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LA FUNZIONE PETRINA

Ultimo Aggiornamento: 11/07/2014 15:05
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02/06/2012 09:47
 
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Una delle questioni che nel corso dei secoli è stata sempre al centro dei dibattimenti tra le varie confessioni, è quella relativa al primato di Pietro.
In questa sezione cercheremo di raccogliere gli elementi della questione.
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02/06/2012 09:49
 
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LA FUNZIONE PETRINA

 

La dottrina Cattolica sul primato papale si fonda su brani scritturali espliciti:

In primo luogo quello classico di MT.16,16ss, quando Gesù dice testualmente: “Tu sei Roccia (Cefa) e su questa roccia (cefa) io edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno mai contro di essa; a te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto nei cieli”,

poi, prima della passione quando Gesù dice a Pietro e non agli altri pur preconoscendo il suo rinnegamento: “Tu una volta ravveduto (tornato), conferma i tuoi fratelli nella fede” .

 e infine, dopo la resurrezione quando conferisce e conferma a Pietro il mandato di pascere i suoi agnelli e pecorelle.

 

Sono questi i tre brani cardine per capire l'intenzione manifesta del Signore e a cui la Chiesa fa riferimento per affermare che la funzione di capo della chiesa sia stato istituito da Cristo e non dagli uomini.

Cristo aveva attribuito a Simone il nuovo nome “Cefa” che in aramaico significa “Roccia” e usa questo nome con il chiaro intento di costituirlo “fondamento”. Fermo restando che la Roccia in senso assoluto rimane pur sempre Cristo stesso, Pietro ne assume la funzione nel momento in cui la “Roccia” per antonomasia glie ne dà il mandato per supplire alla sua assenza fisica al momento del suo ritorno al Padre.

Questo nome include una funzione, un ruolo, un compito ben definito: che è quello appunto di essere pietra fondamentale nella costruzione della Chiesa di Cristo. Le varie sfumature di comprensione da parte dei padri della Chiesa non sono in contraddizione con questa interpretazione ma ci aiutano a capire meglio taluni particolari per ritenere fondata l’interpretazione cattolica.

Per quanto riguarda il "pasci i miei agnelli ...pasci le mie pecorelle " ripetuto a Pietro per tre volte, oltre a controbilanciare il suo triplice rinnegamento non può non avere anche e soprattutto il carattere di un preciso mandato, quello di essere pastore di tutto il gregge (rappresentante del Sommo ed unico vero Pastore).

Tuttavia, molti, pur riconoscendo a questi brani espliciti su cui la Chiesa fonda la dottrina sul primato del Papa, l’autenticità e la corretta interpretazione, si limitano a riconoscere al solo Pietro Apostolo questa funzione attribuitagli da Cristo, negandola ai successori. Tertulliano ad esempio dopo aver aderito al montanismo sosteneva che quelle parole dette da Cristo erano dirette solo a Pietro e non ai suoi successori. Anche il noto teologo O. Cullman, dopo aver dettagliatamente difeso la figura del primato di Pietro che emerge dal testo di Mt 16.18 conclude che tale mandato non è trasmissibile ad altri. Nell’arco della storia del Cristianesimo, vi sono stati molti e vari tentativi per demolire la figura della Roccia posta da Cristo a fondamento della sua Chiesa.

La Chiesa cattolica invece ritiene a ragion veduta, che la scomparsa di Pietro non poteva rendere effimera la funzione a lui affidata, per l’unità e la sussistenza stessa della Chiesa: Infatti il compito di legare e di sciogliere che secondo il linguaggio rabbinico significa “permettere o vietare”, “assolvere o condannare”, “accogliere o respingere” è un compito che occorre sempre svolgere per evitare il disordine e la disunione. Non poteva essere utile solo all’inizio della vita della Chiesa.

Chi avrebbe dovuto, in seguito confermare nella fede i fratelli più deboli, che il Signore chiamò teneramente “agnellini” e “pecorelline” in mezzo ai tanti lupi rapaci dei secoli avvenire e che Lui si era premurato di affidare specificamente a Pietro chiedendogli se egli lo amasse più degli altri proprio a tal fine?

Come mai avrebbe affidato questo compito solo per un tempo limitato dopo la sua ascensione e non per tutto il tempo futuro, fino al suo ritorno?

Solitamente per dichiarare la necessità della continuità del primato petrino si fa ricorso alla tradizione e adducendo appunto queste ragioni.

 

Però scorrendo il Vangelo si incontrano alcuni elementi che possono offrire un contributo per la comprensione dell’intenzione di Cristo, di dare continuità alle funzioni apostoliche da Lui istituite.

 

Esaminiamo al riguardo il testo di Luca 12,42 ss: si parla di una figura di sicuro rilievo per la chiesa, che Gesù designa col nome di AMMINISTRATORE. Rileggiamo il testo evangelico:

Chi è dunque l’amministratore fedele e prudente che il padrone costituirà a capo dei suoi domestici per dare a ciascuno la sua razione di cibo a suo tempo? Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà intento a far così…”

 

Per il brano in questione vi è un testo esegetico edito dalle Paoline a cura di Pietro Rossano, di commento al Nuovo Testamento che, riguardo all'AMMINISTRATORE di Lc 12.42 dice: "con chiaro riferimento a Pietro" e la Bibbia di Gerusalemme nella nota relativa a Lc 12.42 dice dell'amministratore:" Si tratta dunque di un servo costituito in autorità sugli altri servi, ciò risponde bene alla domanda di Pietro, dove "noi" si riferisce agli Apostoli.

Leggendo attentamente la Scrittura e confrontando le mie osservazioni con commenti di altri e considerando anche le differenze peculiari tra il testo di Matteo (16,19) e quello di Luca, emergono alcuni dettagli, penso interessanti.

Oltre ai significati di vigilanza, fedeltà , fiducia, perseveranza attribuibili a tutti i credenti in generale, ho rilevato come dicono anche i commenti altrui, che l'intero brano si specifica meglio a partire dalla domanda di Pietro in Lc 12.41.

Nel brano di LC 12.35 ss risulta più evidente la figura del servo nella funzione di AMMINISTRATORE, cosa che non viene messo in rilievo nel brano parallelo di Matteo 24,45 in cui si parla della figura del servo in modo più generico e su cui altri gruppi religiosi preferiscono concentrare la loro attenzione.

Nel testo di Luca 12 al verso 39 il Signore dice:" Cercate di capire: se il padrone di casa conoscesse a che ora viene il ladro..."

L'espressione "padrone di casa" predispone evidentemente Pietro a rivolgere al Signore la più precisa domanda:

"Signore, questa parabola la dici per noi o per tutti?"

A questo punto la risposta di Gesù non può essere generica come nella parte precedente e introduce la figura dell'AMMINISTRATORE che secondo l’espressione di Gesù, il “padrone PORRÀ A CAPO dei suoi familiari per dare a tempo debito la razione di cibo a ciascuno” (Il cibo da dispensare significa certamente quello spirituale). Quando al verso 43 e al verso 45 dice " QUEL SERVO" è evidente che si riferisce ancora all'AMMINISTRATORE, che resta il soggetto dell’intero brano, il quale sarà beato se sarà trovato al suo lavoro, cioè a svolgere il suo specifico compito di amministratore AL RITORNO DEL SUO PADRONE. Quest’ultima espressione di Gesù mi pare fondamentale per il nostro problema perchè include l'intenzione del Padrone che vi sia un amministratore sopra i suoi domestici al momento del suo ritorno e cioè fino alla fine del mondo. Da notare ancora che questo amministratore è anch'egli un SERVO come pure lo sono gli altri SERVI e SERVE (verso 45) e che egli li potrebbe addirittura maltrattare gli altri conservi proprio in virtù della sua posizione e funzione di AMMINISTRATORE.

Un altro elemento non trascurabile per capire l’utilità della funzione di amministratore per tutto il tempo futuro è l’espressione “per dare a ciascuno a suo tempo la razione di cibo.

La storia ha dimostrato sufficientemente il bisogno della Chiesa di ricevere una guida costante e illuminata dall’alto.

Nel verso 42 il Signore pone la domanda "Chi è dunque l'amministratore?" La risposta a questa domanda la dà Egli stesso in quanto dice: "il PADRONE LO PORRÀ A CAPO", (cioè sarà il Signore stesso a designarlo).

Questo è avvenuto a Cesarea di Filippo quando Gesù (il Padrone) ha consegnato LE CHIAVI AL MAGGIORDOMO DELLA SUA CASA designando a svolgere tale funzione specificatamente Pietro senza possibilità di fraintendimento e realizzando quanto aveva anticipato sotto forma di parabola. Si tratta però di una parabola (che dal verso 42 appare più come un enunciato esplicito) che occupa buona parte del capitolo 12 e quindi necessariamente deve essere considerata attentamente per capire bene cosa vuole dire. Lo stesso amministratore potrà a sua volta disporre, in virtù della facoltà conferitagli di “sciogliere e legare” anche le modalità per la trasmissione della funzione conferitagli direttamente da Cristo.

Il brano di Lc 12.35-46 è importante soprattutto perchè include a mio parere, l'idea della successione apostolica e in primo luogo della successione dell'amministratore costituito a capo.

E’ evidente che la figura dell’amministratore è da prendere in senso largo e quindi ogni forma di autorità nell’ambito della chiesa può rientrare nell’ottica espressa nel contesto del brano, ma quello che importa è che Gesù indica espressamente che vi siano delle guide nella sua Chiesa, e queste guide vi siano fino al suo RITORNO.

La Chiesa cattolica non si è servita di questo brano per avallare il primato petrino perchè ha a disposizione gli altri brani diretti e chiari sul primato di Pietro a cui fare riferimento; inoltre perché la figura dell’amministratore viene usata già in epoca apostolica per designare i capi della chiesa in genere. Anche lo stesso Pietro e Paolo lo usano in tal modo (cf.1 Cor.4,1 / 1Pt. 4,10), S.Ignazio di Antiochia lo riferisce ai vescovi in generale scrivendo agli Efesini (6,1):

Chiunque il padrone di casa abbia mandato per l’amministrazione della casa, bisogna che lo riceviamo come colui che lo ha mandato. Occorre dunque onorare il vescovo come il Cristo stesso”.

Chi volesse obiettare dicendo che molti amministratori sono stati indegni ed incapaci legga quanto dice il Signore nello stesso brano di Luca 12, elencando tutte le specie di amministratori possibili e le promesse proferite al loro riguardo.

Concludendo questo paragrafo dedicato al brano di Luca 12,41 ss mi pare molto interessante il parere espresso da O.Culmann nel suo lavoro dedicato al Primato, a proposito dell’affidamento delle “chiavi” a Pietro, riferisce testualmente: “In Mt.16,19 viene presupposto che Cristo è il padrone di casa, che ha le chiavi del Regno dei Cieli, per aprire a coloro che vi entrano. Come in Isaia 22,22 il Signore pone sulle spalle del suo servo Eliachim le chiavi della casa di Davide, così Gesù affida a Pietro le chiavi della sua casa, del Regno dei Cieli, e lo insedia come AMMINISTRATORE”.

Questa citazione di Cullman dovrebbe far molto riflettere e trarre le debite conclusioni.

 

Troviamo ancora un brano interessante su questo tema in Marco 13,33 ss :

 

State attenti, vegliate, perchè‚ non sapete quando sarà il momento preciso. E` come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poichè‚ non sapete quando il padrone di casa ritornerà…”

In questo brano, Marco introduce un’altra figura, quella del PORTIERE della casa, che ha il preciso compito, ordinatogli espressamente dal padrone, di vigilare. Viene anche detto che il padrone della casa ha “dato il potere ai servi”, il potere di svolgere un compito, ciascuno con il suo compito; e il compito del PORTIERE è quello specifico di “vigilare” ;

ma ci si può chiedere se anche gli altri servi non abbiano questo stesso compito, quello cioè di vigilare: appare chiaro che il “vigilare” del “portiere” è diverso dal “vigilare” degli altri servi. Significa evidentemente che il PORTIERE deve vigilare sull’andamento dell’intera casa compreso anche i compiti svolti dagli altri servi. Anche in questo brano si evince che tutta la vigilanza sia del portiere che degli altri deve svolgersi fino al ritorno del padrone, e perciò anche in questo caso Gesù manifesta l’intenzione che i compiti affidati non possono esaurirsi nel breve termine della vita degli apostoli.

 

Spigolando ancora nel Vangelo troviamo un altro elemento interessante:

Gesù dice in Mt.20,26: "chi vorrà esser PRIMO si faccia servo degli altri", da cui si evince ancora una volta la sua intenzione che un "primo" deve esserci nella sua Chiesa. In Luca 22,26 Gesù dice: " chi governa sia come colui che serve" da cui si evince che chi governa deve esserci; naturalmente non per “battere e maltrattare” gli altri servi ma per vigilare teneramente su di essi, dando a ciascuno la sua porzione, a suo tempo, secondo la guida dello Spirito Santo; chi dovesse comportarsi altrimenti sa già che il padrone al suo arrivo lo metterà tra gli infedeli.

 

Molti sostengono, nonostante quello che dice il Vangelo, che il primato papale sia una istituzione umana e che soltanto dopo qualche secolo si sia affermato tale primato sul resto della Chiesa.

In questo lavoro ho cercato di mostrare alcuni dettagli che forse potrebbero essere sfuggiti e che possono essere motivo di riconsiderazione dell’argomento .

Quanto sopra esprime quello che la SCRITTURA intende dire riguardo al primato di Pietro; quindi non ciò che gli uomini possono pensare, ma quello che pensava ed esprimeva Cristo attraverso le similitudini e le parole esplicite.

 

Per rispondere alla obiezione che l’idea del primato si sia imposto solo dopo qualche secolo, prendendo forma dall’organizzazione imperiale di Roma, vorrei fare solo alcune brevi osservazioni per mantenermi entro i limiti di una esposizione sintetica:

Lo stesso Lutero affermava che era Pietro colui che diceva cosa bisognava fare; troviamo infatti che tutta la prima parte degli Atti degli Apostoli mette in primo piano la figura di Pietro.

Anche Cullmann, che non condivide il primato papale, non può fare a meno di riconoscere che negli Atti, Pietro abbia assunto effettivamente il ruolo affidatogli da Cristo. 

[Modificato da Credente 02/06/2012 12:13]
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16/06/2012 22:20
 
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LA TESTIMONIANZA PATRISTICA SULLA PRESENZA e ATTIVITA' DI PIETRO A ROMA

Nella indagine sulla presenza e sull'attività di Pietro a Roma, va considerato attentamente la collaborazione di Marco che egli definisce "figlio suo" in senso spirituale nella sua prima lettera (5,13).

La prima testimonianza importante che possediamo, quella di Papia, vescovo di Gerapoli nei primi decenni del II secolo. Conosciamo il passo di Papia (tratto da una sua opera esegetica intitolata Spiegazione dei detti del Signore) da Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica III,39,15) e vale la pena di soffermarsi su di essa, per giungere a stabilire  la permanenza di Pietro a Roma.

:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

Ecco la traduzione del testo di Eusebio (14-17):

 

"Trasmette (sottinteso Papia) nella propria opera anche altre spiegazioni delle parole del Signore appartenenti al già citato Aristione e tradizioni del presbitero Giovanni: ad esse rinviamo coloro che desiderano conoscerle. Dobbiamo però ora aggiungere alle parole di lui prima citate una testimonianza che riporta a proposito di Marco, autore del Vangelo, e che suona così: «Anche questo diceva il presbitero (= l’Anziano): ‘Marco, divenuto interprete (ermêneutês) di Pietro, scrisse accuratamente (akribôs), ma non certo in ordine (taxei) quanto si ricordava di ciò che il Signore aveva detto o fatto’. Infatti non aveva ascoltato direttamente il Signore né era stato suo discepolo, ma in seguito, come ho detto, era stato discepolo di Pietro. Questi svolgeva i suoi insegnamenti in rapporto con le esigenze del momento, senza dare una sistemazione ordinata ai detti del Signore. Sicché Marco non sbagliò affatto trascrivendone alcuni così come ricordava. Di una cosa sola infatti si preoccupava: di non tralasciare nulla di quanto aveva udito e di non dire nulla di falso in questo». Questo è quanto viene esposto da Papia a proposito di Marco" .

 

Già Giustino (metà del II sec.) si riferiva al Vangelo di Marco chiamandolo «Memorie di Pietro» (Dialogo con Trifone 106). Ireneo di Lione, verso il 180, scrive: «Dopo la loro (= di Pietro e Paolo) dipartita, Marco, il discepolo e interprete di Pietro, ci trasmise anche lui per iscritto quanto veniva annunciato da Pietro» (Adersus HaeresesIII,1,3: cfr. EUSEBIO, Historia Ecclesiastica V,8,3). Tale notizia viene ripresa e variamente modificata poi da Clemente Alessandrino, Origene, ecc.

 

 

 

Per quanto riguarda il rapporto tra Marco e Pietro, si è pensato a un riferimento alla I Lettera di Pietro, che nei saluti finali ha: «Vi salutano la Chiesa, che è stata eletta come voi e dimora a Babilonia, e Marco, mio figlio» (1 Pt 5,13). Si suppone che questa lettera, che come si vede da Eusebio (III,39,17) Papia conosceva, sia stata scritta a Roma (sarebbe definita «Babilonia» in senso polemico, apocalittico) e che Marco, che doveva essere «figlio» di Pietro in senso spirituale, convertito da lui e suo discepolo, fosse in quel momento a Roma insieme a Pietro. Che sia presupposto in Papia questo riferimento a 1 Pt è un’ipotesi: il collegamento con il Marco della lettera di Pietro sarà fatto esplicitamente in seguito, a partire da Clemente Alessandrino e da Origene.

 

 

Clemente Alessandrino parla del Vangelo di Marco commentando 1 Pt 5,13, evidentemente perché identifica l’autore del Vangelo col Marco menzionato da Pietro nella Lettera. Origene scrive in Commentarium in Matthaeum. I (in EUSEBIUS, Historia Ecclesiastica VI,25,5): «Poi (= dopo il Vangelo secondo Matteo) è stato scritto il Vangelo secondo Marco, che fece come Pietro gli indicò e che da lui fu riconosciuto come figlio nella lettera cattolica in questi termini: «Vi saluta la chiesa eletta che dimora in Babilonia e Marco, mio figlio (1 Pt 5,13)».

 

In due testimonianze, contenute nel libro VI delle sue Ipotiposi, Clemente Alessandrino sviluppa la notizia. Dopo aver detto che Marco trascrisse la predicazione di Pietro su richiesta di alcuni ascoltatori, in un caso (in EUSEBIUS, Historia Ecclesiastica VI,14, 7) riporta: «Quando lo venne a sapere, Pietro non usò esortazioni né per impedirlo né per incitarlo»; invece nell’altro passo (ivi II,15,2): «Dicono che l’apostolo, quando seppe, attraverso una rivelazione diretta dello Spirito, ciò che era avvenuto, si compiacque dell’ardore di quelle persone e convalidò il testo scritto perché fosse letto nelle chiese».

 

Clemente è esplicito nell’indicare Roma come luogo dell’annuncio del Vangelo da parte di Pietro. Egli affermava (Ipotiposi VI, in EUSEBIUS, Historia EcclesiasticaVI,14,6); : «Quando Pietro ebbe annunciato pubblicamente a Roma la Parola e predicato il vangelo secondo lo Spirito, i presenti, che erano molti, invitarono Marco, in quanto lo aveva seguito da tempo e ricordava le cose dette, di trascrivere le sue parole. Questi lo fece e consegnò il Vangelo a coloro che glielo chiedevano» ancora in un altro passo (Adumbrationes ad 1 Pt 5,13): «Marco, seguace di Pietro, allorché Pietro predicava pubblicamente il vangelo a Roma, alla presenza di certi cavalieri di Cesare, [...] scrisse, sulla base di quanto Pietro aveva detto, il Vangelo chiamato di Marco».

 

 

 

La composizione a Roma del Vangelo di Marco verrà indicata più esplicitamente anche da Ireneo dal quale si ricava

 

indirettamente, perché afferma che Matteo scrisse il suo Vangelo mentre a Roma Pietro e Paolo predicavano e subito dopo continua dicendo che dopo la loro dipartita Marco trasmise la predicazione di Pietro (EUSEBIUS, Historia Ecclesiastica V,8,3).

 

Molti ritengono che questo Marco si possa identificare col Giovanni Marco (talora chiamato soltanto Marco o soltanto Giovanni), di cui parlano abbastanza spesso gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di Paolo. Anzi, da questi cenni, si traggono elementi per ricostruire una vera e propria «vita» di Marco, una vita non priva di avventure.

 

 

 

In Atti 12,12 si racconta che Pietro, dopo essere uscito di prigione a Gerusalemme, si recò alla casa di Maria, «la madre di Giovanni chiamato Marco, dove erano radunati in preghiera un buon numero di persone». Di qui si ricaverebbe che Marco doveva essere un personaggio ben noto e di famiglia benestante, dato che la sua casa era abbastanza grande per ospitare le riunioni della comunità cristiana. Le altre informazioni desumibili dagli Atti e dalle lettere di Paolo, fanno pensare che Marco fosse cugino di Barnaba (Col 4,10) e avesse partecipato per un periodo all’attività missionaria di Paolo e Barnaba come loro «aiutante», durante un viaggio in Asia Minore (At 12,25; 13,5). Ma a Perge, in Panfilia, Giovanni Marco li lasciò e ritornò a Gerusalemme (At 13,13). Questo abbandono dovette irritare profondamente Paolo, tanto che, quando decise di intraprendere con Barnaba un secondo viaggio missionario e questi voleva ancora portare con sé Giovanni Marco, Paolo entrò in dissidio aperto con Barnaba e preferì separarsi anche da lui: si scelse un altro collaboratore, mentre Barnaba partì per diversa meta col cugino (At 15,36-41). Se si tratta sempre del medesimo Marco, si può supporre che Paolo si fosse riconciliato poi con lui, dato che in alcune lettere scritte durante la prigionia (a Roma?) lo menziona come collaboratore al suo fianco (Col 4,10; Fm 24) e, più tardi, in 2 Tm 4,11, quando Marco non si trova più accanto a lui, chiede al destinatario (che forse è a Efeso) di condurglielo. Sicché si dovrebbe dedurre che Marco sia stato prima in contatto con Pietro a Gerusalemme, poi con Paolo e infine ancora con Pietro.

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Altre attestazioni patristiche inerenti la presenza e l'attività di Pietro a Roma sono le seguenti:

 

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Clemente Romano, II capo della chiesa di Roma, intorno all’anno 100 d.C. scrive una lettera ai Corinti in cui esprime rammarico per non aver potuto intervenire prima a causa di varie disgrazie successe "qui tra di noi", cioè a Roma, a causa di invidia che avrebbe provocato il martirio dei sommi apostoli e di altri cristiani.

 

"Per l'invidia e gelosia furono perseguitate le più grandi e più giuste colonne le quali combatterono sino alla morte. Poniamoci dinanzi agli occhi i buoni apostoli. Pietro che per l'ingiusta invidia soffrì non uno, ma numerosi tormenti, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Fu per effetto di gelosia e discordia che Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza …." (Clemente, 1 Corinzi V, 2-5)

Ignazio di Antiochia, verso il 110 d.C. durante il suo viaggio verso Roma per subirvi il martirio, pur non ricordando il martirio dell'apostolo, scrive alla chiesa ivi esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo" (Ignazio, Ai Romani 4, 3). Siccome Pietro non scrisse alcuna lettera ai Romani, si deve dedurre che egli avesse loro impartito dei comandi di presenza.

S.Ireneo, verso l’anno 170 d.C. nel suo libro "Contro le eresie" riporta un elenco completo dei vescovi della chiesa romana presa a riferimento come la chiesa principale ("potentior principalitas") "fondata dagli apostoli Pietro e Paolo".

 

La parola "fondata" è stata oggetto di controversie, ma lo si capisce perfettamente se si pensa che durante il primo discorso di Pietro a Gerusalemme vi erano dei Romani ad ascoltarlo (Atti 2,11), il centurione Cornelio faceva parte della corte italica e fu catechizzato da Pietro, Paolo aveva contatti epistolari e pastorali con la chiesa romana e successivamente vi si recò personalmente rimanendovi fino alla morte per martirio: dunque già la stessa Scrittura riferisce sufficienti motivi per ritenere che la chiesa di Roma sia stata effettivamente fondata da loro; tuttavia "fondata" può avere anche una accezione più larga col significato di "consolidare" "radicare meglio" "irrobustire" "confermare nella fede". (cf. Rom.1,11).

 

 Tertulliano, nel suo libro "De praescriptione Haereticorum" aveva esaltato la funzione della Chiesa Romana dicendo: "…la chiesa dei Romani attesta che Clemente fu ordinato da Pietro, nello stesso modo anche le altre chiese esibiscono coloro che, stabiliti dagli apostoli nell’episcopato, ritengono essere trasmettitori del seme apostolico… se tu sei vicino all’Italia, tu hai Roma, donde autorità si porge anche a noi in Africa. Felice, codesta chiesa (di Roma) per cui gli Apostoli hanno versato tutto il loro insegnamento insieme col loro sangue, dove Pietro fu reso conforme alla passione del Signore, dove Paolo fu coronato con una morte come quella di Giovanni (Battista) , dove l’apostolo Giovanni, dopo essere stato immerso nell’olio bollente senza nulla soffrire, fu relegato in un’isola…"(Sulla prescrizione degli eretici XXXVI).

 

 

Scrisse anche che Pietro fu crocifisso a Roma durante la persecuzione neroniana, dopo aver ordinato Clemente, il futuro vescovo romano (Scorpiace XV; Sulla prescrizione degli eretici XXXII).

 

Degna di nota è anche la testimonianza di Tertulliano, secondo la quale Giovanni battezzò con le acque del Giordano e Pietro con le acque del Tevere (Il Battesimo, IV)

 

 

 

Origene (185-254) è il primo a ricordarci che Pietro fu crocifisso a Roma con il capo all'ingiù. Egli infatti scrive: "Si pensa che Pietro predicasse ai Giudei della dispersione per tutto il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e l'Asia e che infine venisse a Roma dove fu affisso alla croce con il capo all'ingiù, così infatti aveva pregato di essere posto in croce". (Origene in Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 1, 2).

Dionigi, vescovo di Corinto, verso il 170 d.C., in una lettera parzialmente conservata da Eusebio, attribuisce a Pietro e Paolo la fondazione della chiesa di Corinto e la loro predicazione simultanea in Italia dove assieme subirono il martirio. "Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza (con la loro morte) al medesimo tempo" (Dionigi in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 25).

 

Clemente Alessandrino (150-215) ricorda che, "quando Pietro ebbe predicato pubblicamente la Parola a Roma e dichiarato il Vangelo nello Spirito, molti degli ascoltatori chiesero a Marco, che lo aveva seguito da lungo tempo e ricordava i suoi detti, di metterli per iscritto" (Eusebio, Storia Ecclesiastica VI, 14).

Eusebio di Cesarea (260-337) ricorda come, sotto il regno di Claudio, la Provvidenza condusse Pietro a Roma per porre fine al potere di Simon Mago (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 14). Egli inoltre ricorda come, a Roma, sotto l'impero di Nerone, Paolo venne decapitato e Pietro crocifisso (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 25).

Girolamo (347-420) scrive che "Simon Pietro venne a Roma per debellare Simon Mago …occupò a Roma la cattedra episcopale per 25 anni, fino all'ultimo anno di Nerone …..fu crocifisso con il capo all'ingiù e i piedi rivolti verso l'alto, dichiarandosi indegno di venir crocifisso come il suo Signore" (Gli uomini illustri I).

Il sacerdote Gaio in una sua lettera contro il montanista Proclo, riportata da Eusebio di Cesarea, afferma:
"Io posso additarvi i trofei degli apostoli. Se tu andrai al Vaticano e alla via Ostiense, troverai i trofei di coloro che questa chiesa fondarono".




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16/06/2012 22:30
 
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tratto dal libro "IL PRIMATO DI PIETRO" alla pag.291 di Oscar Cullmann.

Si tratta, com'è noto di un grosso nome nel mondo teologico ed esegetico, e desidero citarlo per il fatto che l'esegesi al brano di Matt. tanto discusso, fatto da Cullman, che non è cattolico, ma un onesto cultore della Parola, acquista uno spessore del tutto degno di nota.

Ecco il problema: a chi pensa Gesù, dicendo che il nuovo popolo di Dio sarà edificato sulla "roccia"?

L'interrogativo potrebbe sembrare superfluo: ma il riferimento alla persona di Pietro, che pare evidente, è stato ed è oggi ancora contestato, sia da parte protestante che da parte cattolica.

L'interpretazione dei riformantori, secondo i quali la roccia è soltanto la fede di Pietro, non è soddisfacente: essa non trova il minimo punto di appoggio nel testo, anzi il parallelismo delle due frasi: Tu sei Roccia e su questa Roccia edificherò la mia Chiesa, indica che questa seconda "roccia" non può che identificarsi con la prima.

In aramaico, ove troviamo nei due casi il medesimo termine KEFHA, la cosa risulta più evidente che in greco.

L'interpretazione secondo la quale Gesù non avrebbe detto "Tu sei Pietro" bensì "dico a te, si a te Pietro, sebbene possa richiamarsi all'uso aramaico, è puramente ipotetica.

Che con la roccia sia designato, in fondo Cristo stesso (cf.Mt21,42) può avere un fondo di verità, ma non è questo elemento ad essere qui affermato, bensì viene conferita ad un discepolo LA FUNZIONE DI ROCCIA che compete a Gesù.

Rimane quindi una sola possibilità: che con questa parola Gesù designi proprio colui al quale ha dato il nuovo nome "Roccia".

Se ci si riferisce alla fede di Pietro, non si comprende più chiaramente il rapporto con il conferimento del nuovo nome, mentre il "loghion" (espressione) intende certo riferirvisi e spiegarlo.

Il conferimento del nuovo nome, attestato anche indipendentemente da Matt.16,17 ss, è rivolto alla persona dell'individuo Pietro, proprio come, quando Gesù conferisci agli Zebedeidi il soprannome di "figli del tuono", egli ha in mente la loro personalità.

Mi paiono perciò insoddisfacenti tutti i commenti protestanti che cercano di stornare il riferimento a Pietro, in questo o in altri modi.

No, è un fatto che Gesù intende proprio la persona di Simone, quando dice che "su questa roccia" edificherà la sua "ekklesia": su questo discepolo, che durante la vita di Gesù ha posseduto quelle determinate qualità e quelle specifiche debolezze, su di lui che allora era il portavoce dei discepoli, il loro RAPPRESENTANTE nel bene come nel male - e in tal modo roccia del gruppo dei discepoli - su di lui deve essere fondata la Chiesa che dopo la morte di Gesù deve continuarne l'opera sulla terra.

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16/06/2012 22:32
 
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dal libro "Lettura pastorale del Vangelo di Matteo" di Jean Rademakers - Ed EDB

Rivelazione del Padre o rivelazione della carne e del sangue: Pietro-roccia (16, 13-20)


Attraccando all'altra riva del lago, Gesù " viene " (v. 13) in un territorio pagano, nella regione di Cesarea di Filippo; alla fine del capitolo, Mt ci dirà che bisogna vedere il " figlio dell'uomo "che viene" nel suo regno " (v. 28): la realtà fisica è il simbolo della realtà profonda. Per la fede, infatti, si tratta dello stesso passo, ma compreso a due livelli. E' ciò che deve far percepire la formazione intensiva cui Gesù sottoporrà i discepoli.
E' lui infatti che prende l'iniziativa di interrogarli: " Gli uomini, chi dicono che sia il figlio dell'uomo? " (v. 13). E' questa la domanda unica e decisiva, sulla quale si gioca il destino di ogni uomo: dire chi è Gesù è collocare al tempo stesso la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.
La risposta dei discepoli dipende da una buona informazione: Erode vedeva in lui Giovanni Battista risuscitato (14,2); altri lo prendevano per il profeta dei tempi messianici, Elia (cf. MI 3,23-24); altri ancora come una delle grandi figure profetiche della storia passata. Mt solo parla di Geremia (cf. 2, 17), forse per il suo carattere forte e nascosto al tempo stesso, contestatore e contestato. Ma è notevole che tutti si riferiscano al passato. Da nessuno Gesù è considerato come colui che adempie la promessa, ancor meno come colui che è la promessa adempiuta.
La risposta di Pietro è netta, e Mt si compiace di illustrarla tramite una rivelazione di Gesù, che gli esegeti e i teologi ecclesiologici non hanno mancato di scrutare in tutti i sensi.33 Nel dialogo che si svolge tra Gesù e il porta parola dei discepoli, limitiamoci a mettere in risalto alcuni punti che il testo medesimo pone in luce.
Anzitutto, come nelle beatitudini (cf. 5, 11), Gesù passa dalla terza persona: " Gli uomini, chi dicono che sia il figlio dell'uomo? " (v. 13), alla seconda: " Ma voi, chi dite... " e alla prima: " ... che io sia? " (v. 15). Notiamo che il verbo dire in una concezione semita significa ben più che il nostro dire; è anche fare; donde la gravita di una parola che non realizzi ciò che dice (cf. 12, 36). Dicendo a Gesù: " Tu sei il Cristo, il figlio del Dio il vivente " (v. 16), Pietro accetta che Gesù sia, nella sua vita, e messia e figlio di Dio. L'articolo,ripetuto da Mt davanti a ognuno dei quattro termini, indica che egli ha di mira ben più che un'affermazione di messianicità; si tratta piuttosto del riconoscimento della divinità di Gesù (cf. 26,63). " Messia " non è quindi più un titolo, o un personaggio proiettato in un futuro indeterminato: è il figlio del Dio vivente, lui che è chiamato Gesù di Nazaret. Questa dichiarazione è carica di conseguenze: significa che Gesù, come figlio di Dio, ha l'iniziativa assoluta e ultima; il suo modo di vivere e di salvare gli uomini si impone assolutamente. Servo sofferente e giudice dei segni dei tempi, egli è veramente " il figlio dell'uomo ".
La risposta di Gesù si apre con una " beatitudine " in seconda persona, che rivela a Pietro la portata di ciò che ha appena confessato. Il suo discernimento, e la scelta che ha fatto, non derivano " dalla carne e dal sangue " (v. 17), cioè dalle sue proprie forze (cf. Sir 14, 18), ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona; la benedizione di Gesù (11,25.27) si realizza in questo uomo di poca fede (14,31; cf. 16,8), ma che si apre alla comprensione (cf. 15, 16; 16, 12). D'altronde è in forza di questa accoglienza che Pietro è da Gesù costituito " roccia " (petra) della sua chiesa; la casa fondata sulla roccia (7, 24) comincia a prendere il suo vero significato.
Il nome di qualcuno esprime, per un ebreo, la realtà più fondamentale del suo essere, la sua personalità profonda: Simone (cioè colui che obbedisce: Shim'on) era figlio di Giona (cioè della "colomba"): d'ora in avanti è costituito " roccia " del popolo da Dio convocato.34 Il nome del profeta " Giona " simboleggiava la comunità ebraica immersa nella diaspora a predicare la parola di Dio; infedele alla sua missione, essa la riscopre attraverso il naufragio nel mare, che evoca la potenza del male e della morte. Il segno di Giona, che Gesù applica a se stesso (16,4; 12,38-39), è quello del passaggio attraverso la morte. A sua volta, Simone, figlio di Giona, dovrà passare attraverso la morte e essere salvato dal Cristo risorto (cf. 14,30-31) per essere consacrato discepolo e divenire con Gesù figlio del Padre (cf. 12, 50). (...)

E' senza dubbio legittimo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che diceva e di ciò che gli veniva rivelato; dal v. 22 si capirà che non lo era affatto. E' chiaro infatti che non si possono pienamente accogliere la persona e la vita di Gesù, se non dopo il suo passaggio attraverso la morte e la risurrezione (v. 21). Inoltre, ogni vita, quella di Pietro come la nostra, è la storia di una libertà, fatta di impegni legati gli uni agli altri. L'impegno di Pietro, in nome di tutti i discepoli, approfondisce il loro rapporto con Gesù; questa accoglienza prepara il futuro nel quale dovrà essere confermato. Ma la chiesa primitiva, scoprendosi felice della rivelazione del Padre che legge nella risurrezione di Gesù, è in diritto di riconoscere le sue radici nella confessione di Cesarea.
Infine, si sa che più di un critico ha posto in dubbio l'autenticità matteana di questo testo (vv. 17-19).34 Così, per esempio, pare che Ireneo (verso il 180) non avesse nel suo vangelo il v. 18; tuttavia questa lacuna non gli impediva, basandosi sull'insieme del vangelo, di considerare la successione apostolica come un'istituzione voluta dal Cristo, tant'è vero che il carattere ecclesiale di Mt non si fonda unicamente su questo passo. Gli esegeti si trovano d'accordo nello scoprirvi un sapore molto semitico, e in esso alcuni leggono l'aramaico di Gesù; se è un'aggiunta al vangelo, è essa anteriore o posteriore al redattore matteano? La questione rimane aperta; finora non sono state portate delle prove decisive contro l'autenticità. Checché ne sia di questo problema, si può capire come la comunità cristiana, riconoscendosi nello Spirito come la comunità apostolica di Gesù Cristo, abbia scoperto in questo loghion un'espressione autentica dell'intenzione di Gesù riguardo alla propria esistenza ecclesiale

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16/06/2012 22:34
 
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dal sito "cristianicattolici.it"

In Mt 16,18-20 Gesù fonda la sua Chiesa sulla "roccia", ossia sulla stabilità, sulla sicurezza, sulla indefettibilità, assicurandole che né il tempo né l’errore avrebbero avuto su di essa

il sopravvento:"le porte degli inferi non prevarranno…" .

Chi può dubitare delle divine parole di Cristo ?

Nella traduzione biblica interconfessionale le parole di Cristo sono recate così:"e su di te, come una pietra, edificherò la mia Chiesa". Dunque, Pietro è la "roccia". E quando Gesù dice "la mia Chiesa", vuol dire che essa è "una ed unica". Tutte le altre associazioni che si dicono "chiese", non sono la Chiesa fondata da Cristo, e perciò non possono garantire l’autenticità dell’interpretazione biblica.

Ricordiamo che a Pietro (suo primo incontro con Cristo) viene dato il nome Kefa = roccia (Gv 1,42; Mc 3,16).

Roccia è una metafora, un simbolo che sta a significare sicurezza. Infatti leggiamo in 2 Sam 22,2:" Jahwè è la roccia di Israele"; prima di Davide Mosè aveva detto: "Jahwè è roccia" (Dt 32,4); Isaia additava Jahwè come "unica roccia"; anche nei Salmi (144,1 e 95,1) è detto "Benedetto Jahwè mia roccia".

Nel N.T. Gesù applica a Sé il Salmo 117,2 e si qualifica come "pietra d’angolo" ossia la pietra principale nella edificazione del "Nuovo Israele", che è la Chiesa, la "Sua Chiesa", come è scritto in Mt 21,42-44: "…la pietra scartata.. è diventata testata d’angolo.. chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà. Il Signore ha fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri".

Per i Giudei che non hanno creduto alla divinità di Cristo, questa pietra è divenuta motivo d’inciampo e di rovina (Rm 9,33; 1 Pt 2,7-8; Is 8,14; 28,16). Ma per i discepoli di Cristo, Egli è la Roccia Spirituale, fonte di salvezza, prefigurata nella roccia da cui Jahwè fece scaturire acqua abbondante per dissetare l’Israele secondo la carne (1 Cor 10,3-4; Es17,5-6; Nm 20,10-11).

E’ chiaro che l’essere Roccia di Cristo non vanifica l’essere roccia di Jahwè. Solo bisogna saper conciliare le due esplicite testimonianze della S. Scrittura. Roccia è detto nella Bibbia pure Simone , figlio di Giona. Fu Gesù stesso a imporgli questo nuovo nome; pietre vive sono pure tutti i credenti.

Fondamento è prima di tutto Gesù Cristo: "Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra (successione apostolica). Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (Cor 3,10-11).

Assieme a Cristo Paolo chiama fondamento anche gli Apostoli e i Profeti (Ef 2,19-20) si tratta qui dei profeti del N.T. (Ef 3,5;4,11; At11,27). Costituiscono con gli Apostoli la generazione dei primi testimoni che hanno ricevuto la rivelazione del piano divino e che hanno predicato il Vangelo (Lc 11,49; Mt 23,34; Mt 10,41). Tutta la Chiesa è detta fondamento "Colonna e sostegno della Verità".

Il voler vanificare la funzione dell’uomo-roccia, posto da Cristo a fondamento visibile delle "Sua Chiesa", significa alterare pregiudizialmente e irreparabilmente tutta la realtà intorno a Cristo ed alla Sua Chiesa. Il voler dimenticare i poteri così larghi concessi da Cristo al Primo degli Apostoli (Mc 3,13-19; Mt 10,1-4; Lc 6,12-16) significa spodestare la Chiesa di Dio dalla sua naturale divina autorità conferitale dal suo Divino Fondatore. Questo delitto di mutilazione è non solo contro quanto stabilito da Cristo, ma anche contro gli stessi credenti in Lui, i quali resterebbero privi delle prerogative più necessarie alla vita della Chiesa. La Chiesa non poteva e non può essere abbandonata al caos.

Nessuno è autorizzato a servirsi della Bibbia per distruggere la Parola di Dio; e questo avviene quando dei gruppi di credenti ricorrono a interpretazioni parziali ed arbitrarie che la stessa Parola di Dio non consente.

Le metafore ricordate indicano la funzione di pietra, fondamento benché in modo analogico;

e sappiamo che l’analogia comporta una somiglianza oggettiva, non una identità, nell’essere e nell’agire di due o più soggetti.

Infatti:

  1. Jahvè è roccia in quanto costituisce il primo fondamento della Chiesa, di cui l’antico Israele era tipo e figura. In Lui, ossia sulla sua bontà e fedeltà poggiava la fede e la speranza dell’Israele secondo la carne; in Lui poggiano la fede e la speranza del "Nuovo Israele" (Rm 9,6-8; Gal 3,6-9,29; 4,21-31; 6,8).
  2. Cristo è Roccia in quanto, a livello storico e visibile, è la pietra d’angolo (=principale) e fondamento della comunità di salvezza, ossia la "Sua Chiesa".
  3. Infine la Chiesa tutta intera è detta fondamento: "Voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno (=fondamento) della verità" (1 Tm 3,14-15).

Quando Gesù ha chiamato a se i dodici Mt 10,1 diede a loro il potere di……. ,

non a tutti i discepoli, Matteo poi usa la parola "per primo" per indicare che Pietro era il primo fra gli Apostoli, è bene notare che nonostante i protestanti vogliano negare questo primato, Matteo lo sottolinea, e i fedeli protestanti farebbero bene a notare che Matteo scrive il suo Vangelo intorno all’anno 70 quindi già esistevano le prime comunità cristiane, esistevano le prime Chiese locali con i loro ordinamenti, le Chiese locali fin dal principio non sono mai vissute nel disordine, ma sono state sempre organizzate per meglio accudire ai bisogni dei fedeli di ogni singola realtà locale,

quindi Matteo aveva visto e conosceva le Chiese e chi le guidava, e quando menziona la lista dei dodici Apostoli non lo fa in modo casuale (come vogliono far credere i pastori protestanti), a Matteo non gli "è scappata la penna di mano", scrive e sa quello che scrive, i protestanti che vanno a citare Giovanni cap.1,40 dimostrano ulteriormente la loro ignoranza biblica.

Non è mai bastevole sottolineare che "ignorante" non viene detto in senso offensivo, eppure appena ci si sente etichettare così si prende sempre come parola offensiva.

Nella Bibbia quando vengono elencati i dodici Apostoli, Pietro è sempre il primo, Pietro è sempre il primo a farsi avanti.

La fede di Pietro poggia su Cristo, la pietra sulla quale Cristo edificò la Sua Chiesa poggia su Cristo stesso, senza il quale la Chiesa non potrebbe esistere, Pietro ha da Gesù un carisma unico: "…conferma i tuoi fratelli nella fede" (Lc 22,31-32).

Inoltre Gesù gli dona l’ampio potere delle "Chiavi". Pietro è l’elemento di unità della Chiesa di Cristo e non accettarlo o mettersi contro di lui significa non accettare la volontà di Dio e rompere l’unità voluta da Cristo e per la quale Egli ha più volte accoratamente pregato.

Perché Gesù cambiò il nome a Simone chiamandolo Pietro?

Forse perché Simone in ebraico significa "canna", quindi era sinonimo di instabilità di fronte al vento impetuoso delle eresie?

Allora come mai non lo cambiò pure all’altro apostolo Simone lo zelota?

Perché i fratelli non cattolici debbono per forza cercare cavilli per dare forza alle loro spiegazioni errate? Spesso non si accorgono che cadono in contraddizione, come in questo caso, motivano che il nome fu cambiato perché Simone significava "canna" e poi dimenticano che c’era anche una altro apostolo con lo stesso nome! Non è un po’ ridicolo cercare di negare l’evidenza?

Pietro fu chiamato così proprio in vista dell’affidamento del suo ministero pastorale e della sua funzione di prima Pietra, proprio a lui infatti Gesù dice di confermare i suoi fratelli nella fede.

E’ impossibile non riconoscere all’apostolo Pietro una parte di primo piano nei Vangeli.

Questa sua preminenza risulta anzitutto da alcuni lievi indizi:

Pietro non solo fa parte dei tre discepoli che accompagnano il Salvatore quando opera la risurrezione della figlia di Giairo (Mt 5,37), nella trasfigurazione (Mc 9,1) e nell’agonia degli orti degli Ulivi (Mc 14,33), ma in ognuno di questi casi è citato per primo.

Così pure, egli sta in testa a tutti i cataloghi del collegio apostolico (Mc 3,16-19); Mt 10,2-4; Lc 6,14-16), e nel Vangelo si S. Matteo è detto espressamente: "il primo, Simone, chiamato Pietro".

Nessuna meraviglia, quindi, se in parecchie circostanze, questo Apostolo occupa il primo posto.

  • Quando i discepoli si mettono alla ricerca di Gesù, Marco dice semplicemente: "Simone e i suoi compagni" (Mc 1,36)
  • Quando si tratta di rivolgere domande al Salvatore, spesso è Pietro a prendere l’iniziativa parlando a nome di tutti. Infatti leggiamo:
  1. Mc 10,28: Pietro allora disse: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito".
  2. Mc 11,21: Allora Pietro, ricordandosi gli disse: "Maestro, guarda il fico che hai maledetto si è seccato…"
  3. Mt 15,15…: "…Pietro allora gli disse: spiegaci questa parabola. Ed Egli rispose: "Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?...Dal cuore invece provengono…"
  4. Mt 16,16-22: "Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente…". Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai…"
  5. Mt 18,21…:"Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare..? Fino a sette volte?... E Gesù…: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
  6. Mt 19,27-30: "Allora Pietro prendendo la parola disse: "ecco, noi abbiamo lasciato tutto…" E Gesù disse loro: "In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato… riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna". Molti dei primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi".
  7. Lc 12,41 "Allora Pietro disse: Signore questa parabola la dici per noi o anche per tutti?" (Gesù aveva detto la parabola del padrone di casa che se sapesse che viene il ladro non si lascerebbe scassinare la casa).
  8. Gv 6,68-69 "Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio".
  9. Gv 13,6-10: "…Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani ed il capo!". Soggiunge Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti".

Questi sono alcuni passi che dimostra come in effetti Pietro era sempre il primo a parlare il primo a farsi avanti ed il primo ad essere menzionato, e non stiamo a riferire i numerosi passi, nei quali Pietro appare come l’oggetto di una particolare attenzione da parte del Maestro:

  • Gesù gli dà un soprannome simbolico. "Cefa", che significa "pietra" (Gv 1,42);
  • A Cafarnao alloggia nella sua casa (Mc 1,29);
  • Sul lago di Tiberiade insegna dalla barca di Pietro (Lc 5,3);
  • Lo beneficia di una pesca miracolosa (Lc 5,3-10) che prefigura la pesca miracolosa che Pietro operò il giorno di Pentecoste quando si convertirono oltre tremila persone;
  • Gli permette di camminare sui flutti (Mt 14,27-36);
  • Quando gli esattori del didramma (pezzo di moneta greca d’argento, del valore di due dracme = al mezzo siclo giudaico) si volgono a Pietro come alla persona più in vista del collegio apostolico, Gesù ne fa un suo associato con un titolo eccezionale, e gli dice: "Va al mare, getta l’amo ed il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te". (MT 17,24-27).
  • Gesù manda Pietro, con Giovanni, a preparare l’ultima cena. (Lc 22,8).

Si nota che a mano a mano che procediamo, la figura di Pietro si va meglio delineando ed il suo studio sembra diventare più interessante. Continuiamo:

  • Dopo la risurrezione, l’angelo, parlando con le donne, ha un particolare ricordo per lui: "Ora, andate, dite ai discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto" (Mc 16,7).
  • Gesù lo degna di un’apparizione personale, come si rileva da Lc 24,34 e da 1 Cor 15,5: "…davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone…;" "…e che apparve a Cefa e, quindi, ai dodici".

Nella vita della Chiesa nascente, Pietro assume un’importanza sempre più spiccata di fronte agli altri Apostoli:

  • Discorso ai fratelli per l’elezione di Mattia (At 1,15-22);
  • Primo e secondo discorso di Pietro ai Giudei con la conseguente conversione di migliaia di persone (At 2,14 e ss.);
  • Pietro guarisce uno storpio (At 3,1-11);
  • Davanti al Sinedrio Pietro parla con coraggiosa franchezza nel nome di Gesù Cristo Nazareno, come nello stesso nome aveva detto allo storpio: "Alzati e cammina" (At 1,15-22);
  • Nell’episodio di Anania e Saffira è Pietro che interviene a correggerli e, per le sue parole ispirate, i due coniugi subiscono l’esemplare e terrificante punizione della morte subitanea che consente di scuotere ed aprire gli occhi a tutti i fedeli e agli stessi Apostoli presenti al fatto (At 5,1-11);
  • Ancora davanti al Sinedrio "Pietro e gli altri Apostoli risposero: bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli uomini" (At 5,29);
  • A Simon Mago, Pietro risponde: "Va in perdizione tu ed il tuo denaro" (At 8,18-24);
  • A Pietro l’angelo invia il centurione Cornelio e, con la visione di Joppe, Dio gli "ha insegnato a non considerare come profano e immondo nessun uomo" (At 10,28);
  • Ai circoncisi di Gerusalemme Pietro dà istruzioni circa la volontà di Dio di accettare tutti gli uomini nella Chiesa fondata da Cristo. Dopo le parole di Pietro i giudei cristiani "rimasero persuasi e resero gloria a Dio" (At c. 11).
  • Nel Cap. 12,1-9 degli Atti è raccontato l’episodio della miracolosa liberazione dalla prigione e l’interesse di tutti i fedeli oranti per Pietro prigioniero;
  • Sulla questione della circoncisione sorse una grande discussione tra gli Apostoli e gli Anziani, e fu Pietro che autorevolmente risolse il caso con queste parole: "Fratelli, voi sapete che Dio già da tempo scelse me tra di voi affinché per bocca mia i gentili udissero la parola del Vangelo e credessero..." (Atti 15,1-35).

Nella soluzione dettata da Pietro sulla spinosa questione della circoncisione, viene narrata la storia del primo Concilio ecumenico della Chiesa avvenuto in Gerusalemme nell’anno 51 (At 1,1-35). Qui si nota come l’azione singolare di Pietro, al momento giusto, è integrata dal collegio apostolico. E’ quello che tutt’ora si verifica nella Chiesa Cristo. La frase sconvolgente pronunciata dall’Assemblea di Gerusalemme per la prima volta, è giunta da Concilio a Concilio fino ad oggi: "Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi!"

E’ tale il prestigio di Pietro che la S. Scrittura ci fa notare:

  • Che i fedeli ponevano all’ombra del passaggio di Pietro gli ammalati perché fossero guariti (At 5,15);
  • Che Paolo va a rapporto da Pietro. Egli dice: "dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni" (Gal 1,18).

Inoltre, Pietro ci dice che non è permessa l’interpretazione personale (soggettiva) della S. Scrittura (2 Pt 1,19-20);

  • e che ci sono persone ignoranti e poco mature che deformano il significato di alcune cose delle Lettere di Paolo, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina" (2 Pt 3,15-16).
  • Pietro è soltanto un rozzo pescatore di Galilea. Se ha un seguito, se è ritenuto un Capo, è perché sono note ai fedeli le sue prerogative conferitegli e tutte le preferenze che Gesù ha avuto per lui. In conclusione: la Chiesa è di Cristo e nessuno ha il diritto di distruggerla in base alle sue umane preferenze. Il seguire Pietro è obbedire a Cristo che gli ha conferito il potere delle Chiavi, gli ha ingiunto di confermare i fratelli nella fede e gli ha affidato il compito di "pascere il Suo gregge".

    Riguardo alla trasmissibilità del potere apostolico faccio notare (e ripeto) che se il potere degli apostoli non era trasmissibile la Chiesa sarebbe morta con loro, non ci sarebbe stato più nessuno autorizzato a guidare la Chiesa di Cristo.

    La conservazione, l’esatta interpretazione del dato rivelato implica, per il magistero pontificio, l’obbligo e, dunque, il diritto e il dovere, di controllare e all’occorrenza, definire ogni verità che pur senza essere rivelata, anche implicitamente, si deduce come una conseguenza logica delle premesse poste dalla rivelazione.

    Quando Gesù disse agli apostoli "Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" )Mt 28,16-20); "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi sempre…" (Gv 14,16-18); è troppo chiaro il pensiero espresso da Cristo: Egli e lo Spirito Santo saranno sempre con Pietro e con gli Apostoli sino alla fine del mondo. Ed è chiaro, chiarissimo che quando Gesù parlava agli Apostoli, più che alle loro persone, voleva riferirsi alla loro missione che si sarebbe perpetuata in Pietro, nei suoi successori e nei vescovi, successori degli Apostoli… se Gesù promette agli Apostoli che sarà con loro fino alla fine del mondo, voleva forse dire che gli Apostoli dovevano vivere sulla terra fino alla fine del mondo? Oppure è più logico (e giusto) pensare che Gesù con quelle parole ha promesso che sarà con la Sua Chiesa fino alla fine del mondo? E’ logico che la Sua Chiesa doveva avere una guida nella figura del successore del primo degli Apostoli, coadiuvata dai successori degli altri Apostoli oppure con la morte degli Apostoli doveva regnare il caos?

    Signore, Tu che hai dato a Pietro le chiavi del Tuo Regno per sciogliere e legare e ne hai fatto il fondamento roccioso dell’unità;

    Tu che hai pregato per lui, affinché egli confermasse i suoi fratelli;

    Tu che al suo amore per Te hai affidato i Tuoi agnelli; concedici, Ti preghiamo, di saper verificare la nostra fede di singoli e di comunità su quella di Pietro vivente in mezzo a noi, e di saper pregare, a imitazione di Te, per lui, affinché, vivendo il suo carisma di servizio e di amore, sia per tutti il segno visibile e la speranza incarnata della riconciliazione promessa.

    Tu che riunisci i dispersi e li custodisci nell’unità, guarda benigno il Tuo gregge, perché coloro che sono stati consacrati da un solo Battesimo formino una sola famiglia nel vincolo dell’amore e della vera fede. Amen, Alleluja!

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18/06/2012 08:51
 
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Dai "Discorsi" di san Leone Magno, papa
(Disc. 4 sul suo anniversario di elezione, 2-3; PL 54,149-151)
La Chiesa di Cristo s'innalza sulla salda fede di Pietro


Tra tutti gli uomini solo Pietro viene scelto per essere il primo a chiamare tutte le genti alla salvezza e per essere il capo di tutti gli apostoli e di tutti i Padri della Chiesa. Nel popolo di Dio sono molti i sacerdoti e i pastori, ma la vera guida di tutti è Pietro, sotto la scorta suprema di Cristo. Carissimi, Dio si è degnato di rendere quest'uomo partecipe del suo potere in misura grande e mirabile. E se ha voluto che anche gli altri prìncipi della Chiesa avessero qualche cosa in comune con lui, è sempre per mezzo di lui che trasmette quanto agli altri non ha negato.
A tutti gli apostoli il Signore domanda che cosa gli uomini pensino di lui e tutti danno la stessa risposta fino a che essa continua ad essere l'espressione ambigua della comune ignoranza umana. Ma quando gli apostoli sono interpellati sulla loro opinione personale, allora il primo a professare la fede nel Signore è colui che è primo anche nella dignità apostolica.
Egli dice: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"; e Gesù gli risponde: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,16-17). Ciò significa: tu sei beato perché il Padre mio ti ha ammaestrato, e non ti sei lasciato ingannare da opinioni umane, ma sei stato istruito da un'ispirazione celeste. La mia identità non te l'ha rivelata la carne e il sangue, ma colui del quale io sono il Figlio unigenito. Gesù continua: "E io ti dico": cioè come il Padre mio ti ha rivelato la mia divinità, così io ti manifesto la tua dignità. "Tu sei Pietro". 
Ciò significa che se io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che ha fatto dei due un popolo solo (cfr. Ef 2,14. 20), il fondamento che nessuno può sostituire, anche tu sei pietra, perché la mia forza ti rende saldo. Così la mia prerogativa personale è comunicata anche a te per partecipazione. "E su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). Cioè, su questa solida base voglio costruire il mio tempio eterno. La mia Chiesa, destinata a innalzarsi fino al cielo, dovrà poggiare sulla solidità di questa fede.
Le porte degli inferi non possono impedire questa professione di fede, che sfugge anche ai legami della morte. Essa infatti è parola di vita, che solleva al cielo chi la proferisce e sprofonda nell'inferno chi la nega. È per questo che a san Pietro viene detto: "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19).
Certo, il diritto di esercitare questo potere è stato trasmesso anche agli altri apostoli, questo decreto costitutivo è passato a tutti i prìncipi della Chiesa. Ma non senza ragione è stato consegnato a uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti. Questo potere infatti è affidato personalmente a Pietro, perché la dignità di Pietro supera quella di tutti i capi della Chiesa

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18/06/2012 08:52
 
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TU SEI PIETRO, E SU QUESTA PIETRA EDIFICHERO' LA MIA CHIESA 
(Mt 16,13 – 20)

(Un grazie alle Claustrali Domenicane che hanno fornito questa meditazione...si invitano TUTTI i fratelli nella fede in Cristo Gesù, a ricambiare con il ricordo nella Preghiera...)

Proviamo ora ad analizzare il testo di Mt 16,13-20 innanzitutto nel suo sviluppo letterario, per ritrovare qui gli elementi comuni proposti all'inizio.

1) LA CORNICE: è rappresentata dai due versetti, iniziale e finale, 13 e 20. Hanno valore solo letterario, o meglio di inquadratura del vero discorso che è invece al centro del testo stesso. Notare nel 13 la formula del giungere nella regione di (e poi la specificazione), comune a molti testi di Mt.

2) COSTRUZIONE DEL TESTO: fondamentalmente attorno a Gesù che interroga. Abbiamo tre interrogazioni: 13b Gesù prende l'iniziativa, ma sembra che siamo ancora nell'ambito del discorso che capita per caso; 15b: qui la domanda si fa più insistente, perché è rivolta direttamente ai discepoli. Non è più pura curiosità, tanto per parlare, ma è una domanda diretta, che richiede una risposta precisa, puntuale, personale. 17 Inizia il lungo monologo di Gesù, ove parla con autorità, e spiega altrettanto autorevolmente che la risposta di Pietro non è merito suo, ma un dono del Padre, con il quale peraltro Lui ha un rapporto molto particolare, e poi investe Pietro di autorità.

3) LIVELLO DI INTERPRETAZIONE: sono le parole e i gesti di accesso di comprensione di un testo evangelico. Finche non si è trovato il centro del discorso nell'opera (parole e gesti) di si è ancora trovata la chiave di lettura del testo stesso.

a) CONTRASTO TRA QUELLO CHE HA CAPITO LA GENTE E I DISCEPOLI: È questo il nucleo interpretativo del testo. Gesù chiede, sembra quasi incidentalmente, che cosa pensa la gente di Lui. E ottiene risposte molto belle, ma anche molto umane. Viene paragonato a Giovanni il Battista, il più grande dei profeti, uomo tutto di un pezzo, già conosciuto ai lettori di Mt perché presentato nel cap.3, all'inizio della vita pubblica di Gesù ma è solo un profeta, anche se il più grande tra i figli dell'uomo; Elia: profeta tutto d'un pezzo, uomo duro fino alla violenza con gli oppositori della Torah (tanto da uccidere materialmente i sacerdoti di Baal), ma è sempre un profeta, Geremia: tra tutti i profeti il più innamorato di Dio, tanto da rinunciare ad una famiglia propria, unico caso nell'AT) per dedicarsi tutto alla diffusione della Parola, ma anche lui solo un profeta. Ma non basta, e Gesù pone ora la domanda diretta ai discepoli: e chi sono io? che posto ho nella vostra vita, voi che mi siete stati intimi?

b) INTIMITA' NELL'AMORE CRITERIO PER CONOSCERE ILSIGNORE: la domanda di Gesù non viene fatta a caso di Gesù. Non basta la risposta della gente, perché è la conoscenza dall'esterno, solo intellettuale, non del cuore, o dell'esistenza. Conoscere significa essere intimo di una persona , condividere tante cose, e tante esperienze con lui, solo cosi si può penetrare nel suo mistero interiore ( cfr. conoscere a livello esegetico- tecnico la Parola, e conoscere = esperienza: solo la familiarità, l'abitudine all'incontro di questa conoscenza = lectio divina). La domanda di Gesù è un invito a far uscire allo scoperto il livello di intimità e di conoscenza delle persone a Lui più vicine: chi sono io per voi, cosa rappresento nella vostra vita?

c)RISPOSTA DI PIETRO: emerge la personalità Pietro, che ben ha compreso la portata esistenziale di quella domanda, e ne accetta la provocazione. Avrebbe potuto rispondere in tanti altri modi, cosa che farà altrove: "Abbiamo lasciato tutto… Così emerge anche la personalità di Pietro, persona da definire, ma nella sua progressiva comprensione disposto a giocare fino in fondo la sua vita. Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente.

TU SEI: cfr. Io sono di Gv, i l'Io Sono colui che è (Es 3) significa che Lui è esistente, tutto il resto ne dipende, ne sussiste.

IL CRISTO: sei l'unico unto, consacrato, Santo, il presente della divinità nell'umanità (cfr. IS 61), ove l'attribuzione del compito di salvezza e di pacificazione radiale del profeta è attribuito a Cristo, è realizzato in Lui. E così di tanti altri testi della Parola, che in Lui, e Lui solo, trovano il loro compimento. La risposta di Pt mette in evidenza l'unicità assoluta di quel tu, e ne trae le conseguenze per l'opera della salvezza. Lo Spirito della Vita è su di Lui: lo stesso spirito insufflato da Dio nel fantoccio di terra da Dio creatore. Tutti siamo figli di Dio perché tutti siamo messi nella vita dal dono dell'insufflazione dello Spirito, ma Lui è IL FIGLIO: quest'articolo IL distingue un figlio tutto diverso rispetto a tutti noi: Lui è l'unico, l'unigenito figlio.(cfr. in Gv la differenza tra uios attribuito solo a Gesù, noi siamo bambini, diventiamo figli se accettiamo il dono del Signore)

DEL DIO VIVENTE: solo il Padre (colui che è) può essere definito il vivente per antonomasia. Solo in Lui, davanti a Lui, noi siamo viventi per partecipazione, illuminati dalla sua divinità.

d)CONFESSIONE TRINITARIA: la risposta di Pt non è chiusa solo in Gesù, ma acquisisce subito una apertura trinitaria. Cristo, il figlio del Padre vivente, implicitamente confessa in Lui la presenza dello Spirito (che lo ha riempito) e del Padre, di cui è Figlio. Anche noi entriamo in quest'unità, perché anche noi diventiamo figli se accettiamo la stessa fede, e lo stesso dono dello Spirito.

e)BEATITUDINE DI PT: è comprensibile perché lui è entrato nel mistero, la sua intimità raggiunto ha il massimo umanamente parlando: ecco perché Gesù lo chiama beato. La tua conoscenza cosi profonda non è solo effetto di conoscenza esterna ma è un dono dall'alto, che ti ha introdotto nell'intimità Figlio e dello Spirito. Questa conoscenza viene solo da Dio, solo dal dono dello Spirito. Così anche per noi non si pone la penetrazione della Parola se non per dono dello Spirito. Prima di leggere la Parola, devi metterti nella condizione di preghiera che sola apre alla conoscenza del mistero. La lettera della scrittura è analoga alla carne (la totalità della persona) così come non puoi conoscere la carne di Gesù se non nell'amore, nell'abbandono nello Spirito, nella preghiera, così è anche della Parola.

f)AFFERMAZIONE DI DIVINITO DEL FIGLIO: è il Padre mio (notare contrapposizione mio e vostro) che te lo ha rivelato. Cfr.ll,25-27 solo chi conosce il Figlio conosce il Padre, perché solo il Figlio conosce il Padre, e viceversa. Così solo chi è entrato nell'intimità profonda con il Figlio, e ricevendo il dono dello Spirito ne ha penetrato il mistero, solo costui potrà conoscere anche il Padre.

g)TU SEI PIETRO... a questo punto anche Pt è diventato unico, perché ha conosciuto 1 'unicità del Figlio nel dono del Padre. La scelta viene dal Padre, che si esprime nel tempo attraverso la confessione della fede, e attraverso questo Pt diventa la roccia su cui Gesù costruisce la comunità. Come l'unico essere è il Padre, così lo è anche come unica roccia su cui edificare la chiesa: Pt è la fedeltà rocciosa, il testimone forte come una roccia. Certo resta tutta la sua umanità (ripercorre la figura di Pt, sempre pronto a farsi mettere in crisi, dubbioso, incerto, disposto certo, ma anche tanto fragile). Allora la forza della roccia è il dono del Signore che lo ha scelto.

Il cardine della chiesa è Lui, Dio Padre, la sua fedeltà promessa la roccia, non la forza dell'uomo, che è invece tanto limitata, tanto impoverita. Ecco perché le porte dell'Ade non potranno prevalere. perché Lui è Dio, il Vivente, e la morte non può prevalere. Pietro è roccia perché è costituito roccia dalla fedeltà del Padre Non è merito suo, ma del dono e della scelta del Padre.

h)A TE DARO' LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI: non per merito tuo, ma per la roccia della fedeltà di Dio, che così ti costituisce in autorità. Così legherai e scioglierai (tecnica della contrapposizione tipica di Mt). Cristo non può essere un sostituto di Gesù, la natura rocciosa di Pt è in ultima analisi una partecipazione di Dio, così del non prevalere così del potere delle chiavi.

 

4) MEDITAZIONE DEL TESTO: se confrontiamo ora il testo con altre parti del NT, diventa facile comprenderne la pregnanza. cfr. Mt 11,25-27. Il rapporto particolarmente intimo tra Gesù e il Padre, e insieme lo preghiamo nella gioia perché ha rivelato le cose sue ai piccoli, e non ai potenti.

DIO ROCCIA: cfr. Dt 7,7 siete il più piccolo tra tutti i popoli, e Dio si compiace di dimostrarvi che Lui è la roccia, che è fedele, e mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni. Lui è la roccia, perché è fedele. Allora ciò che sarà legato sarà legato, e sciolto sarà sciolto.

Dt 8,17 La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno donato queste ricchezze; E' Dio che opera, perché è fedele alle sue promesse. Dt 9,4 stesso discorso: fedeltà di Dio.

PIETRA SCARTATA DALL'UOMO COSTITUITA DA DIO: cfr. Is 28 mi sono scelto una pietra scartata dagli uomini, debole umanamente parlando, ma io l'ho scelta, e allora diventa forte. E' la fedeltà di Dio che garantisce la rocciosità della promessa di Pietro, sostenuta dal dono di Dio. cfr. ancora Sì 117. 1 Pt 2,4ss.

Sembra che la pietra debba essere scartata per diventare testata d'angolo. Verso la testimonianza di Gesù: se il chicco di grano non cade per terra e non muore, non può portare frutto. Verrà tempo in cui altri ti prenderanno e ti condurranno su vie diverse da quelle a cui umanamente sei abituato, solo allora mi seguirai e mi darai la giusta testimonianza. E la strada seguita da Pietro, da colui che è unico perché sceglie il Signore che è unico. E' la nostra strada, quella su cui siamo chiamati a seguire e incontrare il Signore: solo quando umanamente avremo compreso e accettato tutta la relatività della nostra umanità, solo allora il Signore ci chiamerà e costituirà come pietre angolari, rocce su cui edificare la chiesa.

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11/07/2014 15:05
 
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TESTO della OMELIA di Papa Benedetto XVI
dopo la sua nomina papale

 

Questo giorno, nel quale posso per la prima volta insediarmi sulla Cattedra del Vescovo di Roma quale successore di Pietro, è il giorno in cui in Italia la Chiesa celebra la Festa dell’Ascensione del Signore. Al centro di questo giorno, troviamo Cristo. E solo grazie a Lui, grazie al mistero del suo ascendere, riusciamo a comprendere il significato della Cattedra, che è a sua volta il simbolo della potestà e della responsabilità del Vescovo. Cosa ci vuol dire allora la Festa dell’Ascensione del Signore? Non vuol dirci che il Signore se ne è andato in qualche luogo lontano dagli uomini e dal mondo. L’Ascensione di Cristo non è un viaggio nello spazio verso gli astri più remoti; perché, in fondo, anche gli astri sono fatti di elementi fisici come la terra. L’Ascensione di Cristo significa che Egli non appartiene più al mondo della corruzione e della morte che condiziona la nostra vita. Significa che Egli appartiene completamente a Dio. Egli – il Figlio Eterno – ha condotto il nostro essere umano al cospetto di Dio, ha portato con sé la carne e il sangue in una forma trasfigurata. L’uomo trova spazio in Dio; attraverso Cristo, l’essere umano è stato portato fin dentro la vita stessa di Dio. E poiché Dio abbraccia e sostiene l’intero cosmo, l’Ascensione del Signore significa che Cristo non si è allontanato da noi, ma che adesso, grazie al Suo essere con il Padre, è vicino ad ognuno di noi, per sempre.Ognuno di noi può darGli del tu; ognuno può chiamarLo. Il Signore si trova sempre a portata di voce. Possiamo allontanarci da Lui interiormente. Possiamo vivere voltandoGli le spalle. Ma Egli ci aspetta sempre, ed è sempre vicino a noi.

Dalle letture della liturgia odierna impariamo anche qualcosa in più sulla concretezza con cui il Signore realizza questo Suo essere vicino a noi. Il Signore promette ai discepoli il Suo Spirito Santo. La prima lettura ci dice che lo Spirito Santo sarà "forza" per i discepoli; il Vangelo aggiunge che sarà guida alla Verità tutt’intera. Gesù ha detto tutto ai Suoi discepoli, essendo Egli stesso la Parola vivente di Dio, e Dio non può dare più di sé stesso. In Gesù, Dio ci ha donato tutto sé stesso - cioè - ci ha donato tutto. Oltre a questo, o accanto a questo, non può esserci nessun’altra rivelazione in grado di comunicare maggiormente o di completare, in qualche modo, la Rivelazione di Cristo. In Lui, nel Figlio, ci è stato detto tutto, ci è stato donato tutto. Ma la nostra capacità di comprendere è limitata; perciò la missione dello Spirito è di introdurre la Chiesa in modo sempre nuovo, di generazione in generazione, nella grandezza del mistero di Cristo. Lo Spirito non pone nulla di diverso e di nuovo accanto a Cristo; non c’è nessuna rivelazione pneumatica accanto a quella di Cristo - come alcuni credono - nessun secondo livello di Rivelazione. No: "prenderà del mio", dice Cristo nel Vangelo (Gv 16, 14). E come Cristo dice soltanto ciò che sente e riceve dal Padre, così lo Spirito Santo è interprete di Cristo. "Prenderà del mio". Non ci conduce in altri luoghi, lontani da Cristo, ma ci conduce sempre più dentro la luce di Cristo. Per questo, la Rivelazione cristiana è, allo stesso tempo, sempre antica e sempre nuova. Per questo, tutto ci è sempre e già donato. Allo stesso tempo, ogni generazione, nell’inesauribile incontro col Signore - incontro mediato dallo Spirito Santo - impara sempre qualcosa di nuovo.

Così, lo Spirito Santo è la forza attraverso la quale Cristo ci fa sperimentare la sua vicinanza. Ma la prima lettura dice anche una seconda parola: mi sarete testimoni. Il Cristo risorto ha bisogno di testimoni che Lo hanno incontrato, di uomini che Lo hanno conosciuto intimamente attraverso la forza dello Spirito Santo. Uomini che avendo, per così dire, toccato con mano, possono testimoniarLo. È così che la Chiesa, la famiglia di Cristo, è cresciuta da "Gerusalemme… fino agli estremi confini della terra", come dice la lettura. Attraverso i testimoni è stata costruita la Chiesa – a cominciare da Pietro e da Paolo, e dai Dodici, fino a tutti gli uomini e le donne che, ricolmi di Cristo, nel corso dei secoli hanno riacceso e riaccenderanno in modo sempre nuovo la fiamma della fede. Ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore risorto. Quando leggiamo i nomi dei santi possiamo vedere quante volte siano stati – e continuino ad essere – anzitutto degli uomini semplici, uomini da cui emanava - ed emana - una luce splendente capace di condurre a Cristo.

Ma questa sinfonia di testimonianze è dotata anche di una struttura ben definita: ai successori degli Apostoli, e cioè ai Vescovi, spetta la pubblica responsabilità di far sì che la rete di queste testimonianze permanga nel tempo. Nel sacramento dell’ordinazione episcopale vengono loro conferite la potestà e la grazia necessarie per questo servizio. In questa rete di testimoni, al Successore di Pietro compete uno speciale compito. Fu Pietro che espresse per primo, a nome degli apostoli, la professione di fede: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). Questo è il compito di tutti i Successori di Pietro: essere la guida nella professione di fede in Cristo, il Figlio del Dio vivente. La Cattedra di Roma è anzitutto Cattedra di questo credo. Dall’alto di questa Cattedra il Vescovo di Roma è tenuto costantemente a ripetere:Dominus Iesus – "Gesù è il Signore", come Paolo scrisse nelle sue lettere ai Romani (10, 9) e ai Corinzi (1 Cor 12, 3). Ai Corinzi, con particolare enfasi, disse: "Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra… per noi c’è un solo Dio, il Padre…; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" (1 Cor 8, 5). La Cattedra di Pietro obbliga coloro che ne sono i titolari a dire - come già fece Pietro in un momento di crisi dei discepoli - quando tanti volevano andarsene: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6, 68ss). Colui che siede sulla Cattedra di Pietro deve ricordare le parole che il Signore disse a Simon Pietro nell’ora dell’Ultima Cena: "….e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli…." (Lc 22, 32). Colui che è il titolare del ministero petrino deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole - come sono fragili e deboli le sue proprie forze - costantemente bisognoso di purificazione e di conversione. Ma egli può anche avere la consapevolezza che dal Signore gli viene la forza per confermare i suoi fratelli nella fede e tenerli uniti nella confessione del Cristo crocifisso e risorto. Nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi, troviamo il più antico racconto della risurrezione che abbiamo. Paolo lo ha fedelmente ripreso dai testimoni. Tale racconto dapprima parla della morte del Signore per i nostri peccati, della sua sepoltura, della sua risurrezione, avvenuta il terzo giorno, e poi dice: "Cristo apparve a Cefa e quindi ai Dodici…" (1 Cor 15, 4), Così, ancora una volta, viene riassunto il significato del mandato conferito a Pietro fino alla fine dei tempi: essere testimone del Cristo risorto.

Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo dellapotestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile.Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.

Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire.La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode.



La Cattedra è - diciamolo ancora una volta - simbolo della potestà di insegnamento, che è una potestà di obbedienza e di servizio, affinché la Parola di Dio - la sua verità! - possa risplendere tra di noi, indicandoci la strada. Ma, parlando della Cattedra del Vescovo di Roma, come non ricordare le parole che Sant’Ignazio d’Antiochia scrisse ai Romani? Pietro, provenendo da Antiochia, sua prima sede, si diresse a Roma, sua sede definitiva. Una sede resa definitiva attraverso il martirio con cui legò per sempre la sua successione a Roma. Ignazio, da parte sua, restando Vescovo di Antiochia, era diretto verso il martirio che avrebbe dovuto subire in Roma. Nella sua lettera ai Romani si riferisce alla Chiesa di Roma come a "Colei che presiede nell’amore", espressione assai significativa. Non sappiamo con certezza che cosa Ignazio avesse davvero in mente usando queste parole. Ma per l’antica Chiesa, la parola amore,agape, accennava al mistero dell’Eucaristia. In questo Mistero l’amore di Cristo si fa sempre tangibile in mezzo a noi. Qui, Egli si dona sempre di nuovo. Qui, Egli si fa trafiggere il cuore sempre di nuovo; qui, Egli mantiene la Sua promessa, la promessa che, dalla Croce, avrebbe attirato tutto a sé. Nell’Eucaristia, noi stessi impariamo l’amore di Cristo. E’ stato grazie a questo centro e cuore, grazie all’Eucaristia, che i santi hanno vissuto, portando l’amore di Dio nel mondo in modi e in forme sempre nuove. Grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo! La Chiesa non è altro che quella rete - la comunità eucaristica! - in cui tutti noi, ricevendo il medesimo Signore, diventiamo un solo corpo e abbracciamo tutto il mondo. Presiedere nella dottrina e presiedere nell’amore, alla fine, devono essere una cosa sola: tutta la dottrina della Chiesa, alla fine, conduce all’amore. E l’Eucaristia, quale amore presente di Gesù Cristo, è il criterio di ogni dottrina. Dall’amore dipendono tutta la Legge e i Profeti, dice il Signore (Mt 22, 40). L’amore è il compimento della legge, scriveva San Paolo ai Romani (13, 10).


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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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