Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

MARIA NELLA STORIA DELLA SALVEZZA

Ultimo Aggiornamento: 02/03/2023 18:36
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
21/05/2012 13:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I. La Madre-Sion.
Punto d'incontro della antica alleanza (Gv.19,27)


 

– 1 –

L’arco della storia umana, guardato con gli occhi di Dio, si può ben definire “storia dell’unità”: unità dell’individuo, ricomposto in perfetta armonia con se stesso, unità dei popoli, unità con Dio.

Infatti, dal primo apparire dell’uomo sulla terra, come è narrato nel libro della Genesi fino all’ultima pagina della storia, che si concluderà con la riunione di tutti i dispersi figli di Dio nella celeste Gerusalemme, dove finalmente tutti saranno uno e Dio sarà tutto in tutti (1Cor.15,8) è un susseguirsi di fatti e di interventi divini, come tappe di un immenso cammino verso la riconciliazione dell’unità.

Annunciazione

“Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo
-dice il Signore-
Progetti di pace e non di sventura,
per concedervi un futuro pieno di speranza.
Voi mi invocherete e ricorrerete a me
E io vi esaudirò;
mi cercherete, e mi troverete,
perché mi cercherete con tutto il cuore:
mi lascerò trovare da voi
-dice il Signore-;
cambierò in meglio la vostra sorte
e vi radunerò da tutte le nazioni
e da tutti i luoghi
dove vi ho disperso”
(Ger.29,11-14)

Questo cammino della Chiesa e dell’umanità verso la pienezza, gravita tutto in torno a Cristo ed è segnato dalla presenza di Maria, vero vincolo di unità, perché è insieme Madre di Dio, della Chiesa e dell’umanità.

 

– 2 –

La prima pagina della storia dell’uomo – così come l’ha letta Israele alla luce della sua esperienza di Dio, e più ancora come la legge la Chiesa, alla luce della piena rivelazione di Cristo – racchiude il germe dello sviluppo storico successivo, contrassegnato dal susseguirsi di divisioni e di smembramenti che man mano sono andati espandendosi, ma anche dallo sforzo congiunto di Dio con l’uomo per ricomporre l’unità perduta.

La cacciata di Adamo ed Eva

Il peccato della prima coppia umana – Adamo ed Eva – ha segnato la fondamentale divisione, dalla quale sono nate tutte le altre: spezzando quel profondo legame di comunione con il Padre nello Spirito, che faceva dell’uomo primigenio un segno visibile della presenza di Dio nel mondo, una sua immagine, il vertice di tutto il creato.

“Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei?.
Rispose: Ho udito il tuo passo nel giardino, ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”
(Gen. 3,9-10)

L’uomo fugge da Dio: fugge perché sa di aver fatto un’altra scelta; e Dio ratifica questa “fuga”, esiliandolo dal paradiso:

“Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo, da dove era stato tratto”
(Gen. 3,23).

Inizia così la nostra storia: il primo nato, Caino, uccide il fratello, perché più buono e più gradito a Dio. Abele a differenza del fratello pone Dio al di sopra di tutto al centro della propria vita offrendogli le primizie del proprio raccolto e non le rimanenze come invece fece Caino; la discendenza dei perversi semina odio, contaminando anche i buoni. Il diluvio, rovina che gli uomini si sono procurati, trova una sola famiglia fedele a Dio: Noè. Anche dopo il diluvio, gli uomini continuano a gestire la propria autonomia disgiunta da Dio. Costituendosi arbitri di se stessi diventano preda del separatore essendo per propria scelta già separati in se. È questa la radice permanente della divisione dell’umanità.

Il libro della Genesi, con una pennellata incisiva, la delinea in una scena quasi-mitica: la torre di Babele!

“Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Gli uomini si dissero l’uno l’altro: Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tacchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra.
Ma il signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. E li disperse di là su tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra, e di là il Signore li disperse su tutta la terra”
(Gen. 11,1-9).

Il ricorso della storia dell’Eden è per Israele, - e molto più per la Chiesa – motivo di speranza: perché proprio ai due primi esiliati Dio consegna una promessa di vittoria sul serpente antico e le forze del male:

“Io porrò inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno”
(Gn. 3,15)

È il proto-Vangelo: il primo lieto annunzio divino sulle rovine umane. Alla luce di Cristo, la Chiesa ripensa con affetto, alla luce di Cristo, a queste misteriose pagine dell’umanità, e nella promessa divina scorge Cristo, figlio di Maria, profetizzato “seme di donna”, e vede insieme uniti da indissolubile vincolo Cristo nuovo Adamo e Maria nuova Eva: Cristo che con la sua incondizionata ubbidienza al Padre annulla la disubbidienza del primo uomo, e Maria che col suo “Sì” fedele cancella il “No” di Eva, costituendosi avvocata della prima donna e madre vera di tutti i viventi.

Per questo, forse, mentre Matteo tesse la genealogia di Cristo fermandola ad Abramo, Luca – che scrive il suo Vangelo per la comunità dei gentili convertiti – si preoccupa di congiungere insieme, con un’arcata audace, la storia di Israele con quella dell’umanità. Da Cristo – nel momento in cui discende dal cielo e lo Spirito lo rivela come l’Unto di Dio e l’Atteso di Israele e delle genti – da Cristo egli riconduce l’albero umano fino ad Abramo; e da Abramo fino ad Adamo; anzi, fino a Dio stesso.

“Figlio di Abramo...figlio di Sem, figlio di Noè...
Figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio”
(Lc.4,34-38)

Tutta la storia dunque confluisce in Cristo, in un progetto unitario: e può esser letta autenticamente solo alla sua luce. Egli infatti è il centro di unità. Il Datore dello Spirito, col quale rigenera i padri e i figli: rigenera il passato, il presente e il futuro: perché “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Eb. 13,8)

“Gesù Cristo vuole per sé un solo titolo, quello di Figlio dell’uomo, e preannunzia così una nuova èra, l’èra che segna l’inizio dell’umanità, in cui dopo il nome di Dio nulla sarà più grande del nome dell’uomo...Dove sono i Greci? Dove i Romani?... San Paolo non riesce a trattenere il canto dell’umanità trionfante, che gli gonfia il petto, ed esclama Non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, non c’è più né uomo né donna: ma voi tutti siete uni in Cristo (Gal.3,28). O uomini dei quattro venti del cielo, che vi credete di razze e di leggi diverse, non sapete quel che dite; quaggiù non siete né migliaia né milioni; non siete neppure due, voi siete uno, uno solo!”.

 

– 3 –

Dio pala ad Adramo

L’iniziativa di Dio di realizzare l’unità del genere umano in Cristo passa attraverso una serie di alleanze: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda, Davide e l’intero popolo di Israele, depositario delle divine promesse.

“Il Signore disse ad Abram:
Vattene dal tuo paese, dalla tua patria
E dalla casa di tuo padre
Verso il paese che io ti indicherò.
Farò di te un grande popolo e ti benedirò
Renderò grande il tuo nome
e diventerai una benedizione...
e in te si diranno benedette 
tutte le famiglie della terra”
(Gen. 12,1-3)

Israele sa di essere un fermento di benedizione per tutti i popoli della terra, il luogo unico di confluenza di tutte le genti, in forza della promessa di Dio che – Creatore sovrano del cielo e della terra e Signore degli individui e delle nazioni – amerà d’ora in poi chiamarsi il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Il Dio della loro storia. Ma La Chiesa, legittima erede e compimento dell’antico Israele, sente e professa che la promessa di Dio ad Abramo si compie solo in Cristo, “seme di Abramo”, “nato da Donna”, cioè da Maria; e perciò avverte di essere in Cristo sacramento di unità per tutti i popoli.

 

– 4 –

Il Sinai è un momento decisivo della storia di salvezza. Per la prima volta un popolo intero si salda in unità, cementata da un patto collettivo con Dio. Vi son giunti, gli israeliti, dopo travagliato cammino. Ai piedi del monte ricevono per mano di Mosè la legge di Dio, quale patto sponsale che reciprocamente li impegna – come sposa e sposo – in una mutua fedeltà.

“Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza,
voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli,
perché mia è tutta la terra!
Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa...”.
Tutto il popolo rispose a una voce e disse:
“Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!”
(Es. 19,5-8)

Un “Sì” che impegna Dio a camminare col suo popolo, e il popolo a seguire la strada del suo Dio.

Ma anche il miracolo di Cana, nella prospettiva dell’evangelista Giovanni, riecheggia l’alleanza del Sinai, preludio al patto nuovo ed eterno che sul Calvario sarà stipulato nel sangue divino. A Cana è la Madre di Gesù che dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Lo fanno.

Sgorga allora il vino nuovo della Parola, si compie il 2segno” che manifesta la Gloria di Cristo, nasce la fede dei discepoli in Lui, si compone attorno al Signore la prima comunità cristiana, con Maria.

 

– 5 –

Il Sinai però non fu per Israele, che breve idillio sponsale con Dio. Subito dopo infatti cominciò quella catena di infedeltà del popolo, che costrinse il Signore prima a spezzare l’unità nazionale raggiunta sotto Davide, poi scacciare dal suo cospetto il regno di Samaria, disperdendolo tra gli Assiri, e infine il regno di Giuda, deportandolo in Babilonia. Ma proprio qui, in questa terra di Babilonia, in questo “deserto dei popoli”, Dio, per bocca dei profeti, invita a conversione, parla al cuore della sua sposa esiliata, l’attira ancora a sé: ed essa finalmente ritorna a lui!.

Inizia cos’, sotto la guida stessa di Dio, per mano del misterioso Servo sofferente di Jahve, il secondo Esodo: da Babilonia verso la terra promessa. Rinascerà Gerusalemme – cantano i profeti – si rivestirà di splendore la Figlia di Sion, ridiventerà madre con una nuova immensa maternità: ché torneranno i suoi figli, e con loro anche i popoli gentili saliranno ormai a cercare il Signore nel nuovo Tempio della sua Gloria.

“Gioisci, figlia si Sion,
esulta, Israele,
e rallegrati con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato
La tua condanna...
Re d’Israele è il Signore
In mezzo a te,
tu non vedrai più la sventura.
Non temere, Sion,
non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore tuo Dio in mezzo a te
È un salvatore potente.
Esulterà di gioia per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
si rallegrerà per te
con grida di gioia,
come nei giorni di festa”
(Sof.3,14-18).

Nella visuale di San Luca, che trascrive il racconto dell’Annunciazione, Maria è questa nuova Gerusalemme, gravida di una maternità sconfinata: “Gioisci, o piena di grazia, il Signore è con te!”- le dice l’angelo -. “Non temere, hai trovato grazia presso Dio”. Su di lei, in quel momento, si posa la Gloria del Signore, che l’adombra e la feconda; in lei viene edificato non da mani d’uomo il nuovo Tempio – il Corpo di Cristo – nel quale saranno raccolti in unità tutti i dispersi figli di Dio, ebrei e gentili. E in virtù di questa inaudita maternità di grazia lei sarà per sempre “ quel grembo puro che rigenera gli uomini a Dio”, riportandoli alla prima sorgente di ogni unità e facendo di tutti, in Cristo Capo, un solo Corpo nello Spirito.

 

– 6 –

Il mistero della Pasqua di Cristo segna il terzo definitivo Esodo verso la terra promessa, e verso l’unità. Egli muore – profetizza Caifa – per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi (Gv. 11,31-32). “Io,quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv. 12,32).

Sulla Croce, dunque, nel Tempio vivo del Corpo di Cristo immolato per noi, si compie la riunificazione definitiva:

“Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza
E per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli”
(Col.1,19-20).

Ma proprio, lì, sotto la Croce, Maria – Figlia di Sion e Madre dei popoli – accoglie nel cuore straziato e genera a vita imperitura ed immortale tutti i figli, che l’infedeltà e il peccato aveva disperso:

“Donna, ecco il tuo figlio!” (Gv.19,26)

Si avvera in forma plenaria quanto il Salmista aveva cantato nell’ombra del mistero.

“Le sue fondamenta sono sui monti santi;
il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
Di te si dicono cose stupende,
Città di Dio!
Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono;
ecco Palestina, Tiro ed Etiopia:
tutti là sono nati.
Si dirà di Sion:
L’uno e l’altro la tiene salda.
Il Signore scriverà nel libro dei popoli:
Là costui è nato.
E danzando canteranno:
Sono in te tutte le mie sorgenti!”
(Sal.86).

OFFLINE
21/05/2012 13:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

II. La Vergine–Madre.
Fondamento dell'unità dei primi cristiani nella fede


 

– 1 –

Ultima Cena. Cristo, il Figlio del Dio vivente, ha amato i suoi fino alla fine, fino al supremo limite cui può condurre un Amore divino: ha concesso loro il Dono inestimabile di sé, che lo farà presente realmente, benché sotto esterno velo di pane e di vino, su tutti gli altari della terra, fino alla fine del mondo: finché tornerà!

È l’ora del commiato. Egli vede la sorte che l’aspetta; sa nei dettagli tutt’intera la sua Passione. Conosce pure il cuore e anche la fragilità dei suoi apostoli, dei discepoli, di tutti i credenti: ieri, domani, sempre. Il cuore è pronto a seguirlo; la carne è debole.

“Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte” (Mt. 26,31);
“poiché sta scritto: Percuoterò il Pastore e le pecore saranno disperse” (Mc. 14,27).

Questa previsione gli riempie il cuore di tristezza:

“Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per proprio conto, e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me”
(Gv. 16,32).

La sua solitudine è confortata dalla presenza indefettibile del Padre, ma indubbiamente anche dall’indefettibile presenza della Madre, che sola non si disperderà né mai lo lascerà , anzi, fusa in Lui, gli starà accanto, inchiodata con l’anima e con l’amore desolato alla sua Croce, accompagnando la sua morte, attendendo la sua risurrezione. Scrive S. Ambrogio:

“La Madre stava ritta ai piedi della Croce; e mentre gli uomini fuggivano, ella rimaneva là, intrepida…Mirava con occhio pietoso le piaghe del Figlio, dal quale sapeva che sarebbe venuta la redenzione del mondo, e offriva uno spettacolo non diverso dal suo. Il Figlio pendeva dalla Croce, e la Madre si offriva ai persecutori… Stava là per morire con Lui, perché sperava di risorgere con Lui, non ignorando il mistero di aver generato Colui che sarebbe risorto”.

È la perfetta discepola: modello ad ogni fedele e a tutta la Chiesa di unione indissolubile a Cristo, fino alla morte, e oltre la morte.

Ma prima di accomiatarsi ed entrare nella sua Passione, per fortificare i suoi e preservarli da defezioni e scismi, Cristo eleva la solenne preghiera, che accompagnerà come testamento la storia della Chiesa nel mondo fino all’ultima pienezza: fino all’immersione eterna in Lui e nel Padre ad opera dell’incarnato Amore:

“Padre santo,
custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato,
perché siano una sola cosa, come noi…
Per loro io consacro me stesso,
perché siano anch’essi consacrati nella verità…
Non prego solo per questi, ma anche per quelli
Che per la loro parola crederanno in me;
perché tutti siano una sola cosa,
come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch’essi in noi una cosa sola, 
perché il mondo creda che tu mi hai mandato…
Io in loro e tu in me,
perché siano perfetti nell’unità
e il mondo sappia che tu mi hai mandato
e li hai amati come hai amato me…”
(Gv. 17,11.19-21.23)

 

– 2 –

La Chiesa muove i suoi primi passi nel Cenacolo. Maria, che nell’ultima Cena era rimasta nell’ombra, ora compare in primo piano, accanto agli Apostoli: è anzi al centro, lei, la Madre di Gesù! Cristo è salito al cielo,; davanti a loro s’allarga la terra. Sbigottiti dal compito immenso, si raccolgono in preghiera.

“Tutti questi (cioè gli Apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui”.
(At. 1,14)

Apostoli, donne, parenti, gerarchia e fedeli: son tutti uniti, con Maria, in preghiera assidua e concorde. Implorando la Spirito Santo, di cui solo lei aveva soave esperienza. Li guida lei alla Pentecoste, che renderà la Chiesa “una santa”, e la costituirà portatrice al mondo del dono della Parola e dello Spirito, il quale d’ora in poi, come onda di luce, si propagherà purificatore e trasformante attraverso questa Chiesa fatta di uomini, mediante questi uomini che sono la Chiesa, per fare della terra tutta un’unità in Cristo.

 

– 3 –

Nel cenacolo la Chiesa si forma; al Cenacolo ogni giorno ritorna, per cementare – nella rinnovata effusione dello Spirito – la sua unità: perché ogni Messa è un Cenacolo che si perpetua nel mondo e fonde i molti in uno:

“Siete una cosa sola – scrive Ignazio di Antiochia nel I secolo – un’unica supplica, un’unica mente, un’unica speranza nell’amore, un’unica gioia purissima: questo Gesù Cristo!… Accorrete dunque tutti a quell’unico tempio di Dio, intorno a quell’unico altare, che è Gesù Cristo!”.

E sul Pane consacrato così pregano le comunità cristiane del I secolo:

“Come questo Pane spezzato, prima sparso sui monti,
è stato raccolto per farne uno solo,
così raccogli la tua Chiesa dalle estremità della terra
nel tuo regno!”.

La presenza storica di Maria, narrata dalle Scritture, si ferma proprio qui, nel Cenacolo: o meglio, rimane perenne in ogni Cenacolo, dove la Chiesa, riunita attorno all’altare, rivive e rinsalda la sua unione con Cristo: perché è Maria la sorgente perenne de doni sacramentali, anzi dell’umanità santa di Cristo, che effonde sul mondo la Grazia unificante.

Canta la Chiesa cattolica:

“Ave corpo vero, nato da Maria Vergine!”.

E la Chiesa bizantina:

“Ave per noi sei la fonte dei sacri misteri;
Ave, Tu sei la sorgente dell’Acque abbondanti.
Ave, o fonte che l’anime mondi;
Ave, fragranza del crisma di Cristo;
Ave, Tu vita del sacro banchetto!”.

Il Cammino di unità e di grazia della Chiesa peregrinante verso la Patria è contrassegnato da questo Dono che essa fa ai suoi figli, dovunque si trovino: Cristo, frutto di Vergine-Madre! Il Cristiano Abercio, sul finire del secolo II, volle incise sulla tomba le solenni parole:

“Abercio è il mio nome; sono discepolo d’un casto Pastore, 
che pasce greggi di pecore sui monti e nei piani,
che ha occhi grandi, il cui sguardo giunge dovunque.
Lui m’insegnò le parole veraci della vita.
Lui mi mandò a Roma a contemplare la reggia, 
e vedere la regina del manto e dai sandali d’oro.
Qui ho visto un popolo che porta un luminoso sigillo…
Avevo con me Paolo. La fede ovunque mi guidava,
e ovunque essa mi forniva in cibo un Pesce di sorgente,
grandissimo, puro, che casta Vergine ha pescato,
e lo distribuiva agli amici da cibarsene in perpetuo…”

 

– 4 –

Ma l’unità d’amore, che l?Eucaristia genera ed alimenta, ha il suo ceppo saldo nell’unità di fede e la sua radice profonda nell’unità gerarchica: attorno al Vescovo si cementa la Chiesa; sul Vescovo poggia la trasmissione apostolica della Verità. Scrive Cromazio di Aquileia:

“La Chiesa si riunì nel Cenacolo con Maria, la Madre di Gesù, e i suoi fratelli. Non si può dunque parlare di Chiesa, se non c’è Maria, la Madre del Signore con i suoi fratelli: ivi infatti è la Chiesa di Cristo, dove si predica che il Cristo si è incarnato dalla Vergine; ivi è autenticamente predicato il vangelo, dove predicano gli Apostoli”.

Nel suo primo annuncio fondamentale, la Chiesa si è trovata a proclamare un fatto inaudito: Dio s’è fatto uomo! Il suo annuncio, anche davanti all’incredulità dei giudei e alle derisioni dei gentili, non muta: Dio s’è fatto uomo! Il Verbo si è fatto carne! E? questo il Vangelo, un grido di gioia sull’oscurità umana. La Chiesa mostra con fierezza la grotta dove Cristo è nato, il paesino dov’è cresciuto, il luogo scabro dov’è morto crocifisso, il sepolcro da cui è risorto; confessa con vanto che la sua Madre era ebrea, povera, che si guadagnava il pane col lavoro; ma la professa con fermezza Vergine divinamente feconda, anche se ciò pare simile ad alcuni miti pagani, a favole inventate da poeti. Perché non è favola, ma verità assoluta, che Dio in persona, volendo salvare l’uomo, si degnò assumere in sé l’uomo, edificando da questa nuova Terra Vergine – con la potenza del suo Spirito – una carne vivente al verbo della Vita.

“Il Verbo del padre – scrive Ireneo di Lione – per immenso amore verso la sua creatura, accettò di nascere da una Vergine, per riunire in Sé e per mezzo di Sé stesso l’uomo a Dio”.

Il Verbo dunque è il centro luminoso, che congiunge il Padre creatore con la creatura perduta, riportando la pecorella smarrita al Pastore divino; l’Incarnazione è il nodo di confluenza di tutte le strade umane, il punto unico e insostituibile della riconciliazione con Dio, con i fratelli, con noi stessi, col tempo, con le creature.

 

– 5 –

Sul finire del primo e per tutto il secolo secondo della Chiesa di Cristo corse il più grave pericolo della sua storia. La scienza teologica ed esegetica del tempo, nata ai margini delle comunità cristiane, tentò di manomettere la Verità, interpretando i fatti come miti, permettendosi ognuno di leggere e capovolgere i testi sacri a proprio piacimento, col pretesto di cercare più a fondo e di trovare cose nascoste. Si autodefinivano “gnostici”, cioè sapienti e conoscitori: Satornilo, Menandro, Cerinto, Basilide, Marcione, e più di tutti Valentino con una schiera di discepoli; invasero il mondo con la loro abbondante produzione letteraria.

Forti del proprio sapere e spacciandosi per soli conoscitori della Verità occulta, osarono invadere il campo sacro con le loro teorie: catalogarono, smembrarono, divisero. Divisero addirittura Dio da se stesso, moltiplicando le sussistenze divine ora in 30 ora in 300 e più essere i distinti, che chiamarono Eoni; divisero il Cristo, distinguendo accuratamente in Lui, quasi realtà separate, Gesù, il Salvatore, lo Spirito, l’Unigenito; divisero la creazione in buona e cattiva; divisero l’uomo, mostrandolo infelice amalgama di bene e di male, destinando il corpo alla dissoluzione finale, l’anima alla pace, lo spirito alla luce. Poggiando su alcuni brani di sacre Scritture, che essi mutilavano, storpiavano e interpretavano a loro insindacabile giudizio, seminarono l’errore con la forza del sapere.

A queste interminabili disquisizioni ereticali, che svuotavano la realtà storica di Cristo, riducendolo a mera parvenza umana, e la salvezza da lui operata a pure conoscenza, la Chiesa dei semplici rispose innanzitutto con la vita:

“Se Cristo soffrì solo in apparenza – esclama il martire sant’Ignazio – perché sono incatenato? Perché anelo alla lotta contro le fiere? Inutilmente andrei alla morte! Una falsa testimonianza darei al Signore!”.
“Ma io ceco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò…Lasciate che io imiti la passione del mio Dio!”.

La Chiesa dei semplici rispose ancora con un netto rifiuto:

“Tappatevi gli orecchi – scriveva allora sant’Ignazio ai fedeli – se qualcuno vi parla in altro modo di Gesù Cristo. Egli è dalla stirpe di David, egli è da Maria: veramente nacque, mangiò e bevve; veramente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato, veramente fu crocifisso e morì…; veramente risuscitò dai morti…”

È questa la norma immutabile di fede, che tutte le Chiese sparse nel mondo, in consonanza perfetta, custodiscono e trasmettono: ieri come oggi.

 

– 6 –

Alcuni però tra dotti cristiani si cimentarono contro gli gnostici: Giustino, Melitone, Ireneo, Tertuliano, Ippolito, Origene, ed altri insigni nomi dell’antichità. Lo loro risposta ebbe una linea precisa: la storia della salvezza; e un denominatore comune: l’unità del piano di Dio.

La teologia della Chiesa infatti è teologia della storia: una teologia di unità. Unità è Dio; unità il suo piano creativo; unità antologica l’uomo; unità la Rivelazione; unità la storia dell’umanità, anche se fratturata dal peccato; unità è Cristo; ritorno all’unità la Redenzione. È inoltre un riportare la scienza all’armonia della fede: poiché la verità non è equivoca, ma unica; non diversa per il dotto e l’ignorante, si che altro intenda il fedele, altro sottintenda il sapiente. La verità non si inventa: si accetta; è cosa divina, non umana; “Trasmessa”, non “trovata”. Non è soggetta ad arbitraria interpretazione, ma custodita nella Chiesa con “tradizione” ininterrotta, che risale a Cristo. Questo è l’esplicito pensiero dei Padri.

Cristo è l’architrave di questa storia di salvezza. l’Emmanuele, che in sé ricapitola tutt’intero l’uomo – corpo, anima, sensi e potenze - e tutto il processo evolutivo dell’uomo, dalla generazione alla maturità, e tutti gli individui umani, di cui si pone a Capo, per comunicare loro non la natura, ma la divinità, e renderli in tal modo “uomini” veri, quali il Padre li ha voluti: una misteriosa ed amorosa fusione del divino e dell’umano. Scrive Ireneo.

“Coloro che lo dicono soltanto un puro uomo, nato da Giuseppe, muoiono, perché rimangono nella schiavitù della’antica disobbedienza, non volendosi mescolare al Verbo di Dio Padre né ricevere dal Figlio la liberazione…Negando infatti l’Emmanuele, che è nato dalla Vergine, si privano del suo Dono, che è la vita eterna; e non accogliendo il Verbo elargitore d’incorruzione, restano nella carne mortale e son tributari della morte, perché non ricevono l’antidoto della vita”.

Ma questa storia della salvezza, che si accentra nell’Emmanuele, poggia su due granitiche verità: la Vergine; la Madre. Maria infatti è la base storica e la credenziale che la salvezza è compiuta.

Vera madre, più di ogni altra, in quanto da sola dona al Verbo la nostra natura, rappresentando l’intero albero umano; e Vergine: non solo perché ha conservato vergine il suo impulso d’amore a Dio e inviolato il grembo, ma soprattutto perché Dio stesso – esempio unico! – l’ha investita di Potenza dall’alto e l’ha resa divinamente feconda di un Frutto divino. Poiché “non da sangue, né da volere di uomo, né da volere di carne, ma da Dio egli è nato”, e così “il Verbo s’è fatto carne e ha posto la sua dimora tra noi” (Gv.1,13-16), diventando salvezza e comunicazione all’uomo di ogni dono di grazia.

La verginità feconda di Maria è “segno” che si è finalmente realizzato l’eterno progetto del Padre, perché Dio solo poteva di sé fecondare un grembo di donna; la sua maternità verginale è “segno” che tutto l’uomo, finalmente, è stato salvato in Dio. Maria è e resterà il “segno” permanente della nostra salvezza.

 

– 7 –

Ma l’unità è dinamica: un cammino progressivo di luce in luce, guidato dallo Spirito santo, verso la piena conoscenza del mistero di Cristo. Maria fin dalle origini, è come la trama su cui si sviluppa questo cammino: la sua persona aiuta la Chiesa a scoprire se stessa in Cristo. Vergine interamente e per sempre consacrata a Dio; creatura in perenne ascolto della Parola; discepola di Cristo, cui tutti si ispirano; Madre potente, sotto il cui manto si rifugiano; modello sublime di come, amando, si possa diventare Madri di Cristo nel mondo.

“Come non appartenere al parto della Vergine, voi che siete membra di Cristo? Maria partorì il vostro Capo, la Chiesa voi. Infatti essa pure è madre e vergine: madre per le viscere di carità, vergine per l’integrità della fede e della pietà. Partorisce i popoli, ma essi son membra di quell’Uno, del quale essa è corpo e sposa, somigliando anche in ciò alla Vergine, perché anche nei molti, è madre dell’unità” (S. Agostino, Sermo 192,2)

OFFLINE
21/05/2012 13:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

III. La Chiesa Cattolica.
Sacramento e segno permanente di unità


 

– 1 –

21 Novembre 1964. La Basilica di S. Pietro ere gremita di popolo in festa: oltre 2000 Vescovi cattolici, osservatori di altre Chiese, personalità del mondo politico e culturale, clero e fedeli di ogni nazionalità. Si chiudeva la terza sessione del Concilio Vaticano II, con la promulgazione del capolavoro conciliare: la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium”.

Viva era in tutti l’attesa, traboccante di gioia. Un’onda di luce e di pace sembrava diffondersi nel luogo santo. Il Papa Paolo VI pronunciò indimenticabile parole. Elogiò l’opera compiuta dai Padri, e aggiunse di proprio una gemma alla corona sobria e stupenda che il Concilio aveva intrecciato a Maria:

“Abbiamo creduti opportuno di consacrare, in questa pubblica Sessione, un titolo in onore della Vergine suggerito da varie parte dell’orbe cattolico ed a Noi particolarmente caro, perché con sintesi mirabile esprime il posto privilegiato riconosciuto da questo Concilio alla Vergine nella santa Chiesa. A gloria dunque della Vergine e a nostro conforto Noi proclamiamo Maria santissima ‘Madre della Chiesa’, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d’ora innanzi la Vergine venga ancor più onorata ed invocata da tutto il popolo cristiano”.

Uno scroscio di applausi accolse la proclamazione. Il Papa chiuse il discorso implorando:

“O Vergine, Madre della Chiesa, a te raccomandiamo la Chiesa tutta…Ricordati di tutti i figli tuoi… Guarda con occhio benigno i nostri fratelli separati, e degnati di unirci, Tu cha hai generato Cristo ponte di unione tra Dio e gli uomini. O tempio della luce senza ombra e senza macchia, intercede presso il tuo Figlio Unigenito, Mediatore della nostra riconciliazione col Padre, affinché conceda misericordia alle nostre mancanze, e allontani ogni dissidio tra noi, dando agli animi nostri la gioia di amare…”

 

– 2 –

Madre della Chiesa! Di questa Chiesa “una, santa, cattolica ed apostolica”, che il Concilio ha presentato al mondo come segno e strumento tanto dell’intima unione con Dio, quanto dell’unità di tutto il genere umano. Perché l’unità, che il Padre ha voluto realizzare in Cristo, per suo volere passa attraverso la Chiesa Cattolica, alla quale “sospingono gli elementi di santificazione e di verità che si trovano anche fuori del suo organismo ecclesiale” (LG 8). Essa infatti è il prolungamento visibile di Cristo, che per suo mezzo porta a compimento, in forma progressiva, l’unità della storia del mondo.

Il Cristo è vincolo unico e insostituibile dell’unità, Mediatore vivente, per il quale dal Padre scende il dono che ci unifica e al Padre risale la tensione feconda, che ci immergerà nell’Uno, rendendoci tutti una solo cosa in Lui: un solo Figlio, una sola immensa realtà per i secoli, con la virtù trasformante dello Spirito santo.

Egli, Verbo incarnato e risorto, ha già ricomposto un unità, in Sé stesso, tutte le cose: l’uomo, portandolo a divina altezza, strumento della divinità; gli uomini, facendosi presente a tutti come luce che illumina il loro cammino di lotta contro le seduzioni del male; i credenti, rendendoli sue membra e dimorando in essi; il passato, il presente, il futuro, redimendoli; il tempo e la storia, riempiendoli di Sé. Egli è l’unità!

Ma storicamente questa unità deve compiersi ancora, nella sua pienezza definitiva: è una strada grandiosa, che come fiume sfocerà nell’eterno Infinito. Strada è la Chiesa!

 

– 3 –

Questa nobile Chiesa di Roma, con la quale – scrive S. Ireneo – è necessario che ogni altra Chiesa convenga, perché ha conservato immutata la trasmissione della fede ricevuta dagli Apostoli; Chiesa che possiede fin dalle origini del cristianesimo alla comunione d’amore di tutti i fedeli del mondo, oggi avverte impellente il compito di promuovere con tutti i mezzi il dialogo d’unione tra le confessioni cristiane, facendosi serva dell’unità senza nuocere alla Verità. È infatti cosciente di possedere tutt’intera la Verità rivelata, non certo nella veste luminosa che essa avrà in cielo, ma come germe fecondo che fiorisce ininterrottamente col trascorrere delle stagioni del mondo come Parola viva per ogni generazione umana, immutabile nella sostanza, varia nelle espressioni. Sa dunque di essere il centro e il luogo dell’unità: dove tutti troveranno lo spazio per esprimere se stessi in pienezza e il coraggio di camminare avanti, sicuri di non errare, perché sostenuti da un Magistero che è luce nello Spirito Santo.

Consapevole però d’essere anch’essa bisognosa di continua purificazione, perché la vita dei figli non sempre corrisponde al Credo che professano, con umiltà si presenta al mondo, con coraggio si verifica, con trepidazione compie il suo ministero di unità.

In questo laborioso cammino, irto e difficile, guarda a Maria. La propone come modello perfetto dell’unità umana e cosmica voluta dal Padre, ne prolunga l’ansia materna, ne implora l’intercessione potente.

 

– 4 –

In Maria si rivela innanzitutto l’unità del piano creatore di Dio sulla natura umana: quella natura che in noi è fratturata e in contrasto, in lei Immacolata – come professa la Chiesa cattolica – è apparsa in armoniosa fusione di anima e di corpo, vivi strumenti ambedue dello Spirito santo. In lei sola, senza macchia né ombra, l’immagine di Dio splende eterna.

“…in mille voci annuncian tue fatture
Il Re del cielo.
Ma delle tue fatture la più bella,
quella che più di grazia è portatrice,
quella che più ti rappresenta, quella
che al cor più dice,
Ell’è Maria, la vergine, la figlia
Dell’uomo, in ciel fatta a’ fratei reina,
la femminil pietà che s’assomiglia
alla divina!” (Silvio Pellico, prose e poesie)

In Lei si rivela ancora l’unità del disegno di Dio sulla vita umana, la quale – come – è ordinata a svilupparsi e crescere fino alla connaturale pienezza. Solo Maria, senza arresti né ritorni, ha compiuto fino in fondo l’oscuro e sofferto cammino di fede e di amore, portando la natura umana ad essere umile e docile strumento della grazia. La vita di Maria è un tessuto di fedeltà, stupendo silenzio dove Dio solo è diventato parola!.

“Io non conosco altra arte che ammirarti,
Madre mia e di Dio; fontana di miracoli…
Tu che parli la tua saggezza in un sol Verbo,
il tuo Signore!”. (Coventry Patmore)

Il Volere del Papa chiama tutti i figli dell’uomo ad aderire così fondamentalmente al suo Cristo, e ad accoglierlo in sé con tale pienezza, da diventare un tutt’uno con lui: sua viva presenza, suo prolungamento visibile; tanto in lui fusi, da non vivere più per se stessi, tanto a lui disponibili, da non avere altro interesse che il suo. Ma quest’indissolubile unione col Cristo, solo lei, la Madre, la perfetta discepola, ha saputo e voluto mantenere fino alla fine, fino all’eternità.

“Nessuno come Lui, nessuno!
Non nell’amore, non nel dolore. La capacità dell’uomo
Scavata che fosse sino al suo fondo,
la si può pur raggiungere, la si può colmare.
Quella di Cristo no! È abisso che non si scandaglia.
Nessuno come Lui, nessuno:
nemmen Lei che lo portò. Eppur l’ho veduto tutto,
l’eterno, l’infinito Cristo, lì, in un solo
piccolo specchio: l’anima di Lei!”. (Alice Meynell)

La più alta pagina di unità del genere umano e di tutto il creato fu scritta il giorno dell’Annunciazione, quando Maria raccolse nel suo “Sì” e rappresentò davanti a Dio tutti gli uomini della storia e le innumerevoli disseminate creature: il loro anelito divenne in lei realtà, la loro implorazione fu per suo mezzo esaudita: Dio si fece uomo; il Creatore diventò creatura. Per sempre. Così cantava Maria sul neonato Bambino, scrive un codice antico:

“Io son la montagna. Lui è la pietra.
Io sono la vigna. Lui è l’uva.
Io sono l’aia e il vello. Lui la rugiada.
Io sona la stella. Lui è il sole.
Io sono la nube. Lui la Presenza.
Io sono l’urna. Lui è la manna.
Io la verga. Lui il fiore.
Io sono il rovo. Lui è il fuoco.
Io sono la corteccia. Lui è il grano.
Io sono l’oliva. Lui il liquore.
Io sono il favo. Lui è il miele.
Io sono il vetro. Lui è lo splendore.
Io sono dolce a tutti. Lui ancora di più.
Io sono pietosa. Lui molto di più.
Io amo la pace. Lui è la pace.
Io sono fragile creatura umana. Ma Lui, è l’Uomo-Dio!”.

Il dogma dell’Assunta, definitivo della Chiesa cattolica, getta il ponte più ardito per la stirpe umana: dalla terra al cielo; dall’oggi all’eterno. Lassù, dove lei brilla già come stella, speranza e conforto al pellegrinare nostro, lassù è il termine ultimo di ogni approdo. Vinta la morte, rifatti a nuovo cieli e terra, Cristo consegnerà il Regno al padre, e Dio sarà tutto in tutti.

In Maria, dunque, rifulge attuato questo progetto di Dio su di noi, che fa del nostro essere umano, del nostro agire, della nostra incorporazione a Cristo, del nostro vivere con amore nel mondo il preludio dell’immensa unità del cielo.

 

– 5 –

Oltre che modello e ispiratrice, Maria è vincolo santo dell’unità ecclesiale. Tutte le Chiese, anche le più restie, in certo modo guardano a Lei: e se non tutte le venerano con culto speciale, tutte ne prolungano i sentimenti di fede e le parole di grazie all’unico Signore.

Maria è fermento nascosto nella grande massa del genere umano: “ È quella figura di Donna – scrive Paolo VI – che il Padre ha collocato nella sua famiglia – la Chiesa – come in ogni focolare domestico, perché nascostamente e in spirito di servizio vegli per essa e benignamente ne protegga il cammino verso la patria, finché giunga il giorno glorioso del Signore.

Interamente posseduta dallo Spirito Santo, tutta immersa nel mistero del Figlio, sì da vibrare come arpa in sintonia con Lui, ne vive l’ansia, che la pone supplice – con tutta la grande comunità dei salvati – davanti al Signore, per affrettare l’ora dello Spirito: l’ora dell’incontro di tutti, pieno e definitivo, che si trasformerà in gioia e forza per cambiare il mondo, ancor dominato dall’odio, in una nuova storia d’amore verso l’eterno Amore.

“La camera alta è tutta splendore:
la sua pietà ci raduni ancora,
in unità qui convengano i popoli…

O Madre, fa’ che la Chiesa continui
La sua preghiera concorde, unanime,
perché continui lo Spirito a scendere…

O Madre, sia Pentecoste perenne,
e il santo Fuoco consumi ogni male…

Tu del creato la santa bellezza,
tu della fine dei tempi figura,
tu l’arca viva dell’unico Uomo” (D.M Turoldo, Laudario alla Vergine.)

Con questo spirito che feconda e pervade il movimento ecumenico, il Concilio Vaticano II sigillava il suo documento più bello, la Lumen Gentium, invitando ad alzare lo sguardo e la prece a Maria:

“Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché essa, che con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra tutti i Beati e gli angeli, nella comunione dei Santi interceda presso il Figlio suo, finché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a glia della santissima e indivisibile Trinità”. (Lumen Gentium n. 69)

OFFLINE
21/05/2012 13:25
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La Vergine Maria prima discepola nella vita quotidiana


Il tema della nostra riflessione d’oggi, che vuole essere anche una contemplazione della figura di Maria e della luce che riceve il suo cuore, è ciò che approssimativamente possiamo denominare ‘vita quotidiana’, intendendo con questa parola gli eventi privati della sua vita e anche pubblici che non abbiamo le caratteristiche di speciale dolore o gioia, che lasciamo per i sabati successivi.

Per ragione di chiarezza parleremo degli insegnamenti ricevuti dal Padre, poi dallo Spirito Santo e in terzo luogo da Gesù, senza pretendere con ciò di fare una divisione netta dell’azione delle tre divine Persone, perché piuttosto si intrecciano e fondono intimamente.

 

I. La Vergine Maria “la prima discepola del Padre”


Nel trattare adesso degli insegnamenti che il Padre imparte a Maria, dobbiamo ricordare, come già abbiamo accennato, che non è nostra intenzione escludere altri intermediari in questo insegnamento, ma indicare solo che Maria riceve come proveniente da lui ciò che trasforma, illumina, ispira il suo cuore.

Così inteso, il ruolo del Padre come Maestro lo possiamo veder rispecchiato principalmente in due eventi che ci racconta il Vangelo di Luca: l’Annunciazione e la Visitazione. Questi saranno i nostri due punti.

Asserire che nell’Annunciazione è il Padre che insegna a Maria richiede forse una giustificazione.

Siamo abituati a considerare in questo evento, inizio della nostra salvezza, l’azione dello Spirito Santo, per cui attribuire l’insegnamento che esso contiene per Maria direttamente al padre, sembra alquanto forzato.

Tuttavia, guardando l’evento dalla prospettiva di Maria e anche dello stesso evangelista Luca, colui che si presenta come mandante dell’angelo Gabriele, che gli dà l’incarico e mette sulle sue labbra le parole di saluto alla Vergine e la proposta di diventare ‘madre’, non è altro che Dio Padre.

Inoltre, il primo punto culminante di questo annunzio si trova senza dubbio nelle parole: “Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc. 1,35b). Infatti quanto precede con tutta la sua grandiosità di saluto, di rasserenamento, di spiegazione, è solo un meraviglioso preludio; così come le parole che seguono sono di conferma. Al contenuto centrale, infatti, di questo annunzio vanno rivolte le parole di fede della Madonna: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc. 1,38).

Se ciò viene accettato, allora possiamo parlare degli insegnamenti che Dio Padre dà per primo alla Madonna in maniera del tutto privilegiata, ma attraverso di lei a tutti noi. Questi insegnamenti sono di grandissima importanza per la nostra vita spirituale.

Tali insegnamenti li possiamo ridurre a quattro: che è Padre, che agisce nel creato, che chiede collaborazione, che rende partecipi della sua paternità

  1. Dio è Padre.

    Le parole “Figlio di Dio” possono avere un senso debole e un senso forte. Nel primo caso, viene significato un rapporto speciale fra Dio e la persona singola o comunità denominata ‘figlio’, rapporto però che non tocca direttamente la natura di questa persona, la quale rimane pura creatura. Nel senso forte, invece, la parola ‘Figlio’ indica che uno ha con Dio comunione di natura e che, in maniera analoga a quanto accade nella paternità umana, il Padre lo ha generato, risultando così tra loro una identità di natura divina. In questo senso esigente e forte del termine, S. Paolo parla di Cristo Gesù come del ‘Figlio’ nel prologo della lettera ai Romani:

    “Nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti”. (Rm. 1, 3-4)

    In tale senso devono essere intese anche qui le parole, perché rispecchiano la fede della Chiesa primitiva.
    I teologi sottolineano oggi con sfumature differenti che la vita intratrinitaria di Dio si rivela e ci viene manifestata appunto per la Trinità che chiamano ‘economica’, cioè per il suo agire entro il mistero di salvezza. Di qui possiamo affermare che la prima persona umana, cui viene insegnato questo mistero del Padre che nell’eternità genera il Figlio suo, è Maria, perché è lei la prima a conoscere che il ‘figlio’ che nascerà sarà ‘Figlio’ di Dio.
    Il fatto di rivelare a Maria per prima questo mistero divino, fonte dalla quale scaturiscono tutti gli altri, è certamente situarla in un posto di particolare intimità e amicizia e in pari tempo far brillare dinanzi agli occhi del suo cuore il titolo più gradito a Dio stesso, quello di Padre. Gesù lo sapeva bene perciò insegno ai suoi discepoli a chiamarlo Padre, nella preghiera tipicamente cristiana del Padre Nostro. Maria è la prima creatura umana ad imparare questo mistero e con esso quanto la denominazione di Padre porta con sé: bontà, amore, sollecitudine, cura, generosità.
    La rivelazione di questo mistero, che merita benissimo le parole di Paolo: «… quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entreranno in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9), non potevano non commuovere, anzi sconcertare almeno per un attimo l’animo della Vergine Maria. Luca ci parla del turbamento di lei dopo il saluto dell’angelo; è una maniera di farci capire che Maria entrava in contatto del tutto singolare con la presenza della divinità. L’angelo la rassicura e toglie da lei ogni timore. Tuttavia, l’essere introdotta nella profondità del mistero della paternità di Dio, doveva far vibrare i sentimenti più profondi del suo cuore, perché Maria intuisce che il Figlio di Dio sarà anche suo figlio. 
    Ciò può venir dipinto con i colori e le tonalità soavissime del pennello di un Beato Angelico, ma in realtà mi sembra che occorrerebbero colori e luci più intense e di fuoco per farci capire lo spessore divino di questa esperienza di Maria. Tale intensità però, o se si vuole tale luce abbagliante, appunto perché proveniva da Dio come Padre, svegliava in Maria il sentimento di amore, di riconoscenza e di gratitudine più attraente che si possa immaginare.
    Maria riceve questa lezione con tutta la sua ricchezza in maniera tale che resta coinvolto tutto il suo essere: intelligenza e volontà, affetti e sentimenti più profondi.

  2. Dio agisce nel creato.

    Da qui non è difficile fare il secondo passo ed affermare che Maria, forse come nessun altro discepolo, impara questa verità: Dio agisce nel creato, non rimane lontano dalle sue creature, ma interviene in esse secondo i disegni della sua sapienza.
    Possiamo affermare che uno degli insegnamenti maggiormente impostati ricavabili dall’AT è che Dio non solo è il creatore del cielo e della terra e sarà il giudice di tutti, ma interviene nella storia umana e anche in quella delle singole persone nei tempi da lui stabiliti. La locuzione metaforica “ con mano potente e braccio teso” ripetuta per parlarci della liberazione dall’Egitto e prediletta del Deuteronomio, non vuol sottolineare altro che l’efficacia dell’intervento divino. È da notare che Luca mette sulle labbra della Vergine l’espressione: Ha spiegato la potenza del suo braccio” (Lc. 1,51), per spiegare quanto Dio ha operato in Lei.
    Debbo però sottolineare una cosa. In un primo momento questo agire di Dio come Padre, che comporta che Maria diventi madre, rimane impercepibile e nascosto; Maria lo deve accettare per fede. E ciò fa sì che possiamo dire che la Vergine viene sottomessa a una prova precisamente della sua fede-fiducia nel potere onnipotente di Dio.

  3. Dio chiede collaborazione.

    A proposito della collaborazione umana richiesta da Dio, avviamo la nostra riflessione dal presupposto che Dio ha sempre l’assoluta iniziativa nell’ordinare e nel determinare i piani di salvezza e nell’avverarli nei tempi stabiliti.
    Questa iniziativa divina che si protrae dando aumento e crescita alla sua parola che, come seme divino, fa fruttificare nei cuori la sua grazia e nella storia umana la sua presenza per mezzo della chiesa, non esclude, anzi positivamente include, anzitutto, la libera cooperazione umana. A diversi livelli e in maniera multiforme Dio invita la persona umana a trasmettere la sua parola, a dare testimonianza, ad adoperare i mezzi di salvezza che sono i sacramenti. Ma in modo specialissimo nel rapporto interpersonale con la singola persona, invita ognuno ad accettare e a collaborare con la sua grazia, perché così ha voluto realizzare il suo disegno di amore, come Padre amatissimo.
    Maria ha una esperienza del tutto singolare di questo invito, di questo rispetto, di questa maniera così confacente con l’onnipotenza e bontà divina e la dignità dell’essere umano, che egli ha creato a sua immagine e somiglianza.
    L’angelo attende questa risposta della Vergine Maria a parte da lei solo quando l’ha ricevuta.
    Questa risposta abbraccia tutto l’uomo, ma la possiamo considerare a due livelli: il livello più umano dell’attività spirituale e quello, complementare al precedente, che comprende anche il corpo e tutto quanto questa parola include nella terminologia del Nuovo Testamento.
    Al primo livello, che è senza dubbio il decisivo, Dio chiede una risposta di fede, cioè ritenere per veritiero quanto egli manifesta e disporsi ad obbedire al disegno della sua volontà in esso manifestata. Ciò porta con se: amare la persona di Dio e sperare che egli compirà quanto promette. In questo intrecciarsi delle tre virtù, che lo Spirito Santo infonde nel cuore, in un primo tempo è la fede che prende il sopravento. Essa è, come già ribadita il Concilio di Tridentino parlando della giustificazione, “inizio, fondamentale e radice di ogni giustificazione”.
    Orbene questa fede, che ammette gradi di perfezione, viene presentata da Paolo come un riconoscere la potenza di Dio in due fatti che possiamo chiamare di posizione estrema: Egli ha potere di far esistere quello che non è e di risuscitare i morti (cf. Rm. 4, 17; 1Cor. 1,29). Tra questi due punti estremi, nei quali si manifesta l’onnipotenza di Dio come creatore e glorificatore, si trova tutto il mistero di salvezza nel quale di dispiega questa forza veramente divina. Entro questo piano di redenzione e di salvezza occupa il primo posto il far concepire una vergine senza intervento umano. Se accettare ciò può rappresentare non piccola difficoltà per gli stessi credenti, possiamo immaginare la perfezione di fede che si richiede nel caso singolare e personale, come Maria, alla quale si propone questa manifestazione del potere divino che lei stessi deve percepire.
    Da qui l’importanza e il valore eminente dell’atto di fede della Madonna: ella crede che ciò sia possibile e crede che si avvererà in lei. Questa lezione impartita dal Padre alla Vergine Maria è accettata da lei con piena consapevolezza di quanto ciò rappresenta dinanzi al rapporto con lo sposo Giuseppe e indirettamente rispetto a tutti quanti la conoscono; è una prova e nel contempo la massima manifestazione di amore, fiducia da parte di Dio nella disponibilità piena di Maria. Sant’Agostino ha intuito l’importanza di questa risposta di fede e ci dice che Maria ha concepito Cristo, prima per la fede – e a questo livello è maggiormente madre di Gesù – e poi nel suo corpo verginale.
    Anche Elisabetta la chiamerà beata per avere creduto. Ma la lezione del Padre raggiunge pure l’altro livello, quello che possiamo chiamare sensibile e corporale. Ed ella offre il suo corpo, e apprende che il Padre per l’azione dello Spirito Santo lo renderà fecondo; concepirà quindi e darà alla luce un figlio che chiamerà Gesù.
    Pochi giorni dopo, Maria potrà essere testimone sia della verità della parola di Dio che della sua potenza. Testimone di privilegio per tutti i credenti in Cristo.

  4. Dio Padre fa partecipe Maria della sua paternità.

    Da quando abbiamo esposto sulla collaborazione che Dio Padre chiede a Maria, si fa palese che il sì di accettazione imbevuto di fede, di fiducia e di amore è la risposta di una discepola privilegiata che asseconda i disegni misericordiosi del Padre.
    Ora dobbiamo rilevare l’aspetto singolare incluso in questa lezione. Dio Padre eleva la cooperazione umana al livello particolarmente suo e più misterioso: quello di partecipare alla sua paternità rispetto a Gesù. Questo elevare e sublimare l’azione umana all’ordine della paternità, deve essere ben inteso. La distanza fra Dio e la creatura resta sempre infinita non solo di grado ma di qualità. Tuttavia questa benevolenza è un privilegio straordinario.
    Paolo concepisce la sua attività di apostolo e la esprime come un’azione di ‘padre’ che genera nel cuore dei credenti Cristo Gesù (1 Cor. 4,15; Gal 4,19). Queste affermazioni di Paolo: “ vi ho generato in Cristo Gesù”, “figlioli miei che io di nuovo partorisco, sono da intendersi come partecipazione analogica della paternità del Padre, paternità sostanziale ed originante ogni altro generare.
    Nel caso della Madonna, la partecipazione è ancora molto più eccelsa, anzi unica. Il Padre, per mezzo dello Spirito Santo, assumendo la sua femminilità, la costituisce non solo madre di Gesù, ma madre di Dio. La ricchezza di questo mistero, che ha richiesto dei secoli perché la Chiesa ne prendesse piena coscienza e formulasse con piena autorità nel Concilio di Efeso il titolo di ‘Theotokos’, ‘Madre di Dio’, attribuito alla Vergine Maria, possiamo considerare che sia stata rivelata alla Madonna nel momento stesso dell’annunciazione, perché colui che i suoi sensi esterni vedono come ‘figlio’ suo, la sua fede lo contempla come Figlio di Dio, secondo le parole dell’angelo.
    Gesù, che per la sua natura divina è il Verbo, per la sua natura umana, ricevuta da Maria, è figlio di lei. Ma l’unione di queste due nature nell’unica persona del Figlio di Dio fa sì che l’azione dello Spirito santo prepari e predisponga l’ovolo del seno verginale di Maria perché essa assunto dalla persona del Verbo divino, in maniera tale, che l’uomo concepito nel seno di Maria e dato alla luce a Betlemme, non possa essere un ‘uomo’ qualsiasi, indeterminato, ma solo l’uomo che sarà ed è Gesù, Figlio di Dio.
    Questo mistero di essere Madre di Dio contiene tale abbondanza di elementi e tale ricchezza di grazia che, anche agli occhi della Madonna, chiarirà successivamente il suo contenuto. Ma questa prima lezione introduttoria nel mistero che il Padre imparte a Maria, in maniera vissuta, fin dall’inizio della sua maternità, non solo rimarrà indelebilmente impressa nel cuore materno delle Madonna, ma trasformerà tutto il suo modo di essere e di pensare. Maria da questo momento sa che il Figlio di Dio è il suo figlio.
    Dobbiamo avvicinare un altro momento della vita di Maria a questo primo dell’Annunciazione: la visita alla sua parente Elisabetta. Nell’incontro infatti di queste due donne privilegiate, la maternità svolge in ambedue il ruolo principale. E poiché si tratta dell’incontro di due madri ‘miracolate’ possiamo vedere, specie riguardo a Maria, una lezione di Dio Padre.
    Tralasciando altri aspetti di questo meraviglioso incontro ci fermiamo un attimo sulle parole di Elisabetta:

    “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.” (Lc. 1,43-45).

    Di queste tre frasi, ciascuna delle quali è una rivelazione e conferma di quanto accaduto nell’Annunciazione, riteniamo solo la seconda, situata nel mezzo tra la conferma della maternità di Maria e il suo atto di fede. Facciamo ciò perché ci consente di tenere in rilievo un nuovo aspetto della partecipazione nel mistero di salvezza, che il Padre ha dato a Maria. E tale aspetto è l’essere portatrice di Gesù.
    I santi padri paragonano Maria all’Arca dell’alleanza, ma sottolineano la superiorità di Maria. La diversità intercorrente fra Maria e l’Arca, portatrice di una presenza speciale di Dio, è quella che si riscontra tra l’ombra e la realtà.
    Nell’incontro di Maria con Elisabetta possiamo rintracciare una nuova lezione di Dio Padre. Maria porta nel suo grembo Gesù per comunicarlo, perché Gesù entri in rapporto di salvatore, in questo caso con il suo precursore, ma in genere con tutti gli uomini.
    Se ogni carisma, ci dice san Paolo, viene concesso a beneficio degli altri (1Cor.12,7; 14,12-26), per “l’utilità comune”, “per edificare”, non desta meraviglia che questo singolarissimo dono della divina maternità di Maria sia anche concesso a beneficio altrui. Le parole di Elisabetta, facendo conoscere la gioia sperimentata da Giovanni nel grembo di sua madre, sono senza dubbio per Maria una rivelazione della potenza salvifica racchiusa nella sua maternità, che si spande e deve spandersi a profitto di quanti la vogliono accogliere.
    Da tutto ciò non è difficile trarre degli insegnamenti per la nostra vita spirituale che espliciteremo in seguito.

OFFLINE
21/05/2012 13:26
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I. La Vergine Maria “la prima discepola dello Spirito Santo”


Passiamo adesso alla considerazione di Maria come prima discepola dello Spirito Santo. Diamo sempre il doppio senso indicato al titolo ‘prima discepola’: ora però riguardo allo Spirito santificatore ce, come abbiamo visto, opera egli pure da maestro.

Ci consente di palar di Maria come prima discepola dello spirito santo il presupposto fatto che siamo dentro al mistero dell’Incarnazione del Verbo; sempre in riferimento a questo evento salvifico Maria, sarà la ‘prima’, e colei che in maniera più perfetta riceve l’agire dello Spirito come maestro interiore, benché già nell’Antico Testamento lo Spirito di Dio ammaestri in maniera simile quanti ricevono il suo benefico influsso.

Ho scelto quattro diversi momenti nei quali è maggiormente agevole rintracciare l’azione dello Spirito come maestro del cuore. Essi sono: il canto del ‘Magnifica’ e la breve frase, molto simile nel contenuto, con la quale Luca ci scopre l’effetto prodotto in Maria dalla visita dei pastori, dalle parole di Simeone e dalla vita di Gesù a Nazareth.

  1. Il Magnificat

    Nelle parole del meraviglioso canto che è il Magnificat si può senz’altro vedere l’azione di Dio Padre, perché esso poggia sul fulcro della divina maternità ed è una esplicitazione di questo mistero. Tuttavia mi sembra maggiormente adatto vedervi una lezione dello Spirito, se viene considerato, come è mio desiderio, da un punto di vista speciale.
    Tale prospettiva viene espressa dalle parole della Madonna: “… ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc.1,52).
    Questo inno presenta un quadro sorprendente sotto un aspetto particolare, inserito tra gli altri, di questa visione profondamente teologica e spirituale del mistero della salvezza.
    Non destano di fatto sorpresa né il tono di esultanza, né il ringraziamento, e neppure sentir lodare la potenza del braccio dell’Onnipotente, o che Dio abbia soccorso Israele e avverato le sue promesse “come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sula discendenza per sempre”. (Lc. 1,55).
    Invece desta meraviglia ciò mi sembra, che parli del rovesciamento dei potenti dai troni e dell’innalzamento degli umili. Ce significa tutto ciò? Che luce splendente rifulse dinanzi agli occhi del cuore di Maria, per farle vedere nell’Incarnazione tale cambiamento? Che portata hanno queste parole per capire la spiritualità della Vergine Maria?
    Anticipando la risposta e in pari tempo indicando i tre aspetti che ora vogliamo esporre, possiamo asserire: ciò significa il destino di Gesù; la luce è lo Spirito Santo; queste parole sono trascendenti, e ci fanno capire il posto che occupa Maria.
    È indispensabile ricorrere a un testo di san Paolo, per chiarire il pensiero e per offrire il fondamento sul quale poggia questa interpretazione, secondo la quale questo brano è una magnifica lezione impartita dallo Spirito Santo a Maria, e per mezzo di lei a tutti noi.
    L’Apostolo, scrivendo ai Corinzi, ci da la chiave di lettura per capire in profondità queste parole della Madonna.
    Nella prima lettera ai Corinzi egli infatti ci svela i disegni di Dio Padre, che per la salvezza del mondo ha inviato suo Figlio. Ma ciò in maniera tale, che sia la “sapienza della croce” quella che salva e solo essa.
    Paolo ci dice che gli uomini cercano sapienza e forza, ma Dio offre loro “debolezza” e “pazzia”. Debolezza e stoltezza dell’amore senza limiti né confini di Gesù, che si è spogliato della sua dignità divina e per amore verso il Padre e verso di noi, si è fatto obbediente sino alla morte e morte di croce. Di qui, il sapiente di questo mondo deve farsi insipiente e il potente di questo mondo debole per poter scoprire che la “stoltezza di Dio è più sapiente gli uomini e la sua debolezza più forte degli uomini” (1Cor. 1,25).
    Penso che queste parole diano motivo a parlare di un vero rovesciamento. Orbene chi può operarlo è lo Spirito di Dio scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.

    “Chi conosce i segreti dell’uomo – prosegue – Paolo – se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere, se non lo Spirito di Dio” (1Cor. 2,11).

    La Madonna quindi, parlando del rovesciamento dei potenti, ci fa intendere che ha compreso, alla luce dello Spirito , che per capire il mistero di Gesù del quale ella è portatrice, i sapienti e i potenti del mondo devono cambiare la loro “sapienza” nella “stoltezza” dell’amore rivelato nella Croce di Gesù e la loro “potenza” nella debolezza di cui si è rivestito Gesù nel grembo di Maria.
    Così come Paolo in seguito al testo citato afferma: “… Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (1Cor. 2,12), a nostra volta possiamo asserire che Maria ha ricevuto in pienezza lo Spirito di Dio poiché ha conosciuto questo ‘rovesciamento’ dei valori umani. Questo cambiamento non si può conoscere né apprezzare senza la luce dello Spirito: “… Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”; ed esso è indispensabile per accettare la salvezza di cui Gesù è portatore e che egli impersona.

  2. Maria ricorda gli eventi

    Parlando dell’insegnamento impartito a Maria dallo Spirito Santo posiamo abbinare due frasi che troviamo nel vangelo di S. Luca. Sono alquanto diverse e riferite a diversi eventi della vita di Maria, ma ambedue hanno un contenuto identico, che ci permette di allacciarle con l’agire dello Spirito di Dio che insegna, facendo ricordare. Certamente nel testo lucano non troviamo una esplicita indicazione dell’azione del Paraclito. Tuttavia il valore di sintesi e di sunto, che queste frasi hanno dentro il contesto nel quale le ha collocate l’evangelista, permette di vedere in esse una trascendenza particolarissima.
    La possiamo benissimo esprimere dicendo che questi eventi, di cui subito parleremo, rimangono come scolpiti nel cuore della Madonna e, illuminati dalla luce dello Spirito, guidano la sua azione e la sua vita.
    I due eventi sono la visita dei pastori e la vita di Gesù a Nazareth. Rispetto al primo, l’evangelista dopo aver narrato la visita dei pastori la notte di Natale e indicato che essi “riferirono ciò che del bambino era stato detto loro” (Lc. 2,17), contrappone l’atteggiamento di Maria a quello degli altri che ascoltano tali parole. Riguardo a costoro Luca afferma che “si stupirono”, di Maria invece che “… serbava queste cose meditandola nel suo cuore” (Lc. 2,19).
    Luca fa una osservazione molto simile a quella precedente, quando riassume tutta la vita di Gesù a Nazareth dopo il ritrovamento di Gesù nel tempio. Egli scrive: “ Partì (Gesù) dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso” (Lc. 2,51°).
    È da notare che sia in questo testo come nel precedente la versione della Bibbia di Gerusalemme, utilizzata da noi, traduce in italiano con “tutte queste cose” la locuzione certamente ebraizzante, che più letteralmente si traduce con “tutte queste parole”. Ciò fa vedere che Maria ricordava non solo le parole, ma anche i fatti accaduti. Questo riflettere, ricordano i fatti, mi sembra molto istruttivo per lasciare spazio all’insegnamento dello Spirito Santo, che aiuta a percepire il significato di eventi che, nonostante siano stati vissuti da noi, risultano forse enigmatici.
    È conveniente far riferimento ad altre due espressioni che troviamo in questo stesso contesto, per vedere con maggiore chiarezza il significato delle due locuzioni di cui parliamo.
    Dopo le parole del vecchio Simeone nel suo “Nunc dimittis”, che esprime la soddisfazione di un grandissimo desiderio avverato, Luca scopre l’impatto che esse hanno fatto nell’animo dei parenti di Gesù, con queste parole: “ Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle parole che si dicevano di lui” (Lc. 2,33)
    Nel ritrovamento di Gesù nel tempio, Maria domanda a su figlio: “Perché ci hai fatto così?”. Gesù risponde: ma il senso della risposta che egli dà, rimane oscuro. Luca conclude: “Ma essi non compresero le sue parole” (Lc. 2,50).

    Questi due indicazioni dell’evangelista permettono di dedurre, da una parte che la conoscenza di Maria sul mistero del Figlio è progressiva: essa impara; e dall’altra, che la Vergine riceve in un clima meraviglia, di sorpresa e di stupore le parole lusinghiere dette di suo Figlio. Ed è in tale atmosfera di serenità, pace, gioia, meraviglia, stupore, che Maria impara e progredisce nella conoscenza, ricordando quanto è accaduto, alla luce dello Spirito santo.
    Se Luca dice esplicitamente, riguardo all’evento della visita dei pastori a Betlemme, che Maria “meditava”, e non dà la stessa indicazione riguardo alla vita di Nazareth, possiamo tuttavia verosimilmente anche qui supporre che il ricordo di Maria era “meditativo” e valorizzava quanto accadeva.
    Questo atteggiamento, molto simile – per non dire coincidente – con la preghiera, ha un suo contenuto. Tale contenuto della riflessione di Maria lo possiamo individuare, nel caso dei pastori, nel fatto che proprio a loro, per primi, si fosse manifestata la nascita del Salvatore suo figlio e in maniera così straordinaria; e per quanto riguarda la vita di Nazareth, nel fatto di veder Gesù – e lei sa ce è suo figlio, ma anche Figlio di Dio – che rimane sottomesso ai suoi parenti: ciò desta grande stupore nel suo cuore.
    In questi due fatti occorre la luce dello Spirito per capire la preferenza di Dio verso i poveri e i semplici, gli umili, senza scandalizzarsi di questa preferenza; e per persuadersi che la sottomissione non è incompatibile con la dignità divina di Gesù, bensì confacente con la veste di servo e servitore che egli ha voluto indossare per la nostra salvezza: sottomissione non solo alla volontà del Padre, ma anche a quella umana dei suoi parenti.
    Di qui possiamo dedurre che Maria ‘impara’ sotto l’influsso dello Spirito a vedere come si allarga la lezione appresa dal Padre che “innalza gli umili”, e include in questi umili i ‘pastori’, cioè quegli uomini socialmente ‘umili’. In peri tempo vede come suo Figlio mette in pratica quel “rovesciamento” sul quale Maria è stata già istruita; ma contemplarlo avverato ed eseguito da suo Figlio diventa una costante e rinnovata fonte di meraviglia e di sorpresa per il suo cuore.
    Queste lezioni date dallo Spirito sulla sapienza della croce, sulla preferenza di Dio verso i poveri e sul valore dell’umiltà, tradotta in sottomissione, si intrecciano nella vita di Maria con quelle che continuamente riceve da suo Figlio; e ci permettono di considerare con frutto l’azione di Gesù come maestro di Maria nella vita quotidiana.

OFFLINE
21/05/2012 13:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I. La Vergine Maria “la prima discepola di Gesù”


Siamo arrivati al terzo punto che vogliamo esporre: Maria ‘prima discepola di Gesù Cristo.

Qui spicca senza dubbio il privilegio di Maria di essere la ‘prima discepola’ del Verbo incarnato. Ella è la ‘prima’ nel senso cronologico della parola, perché solo a partire dall’Incarnazione e dalla nascita di Gesù si può asserire che Dio, che aveva parlato “molte volte e in diversi modi” nei tempi antichi, ora “parla” per mezzo di “suo Figlio”, come dice l’introduzione della lettera agli Ebrei (Eb. 1,1-2).

Dobbiamo vedere, in questo fatto del parlare di Dio Padre per mezzo del Figlio, e primariamente a Maria, non solo l’aurora e lo sbocciare del fiore di una nuova tappa dell’amore del Padre verso gli uomini, bensì la pienezza di questo amore, che zampillerà come fonte inesauribile fino alla compiuta pienezza dei tempi.

Maggiormente importanti e indiscutibile è il posto di Maria come ‘prima discepola’ nel senso di qualità, cioè in quanto Maria è la più intima del divin Maestro, istruita da lui più frequentemente e nella maniera più svariata.

Consideriamo questo opera di Gesù come ‘Maestro’ di Maria in quattro momenti: primo, in quella che possiamo denominare la vita di famiglia; poi in altri tre momenti ricavati dai vangeli: a Cana di Galilea, e quando Maria incontra Gesù con i suoi discepoli, e ai piedi della Croce.

Sul primo momento siamo informati pochissimo. Tuttavia lo ritengo molto importante, perché ci dà la base per capire meglio gli altri passaggi della Scrittura e perché offre alla contemplazione dell’anima cristiana come una tela o una tavola sulla quale, con i colori o le figure somministrate dalla fede e dall’amore, può dipingere un quadro meraviglioso nel quale la figura di Gesù e della Madonna prendono corpo e vita secondo dei luoghi, tempi e circostanze.

S. Ignazio di Loyola propone come metodo di contemplazione di adoperare i sensi dell’immaginazione. Su questo metodo vi sarebbero molte cose da dire, ma non lo possiamo fare in questa sede. Dobbiamo accontentarci delle linee principali, perché ciò fa al nostro scopo.

I sensi della immaginazione sono chiamati anche sensi interni, che in corrispondenza ai sensi esterni da tutti conosciuti, cioè vista, udito, odorato, gusto,tatto hanno una loro attività simile a quella dei sensi esterni. Per l’immaginazione infatti possiamo ‘vedere’, ‘udire’, ‘odorare’, ‘gustare’, ‘toccare’, senza bisogno di avere dinanzi a noi una persona o un oggetto, ma solo facendolo comparire in virtù di questa facoltà chiamata immaginazione.

Il santo raccomanda, prendendo lo spunto dalla storia evangelica, ad esempio, della nascita di Gesù a Betlemme, di

“vedere, con gli occhi dell’immaginazione la via da Nazareth a Betlemme, considerandone la lunghezza e la larghezza, se tale via è pianeggiante a se attraversa valli o alture. Nello stesso modo, guardando il luogo o grotta della natività, vedere quanto sia grande o piccolo, basso o alto e come sia addobbato” (Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali).

E quello che ancora è più importante – raccomanda il santo – è di:

“vedere le persone, cioè vedere (immaginativamente) la Madonna, Giuseppe, l’ancella e il Bambino Gesù, appena nato. Mi farò simile a un povero e indegno schiavo, guardandoli, contemplandoli e servendoli nei loro bisogni, come se fossi lì presente, con tutto il rispetto e la riverenza possibili”.

Poi, procedendo in maniera simile con l’udito interiore, o dell’immaginazione:

“guardare, notare e contemplare ciò che dicono”.

Quindi, “odorare e gustare, con l’olfatto e con il gusto (spirituali), l’infinita soavità e dolcezza della divinità, dell’anima e delle sue virtù, a secondo della persona che si contempla”.

Infine, “ toccare col tatto (sempre immaginativo), come per esempio abbracciare e baciare i luoghi dove queste persone passano e si siedono”.

Egli avverte alla fine di ciascuno di questi ‘punti’ o attività dei sensi dell’immaginazione, che occorre “ procurare di coglierne frutto” spirituale.

Questa maniera di contemplare i diversi misteri della vita di Gesù è eccellente per introdurre non tanto la persona che contempla nell’ambiente di questi eventi salvifici quanto gli stessi eventi nel proprio cuore. Così si apre la via ad ulteriori progressi nell’orazione e siamo condotti come per mano sino alla soglia della contemplazione, chiamata dagli autori spirituali, ‘passiva’. Perché non solo procuriamo di immaginare le cose – diciamo esterne – bensì gustare e assaporare la divinità e le virtù: cose che certamente non hanno forma né figura. Ma sapendo che è qualcosa di straordinariamente sublime, lasciamo che la soavità e il profumo invadano tutto il nostro essere interiore.

Orbene, il privilegio singolare della Madonna, compartecipato da Giuseppe, è di non aver bisogno di adoperare i sensi dell’immaginazione, né per entrare nell’ambiente del mistero salvifico, né perché esso s’infiltri e penetri nel cuore. La Madonna ha dinanzi agli occhi la realtà di Gesù e la contempla con il cuore imbevuto di fede, speranza e amore materno. E così da essa riceve gli insegnamenti costanti che Gesù, suo Figlio, le imparte con la vita vissuta e con le parole.

Non dobbiamo dimenticare che l’insegnamento vissuto e dato da Gesù con la sua presenza e con il suo agire viene integrato, come abbiamo già detto, dall’attività del Padre come Maestro che attira verso Gesù, e dalla simile azione dello Spirito Santo che fa capire e penetrare, ricordando il senso vero e spirituale di questi insegnamenti.

Questo imparare, diciamo, ‘interiore’, dai tre divini Maestri non solo è osa importantissima, ma decisiva per la vita spirituale. È verissimo che il vedere con i sensi esterni la persona di Gesù e udire le sue parole è un privilegio: ciò si ricava chiaramente dalle parole stesso di Gesù che dice, rivolgendosi ai discepoli:

“Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l’udirono!” (Mt. 13, 16-17; Lc. 10, 23-24).

Tale ‘macarismo’, ossia benedizione (“beati”), presuppone però il vedere e udire Gesù con fede e amore, perché sono stati parecchi i contemporanei di Gesù sia a Nazareth che altrove, che non hanno meritato questa parola di ‘fortuna’ o ‘beati’, appunto perché non hanno completato la percezione esterna con quella interiore della fede e dell’amore verso Gesù.

Non è questa la situazione della Vergine Maria. Essa contempla Gesù, suo Figlio, e quanto egli fa, non solo con i sensi esterni, bensì con quelli dell’anima arricchiti dall’azione del Padre e dello Spirito, come Maestri del suo cuore.

  1. Vita di famiglia

    È conveniente soffermarsi un attimo, senza dilungarci nell’esposizione del meraviglioso evento che è la vita di famiglia a Nazareth, sul fatto della convivenza di Maria con suo Figlio.
    La Vergine lo contempla bambino, adolescente, adulto, e in ognuna di queste tappe gli occhi di Maria vedono sempre, con crescente meraviglia, il Figlio di Dio che veramente si è fatto uno di noi.
    Quante volte lo sguardo attento della madre si sarà fissato sopra Gesù per vedere come lavorava, come giocava, come mangiava, come pregava, con lo sfondo, indimenticabile per Maria. Che era Figlio di Dio! E tutte quelle altre azioni di un figlio che tanto attirano l’attenzione di una madre, il sorriso, forse il pianto, le domande, le risposte talvolta inattese, il suo contegno verso la mamma, soprattutto quando diventa un giovanotto, un uomo, saranno state per Maria altrettante lezioni di spiritualità. Senza dubbio nell’atteggiamento di Gesù in questi anni di vita di famiglia spicca la sottomissione, come rileva s. Luca (Lc 2,51), la bontà di Colui che potrà dire: “ imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt. 11,29). Mitezza tanto confacente con quella del Servo di Jahvè profetizzata da Isaia:

    “… non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is. 42,2).

    Il sunto che ci dà s. Luca di tutti questi anni: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc. 2,52), oltre ad essere in riflesso della verità, è probabilmente il luminoso ricordo lasciato da Gesù nel cuore di sua madre, la Vergine Maria. La Madonna, che durante questi anni ha fatto imparare tante cose al suo Figlio, a camminare, forse a leggere, a giocare, a darle una mano nelle faccende di casa, ad andare ad attingere l’acqua all’unica fontana del piccolo villaggio, a pronunciare il nome di ‘mamma’ e tante altre cose della vita quotidiana, a sua volta diventava discepola di Gesù, vedendo e contemplando come Egli faceva tutte queste cose.
    Presupposto questo atteggiamento di Maria come ‘prima discepola’, non causa meraviglia, anzi è la cosa più naturale del mondo, trovare nel vangelo queste parole: “ Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51), come abbiamo accennato.

  2. Maria a Cana di Galilea

    Come ho indicato, oltre a questo insegnamento quasi costante dato da Gesù a sua Madre Maria, è opportuno notare tre passaggi dei vangeli, nei quali possiamo facilmente individuare un particolare insegnamento per la Vergine Maria.
    Il primo di essi lo troviamo nelle nozze celebrate a Cana di Galilea, Giovanni ci racconta il fatto in maniera abbastanza dettagliata e dà all’evento una portata del tutto singolare.
    L’evangelista, collocando questo fatto subito dopo la vocazione dei primi apostoli e come prima manifestazione di Gesù, vuol dargli un posto di privilegio nell’annunzio della buona novella, che Gesù si accinge a proclamare pubblicamente.
    Da tutto questo ricchissimo materiale noi attingeremo soltanto quei tratti che ritengo siano molto adatti una lezione, non teoretica, ma vissuta, concessa da Gesù a sua madre e con lei a tutti noi.
    S. Giovanni con poche pennellate ci dipinge il quadro e fa agire i personaggi. Indica il tempo: “ tre giorni dopo”, l’ambiente: “ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”, chi erano gli invitati: “c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli”. Ciò premesso, entra subito nell’argomento: “… venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino’” (Gv.2,3).
    Prima di considerare la risposta, nella quale possiamo vedere il contenuto delle lezione, è conveniente soffermarci un attimo su questo intervento di Maria a favore degli sposi.
    Non conosciamo i possibili legami di Maria con questi innominati, da una parte generosi, ma dall’altra sprovveduti sposi. Richiama l’attenzione il contegno attivo di Maria in tutta questa vicenda. La Madonna si accorge della mancanza del vino e subito cerca di mettervi riparo. Ella si rivolge subito non al padrone di casa, né al maestro di tavola, né ai servi, ma direttamente a Gesù. Da questo fatto penso sia legittimo dedurre che Maria ha imparato a venire incontro in modo spontaneo ai bisogni degli altri ricorrendo soprattutto a suo Figlio, nel quale ha una fiducia illimitata. Perciò in questo ricorso al Figlio e non al padrone possiamo anche vedere l’ispirazione speciale dello Spirito che la spinge a procedere in questo caso concreto con la stesso fiducia illimitata.
    La risposta di Gesù alla petizione di sua madre, a giudicarla dal tenore delle parole, potrebbe sembrare un rifiuto. Ciò appare già dalle prime parole di risposta: “Che ho da fare con te o donna?”. Esse presuppongono che la domanda di Maria voglia coinvolgere Gesù nell’interesse da lei sentito riguardo agli sposi. Tale rifiuto o distacco emerge maggiormente nel chiamarla “donna” e non “madre”, come ci si aspetterebbe, giacché l’evangelista nei due versetti precedenti l’ha denominata “la madre di Gesù”. L’appellativo “donna”, adoperato da Gesù sulla croce, quando egli si mostra premuroso riguardo al futuro di sua madre, non è in nessun modo espressione di disprezzo, come si prova dall’uso greco di questa parola. Qui però mi sembra sia la parola giusta, per rendere meno stridente il rifiuto opposto da Gesù a sua madre.
    Si deve avere presente che l’evangelista ci dà i tratti fondamentali del racconto senza indicarci il tono di voce con cui vengono pronunciate queste parole, se con un sorriso, che smorzerebbe l’asprezza delle parole, o con un gesto, che Maria e forse solo lei poteva capire nel suo vero significato; non sappiamo.
    Il rifiuto però sembra maggiormente perentorio dal motivo aggiunto da Gesù, che ben possiamo chiamare ‘ragione teologica’. Nel dire: “Non è ancora giunta la mia ora”, egli fa appello infatti alla volontà del Padre, che ancora regge tutta la vita e l’attività di Gesù. Affermare quindi che non è ancora giunta “la mia ora” fa palese da una parte che la richiesta della Madonna accennava a un intervento di Gesù proprio in rapporto alla sua missione di Salvatore e, dall’altra, che egli ritiene non sia il momento e forse neppure il posto adatto per manifestare la sua gloria, quella che egli proviene dal Padre e lo fa uguale al Padre, perché le opere di Gesù manifestano il Padre.
    Tuttavia, nel modo di pronunziare queste parole la Vergine Maria ha intuito il vero disegno del Padre e la vera volontà del Figlio.
    Ecco il punto nel quale che dobbiamo vedere la lezione che Gesù imparte a sua madre. E la lezione altra non è che questa: sotto un’apparenza, forse aspra, della risposta di Gesù si possono vedere i contenuti della sua infinita dolcezza e bontà. Ed è la preghiera piena di fiducia, la forza che rompe il guscio delle parole e fa palese il vero sentimento di Gesù.
    Che l’apparente rifiuto passa insieme con il desiderio da parte di Gesù di voler accogliere la domanda, lo conferma il fatto della guarigione della figlia della Cananea. Le parole di Gesù apparentemente di disprezzo: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” (Mt. 15,16), sono solo la scorza di quelle altre: “…davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”.
    Così la Madonna, che con il frequente tratto con Gesù ha imparato, nell’intimità della vita familiare, a conoscere il sottofondo vero della bontà illimitata di suo Figlio, a Cana ripete fiduciosamente la domanda,e facendo intendere, forse solo con uno sguardo, che ha capito il vero senso della risposta, si rivolge ai servi della casa e dice loro”Fate quello che vi dirà” (Gv.2,5).
    Maria ha imparato ad avere piena fiducia in Gesù. E la fiducia di lei, come la vera speranza cristiana, non venne delusa. Seguì il miracolo, il primo operato da Gesù, di così grande rilievo nel suo valore simbolico, quale inizio da Gesù, di così grande peso nella fede-adesione dei discepoli verso il loro Maestro.

  3. Incontro di Maria e dei parenti con Gesù che parla ai discepoli (Mt.12,46-50)

    Anche un altro fatto, molto diverso dal precedente, contiene un’interessante lezione. Qui però tale insegnamento va indirizzato più verso i “parenti” che accompagnano la Madonna, che verso la madre, che ha imparato e vissuto la lezione data da Gesù.
    Mi riferisco al fatto raccontato dai tre sinottici con diversi sfumature, ma coincidente nel contenuto, quando Maria con i cosidetti “Fratelli e sorelle di Gesù” si avvicinano a lui che sta ammaestrando i suoi discepoli e una grande folla (Mc. 3,31-35; Lc. 8, 19-21).
    Gesù insegna. Marco ce lo fa capire dicendo che “…Tutto attorno era seduta la folla” (Mc. 3,32). Abbiamo accennato già che Gesù, come gli scribi e i maestri del suo tempo, faceva sedere gli ascoltatori per imparare loro il suo insegnamento. La folla è così numerosa che Maria e i suoi si mantengono in disparte, aspettando che Gesù finisca di parlare.
    Qualcuno degli ascoltatori nota la presenza dei parenti e comprendono che gli vogliono parlare gli dice: “ Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle cono fuori e ti cercano (Mc 3,32).
    Forse questo ascoltare, e con lui tutti gli altri, si aspettavano che Gesù si alzasse per andare incontro ai suoi.
    Ecco però la risposta sorprendente. Gesù rimane seduto, gira lo sguardo su quelli che gli stanno attorno, stende su di loro la mano e dice: “ Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mt. 12,48).
    Non sappiamo se Gesù, dopo aver formulato la domanda, lasci tempo perché qualche ascoltatore gli dia una risposta. Se fosse così, è molto probabile che lo stesso informatore, additando i parenti, abbia detto: “…sono là”. Certo è che Gesù, come narra Matteo, “stende la mano verso i suoi discepoli” e risponde, senza dubbio con grande sorpresa di tutti: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt. 12,49-50).
    Purtroppo gli evangelisti non fanno nessun commento su queste parole, né ci dicono l’effetto prodotto da esse nei suoi discepoli, verso i quali va certamente una preferenza di Gesù.
    Alcuni autori hanno voluto vedere in queste parole un disprezzo di Gesù verso sua madre. A mio avviso sbagliano molto, perché fanno perdere all’insegnamento di Gesù tutta la sua forza e originalità. Invece se, come si deve ritenere, sottolineiamo il grandissimo amore e apprezzamento di Gesù verso sua madre e verso i suoi parenti secondo la carne, allora brilla con tutta la sua luminosità la lezione impartita qui da Gesù; perché egli concede una chiara preferenza nel suo amore a coloro che fanno la volontà del Padre suo che è nei cieli.
    Ma questo presuppone un grande amore. E questa preferenza è tale perché si stabilisca un legame di sintonia di fede e di amore con coloro che obbediscono alla volontà del Padre e fa sì che essi assomigliano di più a Gesù e contraggano con lui un rapporto di intimità più forte e più intimo di quanto lo possa essere il vincolo di parentela puramente naturale.
    Diciamo la stessa cosa con le altre parole: quello che conta per essere uniti a Gesù “suoi parenti”, non è l’esterno e naturale, bensì la disposizione del cuore e le virtù soprannaturali di fede, fiducia e amore. L’esterno e naturale di Maria è certamente un privilegio, come abbiamo notato parlando del “vedere” con gli occhi corporali Gesù e “udire” le sue parole. Ma questo privilegio, paragonato all’altro di essere discepoli di Gesù e assomigliarsi a lui nell’obbedienza del Padre, per rilievo e viene come offuscato dalla luminosità, che si irradia dalla parentela spirituale. Questa ottiene il primato e fa diventare fratelli veri, e sorelle e, come sottolinea San Francesco di Assisi, anche madre di Gesù

    Questa lezione che privilegia il legame spirituale è senza dubbio per Maria un ulteriore conferma del privilegio di essere stata la ‘prima discepola’ del Verbo incarnato, del Figlio di Dio, che diventa così ‘figlio suo’ per un nuovo motivo, per il vincolo spirituale di chi è obbediente al Padre e assomiglia di più a Gesù
    In questa prospettiva della parentela spirituale con Gesù, Maria ottiene anche il primato, come ‘prima discepola’ del divin Maestro. Ciò a sua volta le conferisce il titolo di ‘maestra’ di tutti i credenti che vogliono diventare fratello e sorella e madre di Gesù, cioè ottenere da parte di Gesù l’amore, che portano seco questi dolcissimi nomi.

OFFLINE
21/05/2012 13:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


  1. Maria discepola ai piedi della croce

    Ora, come abbiamo detto, dobbiamo trasferirci ai piedi della croce. È un momento culminante sia della vita di Gesù che dei suoi insegnamenti. Ritorneremo su questo momento drammatico, quando parleremo di Maria prima discepola nella sofferenza. Adesso vogliamo fissare lo sguardo solo su alcune parole di Gesù, che fanno capire a Maria, e con lei a tutti noi, quando sia vasto l’orizzonte della sua maternità.
    Questa lezione non è del tutto nuova. Gesù l’ha iniziata quando è rimasto tre giorni del tempio e alla domanda di Maria ha risposto:”Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc. 2,49). Allora le parole di Gesù rimasero enigmatiche anche per la ‘prima discepola’. Luca ci dice: “…essi non compresero le sue parole” (Lc. 2,50). Forse più tardi, conoscendo che il suo Figlio è il buon pastore, che cerca anche la pecorella smarrita come compito affidatogli dal Padre, Maria ha imparato che Gesù deve “occuparsi” di molte altre cose e persone, benché egli abbia data la preferenza a Maria per circa trent’anni nella vita di famiglia.
    Questo per essere ‘per gli altri’ e perciò ‘madre per gli altri’, specie per i discepoli di Gesù nella persona di Giovanni, è il sunto della lezione sublime ed esigente, impartita da Gesù agonizzante a sua madre Maria, ed in lei a tutti i credenti.
    Le parole riportate da Giovanni evangelista: “Donna, ecco il tuo figlio”, riferite al discepolo che egli amava, sono supplica amorevole e un comando premuroso di Gesù che, insegnando a Maria ad aprire il cuore ad altri “figli” e ad avere per loro un premuroso amore, le fa capire tutta la portata della sua divina maternità. Così come le parole corrispondenti indirizzate al discepolo: “Ecco la tua madre”, sollecitano una risposta filiale, prima da Giovanni e poi da tutti i discepoli, rappresentati dalla persona del discepolo “che egli amava”.
    Questo dover esser “madre” di tutti i discepoli del Figlio, entra nel dinamismo del singolare privilegio concesso a Maria di essere la Madre immacolata di Gesù, perché ogni carisma, come abbiamo già ricordato, è concesso a beneficio di tutti (1Cor.14,13.26), e il dover servire “all’edificazione della Chiesa” ha tanta maggior forza quanto più egregio è il dono elargito da Dio Padre, per mezzo del suo Spirito.
    Che Maria abbia accettato senza indugio questo compito si essere Madre per gli altri, specie per Giovanni, lo possiamo dedurre dalle parole con cui Giovanni finisce questo racconto: “ E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv. 19,27), e certamente con il pieno consenso di Maria.

    Così Gesù affida a Maria, sua Madre, il compito di essere vincolo di unione tra i “parenti” di Gesù, quando sono diventati credenti in lui, e i discepoli. Impegno espletato da Maria con sollecitudine materna, come si ricava dagli Atti. A questo proposito “ ritornarono a Gerusalemme, e salirono al piano superiore dove abitavano” Luca ci dà la lista di tutti questi discepoli cominciando da Pietro, e ci dice che tutti erano assidui e concordi nella preghiera, “insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui” (At. 1,14).
    Il ruolo materno di Maria, una volta che i “fratelli di Gesù” sono diventati credenti, è appunto il legame di unione con i discepoli, specie con gli undici, che già l’avevano accettata come madre per mezzo di Giovanni.
    Le tensioni che sorgeranno tra la Chiesa giudeo-cristiana e pagano-cristiana, che recenti studi in merito hanno chiarito maggiormente, fanno palese da una parte la lungimirante previsione del Maestro, il quale chiede a sua Madre che voglia esser madre dei suoi discepoli, e dall’altra il ruolo importante di Maria per unire queste due parti della Chiesa che in un primo tempo si erano trovate in contrasto.
    Così l’insegnamento ricevuto da Maria abbraccia tutto l’arco di tempo intercorrente fra le prime ‘lezioni’ nel focolare di Nazareth e l’inizio della Chiesa, sino alla fine dei tempi.
    In tutto ciò possiamo asserire che Maria è stata la ‘prima discepola’ di suo Figlio Gesù. E per essere stata la ‘prima’, nel doppio senso indicato, diventa anche Madre, Maestra e Modello di tutta la Chiesa e di ciascun discepolo di Gesù, l’unico Maestro di tutti.

OFFLINE
15/08/2012 14:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

da: Padri e Madri nella tradizione biblico-giudaica; D. Scaiola, Testi tradizionali rivisitati (Gen 3,15; Is 7,14); L. Manicardi, I1 Salmo 45(44) e il Cantico dei cantici;
 

Introduzione: il Padre affida a Maria e a Gesù il piano divino della salvezza

Il Signore, fin dal principio, dopo il peccato originale di Adamo e della sua donna ad opera della tentazione del serpente (Satana), preannuncia, in quanto Padre amoroso e misericordioso, la futura redenzione attraverso le parole di condanna rivolte al serpente “Io porrò inimicizia fra te e la Donna, fra il seme tuo e il Seme di Lei; Egli (la stirpe designata nel Cristo Gesù) ti schiaccerà il capo e tu lo insidierai al calcagno “ (Gn 3,15).

E' questa la prima profezia su Maria, Gesù e la Chiesa.


In questo versetto, chiamato “Protovangelo” cioè la prima buona novella dopo il peccato originale, è contenuto il piano salvifico che Dio Padre affida a Maria, preparandosi questa Donna e a Gesù Cristo, Verbo che si è fatto carne dentro il tempo stabilito, per poi avviarlo nella Chiesa, frutto indissolubile fra Gesù che è il Fondatore e il Capo, Maria che è anche espressione d'Israele che ha creduto. Come a causa di una donna, Eva (tentata dal serpente), il peccato e quindi la morte entra nel mondo, così per mezzo di una donna, la Vergine Maria che ha trovato grazia davanti a Dio come detto dall’Angelo Gabriele che le annunciò l’incarnazione del Verbo ad opera delle Spirito Santo (Lc 1, 26-35), si realizza, nella maturità dei tempi, il piano divino della salvezza con la vittoria finale della luce sulle tenebre.
“ Poiché ... a causa d’un uomo (Adamo) è venuta la morte, così pure in virtù di un uomo ( Gesù Cristo) è venuta la risurrezione dei morti. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti rivivranno in Cristo ( I Cor.15,21-22). Quindi Maria e Gesù Cristo, nel piano salvifico di Dio Padre, hanno la missione, per mezzo della Chiesa, di condurre tutto il gregge a quel Paradiso che ci è stato precluso dal peccato originale.

1.Il significato delle nozze di Cana di Galilea

Le nozze rappresentano la celebrazione della bellezza, della gioia suprema, dell’amore che rendono “ re e regina” ogni sposo e ogni sposa come insegna il Cantico dei Cantici ed anche il Carme nuziale del Salmo 45(44) riletto in chiave messianica dalla tradizione giudaica e cristiana ( lo sposo è il Messia-Cristo e la sposa è Israele-Maria-Chiesa), per questo da secoli è applicato liberamente dalla liturgia cattolica ed ortodossa alla Vergine Maria.
Nella festa delle nozze o festa del bell’amore che si svolge in Cana di Galilea ( piccola città a cinque miglia a Nord di Nazaret ), descritta dal Vangelo di Giovanni (Gv 2,1-11), è presente la Madre di Gesù ( la Vergine Maria ) e Gesù con i suoi discepoli. Questa presenza fa assumere al convito di nozze un carattere particolare dato dall’unione dello Sposo con la Sposa che rappresenta la nuova Alleanza tra Cristo e l’intera umanità secondo il piano salvifico promesso, fin dal principio, da Dio Padre e realizzato, nella pienezza dei tempi, da Maria e da Gesù attraverso la costante azione dello Spirito Santo che rende Madre e Figlio indossolubilmente legati fra loro e cooperatori del Progetto del Padre.
E’ in questa gioiosa festa, resa più sacrale dalla presenza di Maria e di Gesù, che Gesù, su invito di sua Madre, compie il primo miracolo mutando l’acqua in vino. Le nozze di Cana sono ricordate dal Vangelo di Giovanni per la concomitanza di tre eventi straordinari:

- il matrimonio che rappresenta l’unione dell’uomo con la moglie “ ;.. e saranno una sola carne ... Dunque non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto ( Mt 19,5-ó) ed il convito di nozze che rappresenta la festa gioiosa totale unione valuta da Dio;

- la eccezionale presenza di Maria e di Gesù con i suoi discepoli;

- il venir meno del vino ed il primo miracolo di Gesù con il quale Egli manifesta la sua Gloria di fronte a tutti i convitati, per mezzo della compartecipazione della Madre.

 

2. Il dialogo tra Maria e Gesù

Durante il convito di nozze, essendo venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù dice a suo Figlio: “Non hanno più vino”. E Gesù dice a Lei; “Donna, che desideri da me in questo? L’ora mia non è ancora venuta”. Ma la Madre sua dice ai servitori: “Fate tutto quello che egli vi dirà” (Gv 2,3-5).
In questo dialogo così essenziale nelle parole, ma stravolto da diverse interpretazioni protestanti contro l'atteggiamento della Madre, si rivela invece una intensa comunione spirituale tra Madre e Figlio. Maria avverte con la sensibilità di donna e di Madre (prefigurazione della Chiesa con il suo potere di perdonare ed accogliere), la mancanza del vino che avrebbe potuto mettere a disagio gli sposi ed i commensali e si preoccupa, per questo si rivolge a suo Figlio Gesù, di cui conosce, per virtù dello Spirito Santo e dell'Incarnazione prodigiosa, la sua natura divina e la sua missione nel mondo a gloria di Dio Padre.
Gesù le risponde con determinazione “L’ora mia non è ancora venuta”, Ma sua Madre che conosce la missione del Figlio di Dio, essendo piena di Grazia, non insiste verso Gesù sapendo che egli esaudisce sempre, con amore filiale, i suoi desideri secondo la volontà del Padre, e dice ai servitori “Fate tutto quello che egli vi dirà”. Così Maria, Madre della divina Grazia, si pone come mediatrice tra i bisogni (materiali e spirituali) degli uomini e la misericordia di Gesù, Figlio unigenito di Dio Padre. Sant'Agostino vede nella scena il superamento di una prova verso Maria, in quel momento solo Lei conosce del Figlio, i discepoli probabilmente non conoscono i particolari dell'Incarnazione come ci scriverà il Vangelo di Luca molti anni più avanti. La fede di Maria sigilla invece il suo ruolo di mediatrice presso la misericordia del Figlio, ma questo diventa comprensibile solo se da ora in poi si guarderà a Maria quale Madre della Chiesa, e che ogni mediazione fra Madre e Figlio è intesa dentro la Chiesa la quale nutre i figli redenti dal sangue di Cristo.

3. Il primo miracolo di Gesù: l’acqua mutata in vino.

Gesù, conosciuta la volontà di sua Madre, ordinò ai servitori: “Empite d’acqua le idrie”, poi soggiunse: “Ora attingete e portate al maestro di tavola”. Come ebbe il Maestro di tavola assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapendo donde venisse, mentre lo sapevano i servitori che avevano attinto l’acqua, chiama lo sposo e gli dice “Tutti, da principio, somministrano il vino migliore, e quando han già bevuto molto, danno il meno buono, tu invece hai serbato il migliore fino ad ora” (Gv 2,9-10).
Con il miracolo dell’Acqua mutata in vino, Gesù, per mezzo dei doni divini che gli provengono dall’essere Figlio di Dio e Dio fatto Uomo, non solo risponde all’invito di sua Madre, che tutto conosce perché piena di Grazia, ma evita i disagi derivanti dalla mancanza del vino in un convito di nozze che deve essere vissuto nella gioia, nella bellezza, nell’amore degli sposi e dei convitati. Lo sposo, ignorando ogni cosa, riceve i complimenti del Maestro di tavola per aver serbato fino al momento finale della festa il vino “migliore”. Così Gesù, uomo-Dio, non disdegna di soddisfare i bisogni seppur materiali (la necessità del vino) in un convito di nozze ben conoscendo che la gioia e la festa del bell’amore debbono essere salvaguardate per mantenere l’armonia dello sposo con la sposa e con i convitati. Vi è in questa festa del bell'Amore un invito anche a guardare la serenità della Famiglia di Nazaret, dalla quale proviene il Figlio di Dio e dove la Madre resta non un soggetto passivo, ma molto attivo, posto dentro il Progetto di Dio accanto al Figlio, in tal modo l'uomo per mezzo di Maria è ora veramente più vicino a Dio, gli diventa figlio per adozione.

4. Gesù manifesta la sua Gloria e i suoi discepoli credono in lui

Il miracolo di Gesù dell’acqua mutata in vino, come del resto tutti i successivi miracoli, non è fine a se stesso cioè limitato agli effetti materiali o spirituali che esso esercita, ma è anche il segno visibile della Gloria che il Figlio di Dio manifesta nella sua duplice natura umana e divina. E ciò perché sia riconosciuto ed amato come Figlio di Dio, inviato dal Padre per realizzare il piano salvifico promesso fin dal principio. I miracoli sono quindi i mezzi per accrescere la fede in Gesù Criso e dare Gloria al Padre, e con la fede uniformare le opere al Vangelo di Gesù.
Giovanni conclude il primo miracolo di Gesù in Cana di Galilea dicendo che con esso Gesù “... manifesta la sua gloria , sicché i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11).
Quindi il miracolo contiene due elementi inscindibili: da un lato rappresenta un evento soprannaturale con un contenuto materiale o spirituale specifico; dall’altro esso viene compiuto per volontà di Dio, su richiesta della Madre, per maggior sua Gloria perché tutto il gregge riconosca il Padre, lo ami e lo veneri come unico vero Dio. Seppur i discepoli erano già discepoli, quel dire che sicché i suoi discepoli credettero in lui fa comprendere che essi non possedevano ancora la pienezza della fede che acquisiscono per mezzo della Madre la quale invita il Figlio a manifestarsi. L'obbedienza definitiva di Gesù verso la Madre, ci da il diritto di ricorrere a Lei nei momenti di grande difficioltà affinchè sproni il Figlio ad esaudirci, ma c'è un particolare: Fate tutto quello che Lui vi dirà di fare! Maria ancora oggi, mediatrice presso il Figlio e il Padre per mezzo dello Spirito Santo, ci ricorda che per ottenere dobbiamo però fidarci di Gesù come si è fidata Lei stessa fin dal principio. Maria vuole che cantiamo con Lei il Magnificat, ma la condizione è che non basta solo la fede, occorrono anche le opere come hanno avuto la dimostrazione gli stessi discepoli che solo dopo l'azione di Gesù, essi credettero in Lui.

Conclusioni: Gesù e Maria formano un principio indivisibile

Il miracolo compiuto da Gesù al convito di nozze in Cana di Galilea è strettamente legato alla iniziativa e mediazione di sua Madre, la Vergine Maria, che ha trovato grazia davanti a Dio. L’opera salvifica di Gesù Cristo, secondo la volontà del Padre, si realizza attraverso l’unità indivisibile di Gesù e di sua Madre nella Chiesa: infatti nessuno può venire alla Grazia ed entrare nella Gloria di Dio senza Maria la quale concorre insieme al Figlio Gesù sia a produrre la redenzione (Incarnazione del nostro Salvatore per mezzo di Maria), sia a realizzarla (Fate tutto quello che Lui vi dirà di fare).
Con questo miracolo Gesù, tramite l’intercessione di Maria, coniuga l’amore con la misericordia ed esprime i contenuti del nuovo comandamento: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri” (Gv 13,34-35 ).
Questo principio indivisibile lo troviamo esplicitato in modo chiaramente comprensibile nel miracolo di Gesù alle nozze di Cana attraverso il Vangelo di Giovanni che ci fa conoscere l’unità sacrale tra Maria e Gesù, assicurata dallo Spirito Santo. Tale unità nella Grazia di Dio rende immuni Maria e Gesù da ogni forma di peccato così che la natura umana può godere di tutti i doni divini rendendo possibile la conoscenza della verità ed il compimento di miracoli che rappresentano la sottomissione della natura alla volontà di Dio Padre.
Per questo Maria e Gesù costituiscono un principio indivisibile nel mistero della redenzione attraverso la Chiesa, frutto dell'amore fra MADRE E FIGLIO. Gesù, attraverso il Vangelo, ci fa conoscere il Padre e Maria, la Madre del Figlio di Dio, concorre sempre con Gesù alla realizzazione del Regno di Dio.
Il miracolo di Gesù al convito di nozze in Cana di Galilea si realizza attraverso la volontà di Maria e di Dio Padre a gloria di Gesù Cristo e del Padre che lo ha inviato, nella maturità dei tempi, per rendere testimonianza alla giustizia e alla verità e ricondurre il bell’amore alla purezza, alla bellezza e alla gioia dello Sposo e della Sposa; i quali rappresentano, con l’assistenza dello Spirito Santo, la vittoria su ogni azione di corruzione e di trasgressione di Satana contro il piano salvifico di Dio Padre di cui Maria e Gesù Cristo costituiscono le pietre miliari per la salvezza e la conquista della vita eterna nel Regno Santo di Dio.

OFFLINE
09/12/2012 08:49
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

[Modificato da Credente 02/03/2023 18:36]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
LA RECITA DEL ROSARIO (13 messaggi, agg.: 02/04/2014 07:39)
CANTI A MARIA (audio) (6 messaggi, agg.: 11/03/2019 13:25)
La Donna e il Drago (da Apoc 12) (9 messaggi, agg.: 15/04/2011 22:23)
UN MESE CON MARIA: una meditazione al giorno (30 messaggi, agg.: 04/05/2012 23:31)
MARIA è nel cuore di tanti fratelli separati (3 messaggi, agg.: 05/06/2011 18:24)
Maria accompagna maternamente la storia umana (6 messaggi, agg.: 14/12/2012 23:49)
L'ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE (Luca 1,48)
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:57. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com