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LA CHIESA DI FRONTE AI TOTALITARISMI

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2022 10:55
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07/02/2013 14:34
 
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La Santa Sede mise in piedi una rete di corrispondenza europea e successivamente un ufficio ad hoc per ottenere informazioni su dispersi e prigionieri su tutti i fronti della seconda guerra mondiale. E lo fece “fin dai primi giorni”, come viene confermato dalla relazione che Francesca Di Giovanni terrà oggi – anticipata in parte ieri da “L'Osservatore Romano” - al convegno di studi «Religiosa Archivorum Custodia» organizzato in occasione del quarto centenario di fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano, che si svolgerà nella Sala Pio X di via della Conciliazione, e i cui lavori proseguiranno anche domani. Ecco l'anticipazione offerta dal quotidiano vaticano che sottolinea l'impegno di Pio XII in quei terribili anni.
 
 
 
Le risposte alla guerra dalla Chiesa di Pio XII
 
di Francesca Di Giovanni
Quando il 2 marzo 1939 Eugenio Pacelli venne eletto Papa, si dice che alcuni eminenti cardinali «si erano, da principio, mostrati un po’ restii a dargli il voto perché, considerando la minacciosa situazione internazionale, osservavano: Il cardinale Pacelli è un uomo di pace e il mondo ha ora bisogno di un Papa di guerra». Pio xii era ben consapevole della straordinaria gravità del momento e della delicata missione che lo attendeva, mirata al difficile perseguimento della pace. Nonostante gli interventi e i tentativi di quei tempestosi giorni, la guerra scoppiò ufficialmente il 1° settembre.
 
Con tutti gli strumenti diplomatici a disposizione, la Chiesa si mobilitò subito per mettere in atto iniziative di carattere caritatevole, sotto la guida diretta dello stesso Pio xii assistito da preziosi collaboratori appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche e al laicato cattolico. Fin dai primi giorni iniziarono a giungere in Segreteria di Stato da varie parti d’Europa numerose richieste di notizie relative alla popolazione polacca. La Santa Sede dapprima si impegnò ad allestire una rete di corrispondenza con le rappresentanze pontificie negli Stati europei, in seguito dispose che venisse formalmente «creato alle sue dipendenze un Ufficio con l’incarico di favorire tali ricerche». Sotto il coordinamento e la supervisione di Montini, sostituto per gli Affari Ordinari della Segreteria di Stato, l’ufficio venne affidato a monsignor Alessandro Evreinoff, arcivescovo di origine russa, conoscitore di varie lingue ed esperto diplomatico. Lo affiancava, in qualità di segretario, don Emilio Rossi, sacerdote della diocesi romana.


La quantità di domande che pervenivano all’Ufficio aumentava sistematicamente con il passare dei mesi. Di fronte al considerevole moltiplicarsi delle istanze il 1° aprile 1941 si decise il trasferimento dell’Ufficio Informazioni dalla Segreteria di Stato al palazzo San Carlo. Nel 1943, sorta di nuovo la necessità di spazi più ampi per accogliere adeguatamente il numero crescente di persone che si rivolgevano all’Ufficio, si provvide all’annessione dei locali del museo Petriano, situato tra il palazzo del Sant’Uffizio e l’ala sinistra del colonnato. La struttura dell’Ufficio dunque negli anni venne progressivamente adattandosi per rispondere al repentino evolversi della guerra. Andò via via specializzandosi con la creazione di piccole sezioni tematiche, come quelle dei prigionieri di lingua inglese, tedesca e slava, oltre a quelle strettamente attinenti all’organizzazione interna del lavoro da svolgere, come le sezioni smistamento, archivio e schedario. Tale moltiplicarsi dei settori rese indispensabile l’aumento sia del personale impiegato direttamente nell’Ufficio, sia di quello esterno, come le associazioni cattoliche e le congregazioni religiose femminili che lavorarono per l’Ufficio nelle proprie sedi romane.
Al termine del conflitto, l’Ufficio Informazioni continuò la sua opera fino al 31 ottobre 1947. L’imponente archivio rimase a lungo nei locali del palazzo San Carlo a disposizione della Segreteria di Stato per le residuali pratiche quotidiane. Quando nel luglio 1964 la Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali richiese l’utilizzo di quei locali, fu necessario trovare un’adeguata collocazione al voluminoso materiale, che alcuni suggerivano addirittura di distruggere. Nell’aprile 1965 si provvide quindi al trasferimento delle carte menzionate “prigionieri di guerra” in Archivio Segreto Vaticano. Non essendo suscettibili alla consultazione degli studiosi per ovvi motivi cronologici, le carte rimasero trascurate per decenni, in uno stato di disordine causato dai trasporti subiti (effettuati senza le accortezze richieste dalla mole della documentazione). Solo nel 2002 si rese urgente la necessità di ordinare e inventariare questo fondo archivistico a seguito della decisione di Giovanni Paolo ii di rendere consultabili agli storici anche le carte dell’archivio dei prigionieri di guerra nell’ambito della apertura straordinaria di una speciale sezione documentaria concernente i rapporti tra Santa Sede e Germania. La parte più consistente e imponente è la sezione archivio che contiene documentazione di vario genere formata soprattutto da lettere e moduli inviati da chi si rivolgeva all’Ufficio. Tanti sono anche i messaggi sotto forma di cartoline postali o militari redatti dai prigionieri e spediti direttamente dai campi di internamento: questi racconti spontanei offrono una visione drammaticamente realistica della vita quotidiana in prigionia portata avanti in precarie condizioni di sopravvivenza fisica e psicologica. Spesso le lettere erano scritte su mezzi di fortuna, come pezzi di carta riciclata da pacchi e imballi, ritagli di giornali, pagine strappate. Si tratta in generale di appelli di gente umile e disperata che, superando la fredda burocrazia di un ufficio, si rivolgeva senza filtri direttamente al Papa dimostrando così di percepire la sua personale vicinanza in questa azione caritativa e consolatoria.
Dalla lettura di queste carte emergono quindi le drammatiche vicende private di persone sconosciute, provenienti da ogni Paese senza distinzione di razza, religione, ceto sociale né appartenenza politica; queste lettere, spesso grammaticalmente povere, rappresentano una fonte preziosa in quanto testimonianza diretta e offrono, nel contempo, una nuova chiave di lettura perché gettano luce su aspetti non sempre contemplati dalla storiografia ufficiale e danno voce ai piccoli e ai vinti promuovendoli da personaggi secondari a protagonisti nel dramma della guerra.
L’Ufficio Informazioni, nato in seno alla Segreteria di Stato, ben presto se ne distaccò con l’accrescimento e la conseguente specializzazione della sua attività, acquisendo così peculiari caratteristiche di autonomia nonostante la omogeneità dell’argomento trattato che si rivela nelle sue carte.
Diversa la storia della Commissione Soccorsi, l’altra risposta concreta della Chiesa di Pio xii alla guerra. Fin dal settembre 1939, sempre nell’allora seconda sezione della Segreteria di Stato (prima che prendesse corpo regolarmente l’Ufficio Informazioni), si era raccolto in modo spontaneo intorno al sostituto Montini un gruppo di prelati, i quali misero a disposizione la loro perizia ed esperienza acquisite durante i lunghi anni di servizio diplomatico: l’urgenza era quella di rispondere ai pressanti appelli rivolti direttamente al Pontefice da parte della diplomazia e dell’episcopato polacchi invocanti assistenza e soccorsi materiali a favore della popolazione prima vittima del conflitto. Aumentando le domande di aiuto man mano che la guerra allargava i propri confini e coinvolgeva altri stati e popoli, emerse l’esigenza di snellire il lavoro della Segreteria di Stato e organizzare una commissione specialmente deputata che, con significativa assunzione di responsabilità e un complesso di mezzi necessari, garantisse un normale funzionamento e assicurasse, per quanto fosse possibile, l’efficacia dell’intervento richiesto.
La commissione non assunse mai fisionomia e autonomia proprie perché svolse la sua azione multiforme e discreta sempre nell’ambito della Segreteria di Stato rimanendo un po’ in ombra anche per il consueto pudore della Santa Sede per ciò che riguarda le sue opere di carità. Solo il 12 novembre 1941 Montini invitò ufficialmente i monsignori Giobbe, Chiarlo, Riberi e Centoz «a dare la loro opera a questa “Commissioni per i soccorsi”» con l’aiuto di don Brini come segretario; a essi si aggiunsero poi i monsignori Micara, Felici, Cortesi e Gustavo Testa.
Durante gli anni del conflitto la Commissione Soccorsi ebbe un raggio d’azione molto ampio che spaziava dall’elargizione di sussidi che raggiunsero ogni parte del mondo, all’attenzione per la salvaguardia dalle offese belliche di numerose città e località, all’intervento per l’incolumità delle popolazioni civili martoriate dalla guerra, all’interessamento per i detenuti politici, reduci, e condannati a morte, allo studio di questioni organizzative e sociali determinate dalle necessità del momento, all’attiva partecipazione nelle fasi di ricostruzione del dopoguerra. Oggetto di particolare premura della Commissione sono stati i prigionieri trattenuti nei campi in attesa di liberazione. Mentre l’Ufficio Informazioni ne accertava la residenza e mediante la trasmissione di notizie e messaggi li rimetteva in contatto con le loro famiglie, la Commissione Soccorsi interveniva per cercare di migliorarne le condizioni preoccupandosi del loro benessere fisico e morale attraverso l’attività dei rappresentanti pontifici. Le carte testimoniano infatti che attraverso la loro opera la Commissione distribuì, durante la guerra, un’ingente quantità di denaro, così come aiuti materiali in medicinali, alimenti, indumenti e doni che potessero in qualche modo alleviare la prostrazione dei prigionieri, come libri di pietà e di letture amene, articoli religiosi, oggetti di uso personale, sigarette e strumenti musicali.
Dalla fine del 1949 la Commissione, venendo a cessare le necessità di ordine materiale e morale create dal conflitto, terminò formalmente la sua esistenza. Al 1959 risale il versamento delle carte in Archivio Segreto Vaticano. In previsione delle prossime aperture archivistiche alla ricerca storica riguardanti i documenti relativi al pontificato di Pio xii è iniziato il lavoro di ordinamento dell’archivio, ancora oggi non consultabile, la cui sistemazione si è da poco conclusa con la redazione di un inventario analitico. Più volte i documenti ci raccontano l’interessamento concreto per la sorte di arrestati, esiliati, carcerati e condannati a morte; tra essi troviamo il ricordo di molti vescovi e religiosi di varie diocesi perseguitati e confinati, che con mezzi talora avventurosi riuscivano a far giungere la propria voce al pontefice: molti di questi personaggi sono saliti agli onori degli altari.
Speciale attenzione fu dedicata ai prigionieri e internati civili e militari che ricevevano aiuti morali e materiali dalla Commissione Soccorsi attraverso i cappellani: la loro capillare attività svolta nei campi di prigionia, spesso rischiosa, è riccamente raccontata dalle relazioni e da altre testimonianze, come lettere e diari che troviamo nel fondo archivistico. Corposa è la documentazione relativa alla situazione generale della Venezia Giulia e dell’Istria dopo l’occupazione iugoslava e quella sulle trattative tenute con i comandi militari di entrambi gli schieramenti per la dichiarazione di “città aperte” o “città ospedaliere”. Diversa documentazione è riservata alle pratiche che riguardano la situazione delle comunità ebraiche in Italia e nel resto d’Europa. Da segnalare inoltre i documenti relativi all’istituzione della missione pontificia pro Palestina.
Gli archivi di questi due uffici — umani nella loro finalità e cristiani nella loro ispirazione — consegnano alla memoria collettiva testimonianze preziose dell’opera messa in piedi dalla Chiesa per fronteggiare con le armi della diplomazia e dell’assistenza quello sconvolgimento dei popoli che Pacelli stesso chiamò «rovinosa e dispendiosa corsa alla morte». È indubbio che la disamina di queste carte, non appena rese disponibili per le ricerche storiche, offrirà nuove prospettive di studio contribuendo a dare luce, spiegare e approfondire aspetti ancora poco noti di questi problematici anni che hanno occupato l’inizio del pontificato di Pacelli.
 
(©L'Osservatore Romano – 17 aprile 2012)
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