell’epoca patristica e nel periodo della Scolastica, della teologia negativa di derivazione pseudo-areopagitica; ma anche i teologi musulmani seguaci rigorosi del Kalàm (tradizione); e lo stesso Mosé Maimonide, il maestro della teologia giudaica medievale, secondo il quale Dio non può essere nominato mediante nomi positivi che fanno riferimento alle cose create, essendo la sua natura totalmente trascendente la creazione. In modo particolare, sarebbero espressione di agnosticismo teologico tutte quelle teologie dei secoli XVII-XIX le quali, in reazione al razionalismo e all’illuminismo, diminuirono le possibilità della ragione umana, fino a renderla incapace di conoscere le verità naturali, e si affidarono o alla sola fede (fideismo) e alla tradizione (tradizionalismo), oppure pretesero che per giungere a qualsiasi verità la ragione umana dovesse attingere direttamente all’essenza divina (ontologismo).


Occorre considerare che tendenze fideistiche sono state da sempre presenti nella storia della cultura cristiana, e sono state difese anche da spiriti nobili che hanno inteso più che altro salvaguardare la fede da alcuni errori filosofici, specie dal razionalismo e dal nichilismo: posizioni in diverso modo vicine al  fideismo possono rintracciarsi nell’epoca patristica in Taziano e Tertulliano; in Pier Damiani e Guglielmo d’Ockham nel medioevo; in Pascal, Kierkegaard, Chestov, Dostoevskij o de Unamuno nell’epoca moderna; ma soprattutto in  Martin Lutero (1483-1546). Il fideismo ha inoltre trovato una formulazione compiuta nel XIX secolo con L.-E. Bautain (1796-1867) e F.-R. de Lamennais (1783-1854), seriamente preoccupati per gli ostacoli opposti alla fede dal pensiero moderno. Il magistero cattolico, pur riconoscendo le rette intenzioni dei sostenitori di tale corrente di pensiero, considera tuttavia il fideismo, nella sua formulazione teoretica e teologica, come una forma di agnosticismo. In modo analogo considera come espressione di agnosticismo il «tradizionalismo», che ha avuto nel XIX secolo sostenitori qualificati in J. De Maistre (1753-1821) e L.-G.-A. De Bonald (1754-1840), e che sostiene il primato della tradizione della Chiesa, riduttivamente intesa, contro l’autorità della ragione filosofica. Sia il fideismo che il tradizionalismo, in nome del primato della fede e della tradizione, e per una giustificata reazione alla ratio separata della modernità, sono giunti a negare alla ragione umana anche le sue legittime capacità, incorrendo pertanto in articolate formulazioni di agnosticismo.


Il magistero cattolico ha considerato come una forma di agnosticismo anche l’«ontologismo», già sostenuto da Nicolas de Malebranche (1638-1715), sebbene il termine venne coniato da Vincenzo Gioberti (1801-1852) nella sua Introduzione allo studio della filosofia(1840), e che fu attribuito anche alla filosofia di  Antonio Rosmini (1797-1855), procurandole così una condanna che solo di recente è stata ufficialmente riconosciuta “superata”, una volta storicamente accertato che le tesi giudicate erronee (cfr. DH 3201-3241) non erano rappresentative del pensiero dell’autore (cfr. OR, 30.6-1.7.2001, p. 5). L’ontologismo, per reagire al razionalismo, ma in modo diametralmente opposto al fideismo, affermò che la ragione umana ha una qualche visione della verità direttamente nell’essenza divina, nel senso che Dio non è solo il primum nell’ordine dell’essere ma anche primum nell’ordine del conoscere. La ragione umana, per l’ontologismo come per il fideismo, non possiede nessuna facoltà realmente autonoma, sebbene possa elevarsi alla conoscenza di ogni verità intuendola direttamente nella verità e nell’“essenza” divina (cfr. DH 2841-2847);


2. La questione circa il carattere agnostico del modernismo. Il magistero della Chiesa ha poi ritenuto essere una forma di agnosticismo anche il «modernismo», movimento filosofico-religioso sviluppatosi in seno al cattolicesimo tra il XIX e il XX secolo, e caratterizzato da una accettazione sovente acritica dei principi della filosofia moderna. Il modernismo, i cui principali rappresentanti furono Le Roy e Loisy in Francia, Tyrrell in Inghilterra, Fogazzaro e Bonaiuti in Italia, fu condannato da Pio X (1903-1914) in numerosi documenti: innanzi tutto dal decreto Lamentabili del 1907 e poi, nello stesso anno, dalla Lettera enciclica Pascendi dominici gregis, e infine nel 1910 dal motu proprio Sanctorum antistitum. Pio X definì il modernismo come la «sintesi di tutte le eresie», volendo con ciò significare che in questa corrente sembravano confluire tutti gli errori manifestatisi nel pensiero dell’epoca moderna: l’agnosticismo, il relativismo, il soggettivismo, il razionalismo, lo scientismo, l’immanentismo, lo storicismo, con la conseguenza di ridurre la fede ad una forma di vago sentimento, sottoporre il contenuto del dogma alle leggi mutevoli della storia e voler fare della Chiesa una società puramente spirituale e mistica, in opposizione a quanto in essa vi era di visibile e di organicamente strutturato.


Il modernismo è in qualche modo una conseguenza, sul piano teologico, dell’agnosticismo kantiano, perché per i modernisti «la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che appare e nel modo in cui appare: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per questo non è dato a lei di innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai reputarsi come oggetto storico» (DH 3475). Va precisato che il termine “scienza” qui utilizzato è da intendersi nel senso di conoscenza certa, soggetto di una ragione esercitata in modo rigoroso, e che se i modernisti insistevano sulla storia come dimensione entro la quale la religione e il dogma necessariamente si esprimono ed evolvono, al tempo stesso essi svalutavano il carattere “storico” della Rivelazione, ovvero la conoscibilità storica degli interventi di Dio e la storicità delle stesse gesta di Gesù Cristo, in favore di un rapporto più spirituale e soggettivista fra Dio e l’uomo da Lui interpellato. Nel contesto del modernismo non solo la conoscenza filosofica di Dio, ma la stessa possibilità di una rivelazione divina nella storia vengono considerate come dottrine legate a forme di “intellettualismo” che devono considerarsi superate. Per la Pascendi l’agnosticismo dei modernisti conduce ad un agnosticismo scientifico e storico, inteso come passaggio preliminare e necessario verso una “esperienza religiosa” non più fondata sul rito e sul dogma quali espressioni normative di una comunità credente, né tantomeno suffragata dal conforto di una conoscenza filosofica e metafisica, ma unicamente basata sulla soggettività (principio dell’immanenza religiosa, cfr. DH 3477. Per il tema dell’esperienza religiosa  ESPERIENZA, V).


3. Il Concilio Vaticano II. Gli insegnamenti del Vaticano I e di s. Pio X circa gli effetti negativi che la posizione agnostica causa tanto sulla filosofia quanto sulla teologia, sono stati ripresi dal magistero del Concilio Vaticano II, il quale tuttavia si sofferma in modo particolare sulle conseguenze che l’agnosticismo ha nella vita pratica, etica e religiosa, dell’uomo di oggi, venendo di fatto a costituire il presupposto culturale del vasto fenomeno dell’indifferenza religiosa contemporanea. La Costituzione pastorale Gaudium et spes, nel riconoscere che l’agnosticismo della cultura contemporanea assume varie forme ed aspetti non sempre evidenziabili con chiarezza, ne parla tuttavia esplicitamente proprio in riferimento al pensiero scientifico: «L'odierno progresso delle scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze, viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della verità totale. Anzi, vi è il pericolo che l'uomo, troppo fidandosi delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte» (n. 57). L’agnosticismo viene dunque visto soprattutto come esito di un progresso scientifico che ha assunto la scienza e il suo metodo «a norma suprema di ricerca della verità totale», facendo decadere ogni altra conoscenza a rango di verità solo probabile, incerta, e senza fondamento sicuro.


In continuità con la Gaudium et spes, si è occupato dell’agnosticismo anche il Catechismo della Chiesa cattolica (1992), il quale sottolinea come dall’agnosticismo culturale e filosofico derivi come conseguenza un atteggiamento pratico di indifferenza nei confronti di Dio e del problema religioso: «L’agnosticismo assume parecchie forme. In certi casi l’agnosticismo si rifiuta di negare Dio; ammette invece l’esistenza di un essere trascendente che non potrebbe rivelarsi e di cui nessuno sarebbe in grado di dire niente. In altri casi l’agnostico non si pronuncia sull’esistenza di Dio, dichiarando che è impossibile provarla, così come è impossibile ammetterla o negarla» (CCC 2127). Ciò riveste particolare rilevanza dal punto di vista pastorale, perché «l’agnosticismo può talvolta racchiudere una certa ricerca di Dio, ma può anche costituire un indifferentismo, una fuga davanti al problema ultimo dell’esistenza e un torpore della coscienza morale. Troppo spesso l’agnosticismo equivale ad un ateismo pratico» (CCC 2128). Analoghe preoccupazioni nei confronti dell’agnosticismo, considerato dalla Chiesa come un fenomeno di sempre più vasta portata, e collegato al fenomeno dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa, sono state espresse dai numerosi documenti del “Segretariato per i non credenti”, ora “Pontificio consiglio della Cultura” (cfr. Segretariato per i non credenti, 1978).


4. La critica all’agnosticismo ed il filosofare nella fede secondo la “Fides et ratio”. La Lettera enciclica Fides et ratio (1998) di Giovanni Paolo II racchiude e sintetizza la dottrina della Chiesa sull’agnosticismo, ma la completa con una riflessione sul rapporto tra ragione e fede che tiene conto di tutte le istanze del pensiero cristiano, anche nel suo drammatico confronto con la modernità, ed offre la base per una riflessione rinnovata intorno alla questione della conoscenza filosofica di Dio. Dopo aver inquadrato, proprio in apertura, la situazione di una filosofia che «invece di far leva sulla capacità che l'uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti», e dalla quale «sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo» (n. 5), l’enciclica sviluppa il suo tema centrale, quello di ribadire il valore non relativo ma “metafisico” delle verità raggiunte dall’intelligenza umana intorno a Dio.


Il documento intende così confermare la dottrina tradizionale circa la capacità della ragione umana di presentare, nell’orizzonte della filosofia dell’essere creato, «un’apertura piena e globale presso tutta la realtà, oltrepassando ogni limite fino a raggiungere Colui che a tutto dona compimento» (n. 97). Ma nella Fides et ratio è presente anche una ferma condanna della ratio separata della modernità, la quale «più che l’affermazione della giusta autonomia del filosofare, costituisce la rivendicazione di una autosufficienza del pensiero che si rivela chiaramente illegittima» (n. 75; cfr. anche n. 45); e ciò perché «rifiutare gli apporti di verità derivanti dalla rivelazione divina significa precludersi l’accesso a una più profonda conoscenza della verità, a danno della stessa filosofia» (n. 75). Nei confronti della conoscenza di Dio si dovrebbe dunque parlare, per la Fides et ratio, di una “filosofia cristiana”, capace di coniugare la “ragione” e la “fede”, la “filosofia” e la “teologia”, le due “ali” con le quali l’uomo può elevarsi fino al mistero di Dio. «Recuperando quanto è stato patrimonio del pensiero cristiano — ha scritto Giovanni Paolo II in un’occasione successiva — il rapporto tra la teologia e la filosofia dovrebbe realizzarsi “all’insegna della circolarità” (Fides et ratio, 73). In questo modo sia la teologia che la filosofia si aiuteranno reciprocamente per non cadere nella tentazione di imbrigliare nelle secche di un sistema la novità perenne che è racchiusa nel mistero della rivelazione portata da Gesù Cristo. Essa resterà sempre con la sua carica di radicale novità, che mai nessun pensiero potrà spiegare pienamente né esaurire» (Il magistero dei Padri nell’Enciclica “Fides et ratio”, OR, 13.11.1998, p. 4). E poiché «nessuna forma storica della filosofia può legittimamente pretendere di abbracciare la verità nella totalità, né di essere la spiegazione piena dell’essere umano, del mondo e del rapporto dell’uomo con Dio» (Fides et ratio, 51), ne consegue che solo una filosofia capace di armonizzarsi con la fede può attingere alla verità nella sua pienezza. La Fides et ratio considera pertanto i due momenti su cui deve articolarsi una filosofia cristiana. Il momento “soggettivo”, «che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede» e che «libera la ragione dalla presunzione, tipica tentazione a cui i filosofi sono facilmente soggetti. Già san Paolo e i Padri della Chiesa e, più vicino a noi, filosofi come Pascal e Kierkegaard l’hanno stigmatizzata» (n. 76). E il momento “oggettivo”, riguardante i contenuti della stessa conoscenza filosofica di Dio, giacché «la Rivelazione propone chiaramente alcune verità che, pur non essendo inaccessibili alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa scoperte, se fosse stata abbandonata a se stessa. In questo orizzonte si situano questioni come il concetto di un Dio personale, libero e creatore, che tanto rilievo ha avuto per lo sviluppo del pensiero filosofico e, in particolare, per la filosofia dell’essere. A quest’ambito appartiene pure la realtà del peccato, così com'essa appare alla luce della fede, la quale aiuta a impostare filosoficamente in modo adeguato il problema del male. Anche la concezione della persona come essere spirituale è una peculiare originalità della fede» (n. 76). In altri termini, alla Rivelazione appartiene anche la manifestazione di alcune fondamentali verità filosofiche che la ragione, lasciata a se stessa, è stata incapace di raggiungere.


 


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