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DIFENDERE LA VITA DAL CONCEPIMENTO

Ultimo Aggiornamento: 08/02/2024 17:07
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20/05/2013 23:24
 
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Il suicidio è un atto di libertà?
No, è proprio l’opposto

DisperazioneRispetto per la persona di Daniela Cesarini e per le sue sofferenze, la donna che ha scelto tragicamente di andare in Svizzera per il “suicidio assistito”. Nessuna legittimazione però per il suicidio, che Immanuel Kant definisce così: «il suicidio non è abominevole e inammissibile perché Dio lo ha proibito, ma al contrario Dio lo ha proibito perché, degradando al di sotto dell’animalità la dignità intrinseca dell’uomo, è abominevole».

Era in carrozzella ma non era malata, dicono gli amici, solo addolorata per la morte del figlio Diego. Aiutava i figli degli immigrati nei compiti perché tutti i bambini hanno diritto a un futuro decente, diceva. Come Mario Monicelli, come Lucio Magri, fondatore del quotidiano“Il Manifesto”, come Piera Franchini, colonna della sezione veneziana di Rifondazione Comunista, anche Daniela era comunista fin nelle vene: militanza nel Pci e poi in Rifondazione comunista, consigliere comunale e assessore di Jesi (Ancona), leader del circolo Karl Marx. Il binomio di comunismo (o post-comunismo) e suicidio sembra essere sempre più stretto, come spiega Camillo Langone.

Vite segnate dalla solitudine esistenziale, privata di qualcosa che desse senso alla morte del marito prima e del figlio dopo. Per quale significato, infatti, ostinarsi a continuare le battaglie politiche e costruire l’agognato “mondo nuovo” comunista quandotutto prima o poi si sfalda come burro, da un giorno con l’altro? Vittorio Messori lo ha detto in altre parole: «il dolore ha un valore, e altissimo, solo nella prospettiva di chi crede in quel Dolorante per eccellenza che è il Dio appeso sulla croce. Fuori di quella prospettiva la sofferenza è un flagello che, non potendo essere domato altrimenti, esige la radicalità della soppressione il più possibile “dolce” del sofferente» (Qualche ragione per credere, Ares 2008, pag. 188)

Il problema dell’eutanasia e del suicidio assistito è dunque un problema esistenziale, prima che etico e politico. Oggi nelle società post-cristiane è un problema opprimente: ci si libera dalla vita perché non si riesce a darle un senso adeguato. «Non voleva mai parlare della sua disperazione»spiegano le amiche. La di-sperazione è l’assenza di speranza, sola prospettiva per chi non crede alla vittoria sulla morte, alla “buona notizia” del cristianesimo. La presenza della morte in costante attesa dell’uomo è la tomba della speranza umana, l’uomo non cristiano -se coerente- può solo essere di-sperato, cioè senza speranza. Per lui la morte, cioè la distruzione di tutto quanto ha costruito in vita (affetti, carriera, passioni, progetti…), è sempre l’ultima parola sulla vita, così come è senza speranza un condannato nel braccio della morte in attesa che il secondino lo venga a prelevare.

Al circolo Karl Marx di Jesi, si spiega su Repubblica, si consolano della perdita di Daniela con una frase di una canzone di Francesco Guccini: «Ognuno vada dove vuole andare / ognuno invecchi come gli pare / ma non raccontare a me cos’è la libertà». Ed invece è bene capire cosa sia la libertà, perché questa parola viene spesso abusata quando si parla di queste tematiche.

Inutile giocare con le parole: suicidarsi non è un atto di libertà, ma è proprio il sintomo della mancanza di libertà. Quando uno è libero? Quando non deve più scegliere perché ha già trovato quel che lo rende libero. Per i cristiani la libertà è una dipendenza, cioè si è liberi solo se dipendenti da Dio. «Il Creatore ci ama e la nostra dipendenza è essere nello spazio del suo amore, in tal caso proprio la dipendenza è libertà»ci ha insegnatoBenedetto XVI. Solo questa dipendenza rende liberi e permette di stare davanti al dolore e alla sofferenza arrivando a dire, come san Francesco d’Assisi«lodato sii, mio signore per sorella morte»

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