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LA FAMIGLIA

Ultimo Aggiornamento: 04/02/2016 15:17
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17/03/2012 21:07
 
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Nella comunione profonda tra i membri della famiglia si può intravvedere l'Unità delle tre Persone Divine.
Perciò ogni volta che si rompe il legame che unisce la famiglia, si incrina l'immagine del Dio trinitario che la famiglia rappresenta.
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17/03/2012 21:08
 
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«Volete fare una cosa buona per Dio?»

di Francesca MortaroKlimt, ''L'abbraccio''.

«Il rapporto tra un uomo e una donna è una via alla santità. La particolarità del matrimonio è che, a differenza di tutti gli altri sacramenti, si può ricevere solo in due. Questo è il bello». In una domenica soleggiata, nella chiesetta di San Cristoforo sulla riva del Naviglio, padre Przemyslaw Kwiatkowski parla ad una platea numerosa. Sguardo sorridente e furbo, una faccia di quelle che ti diventano subito famigliari e amiche. È polacco e a Roma è teologo e docente presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Al centro del convegno, organizzato in preparazione del VII incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, il tema: «Famiglia intima comunità di vita e di amore: una buona notizia per il mondo». 
Padre Kwiatkowski spiega, attraverso foto e lettere, che «Giovanni Paolo II ha scritto molto sulla famiglia, sulla sessualità, sul rapporto uomo-donna. Forse è stato il papa che più ha scritto su queste tematiche». E non per far rispettare le regole o per un moralismo. «Le sue riflessioni sono nate tutte dal rapporto con gli amici, con le coppie che andavano da lui a cercare conforto e aiuto sui problemi della convivenza. Infatti, Amore e responsabilità, lo ha scritto grazie ad una conversazione avuta in treno con una coppia che tornava dal ritiro in preparazione al matrimonio». Da questa trama di rapporti e dall’esperienza di figlio, di fratello e di amico, fatta nella sua vita, Giovanni Paolo II arriva alla “Teologia del corpo”. «L’amore che noi sperimentiamo ogni giorno, passa attraverso il corpo, perché Dio è entrato nel corpo», spiega padre Kwiatkowski, «Nella differenza sessuale, dentro l’atto coniugale si percepisce che c’è qualcosa che va oltre quell’uomo e quella donna: c’è il segno di Dio». Ma che cos’è la legge del corpo? «È volersi bene dentro tutto. Noi siamo sempre corpo nelle azioni quotidiane, negli sbalzi d'umore, nelle carezze, nel rapporto con i figli». Nel matrimonio il disegno divino si attualizza nell’amore umano: «È il sacramento del corpo in cui si capisce che noi siamo stati creati come dono l’uno all’altra. Questo tipo di amore è sempre fecondo, genera, apre alla vita. È il segno che Dio vuole fare qualcosa di buono con noi e in mezzo a noi». 
Si prosegue sul tema della fecondità. Le associazioni che hanno dato l’avvio a questo incontro, La bottega dell’orefice e la Fondazione C.A.Me.N. ONLUS, si occupano di metodi di regolazione naturale della fertilità. Questi Metodi si basano sulla conoscenza dei processi biologici per cui una gravidanza può essere ricercata o evitata, grazie all’osservazione dei segni e dei sintomi della fase fertile del ciclo della donna, senza l’uso di contraccettivi artificiali. «Sono una possibilità per capire qualcosa in più di se stessi», sottolinea la dottoressa Maria Boerci, ginecologa, «Un modo con cui la donna prende in mano se stessa per capire e scoprire la sessualità assieme al marito. Aspettare, astenersi, conoscere il proprio corpo è un rispetto di sé che travalica l’atto in quanto tale. Io utilizzo quello strumento, non ne sono schiavo. Così il bene non sta nello strumento, ma nella persona consapevole e responsabile». 
Il professor Franco Marabelli, docente presso l’Università degli Studi di Pavia racconta la sua storia. Cristina, sua moglie, è morta la scorsa estate e lo ha lasciato con quattro figli. «Lei mi ha fatto conoscere questa realtà, era un’insegnante di metodi naturali. Non avrei mai pensato di fare un’esperienza del genere. Mi sono affidato totalmente a lei. Ho imparato a rispettarla e ho capito meglio cosa sono io e cos’è l’amore. Con i metodi si introduce un oggettivo esterno, c’è una bellezza che è indipendente da te nello stare con la persona che ami. È un’altra vita». Cosa c’entra con l’esperienza di castità che si può vivere nel matrimonio? «La castità è il richiamo al fatto che tra una donna e un uomo c’è di mezzo qualcosa d'altro. Quel distacco che uno si trova a vivere fa maturare ancora di più il desiderio. Così niente è scontato. Si va oltre la distrazione e la banalità». 
«In tutto ciò che è umano si può scoprire Dio. L’atto coniugale è un grido, come quello di Dio quando ha creato l’uomo e la donna e ha detto che era una cosa molto buona», aggiunge padre Kwiatkowski, «Volete fare una cosa buona per Dio? Fate bene l'amore. È questo quello che chiede nel matrimonio. La verità di Dio è nelle cose più banali, quando ti accarezzo, quando devo stare a distanza: io comunico Dio. La dimensione fisica della sessualità coinvolge tutta la persona. Questa comunione si apre a una comunione più grande, che unisce e genera insieme». E conclude: «In quell’unione c’è lo Spirito Santo e non si può vivere quell’esperienza senza di Lui. La vita carnale e spirituale non è dettata da un buon proposito, ma dall’accoglienza dello Spirito. Così tutta la vita diventa grande».
[Modificato da Coordin. 18/03/2012 15:05]
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18/03/2012 15:03
 
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02/04/2012 13:24
 
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Fede e famiglia riducono le difficoltà di apprendimento scolastico

Il sistema scolastico americano – modello di riferimento per molti pedagoghi nostrani che vorrebbero importarlo in Italia tale e quale –presenta in realtà una varietà di aspetti contraddittori e paradossali che molti studi specializzati fanno emergere rivelandone la complessità. Un primo esempio di ciò è dato da una ricerca del National Center for Education Statistics (parte del US Department of Education) che nel2009 ha dedicato uno studio statistico al fenomeno del c.d.homeschooling (lett. scuola a casa “o scuola famigliare”), vale a dire quando uno dei due genitori si occupa dell’istruzione dei figli, in prima persona oppure assumendo un insegnante. La scelta dell’homeschooling, in rapido aumento nell’ultimo decennio, è decisamente trasversale poiché riguarda non solo chi non vuole accontentarsi della scuola pubblica ma allo stesso tempo non può permettersi la scuola privata, ma anche chi, pur potendo permettersi la scuola privata, preferisce offrire un’istruzione più libera e personalizzata.

Fra le ragioni alla base di questa opzione, l’88% delle famiglie intervistate cita la preoccupazione per l’ambiente scolastico: non solo droga, violenza, bullismo ma anche classi sempre più numerose, orari prolungati, compiti a casa sempre più impegnativi, forte pressione all’omologazione. Ciò potrebbe confermare il dato tradizionale che vede le scuole americane alle prese con lo scarso successo degli studenti afroamericani e latinos rispetto a quelli bianchi – i colpevoli per eccellenza di violenze e quant’altro, sulla base di un giudizio di valore ormai consolidato, non sono certamente i bianchi! – ma ecco che recentemente anche questo luogo comune viene messo in discussione.

Ci riferiamo essenzialmente ad uno studio condotto da William Jeynes, docente di pedagogia presso la California State University e senior fellow presso l’Istituto Witherspoon. Da questo studio è risultato che ilsuccesso scolastico di bianchi, latinos e afroamericani risulta notevolmente condizionato dalla effettiva maturazione religiosa dei soggetti presi in esame. In pratica questo significa che gli studenti appartenenti a contesti sociali storicamente con più difficoltà in ordine alla riuscita negli studi, se conducono una vita di fede effettivamente vissuta in un contesto familiare ed ecclesiale stabile, riescono a ridurre considerevolmente il divario che li penalizza in termini di successo scolastico rispetto agli studenti bianchi. Jeynes ha presentato le sue conclusioni in una recente conferenza alla Harvard University sulla razza e l’istruzione. Lo studio si basa su una meta-analisi di 30 diversi studi di misurazione dei risultati scolastici.

Tutti gli studenti osservati erano coinvolti in una istituzione religiosa, come un luogo di culto o gruppo giovanile, e hanno sottolineato l’importanza della fede nella loro vita. Per famiglia stabile si intende quella con due genitori biologici o aventi un alto tasso di coinvolgimento dei genitori nella formazione dello studente. Quando questi due fattori sono presenti, lo studente di colore o latinos riduce di gran lungail divario con i pari età bianchi, mentre la presenza di uno solo di essi non contribuisce a ridurre le distanze. La conclusione a cui giunge Jones è di assoluta importanza e di stringente attualità: se un bambino ha già un alto livello di religiosità, gli insegnanti e gli educatori dovrebbero far leva su questo aspetto per incoraggiarli nel processo di apprendimento-maturazione integrale della persona, senza che questo debba essere considerato per forza come una mancanza di rispetto per le coscienze di coloro che invece non palesano questa dimensione di vita.

Questo studio darà sicuramente adito a molte discussioni, ma ha il merito di ricordarci la centralità del ruolo svolto dalle agenzie educative “storiche” quali la famiglia e la chiesa, le stesse che malgrado gli attacchi provenienti da più parti risultano pur sempre insostituibili nella crescita integrale degli uomini.

Salvatore Di Majo

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27/04/2012 11:03
 
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Mons.Bonetti: la bellezza dell'amore si impara in famiglia
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10/05/2012 14:48
 
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Che nessuna famiglia cominci per caso, che nessuna famiglia finisca per mancanza d'amore;

che gli sposi siano l'uno per l'altra con il corpo e con la mente e che nessuno al mondo

separi una coppia che sogna.

 

Che nessuna famiglia debba mai ripararsi sotto i ponti,  che nessuno si intrometta nella vita

dei due sposi e nel loro focolare, che nessuno li obblighi a vivere senza orizzonti

e che vivano del passato, nel presente, in funzione del futuro.

 

Che la famiglia cominci e finisca seguendo la sua strada e che l'uomo porti

sulle spalle la grazia di essere padre; che la sposa sia un cielo di tenerezza, di accoglienza

e di calore e che i figli conoscano la forza che nasce dall'amore.

 

Che il marito e la moglie abbiano la forza di amare senza misura e che nessuno si

addormenti senza aver chiesto perdono e senza averlo dato;  che i bambini apprendano

il senso della vita e che la famiglia celebri la condivisione dell'abbraccio e del pane.

 

Che il marito e la moglie non si tradiscano e non tradiscano i figli,

che la gelosia non uccida la certezza dell'amore tra i due sposi,

che nel firmamento la stella più luminosa sia la speranza di un cielo

qui,  adesso e dopo.

Amen!

 

Nel nostro tempo così duro, per molti quale grazia essere accolti in questa piccola chiesa che è la casa: entrare nella sua tenerezza, scoprire la sua maternità, sperimentare la sua misericordia, tanto e'  vero che un focolare cristiano e' il volto ridente e dolce della Chiesa.

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10/05/2012 15:20
 
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http://www.comeunafonte.it/Index_file/page0141.htm

 

  Lettera alle famiglie

 Vi scrivo pensando a mio padre e a mia madre che, pur ormai da tempo entrati nella gloria di Dio, mi nutrono con il loro amore che mai mi fecero mancare nei giorni in cui il Signore li fece stare vicino a me figlio.

Questa lettera vuole essere anche una contemplazione della famiglia di Nazareth dove il rapporto genitori-figli si fa cattedra del rispetto delle persone, della fedeltà alla vocazione ricevuta e della tenerezza della quale si deve rivestire anche il rimprovero (''Tuo padre ed io ti cercavamo" Lc 2.48, disse Maria con amabile autorevolezza al Figlio, a suo modo disubbidiente).

"Partì con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso" (Le 2,51): la famiglia è il luogo dove ognuno si fa servo e accoglie, nel rispetto dei ruoli, ogni interrelazione.

 

Vorrei chiedervi di non cedere alla tentazione di soddisfare ogni "voglia" dei figli: oggi si preferisce un figlio consumatore, quietato dal masticare qualcosa, un figlio addestrato al solo consumo, quasi felice di una ingordigia diseducante piuttosto che un figlio introdotto, con quotidiana pazienza, alla valutazione seria delle cose, il rispetto della fatica e a quella sana povertà che è sempre segno di dignità e di non corruttibile eredità. Non abbiate paura se vi esce qualche urlo (anche al papa e alla mamma possono saltare i nervi), non abbiate paura se vi scappa una dignitosa sculacciata... (anche il papa e la mamma ne hanno fatto esperienza fruttuosa), non abbiate paura di una casa un po’ in disordine (anche il papa e la mamma hanno fatto esperienza di una creatività nata dallo sparpagliare le proprie cose): l'importante è sapere di avere genitori "normali" che sanno riconoscere e candidamente dire: scusa figlio mio, sai, ho capito che ho sbagliato". Vi incoraggio a pensare la vostra casa e le vostre famiglie come luoghi abitati da Dio e abitati dai problemi dei fratelli: in esse debbono, come criterio e stile, avere domicilio la preghiera e la solidarietà attraverso un impegno e una testimonianza che è di volta in volta affascinante, ma anche laboriosa e perseverante. Vivete l' educazione come arte collaborativa: non si tratta di avere modelli prefabbricati, piuttosto intelligenza per offrire ad ogni figlio ciò che veramente attende e lo fa crescere.

 

Siate capaci ogni giorno di rallegrarvi della ricchezza e bellezza dei vostri figli che si caratterizzano per la dignità della vita che hanno e per tessere stati fatti da voi "figli di Dio". Fatevi maestri di una formazione che convinca i figli del valore dell'appartenere ad una famiglia che nel contempo prepara allo sradicamento, all’andare via per seguire i sentieri della propria vocazione. Cercate collaborazione educativa: gli insegnanti, il sacerdote, il medico e altre figure professionali abbiano la vostra stima e da essi possiate avere utile sostegno in una interazione sempre più necessaria. Liberatevi e liberate dalla schiavitù delle cose, da questa moderna ossessione del lavoro che invece di "promuovere", rende più distratta e impoverita la vita. Educate ed educatevi al perdono: vi sia maestro Dio che. di fronte al figlio disordinato e ribelle, imbandisce la tavola della gioia, rallegrato per averlo ritrovato (cfr. Lc 15,23-24).

Quante volte colloquiando con i vostri figli, dono prezioso di Dio, avverto che essi portano nel cuore uno "spezzamento" (una frattura d'anima) e vivono un disorientamento che li fa naufraghi.

Non coccolateli; accompagnateli, addestrateli alla fortezza, virtù che da senso alle azioni e che rende vere le scelte della vita. Non cedete il ruolo di padre e madre per assumere quello ora sfuggente, ora ridicolo, ora vuoto di amico/a dei figli: Dio vi ha fatto padri e madri non amici. I vostri figli trovano e cercano amici, i genitori li hanno già. Abbandonate quindi la frenesia della "educazione amicale"; piuttosto crescete nell'arte educativa che è presenza, accompagnamento, tenerezza.

Non date solo nutrimento, fatevi nutrimento. Non abbiate paura di dire Dio ai vostri figli: Dio non può essere assente nella vostra vita e nell'itinerario di crescita di quanti Egli vi ha affidato. Rintracciate, servite e adorate il mistero che ogni figlio porta in sé: aiutateli non solo nell'orientamento professionale, ma anche nello scoprire la volontà di Dio nella loro vita.

 

Non dimenticate che insieme (padre e madre) avete "chiamato" quel figlio o quei figli alla vita: non potete in nome di qualche difficoltà nei rapporti interpersonali o sollecitati da un recupero di evanescente libertà, presentare al figlio altre figure di padre o madre. Oltrepassate la tentazione di una educazione senza verità che presto e sempre si fa irresponsabilità. Non cedete al solleticante invito di una educazione mortificata dalla libertà senza regole: una disciplina della volontà diventa ad un tempo formazione della coscienza e stile di una prossimità rispettosa. Insieme ai vostri figli curate la costruzione di una comunità che nasce non solo dall'esercizio quotidiano del dono di sé, ma che è frutto di quell'Eucarestia domenicale alla quale vorrei che mai mancaste e che si fa nutrimento e icona del mistero di comunione.

Vi invito a recuperare insieme, come famiglia, il tempo della preghiera per imparare a ringraziare, a lodare, a chiedere rimettendovi sempre nelle mani della Provvidenza. Aiutate i vostri figli ad essere partecipi e a condividere la vita pubblica con i suoi diritti e i suoi doveri. Abituateli a non delegare, ma a farsi coinvolgere in prima persona nella conduzione della comunità democratica per farne dei veri cittadini.

Vi chiedo anche di orientare i vostri figlioli non al culto di un'estetica del corpo quanto piuttosto alla bellezza del cuore buono e alla grandezza della dignità dell'essere persona.

A questo riguardo mi piacerebbe pensare che educaste i vostri figli a guardare con eguale amore tutte le età del vivere con dentro le bellezze, le imperfezioni, le speranze e le debolezze che caratterizzano il nostro essere persona. In una società dove gli anziani e i vecchi vanno crescendo, essi possano godere dell'attenzione delle nuove generazioni, quasi simboleggiando un passaggio di consegna dell'amore e del rispetto verso la vita.

 

Infine, non vi sembri fuori luogo che solleciti tutti a voler capire la vita come un dono da riconsegnare: per questo essa, la vita, va impreziosita con le opere buone piene di generosità e di misericordia. Vi affido a Maria e Giuseppe, sposi singolari nonché madre e padre originali.

Vi benedico nel nome di Dio che è Padre e Figlio e Spirito che da vita.

                                                                                                    

 

                                                                                                      E. Menichelli, vescovo 




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10/05/2012 15:26
 
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 Il delicato compito di educare

                       Brano tratto da A. Cattaneo, Matrimonio d'amore, edizioni ARES

  1.Trovare il tempo per giocare o conversare con i bambini, per interessarsi alle loro cose, anche se, a volte, ciò significa rinunciare alla propria tranquillità o sacrificare un po' del tempo che si potrebbe dedicare al lavoro o a un hobby.

 2. Vivere in prima persona, con coerenza, quanto si esige dai figli, ricordando che l'esempio è il miglior predicatore. Così, nella moderazione dell'uso della Tv, nel non parlar male del prossimo, nella sincerità, nell'ordine, puntualità...

 3. Favorire il prestigio dell'altro coniuge aiutando i figli a scoprirne le virtù ed evitare di contraddire o rimproverare il coniuge alla loro presenza. Se vi hanno visto litigare, che vi vedano anche riconciliarvi.

 4. Se il figlio ricade in qualche difetto, aiutarlo con parole di incoraggiamento e non rinfacciargli la sua debolezza.

 5. Non cedere ai capricci dei bambini, ma aspettare serenamente che passino le bizze.

 6. Favorire lo spirito di iniziativa del bambino e lasciarlo fare da sé, anche,. se causa qualche disturbo in più.

 7. Quando è necessario, anche se non è facile, bisogna saper dire "no", ma spiegando i "no", senza inflazionarli moltiplicandoli inutilmente.

 8. Esercitare l'autorità, che non è autoritarismo. Quest'ultimo è voglia di potere, l'autorità invece è servizio, e si fonda su una stima giusta e meritata.

9. Esigere l'obbedienza, cercando però di dare gli ordini con il tono il più possibile amabile e simpatico.

 10. A volte si deve anche castigare, ma con moderazione, senza perdere la serenità e senza lasciarsi prendere dal nervosismo o dalla collera.

 11. Quando si deve sgridare un figlio, bisogna farlo in modo chiaro, giusto, breve e cambiando poi l'argomento della conversazione, senza esigere che riconosca immediatamente la sua colpa.

 12. I castighi non devono mai essere - e nemmeno sembrare - uno sfogo della propria rabbia o malumore. Per questo è bene meditarli un po', prima di impartirli.

 13. Concedere ai figli un po' di fiducia, anche se non è escluso che qualche volta si sarà "ingannati".

 14. Esigere, puntando più sull'affetto che su castighi e ricompense: "Se fai tal cosa, mi dai un grande dispiacere". Si insegna così ai figli la bellezza di fare, o non fare, qualcosa liberamente, per amore.

 15. Coinvolgere i figli, con giusto equilibrio, nelle decisioni familiari, stimolandoli a dare suggerimenti per il bene della famiglia.

 16. Non limitarsi a correggere o consigliare i figli, ma ascoltarli con pazienza, affetto e interesse per riuscire così a capire il perché delle loro difficoltà, delusioni, tristezze, sbagli, vizi, ecc.

 17. Non rispondere mai alle loro mille domande con uno stanco "non lo so". I bambini moltiplicano le domande proprio quando avvertono questo disinteresse.

 18. Non rifiutare in toto e a priori nemmeno quelle proposte dei figli che sembrano più insensate, ma sforzarsi di scoprire e valorizzare quanto c'è di buono nelle loro idee.

 19. Quando non si sa bene quali ragioni dare per un rifiuto a una loro richiesta, avere l'umiltà di dire, per esempio: "Lascia che ci pensi".

 20. Distribuire incarichi opportuni ai figli.

 21. Elogiare o biasimare non come sono, ma quello che fanno. Si eviterà così di alimentare la superbia o lo scoraggiamento. Non dire, per esempio, "Sei sciocco", ma "Hai fatto una sciocchezza".

 22. Esigere con buonumore, che non è mai ironia tagliente anche se sottile.

 23. Accordare un tempo ragionevole per ogni miglioramento.

24. Mantenere le promesse fatte.

 25. Usare gli schiaffi il meno possibile. Sarebbe bello che vostro figlio possa contare gli schiaffi ricevuti da bambino.

 26. Limitare le proibizioni alle cose veramente importanti.

 27. Evitare il più possibile i premi materiali per non coltivare una morale utilitaristica che aspetta un premio per ogni azione positiva. Conviene invece che i figli percepiscano la gioia dei genitori quando fanno qualcosa di buono.

 28. Insegnare ai figli il valore di certe rinunce e renderli critici di fronte alla pubblicità consumistica che esalta l'appagamento immediato di desideri e di bisogni indotti.

 29. Iniziare i figli al mistero dell'origine della vita e dell'amore tra uomo e donna seguendo quella che abbiamo chiamato la regola delle cinque "A".

 30. Chiedere aiuto a Dio e affidarsi all'intercessione della Madonna e degli Angeli custodi per poter essere buoni educatori.

 Come promemoria, aggiungiamo dieci frasi da evitare:

 

1. "A me non la fai!".

2. "Questo non dirlo al papà (o alla mamma)".

3. "Sei un buono a nulla, un egoista, un bugiardo ... ".

4. "Hai voluto fare di testa tua, adesso arrangiati!".

5. "Dimmi la verità, altrimenti ... ".

6. "Dove sei stato? Che hai fatto? Chi c'era? ... ".

7. "Fa' quel che vuoi, basta che mi lasci in pace".

8. "Guarda tua sorella com'è brava, come studia, come aiuta...".

9. "L'ha portato la cicogna", oppure: "Sono cose che non ti riguardano".

10. "Guarda che Dio ti castiga".

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10/05/2012 15:33
 
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Futuri sposi: sette trappole da evitare

 I due fidanzati devono affrontare numerose sfide se non vogliono finire prigionieri di situazioni capaci di sabotare il loro bagaglio di belle speranze. Per il benessere affettivo e relazionale delle future famiglie si dovrebbe pensare a una sorta di "contratto" comunicativo.

 

di Vittoria Cesari Lusso

(docente universitaria presso le Università di Ginevra, Lugano e Neuchâtel,

 ricercatrice e terapeuta della comunicazione)

 

Cambia la comunicazione quando si diventa marito e moglie, rispetto al tempo del fidanzamento? La risposta può variare dal "sì molto" al "quasi niente", a seconda del modello di vita a due che si pratica. Il polo "sì molto" corrisponde alla situazione, definiamola "tradizionale", nella quale il matrimonio coincide con il passaggio dalla casa dei genitori a un proprio nido, segnando l’inizio della convivenza tra i due sposi. Soltanto dopo il "fatidico sì" la nuova coppia inizia dunque a condividere un tetto, spazi e incombenze quotidiane. Il polo "quasi niente" invece si riscontra quando lui e lei già convivevano da tempo e magari avevano già messo al mondo uno o più figli. Situazione ormai tutt’altro che rara ai nostri tempi.

Tra queste due polarità troviamo tutta una casistica di situazioni intermedie: si stava già assieme durante le vacanze; ciascuno aveva già un proprio appartamento indipendente, ciò che consentiva incontri più o meno fugaci e furtivi; anche dopo il matrimonio, si vive e si lavora in città diverse per cui ci si ritrova solo per il fine settimana.

 

La situazione che comporta i più radicali cambiamenti sul piano comunicativo è senza dubbio quella più tradizionale. La prenderò quindi come situazione di riferimento per evidenziare una serie di sfide che i due protagonisti devono affrontare se non vogliono finire prigionieri di trappole comunicative capaci di sabotare il loro bagaglio di belle speranze. Ma la riflessione si potrebbe rivelare utile anche per coloro che rientrano negli altri modelli.

Cos’è che genera cambiamenti nella comunicazione durante il passaggio dal fidanzamento al matrimonio? Ci sono almeno tre fattori che meritano di essere evidenziati: il tipo di relazione; le questioni di cui si parla; il tempo. Vediamoli con ordine.

La relazione tra due fidanzati è in genere caratterizzata da una certa dose di reciproca idealizzazione e dal fatto che ciascuno impersona per l’altro una sorgente (più o meno reale o sognata) di gratificazioni affettive, e di altro tipo. Tutti i grandi studiosi dei processi psicologici comunemente indicati con le nozioni di "identità personale" e "stima di sé" (ad esempio, Erikson E.H., Winnicott D.W., Mead G.H.) hanno messo in evidenza il ruolo svolto dallo "sguardo dell’altro" (la madre, il padre in primo luogo) nella costruzione di un’immagine positiva del proprio sé.

 

I gesti dell’amore

 

Dopo l’infanzia, le fasi dell’innamoramento e del fidanzamento con i loro rituali comunicativi costituiscono una delle esperienze di vita maggiormente capaci di nutrire l’identità positiva del soggetto. Cosa succede infatti di solito in questi momenti? Succede che gli innamorati non cessano di proferire parole e promesse che fanno sentire l’altro unico, straordinario, meraviglioso, degno di ammirazione e capace di stupire. E oltre alle parole, ci sono gli sguardi, i gesti affettuosi, le attenzioni. Linguaggi spesso ancora più potenti delle parole stesse. Tutto questo avviene anche perché la relazione con l’altro non viene data per scontata e la persona amata è vista come un terreno tutto o in parte ancora da conquistare. Il desiderio dell’altro, che conosce sfumature appassionate in questa fase, funziona insomma come una potente lente che esalta le qualità della persona amata, questa fase, funziona insomma come una potente lente che esalta le qualità della persona amata, celandone nel contempo i limiti.

Il matrimonio e l’inizio della convivenza segnano quindi un importante cambiamento psicologico su questo piano: il desiderio si è realizzato e la relazione con l’altro assume ormai i caratteri del bene acquisito su cui si può contare. Certo, oggi, con il divorzio largamente praticato e con l’allentamento delle norme morali riguardanti la fedeltà, un certo grado di incertezza rimane. Tuttavia, dopo il fatidico "sì" in chiesa o in municipio qualcosa cambia sul piano della percezione: il partner si trasforma da soggetto ideale non ancora definitivamente espugnato in persona reale, presente nel quotidiano.

 

Le questioni di cui si parla. Prima del matrimonio, gli argomenti di cui i due promessi sogliono parlare contribuiscono quasi sempre a rafforzare l’immagine dell’altro come dispensatore di gratificazioni. Si parla di ciò che amiamo nell’altro, di gusti, idee e valori che si condividono; di amici e nemici comuni; di progetti vicini e lontani da realizzare insieme.

 

Dopo il matrimonio gli scambi dovranno allargarsi a tutta una serie di compiti quotidiani (a volte anche alquanto gravosi e fastidiosi) che implicano un’infinità di decisioni da negoziare e continui scambi per stabilire chi fa che cosa. Tale allargamento prenderà a volte la forma di "alluvione", nel senso che non ci sarà quasi più spazio o energie per alimentare il dialogo con scambi stile fidanzamento. In un mio recente libro sulla comunicazione interpersonale (Cesari Lusso V.) ricordo a questo proposito che viviamo nell’epoca e nelle società della negoziazione perenne dei rapporti interpersonali. Diversamente accadeva in passato o accade tuttora in altre culture. In altre parti del mondo i diversi ruoli (ad esempio, ciò che deve fare un marito, oppure una moglie) sono rigorosamente codificati e predeterminati. Ciò che invece spesso non è ben determinato a priori è il prezzo delle varie merci: quando viaggiamo in quei Paesi ci stupiamo – a volte ci scandalizziamo – degli infiniti (estenuanti, per alcuni di noi) mercanteggiamenti che si fanno neisouk. Ebbene, da noi, se è vero che non si contratta quando si va al supermercato, quante e quante negoziazioni interpersonali si svolgono in famiglia! Si negozia: a chi tocca fare la spesa, pagare le fatture, portare i figli dal pediatra, prendere questa o quella decisione quotidiana, come stabilire chi invitare, se andare o no a pranzo dai suoceri, dove passare le vacanze, ecc... Non a caso, quando arriva il momento delle decisioni concernenti i preparativi per il matrimonio, iniziano in certi casi a manifestarsi i primi "temporali comunicativi".

Il fattore tempo entra in gioco poiché con il matrimonio aumenta solitamente il tempo che si trascorre assieme. Se due persone decidono di sposarsi è anche perché ciascuna rappresenta agli occhi dell’altro la compagnia più gradevole che si possa immaginare. Quando si è fidanzati, l’idea di stare sempre assieme e di fare tutto assieme appare come una prospettiva ricca di infinite piacevoli e dolci promesse. Il ragionamento è in fondo il seguente: se adesso che siamo fidanzati è bellissimo ritrovarci qualche mezza giornata alla settimana, quando potremo trascorrere assieme sette giorni su sette la dose di piacere non potrà che aumentare proporzionalmente. Il ragionamento spesso mostra dopo il matrimonio qualche pecca: in effetti, anche le cose più buone al mondo stancano un po’ se sono assunte in overdose.

Quanto detto non vuole scoraggiare il matrimonio, anzi! Quando funziona, la vita a due rappresenta uno dei fulcri della terrena felicità. Ma per costruire una relazione che duri negli anni con reciproca soddisfazione, occorre investire molte energie e prendere una serie di precauzioni, che concernono anche la comunicazione. Su questo piano, se si vuole avere il massimo di probabilità di far parte tra venti, trenta, quarant’anni delle coppie che hanno saputo costruire una gratificante e stabile relazione, è importante superare alcune convinzioni-trappola che elenco qui di seguito.

 

Un modo per essere più sicuri di superarle, è quello di stipulare prima del matrimonio una sorta di contratto comunicativo, contenente alcune clausole che mi sembrano essenziali per una sana comunicazione di coppia. Il cinema, la televisione e la stampa popolare ci mostrano che va di moda oggi tra i vip stipulare contratti matrimoniali per regolare a priori le questioni finanziarie e tutti i dettagli in caso di divorzio. Personalmente mi sembrerebbe più utile per il benessere affettivo e relazionale delle future famiglie che si affermasse la moda dei contratti comunicativi.

Prima trappola: pensare che sul piano della comunicazione tutto sarà come prima automaticamente. È la questione di cui ho parlato nelle righe precedenti, quindi mi limito qui a citare le clausole da inserire nel contratto. Gli sposi si impegnano a:

- praticare almeno tre volte a settimana aspetti della comunicazione correntemente utilizzati nel fidanzamento, quali complimenti reciproci, sguardi positivi di ammirazione, piccole sorprese;

- stabilire regole chiare su chi fa che cosa e esplicitare con serena chiarezza le reciproche esigenze e aspettative;

- concedersi rispettivamente, se auspicato, spazi di autonomia per praticare attività o frequentare amici in modo indipendente.

Seconda trappola: pensare che non si abbia bisogno di imparare ad ascoltare il proprio partner. Più approfondisco le mie ricerche e i miei studi in materia di comunicazione e più mi convinco che saper ascoltare non è una manna che viene dal cielo, ma una pianticella che va coltivata e accuratamente accudita. Essa sembra proprio non crescere spontanea in natura. Forse, durante il fidanzamento ci si ascolta di più, ma in generale in molte coppie la comunicazione avviene secondo questo schema: «Sai, caro, oggi è stata una giornataccia in ufficio»; «Non parlarmene, a me è andato tutto storto»! Oppure, «Da un paio di giorni ho un po’ di mal di testa»; «Adesso che lo dici, mi fai venire in mente che c’è stato un periodo in cui avevo paura che la testa mi scoppiasse».

Cosa voglio dire con questi esempi? È che anche in età adulta si conserva una certa dose di egocentrismo infantile, e in genere si tende a parlare più volentieri di ciò che ci concerne in prima persona che ad ascoltare in modo interessato ciò che l’altro vorrebbe comunicarmi.

Clausola da inserire nel contratto: quando il mio coniuge desidera parlarmi delle sue gioie o dei suoi dolori, mi impegno a non mettere in avanti subito le mie proprie gioie e i miei propri dolori, bensì gli dedico tutta la mia attenzione affinché possa esprimere quello che sente, magari cercando anche di fare domande pertinenti per aiutarlo a sviluppare ciò che desidera dirmi.

Terza trappola: pensare che quando si vuol comunicare tutti i luoghi vanno bene. Non è vero: un contesto adatto non solo è opportuno, è indispensabile.

Clausola da inserire nel contratto: quando abbiamo qualcosa di importante da dirci, evitiamo di farlo in condizioni di fretta, di nervosismo o in presenza di altre persone, ma cerchiamo di scegliere un luogo e un momento adatto.

Quarta trappola: credere che chi mi ama possa facilmente indovinare cosa desidero e sento senza che io lo dica. È vero che la persona di cui mi sono innamorato mi ha spesso mostrato che riesce a intuire meglio di chiunque altro cosa succede dentro di me. Si tratta di una sensazione meravigliosa. Come era meraviglioso da piccoli accorgersi che gli adulti erano capaci di mettere delle parole sui nostri sentimenti, sensazioni e bisogni inespressi. Cosa succede infatti nel primo periodo della vita, quando il cucciolo umano non sa ancora parlare? Succede che gli altri parlano per lui, interpretando i suoi gorgheggi e i suoi pianti: «Ah... hai fame! Hai caldo! Vuoi dire che ti piace! Reclami delle coccole! Ti fa male il pancino!».

Poi il piccolo comincia a parlare. Grande conquista, ma come ben mostrano tutti gli studi sulla psicologia dello sviluppo, tutte le conquiste evolutive hanno un prezzo da pagare: così come quando si impara a camminare si deve abbandonare il piacere di essere sempre portati in braccio, quando si impara a parlare si deve rinunciare al comfort di "essere indovinati". Anche in età avanzata conserviamo poco o tanto la beata speranza che chi ci sta vicino indovini cosa vogliamo senza bisogno di dirlo.

Vorremmo insomma che chi ci sta accanto fosse una sorta di veggente. Diventare adulti vuol anche dire abbandonare tale sogno e imparare a esprimere in prima persona, con parole adeguate, tutta una serie di desideri, bisogni, percezioni, aspettative che il nostro prossimo non può indovinare.

Clausola da inserire nel contratto: ti sarò grato(a) quando indovini quello che c’è nella mia mente e nel mio cuore, ma se ciò non accade mi impegno a esplicitarlo con parole adeguate.

Quinta trappola: essere costantemente convinti che se la comunicazione non funziona la colpa è sempre degli altri! Nei suoi celebri lavori sulla comunicazione Jacques Salomé afferma che il problema centrale nelle relazioni interpersonali è passare "dal reazionale al relazionale". Reazionale è la comunicazione che soggiace a quella che potrebbe essere chiamata la dittatura delle emozioni negative. Parlo per sfogare le mie paure, la mia rabbia, il mio nervosismo, le mie frustrazioni, le mie antiche nevrosi, senza tenere in considerazione l’effetto che le mie parole avranno su di te. Senza preoccuparmi insomma della nostra relazione. È un modo questo di parlare che fa un uso smisurato di frasi del genere «Tu non capisci niente», «Sei tu che...», «Non si può discutere con te», «Tu mi fai arrabbiare», «È tutta colpa tua». Un’infinità di Tu...Tu... Tu... insomma, che ricordano l’esasperante suono di un telefono occupato!

È un modo di esprimersi che costituisce un vero e proprio virus nefasto per la salute della relazione. A questo proposito direi che le relazioni si "ammalano" più frequentemente delle persone! Esistono vaccini contro tale virus?

 

Fattori protettivi

 

Molti studiosi hanno isolato alcuni fattori protettivi, tra i quali figura al primo posto lo sviluppo di tre capacità fondamentali:

- avere consapevolezza delle proprie emozioni, ossia riconoscere i propri talloni di Achille emotivi che ci fanno iper-reagire;

- utilizzare un linguaggio Io (Gordon T.): «Io mi innervosisco... Io mi sento frustrato quando vivo questa o quella situazione». In tal modo si assume la responsabilità dei propri sentimenti senza accusare subito l’altro;

- capire che non posso cambiare l’altro, ma possono cambiare l’effetto che l’altro ha su di me e il tipo di relazione che io ho con lui.

La clausola da inserire nel contratto in questo caso è: se ci accorgiamo che dopo sposati il nostro modo di comunicare somiglia troppo spesso a un telefono occupato «Tu... Tu... Tu...», ci impegniamo a riflettere sulle modalità di comunicazione, leggendo magari un paio di buoni testi in materia e/o a seguire qualche corso sulla comunicazione interpersonale.

Sesta trappola: sottovalutare le contraddizioni tra il verbale e il non verbale. È noto che nella comunicazione ci serviamo di una molteplicità di canali, verbali e non verbali. Ciò arricchisce l’interazione, ma può anche generare problemi, in particolare quando c’è incongruenza tra i due canali, ad esempio: lei fa il muso, ma dice che va tutto bene. Lui le dice che è d’accordo di fare una certa spesa, ma la guarda di traverso. Se tale tipo di comunicazione diventa usuale nella coppia la relazione finirà prima o poi con l’ammalarsi.

Clausola da inserire nel contratto: ci impegniamo a evitare il ricorso a messaggi contraddittori.

Settima trappola: sottovalutare la complessità del rapporto con i suoceri. Non posso dilungarmi nello spazio di questo articolo su tale tema, che merita sicuramente un serio approfondimento al di là dei soliti stereotipi. Voglio solo ricordare un aspetto che ho sviluppato in un mio libro dedicato al rapporto tra le generazioni. Oggi si parla molto di relazioni interculturali a proposito di contatti tra culture diverse, ma va considerato che ogni famiglia – anche quelle che vivono da sempre sullo stesso territorio – costituisce un microcosmo culturale in sé. Da questo punto di vista, ogni persona proveniente dall’esterno costituisce una sorta di "straniero" e gli shockculturali con la famiglia del coniuge sono sempre in agguato, come ci ricordano due testimonianze. «A casa mia era normale invitare amici a cena anche all’ultimo momento, invece dai miei suoceri ciò non si fa assolutamente. Già invitano poco, ma quei pochi inviti devono esse annunciati molto prima. Inoltre, a casa mia si ride e si scherza, dai miei suoceri sembra di essere in chiesa». Oppure: «Ci sono delle differenze che mi hanno molto sbalordito tra casa mia e quella dei genitori di mia moglie: il fatto che da loro tutti conoscono più o meno la situazione finanziaria degli altri. Da noi era un tabù».

Clausola da inserire nel contratto: ci impegniamo certo a rispettare i nostri rispettivi genitori ma anche a evitare, da un lato, le idealizzazioni troppo frettolose, dall’altro i giudizi spietatamente critici. Personalmente tra l’altro mi pare giovi mantenere una chiara distinzione anche in termini di appellativi tra i ruoli di madre e suocera, di padre e suocero. Chiamare la propria suocera "mamma" e il proprio suocero "papà" è per certi aspetti un simpatico gesto che mostra la volontà di costruire positive relazioni, ma rischia di confondere a livello inconscio figure, ruoli e persone fra loro molto diverse. Confusione che può bloccare il cammino, che occorre sempre compiere per conoscere l’altro così com’è e non come lo si immagina, e creare rischiosi transfert emotivi inconsci.

 

Basta sottoscrivere un contratto contenente le suddette clausole per garantire una buona qualità della comunicazione dopo il matrimonio? Diciamo che è già un buon aiuto per lanciarsi in tale impegnativa e affascinante comune avventura. Tuttavia, è mia convinzione che se le attività di preparazione al matrimonio sono importanti, altrettanto importante sarebbe offrire corsi dopo un anno, due anni di esperienza, e nei grandi momenti di svolta, come la nascita dei figli, le crisi, le migrazioni...

La comunicazione è una pianta che si coltiva tutta la vita.

 

BIBLIOGRAFIA

Cesari Lusso V., Il mestiere di... nonna e nonno, Erickson, Trento 2004.

Cesari Lusso V., Dinamiche e ostacoli della comunicazione interpersonale, Erickson, Trento 2005.

Erikson E.H., Infanzia e società , Armando, Roma 1967, trad. it.

Gordon T., Genitori efficaci, La Meridiana, Bari 1991.

Mead G.H., Mind, Self and society, University Press, Chicago 1950.

Salomé J., Il dono di farsi capire, "Famiglia Cristiana", Milano 2005.

Winnicott D.W., I bambini e le loro madri, Raffaello Cortina Editore, Milano 1987, trad. it.

          Pubblicato su Famiglia Oggi :   ottobre 2005

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10/05/2012 15:36
 
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 Famiglia, non lasciarti distruggere
di Madeleine Delbrêl  


Quando il mondo vuole dividerti e ti indica la via dell'egoismo, del successo ad ogni costo, della realizzazione forzata con criteri e modelli non "tuoi" e non scelti... Non lasciarti annientare dalle false logiche del mondo, non lasciare che si spenga il fuoco che Cristo è venuto a portare sulla Terra e che da una famiglia è stato custodito!... Vivi come a Nazareth, impara da Nazareth, respira l'atmosfera di quella casetta nello scambio quotidiano d'amore. L'Ossigeno della vera Vita ti farà condurre un'esistenza terrena sana e fruttuosa, in attesa di tornare a casa, dal Padre...

 

 E se a volte sentirai di respirare male, sali sul Monte del dialogo con Dio (cos'altro è, secondo te, la preghiera?...); cerca il silenzio: come puoi riuscire a sentire Dio nel brusio del quotidiano e nel baccano della tua voce che parla, parla e straparla? ...prendi il tempo per una passeggiata con Lui, cuore a cuore, nel silenzio di un tramonto, di un'ora vespertina in una Chiesa solitaria o semplicemente "rinchiudendoti" nella cella del cuore, in casa: chiudi gli occhi, respira profondamente, poi riaprili cercando di guardare il mondo con le lenti dell'Amore... Osserva le meraviglie della natura... Guarda gli occhi di un bimbo ed attingi da essi l'innocenza e la semplicità di cuore: abbandonati e dì "Gesù, vieni in me!  Gesù, resta, con me! Gesù, lavora con me, opera in me..." Ti manterrai in forma,  e forte, nel cammino...

La strada è lunga, i sentieri talvolta impervi, e le insidie spesso dietro l'angolo.... Il Principe della Menzogna (maiuscolo, perché è veramente il non plus ultra della falsità e della vana luce che acceca senza condurre in alcun porto sicuro!!!...) è da te che vuole cominciare ad annientare l'amore, perché ha capito che uomini e donne nuovi ci si forma nel tuo meraviglioso ambito quotidiano, fatto di ascolti, di sguardi, di attese gli uni degli altri nei personali percorsi di crescita... Non senti la nostalgia della tua vera casa?...

Non senti il cuore dilatato quando per un attimo fai silenzio nella tua vita e senti odore di Pane buono, e senti la voe amorevole di una Madre che ti chiama e ti richiama, con la Sua delicata premura, a lavarti le mani, perché è ora del banchetto celeste ed è tempo di presentarsi al Padre puliti ed ordinati, della pulizia e dell'ordine dei veri Figli di Dio?

Non senti il cuore contrarsi e l'angoscia serrare la gola quando osservi negli occhi di un bimbo che muore, in quelli serrati dalla morte di un soldato colpito da un gelido vento di guerra inutile (perché la guerra è sempre inutile, se muore anche solo un essere umano!...) che non è lontano milioni di anni luce, è parte di te, è cellula come te, soffio vitale come te, figlio come il tuo, marito come il tuo, umanità come la tua... Perché te ne accorgi soltanto quando la distanza sembra accorciarsi perché una calamità, una tragedia, un fatto di cronaca sfiorano topograficamente il tuo territorio, tracciato e segnato da tanti tentativi di autoprotezione -  sempre e solo povera cosa umana, se non è Dio ad averla costruita con l'ingegno della Sua sapienza!!! .. -  e tenere a bada persone, eventi naturali o disagi fisici o psichici; dalla chiusura degli infissi del cuore con collanti e traverse di legno a prova di uragano Amore?

Hai paura anche tu di amare, di lasciarti andare, perché non pochi venti gelidi - quelli dell'egoismo, dell'indifferenza, dell'opportunismo... - hanno raffreddato anche te... Lo so, lo capisco... Ma non èstarnutendo sull' "altro" la tua rabbia (perché "non è giusto che tocchi solo a me a me!!!") che arriverai a guarire e ti sentirai meglio perché non sarai il solo  ad essere ammalato! "Mal comune mezzo gaudio" val la pena dirlo soltanto quando ci si impegna sul serio a combattere il batterio dell'infelicità, contagioso per trasmissione di odio ed egoismo!

Quando si accetta di curarsi tutti insieme, in una sforzo comune e costruttivo, con il farmaco del perdono reciproco e del rispetto  dell'altro, per diverso che possa essere o "minaccioso" per il nostro egocentrico concetto di salute... Mi piace il termine francese "salut", perché indica al contempo "salute" e "salvezza".... E' impiegato anche come saluto... Avete notato come camminando per le nostre strade si sia sempre meno a guardarsi ed a scambiarsi un cenno di saluto, che può voler dire comunicazine, incontro, solidarietà nel cammino?....

Al povero che tende la mano, poi!... non uno sguardo, un cenno fra "vivi", uno scambio di sguardi seppur minimo per dare calore, compassione... E Dio solo sa se più di una moneta non avrebbe bisogno di una parola, di un tocco lieve sulla spalla per sentirsi vivo e parte di un mondo che invece è sempre più chiuso in miliardi di monocellule incapaci di costruire "tessuto" (scienza?... fantascienza?!....) ed impazziscono incancrenendosi in un'esistenza a senso unico!!!...
Già, non è facile  per nessuno ... Dobbiamo piuttosto sforzarci di  stringere vincoli di solidarietà fra famiglie e ripartire, ricominciare da una porta aperta, da  una finestra sul cortile del prossimo non per giudicarne l'operato od invidiarne i successi, ma per ricostruire un tessuto sociale di vita vera, costruttiva, fiduciosa, affondando le nostre radici nel solco già tracciato da quelle di quanti ora contemplano la luce del Volto di Dio, ma che nel corso della loro esistenza terrena le hanno affondate per noi nell'unico terreno fertile: la fede in Cristo Gesù, Figlio di Dio, fatto carne e morto per la nostra salvezza! RISORTO!.. sì, risorto, poiché altrimenti la nostra fede non avrebbe motivo di essere... Perchè - riflettiamo!... - molti sono stati i tentativi di annunciare clamorosi ritrovamenti del corpo di Xto, nel corso dei secoli, affinché si potesse arrivare a rendere vane eroiche dichiarazioni del tipo di quella di Padre Ragheed Ganni, segretario del vescovo di Mosul - nord Iraq - quando afferma “Abbiamo attraversato il 2004, il nostro Calvario, tra dolori e distruzione, ma c’è ancora vita, non siamo fuggiti, siamo ancora qui, perché siamo certi della Resurrezione”. (tanto per essere attuali!....).

La speranza, non lasciar spegnere in te la speranza, non cedere agli inganni del tristemente noto Principe menzognero,  invidioso dell'Onnipotenza divina, che cerca di scoraggiarti e portarti per mari - attratto dalla falsa luce del faro del "tutto e subito"... - nelle cui acque ti fa cozzare soprattuto contro gli scogli della tua povertà, della sfiducia e del "tanto Dio non può amare uno come me!"... Dio ti ama, ah, se ti ama!!!.... Ma se non fai silenzio nella tua vita per ascoltarne l'eco nel tuo cuore, e l'eco rimbalza e torna indietro senza che dalle orecchie sia sceso al cuore per portarvi musica nuova, come potrai "gustare e vedere quanto è buono il Signore"?  (la melodia soave dell'Amore di un Dio che ha creato il mondo per Amore, per Amore ha mandato il Suo Figliolo Unigenito per la nostra Salvezza e che con Amore continua a guardarci vivere da dietro le persiane del Cielo, scuotendo sì, a volte il capo per le nostre nefandezze, ma che confida di vederci tutti seduti a tavola, all'ora di cena, TUTTI, perché nulla della Redenzione vada perduto!!!...) Apri l'ombrello della fede!

Con l'aiuto e la grazia divina (Dio guarda alla buona volontà ed al desiderio di amare, che è già amore...) sarà efficace anche se non proprio integro ed un tantino tarlato da ripetuti errori di conservazione (spesso l'hai lasciato esposto, non hai badato a conservarlo dagli attacchi di tarme insidiose e dalle fatiche quotidiane non trasfigurate dall'amore, sempre allerta, nelle praterie dove il Buon  Pastore ti porta...).... Abbi fiducia in Lui, è un Re che invece dello scettro ha scelto il vincastro del Pastore!... Famiglia non lasciarti distruggere, diventa ciò che sei:

 

La famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta, troverà il suo compimento nel Regno di Dio.
                                                                                                  Giovanni Paolo II

 Poiché le tue parole, mio Dio, non son fatte per rimanere inerti nei nostri libri, ma per possederci e per correre il mondo in noi Permetti che, da quel fuoco di gioia da Te acceso, un tempo, su una montagna e da quella lezione di felicità, qualche scintilla ci raggiunga e ci possegga, ci investa e ci pervada. Fa' che, come "fiammelle nelle stoppie", corriamo per le vie della città, e fiancheggiamo le onde della folla,contagiosi di beatitudine, contagiosi della gioia... E saremo contagiosi della gioia.

 

 Tratto da: ILLABORATORIODELLAFANTASIA.IT

 

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20/05/2012 23:31
 
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23/05/2012 22:27
 
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I metodi naturali per una sessualità davvero responsabile

In tema di sessualità, la proposta della Chiesa non è soltanto un sano autocontrollo del proprio corpo, ma anche l’utilizzo dei metodi naturali, proprio finalizzati a salvaguardare la vita e perseguire una vera sessualità responsabile e rispettosa.

L’approfondimento della conoscenza di tutto questo è l’obiettivo del Corso di aggiornamento “Regolazione naturale della fertilità e salute della donna: valore scientifico, umano e sociale dei metodi naturali”, riservato a medici, ostetriche, infermieri, psicologi, biologi, farmacisti, fisioterapisti, educatori professionali, promosso dal Centro Studi per la Regolazione Naturale della Fertilità (RNF) dell’Università Cattolica di Roma e dall’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI (ISI).

«I moderni metodi naturali», – ha spiegato la coordinatrice del Corso, Aurora Saporosi, del Centro Studi per la RNF della Cattolica di Roma, «ancora oggi poco conosciuti e valorizzati, sono in grado di svolgere un importante ruolo nella prevenzione e nella tutela della salute della donna e della vita nascente. Ciò è possibile, sia dal punto di vista biologico, attraverso la loro  diagnostica, sia attraverso la educativa che i metodi naturali possiedono e trasmettono, proponendosi come stile di vita positivo e responsabilizzante nell’esercizio della sessualità». Oggi, grazie al progresso tecnologico, con un uso corretto essi hanno un’efficacia tra il 95% e il 99,7% per monitorare i momenti di fertilità e infertilità.

Purtroppo anche su questo argomento il pensiero della Chiesa è (volutamente) completamente equivocato, come ha detto Giovanni Paolo II: «il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così». Nessuno ha mai parlato di sessualità, dono di Dio, solo per la procreazione.

«In realtà», ha continuato papa Wojtyla, «nella generazione della vita, gli sposi realizzano una delle dimensioni più alte della loro vocazione: sono collaboratori di Dio. Proprio per questo sono tenuti ad un atteggiamento estremamente responsabile. Nel prendere la decisione di generare o di non generare gli sposi devono lasciarsi ispirare non dall’egoismo né dalla leggerezza ma da una generosità prudente e consapevole, che valuta le possibilità e le circostanze, e soprattutto che sa porre al centro il bene stesso del nascituro. Quando dunque si ha motivo per non procreare [motivi medici, eugenetici, economici e sociali, nda] questa scelta è lecita, e potrebbe persino essere doverosa. Resta però anche il dovere di realizzarla con criteri e metodi che rispettino la verità totale dell’incontro coniugale nella sua dimensione unitiva e procreativa, quale è sapientamente regolata dalla natura stessa nei suoi ritmi biologici. Essi possono essere assecondati e valorizzati, ma non violentati con artificiali interventi».

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27/05/2012 22:46
 
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Tre ma una sola carne, tre persone distinte ma una sola natura.
La famiglia umana è immagine della Trinità.

Gen 1,27 Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.

Mat 19,6 Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi».

Dall'unione tra le due persone che sono un'unica carne, viene generata una terza persona della stessa natura. Quale meravigliosa realtà abbiamo sotto i nostri occhi per comprendere facilmente la Trinità, per semplice analogia.


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28/05/2012 08:48
 
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Riflessioni sulla famiglia



In occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012, alla presenza di Papa Benedetto XVI, Regina Mundi propone alcune interessanti riflessioni sulla famiglia, in audio MP3, tratte dal libro di Don Massimo Camisasca: Amare ancora(Messaggero Padova, 14 euro, pp. 144), lette da Rosario Tronolone.
Tutte le famiglie del mondo sono invitate a partecipare e a riflettere sul titolo dell'evento "La Famiglia: il lavoro e la festa". Questo evento eccezionale sarà occasione di stimolo e di grazia per riprendere il coraggio di camminare nella strada difficile dei valori cristiani, ed essere, nella società di oggi, una ferma voce dei diritti umani fondamentali della famiglia. 

La Carta dei Diritti della Famiglia che la Santa Sede ha pubblicato nel 1983  definisce la famiglia “unione intima di vita nella complementarità tra un uomo e una donna, che si costituisce con il legame indissolubile del matrimonio liberamente contratto e pubblicamente espresso, ed è aperta alla trasmissione della vita” 
La famiglia è comunione di amore e di vita. Essa ha la sua origine da quello stesso amore con cui il Creatore abbraccia il mondo creato. 
Nell'attuale contesto sociale, "l'istituto familiare è minacciato" e "si trova a far fronte a non poche difficoltà nella sua missione di educare alla fede", ha affermato Benedetto XVI.
A tutti è noto come oggi spesso l’istituzione familiare venga messa in discussione, fino a disconoscerne il suo vero valore.
A causa dello smarrimento del senso cristiano della vita e dei valori fondamentali, le giovani generazioni sono particolarmente esposte al pericolo di non riconoscere più  nella famiglia, così come Dio l’ha costituita,  il principale soggetto che può favorire una crescita armoniosa e far maturare persone libere e responsabili, formate ai valori profondi e perenni.
E’ urgente rimettere in luce e in atto quel patrimonio di valori cristiani che sono alla base della identità più profonda e sacra della famiglia.




Mons. Massimo CamisascaNote sull'autore

Massimo Camisasca è nato a Milano nel 1946. È stato ordinato sacerdote nel 1975. L'incontro che ha segnato la sua vita è avvenuto a 14 anni al Liceo Berchet, quando ha conosciuto don Luigi Giussani. Responsabile prima di Gioventù Studentesca e poi di Comunione e Liberazione, è stato anche presidente diocesano dei giovani di Azione Cattolica a Milano. Insegnante di filosofia nei licei, all'Università Cattolica di Milano, alla Pontificia Università Lateranense a Roma, dal 1993 al 1996 è stato vicepreside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Ha fondato nel 1985 la Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo Borromeo, di cui è superiore generale.

 


Catechesi Mp3 per la Famiglia
Bartolomé Esteban Murillo - La Sacra Famiglia con un uccello (1650)
Olio su tela, Museo del Prado - Madrid
 
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14/06/2012 23:26
 
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La famiglia uomo e donna, con più figli, è l’unica vera risorsa da favorire

Durante la recente visita pastorale a Milano in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie,  Benedetto XVI ha parlato a lungo della famiglia, ribadendo l’importanza della visione tradizionale che, guarda caso, è perfettamente in linea con gli studi sociologici più recenti. Il Papa ha affermato«è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umananon sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo» (qui tutti i discorsi con relativi filmati).

L’elogio della famiglia formata da uomo, donna e più di un figlio, è stato il cuore di numerosi interventi e studi sociologici che si sono susseguiti in questi ultimi mesi. Un gruppo di psicologi delle università di UC Riverside, Stanford e British Columbia, ad esempio, ha presentato il mese scorso (qui una sintesi) uno studio dove si conclude che «le persone con figli sperimentano una maggiore quantità di emozioni positive e di senso della vita rispetto alle persone senza figli». Avere figli incoraggia all’altruismo, «crea grande soddisfazione, migliorando le relazioni interpersonali». Molto bella l’intervista del “Corriere della Sera” al sociologo Giuseppe De Rita, direttore del Censis (istituto di ricerca socioeconomica), il quale afferma: «La famiglia è l’unico luogo dove ci si sente effettivamente protetti, al sicuro, sorretti, compresi. La famiglia è “necessaria” in quanto realtà sociale ancora insostituibile»Ha parlato anche di sé, marito da 53 anni e padre di 8 figli: «una famiglia numerosa è il miglior investimento che un individuo possa fare nella sua vita».

Tra le tante relazioni tenute durante il “Congresso Teologico-Pastorale”segnaliamo quella del prof.Luigino Bruni, docente di
Economia Politica presso l’Università di Milano-Bicocca, il quale si è soffermato sul concetto di tempo come gratuità. Interessante anche la relazione presentata (anche qui) dal prof. Pierpaolo Donati, sociologo presso l’Università di Bologna (autore di “Famiglia: risorsa per la società”, Il Mulino, 2011), che ha sottolineato come la famiglia tradizionale (quella con due figli o più), unita dal legame di fedeltà fra un uomo e una donna, è quella che rende stabile la personalità dei figli, spinge all’aiuto verso gli altri, crea personalità capaci di creatività e responsabilità nel lavoro, aiuta la coesione sociale e sia in grado di assecondare meglio il desiderio di felicità, rispetto a situazioni familiari differenti (genitori separati o conviventi more uxorio, con un solo figlio, ecc.). I fattori emersi che rendono una famiglia “virtuosa” sono stati il matrimonio e il numero di figli (addirittura, ha detto, «è meglio essere in pessimi rapporti con i propri fratelli che essere figli unici»). «Il risultato finale» – si legge nella relazione- «dice che la famiglia normalmente costituita è ancora la forza primaria della nazione, sebbene stia diventando una minoranza». Una minoranza però “più felice”, più gioiosa, anche se “più povera”. Simili risultati arrivano da uno studio dell’Istituto Toniolo, il quale ha rivelato che il 75% dei giovani (18-29 anni) -se potessero- vorrebbero il terzo figlio. Inoltre l’82% degli intervistati ha affermato di aver ottenuto dalla famiglia la capacità di guardare con tranquillità al futuro e trovando in essa supporto emotivo ed economico.

Ovviamente questi sono dati che stridono fortemente con la propaganda radicale e l’enorme pubblicità all’individualismo delle convivenze, al privatismo delle coppie omosessuali, alla penalizzazione sociale del rapporto matrimoniale. Interessante, da questo punto di vista, l’intervento del sociologo e opinionistaMassimo Introvigne, secondo cui «la famiglia nasce da un dato naturale, e non possiamo reinventarla a nostro piacimento”». La crisi della famiglia «viene da lontano ed ha le sue radici nell’illuminismo. Pensiamo alle polemiche di Rousseau sulla famiglia come luogo in cui ai bambini vengono trasmesse superstizioni e cattive idee. Già allora si cominciò a mettere in discussione i legami organici. È l’esito di un processo, che annovera tre tappe. Comincia con il primato dell’individuo sulla famiglia dell’illuminismo, poi dello Stato sulla famiglia delle ideologie totalitarie del XX secolo. In fondo al tunnel c’è la negazione: la famiglia non è una realtà ma un’invenzione culturale che ognuno è libero di rifare a proprio piacimento». Questo è il grimaldello per importare la poligamia, inventare il matrimonio omosessuale, fino all’ammissibilità dell’incesto come si sta chiedendo oggi alla Corte europea. Ma, continua Introvigne, «la famiglia nasce da un dato naturale che non siamo liberi di inventare. Qui le strade divergono: per il credente tale dato è creato, iscritto in un disegno di Dio sull’universo, per un non credente tale disegno non c’è e, coerentemente, quel dato diviene modificabile».

Come ha argomentato la storica Lucetta Scaraffia, individualismo, rivoluzione sessuale (libertinismo), leggi sul divorzio, sull’aborto (con legami con la gnosi), sulle nozze gay, sono i veri responsabili della crisi della famiglia di cui oggi tutti parlano ma che nessuno vuole contrastare davvero. Tranne la Chiesa, ovviamente.

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31/07/2013 23:57
 
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Il dramma del femminismo e la soppressione della paternità

Il dramma del femminismo e la soppressione della paternità

 

Il titolo dovrebbe comprendere, per la verità, anche un altro "ismo" il maschilismo, la misoginia, a causa della quale l'esasperazione della donna è esplosa in ciò che definiamo "femminismo", ma poiché questa implosione all'interno della Famiglia ha provocato a sua volta l'esasperazione maschile, vogliamo analizzare più da vicino tal fenomeno e chiedere alle Donne la vera compassione, che non è un mero pietismo, ma come il termine etimologicamente dice: prendere con-passione la sua specifica missione nell'essere "femmina-donna" e re-imparare a conoscere davvero l'uomo che non è affatto un suo concorrente come il mondo del lavoro ne ha tragicamente racchiuso il ruolo finendo, alla fine, per perdere entrambi.

Non ci sono infatti vincitori, tutti abbiamo perduto su questo terreno ideologico e a farne le spese sono i Figli, le generazioni future, la Famiglia, il futuro della società.

 

Diciamoci la verità, oggi c'è una grave ostilità nei confronti della figura del "Padre", è come se la donna con quel famoso grido diabolico "l'utero è mio e lo gestisco io" avesse voluto rivendicare a sé anche la figura della paternità.

L'utero sarà pure suo, ma non il contenuto concepito!

La maternità di cui tanto oggi si parla specialmente in ambito ecclesiale (la Chiesa è Madre) non può fare a meno della paternità che in tal caso gli deriva da Dio, il quale ha delegato l'uomo, il maschio, a tal compito, non si scappa. Senza l'uomo la donna non ha alcuna maternità da rivendicare, così è anche per la Chiesa che certamente è Madre ma perché ha un Padre che mediante l'azione dello Spirito Santo e l'avvocatura del Figlio Divino che si è fatto crocifiggere per riscattare la nostra stessa dignità umana e offrirci quella divina, Salvatore dell'uomo, il nuovo Adamo, può generare nuovi figli mediante il Battesimo.

Così come la stessa paternità non potrebbe fare a meno della maternità infatti, anche se Dio essendo Onnipotente non aveva certo bisogno di noi, è proprio il Suo essere Amore allo stato puro ed unico, anzi, Colui che genera l'Amore, ad aver stabilito questa necessità nel progetto di salvezza, rigenerazione dell'uomo dopo il Peccato Originale, e dunque eccolo che mentre non ha bisogno di nulla e di nessuno, decide fin dall'eternità di "farsi uomo", mandando il proprio Figlio "nato da donna", chiede il consenso di una Vergine, attende il suo "fiat" per dare inizio al compimento dell'Amore diventando "Padre" a tutti gli effetti, generando la Chiesa Madre e Sposa, modello femminile per eccellenza e quindi Gesù Signore, quale Sposo modello.

Oggi assistiamo invece ad una sorta di "civiltà della madre" a discapito della paternità la quale sarebbe obsoleta, una sorta di residuato bellico da reprimere, come vorrebbe un certo ordine mondiale. Non è un caso infatti se oggi assistiamo ad un fenomeno diventato perversamente culturale nel quale i maschi vengono cresciuti "simmetricamente alle femmine" e le stesse femmine simmetricamente ai maschi con l'aggravante di una parità imposta ma dove, sopravvivendo la maternità giacché anche i più devastatori non possono fare a meno, la paternità viene schiacciata e confinata spesso in laboratori dove non poche sono le donne che preferiscono la "fecondazione artificiale" per poi vendere i propri figli al miglior offerente.

Il maschio viene così cresciuto fin da piccolo per non generare, ossia per non esercitare la propria paternità responsabile, e la femmina viene cresciuta con quella perversione che oltre all'utero gli appartenga anche il frutto generato.

Da qui inizia il vero sfascio della Famiglia.

Ci troviamo così di fronte al rifiuto gnostico e sacrilego della vita umana attraverso la genitorialità responsabile: spremuto del proprio seme, il maschio perde se stesso nel circolo folle dell'ipnosi seduttrice e si rende via-via "se-ducente" verso l'inconscio annientamento del proprio specifico sessuale: il dilagare dei figli di Sodoma ne è la squallida, miserevole cartina di tornasole. Così come cartina tornasole è la stessa crisi interna alla Chiesa, l'apostasia, donne che vogliono fare i preti, preti che vogliono le donne in un triste impasse di profonda inquietudine nella quale gli istinti non trovano pace.

Scavando un poco alle origini del problema troviamo quella visione culturale che abbiamo assorbito grazie alla idolatria della "Libertà" (o come dicevamo sopra "l'utero è mio e lo gestisco io") regalataci dapprima dalle varie rivoluzioni liberali e giacobine, ma a livello di massa ed in via immediata dalla cultura americana, «un paese che - come hanno scritto ne "Il male americano" due autori certo problematici come Giorgio Locchi e Alain de Benoist - nato da una rottura con l'Europa, era troppo portato a subire un «complesso di Edipo» verso un "padre" respinto ed odiato»(1).

Il modello educativo odierno, sviluppatosi specialmente nella terra dei Padri Pellegrini americani, è un modello interamente coniugato al femminile, da cui il padre è espunto ed in cui tutto è spesso giocato nei rapporti tra madre e figli.

E tuttavia prima della Rivoluzione americana vi era stata la Rivoluzione delle Teste rotonde (2) e prima ancora la rottura dell'ecumene medievale con lo scisma anglicano e l'eresia protestante nella quale, ahimè, troviamo le radici di certo liberismo giunto, esasperato, nel nostro tempo.

Se infatti il popolo inglese fu educato dall'umanesimo, dalla Bibbia e dal mare, sarà Lutero che, spostando l’esperienza sacramentale del matrimonio nell'ordine terreno, secolarizzerà il matrimonio e la famiglia togliendole di fatto il trascendente.

Scrive Claudio Rise: «Come nota l'antropologo Dietrich Lenzen "si può affermare che la dottrina di Lutero sul matrimonio aprì la porta alla successiva statalizzazione della paternità. E quindi toglie alla figura del padre quel riflesso di figura del Padre divino, che le conferisce enormi responsabilità, ma da cui derivava il suo specifico significato nell'ordine simbolico, sconvolto appunto dalla secolarizzazione. [...] Poche generazioni dopo nessuno sapeva più, quantomeno nella tradizione protestante, cosa avesse significato paternità, smettendo così questo termine di essere quel testimone umano della norma del Padre creatore» (3). Oggi Lutero è ancora tra noi, e molti protestanti, seppur non come comunità ma senz'altro come pensiero, sono perversamente vezzeggiati nella Chiesa e da non pochi Vescovi che li chiamano persino a predicare nelle proprie diocesi e parrocchie.

 

Possiamo tranquillamente paragonare la nostra situazione a quella di un paese infestato dai briganti: sono i nostri peccati, i nostri vizi, il nostro orgoglio, i nostri subdoli compromessi che ci avvelenano l'esistenza, disturbano le comunicazioni all'interno del paese, ci impediscono di vivere in pace.

Ora, questo paese viene a sapere che il suo vicino è un re meraviglioso, generoso, dotato di un'armata potente. Nella sua disperazione, lancia un appello verso questo re, il quale varca il confine con il suo esercito. I briganti hanno paura e si disperdono nel folto delle foreste; il paese respira, i suoi abitanti ritrovano la concordia e la gioia di vivere insieme.

Questo sarebbe il frutto della nostra autentica conversione a Gesù Cristo!

In realtà, i conti non tornano: ciò che noi chiamiamo la pace è in verità un compromesso mediocre, un dosaggio tra il Bene ed il Male denominato "equilibrio", una "coesistenza pacifica", oggi la chiamiamo la "politica corretta" tra l'uomo vecchio ed il nuovo, tra il nostro cuore di carne ed il nostro cuore di pietra. Non è splendente, diciamo, ma in fondo, non bisogna chiedere-pregare troppo, l'autentica preghiera infatti ci presenta un conto da pagare che furbamente rigettiamo.

Cristo è venuto per darci la sua pace è vero, ma  non è quella del mondo, non è quella che ci spinge ad accettare il compromesso. Cristo vuole darci la sua pace estinguendo tutto ciò che minaccia la circolazione dell'Amore.

Così, un giorno il re dice: " Dove sono andati a finire i briganti?"

- Signore, si sono nascosti, sono neutralizzati" -

"Sì per ora, ma bisogna farla finita! Li stanerò dai loro nascondigli e se non vorranno accettare questa pace e si ostineranno ad essere briganti alla fine li sterminerò.

 - Oh no mio Signore! - risponde impaurito -, ma così li risveglierete, sarà di nuovo la guerra -

"Ma io non sono venuto a portare la pace ma la divisione: una guerra di sterminio contro tutto ciò che minaccia la mia vera Pace, i giusti attendono la giustizia".

Dunque il re stesso scatena i briganti che la sua presenza aveva prima addormentato. Da qui le tentazioni strane che possono nascere in noi dopo lunghi anni passati al servizio di Cristo: il risveglio delle febbri addormentate o anche di febbri sconosciute. E' buon segno che sant'Agostino chiama "sana inquietudine", è lo Spirito Santo che fa le pulizie!

 

Restando all'esempio della storiella vediamo come la profanazione della storia, l'irruzione cioè di categorie profane nello spirito e nelle istituzioni umane è sempre la conseguenza del fatto che l'uomo ad un certo punto si fa misura da sé delle cose. Ciò è accaduto fin dall'inizio. Ma partiamo da alcune precisazioni.

Laddove "Padre" è molto spesso usato come sinonimo di genitore, deve essere specificato, come del resto la Chiesa stessa ci insegna, che si può essere genitori, senza essere padri. Pensiamo Santi Fondatori come San Benedetto, vero Padre dell'Europa cristiana. Lo stesso termine "Padri pellegrini" usato per gli iniziatori della comunità americana presero proprio dal cristianesimo il concetto di una paternità spirituale e simbolica, effettiva nella costituzione di una genesi sociale e culturale.

Ugualmente Padre è spesso usato anche come sinonimo di maschio. Ma "maschio" non equivale a padre. Ci sono maschi che non sono ne genitori, ne padri, poiché non hanno figli, così chiamiamo "padre" il Papa o i sacerdoti i quali non hanno avuto figli in senso carnale.

Il termine "Padre" in verità, si conviene essenzialmente ad una funzione, che è quella della custodia ed accrescimento della vita, la trasmissione della verità sulle cose.

Solo per un voluto malinteso senso delle cose quando si pensa alla vita si pensa automaticamente alla madre in senso assoluto. Così come, sempre per un voluto malinteso delle cose il concetto di "matrimonio" è diventato "patrimonio".

Cosa vuol dire questo? Proviamo a spiegarlo brevemente.

Rispetto al significato originale che questi termini avevano, noi siamo riusciti perfino a peggiorarli, a pervertirli. Infatti patrimonium, deriva si da "padre" che è letteralmente "ciò che spetta, concerne, compete al padre", si riferiva principalmente a funzioni, compiti e responsabilità verso non solo i figli ma il proprio "clan", l'onere di proteggere, nutrire e soprattutto custodire la propria famiglia salvaguardando le tradizioni affinché venissero tramandate correttamente.

 

Nella dominazione Romana il "matrimonium", indicava principalmente la "maternità legale" (non necessariamente corrispondente a quella naturale, esistevano già le adozioni), in seguito il suo strumento e la sua condizione di ruolo.

Una legalità che riscontriamo nella Bibbia: " Chiamò poi la madre di lei e le disse di portare un foglio e stese il documento di matrimonio, secondo il quale concedeva in moglie a Tobia la propria figlia, in base al decreto della legge di Mosè" (Tb.4,14).

Il punto di rottura di questa concezione a suo modo ''alta" per i suoi tempi di patrimonium e matrimonium e che comunque garantiva legalmente una sicurezza per i componenti della Famiglia a cominciare proprio dalla donna la quale, attraverso il contratto diventava legittimamente moglie - salvaguardandola anche dalla frode di uomini avidi e sfruttatori - la rottura fra questi due ruoli insostituibili dicevamo è stata invece che è la madre ad allevare i figli e il padre a pensare agli affari. Per dirla chiara e breve è oramai passata l'idea del padre come "assegno", colui che porta a casa i soldi.

Ma molto più oggi che ieri, paradossalmente questo è divenuto per il padre lo scopo di vita principale, specie quando il lavoro si è identificato con l'accumulazione, con la carriera, con il successo, divenuti spesso veri e propri idoli.

Se è vero che molte donne vengono abbandonate dai mariti, oggi, perché infatuati di donne più giovani, è anche vera l'altra faccia della medaglia: che oggi sono molte le donne che abbandonano i mariti magari per il collega sul posto di lavoro e che però pretendono l'assegno familiare, e pretendono la custodia dei figli dimenticando che, in questa guerra fra pezzenti - a rimetterci sono proprio loro.

Purtroppo talvolta la cura della dimensione materiale, di sopravvivenza, connessa pure con il dovere paterno di sostentare la prole, ha portato padri e madri a dimenticare l'insegnamento di Gesù: «Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore»(Mt 6, 22-34).

L'uomo continua al mantenimento (salvo poi fare il furbo e non pagare, quando può, il dovuto specialmente quando ci sono i figli ancora da svezzare), ma ciò che gli viene negato ingiustamente è quel "patrimonium" che dovrebbe in verità ancora svolgere, anche se è venuta meno la parte del "matrimonium", e naturalmente ciò deve essere rapportato anche quando è alla madre che vengono tolti i figli.

L'unico vero motivo per cui un padre non dovrebbe più esercitare questo "patrimonium" dovrebbe essere quello di una dichiarazione legale che lo addita come soggetto incapace, pericoloso, violento e persino delle volte incestuoso. Ma lo stesso metro di misura dovrebbe oggi essere usato anche per quelle donne che abbandonano i propri mariti senza i motivi sopra allegati, se non altro in nome di quella tanta sventagliata parità perché, se è vero che "l'utero è suo" non lo è di diritto esclusivo il contenuto.

I drammi peggiori avvengono quando i due esercizi, patrimonium-matrimonium, vengono brutalmente separati e quando non si tiene conto del bene dei figli e soprattutto dei loro diritti a cominciare da quello di avere un padre ed una madre.

"Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio" (Eb.13,4).

 

Il termine "matrimonium" lo troviamo solo 4 volte nella Bibbia, il perché così poco è presto detto, lo spiega Gesù nel famoso brano di Matteo 19 che vale la pena leggere integralmente:

"Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?».  

Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse:  Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi».

Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?».  

Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio».

Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

 

Dunque: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio», Gesù taglia la testa al toro, la soluzione è una sola, quella di ritornare al progetto originario per cui l'uomo e la donna furono creati, maschio e femmina li creò con un progetto preciso, non può esserci un matrimonium senza patrimonium e viceversa, togliendone uno si rischia l'impoverimento dell'altro. Spesse volte la discrepanza fra i due ruoli ha prodotto ciò che possiamo definire quale "autorità" che ha visto in passato, purtroppo, la donna succube delle violenze del marito e, occorre dirlo, impossibilitata a difendersi.

Con il termine autorità (dal latino auctorìtas, da augeo, accrescere) si intende quell'insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona, cui gli individui si assoggettano in modo volontario, per realizzare determinati scopi comuni.

Augeo implica un senso di servizio, di utilità, ma anche di ingegno e creatività. Autore deriva dal medesimo etimo: è colui che crea per mezzo del proprio ingegno, che aggiunge e fa prosperare. L'autorità è un concetto legato essenzialmente all'ordine cognitivo e confluisce alla Verità: non a caso si dice nel parlare comune "è un 'autorità in materia”.

L'autorità implica a sua volta il concetto di un sapere riconosciuto socialmente, in virtù del quale si attribuisce un corrispondente potere riconosciuto socialmente. La patria potestà, per esempio, è stata sempre definita come un atto concesso al padre in quanto gli si riconosceva la capacità di far crescere il figlio in maniera retta, ed anche perché era il padre a riconoscere, appunto, la legittimità di quella paternità o perché figlio proprio, o perché adottato. Valeva sempre il famoso detto: "Mater semper certa", una locuzione latina, la cui traduzione è "La madre è sempre certa" (cioè conosciuta definitivamente in quanto partoriente), venne poi  completata da "pater autem incertus" oppure "pater numquam", da qui la necessità del "riconoscimento" della prole o dell'adozione e che il padre affidava, d'autorità appunto, al ruolo di spettanza  della moglie, la maternità.

L'autorità dunque non è l'esercizio del potere su altre persone, men che meno la forza brutale, tuttavia  essa ha preteso spesso di fondarsi sull'avere e sul potere. Ieri era il "padre-padrone" oggi è spesso la donna con il suo femminismo esasperato a farla da padrone. In entrambi i casi a rimetterci sono sempre stati i figli e la stessa società la quale si fonda sull'equilibrio dell'esercizio familiare. Venuta meno la stabilità familiare degli anni '70/80 con un incremento di divorzi pari al 40%, l'onda d'urto si è riversata sulla medesima instabilità dei figli, soprattutto quelli per natura fragile, molti dei quali si sono riscoperti all'improvviso omosessuali. Non è un caso che il crescente numero dei divorzi, degli adulteri, delle separazioni sia cresciuto in pari misura con quanti si riconoscono oggi omosessuali.

Per chi non lo sapesse il termine "omosessualità" è stato coniato nel 1869 da un letterato ungherese di lingua tedesca Karl-Maria Kertbeny (1824-1882), prima non esisteva e si parlava solamente di sodomia, che lo usò in un pamphlet anonimo contro l'introduzione da parte del Ministero della Giustizia prussiano di una legge per la punizione di atti sessuali fra due persone di sesso maschile. Sempre Kertbeny coniò i termini di Normalsexualität ("normosessualità") e Doppelsexualität ("bisessualità"). Solo negli anni venti si farà strada il termine eterosessuale che fino ad allora, infatti, non era necessaria la sua specificazione non essendo in uso neppure il termine contrario. L'omofobia è poi una derivazione per determinare coloro che in qualche modo sono ostili a queste persone. In verità tale termine è assai abusato perché, Vangelo alla mano, non viene mai giudicata la persona in quanto tale, ma si condanna l'atto della sodomia che la Bibbia stessa a volte paragona come adulterio, altre volte come un peccato anche più grave dell'adulterio e che già nei primi secoli della Chiesa era assolutamente (e ancora oggi) vietato fra i coniugi, ossia, incompatibile col progetto di Dio, incompatibile con l'insegnamento del Cristo - questo significa vietare - poi ognuno è libero di vivere come vuole. Ma non può imporre agli altri di tacere la verità, né si può pretendere per legge che i figli nati da un uomo e una donna vengono fatti crescere in ambienti in cui si impone loro ad avere o solo due "padri" o solo "due madri". Tale imposizione non è solo contro natura, ma anche contro ogni società civile la quale non può imporre ai figli di crescere senza la complementarietà dei due sessi, costringendoli ad una visione errata della vita sociale, la quale si sviluppa nel concepimento dei figli che avviene fra un uomo e una donna, ed umanista che comprende la diversità dei sessi per uno scopo naturale e specifico.

 

Ritornando alla genesi del nostro discorso, puntiamo l'attenzione sul termine "Padre".

Siamo un pò troppo abituati alla sua derivazione greca e latina da dimenticare però la sua provenienza dal sanscrito "Pi-tà", radice di Pà che tiene il concetto che gli è proprio: "proteggere" e "nutrire"= pateomai, in greco significa mi nutro.

Pà, colui che protegge, è pure la stessa radice sanscrita di patis, Signore, e di pa-yu, custode. Padre è dunque colui che protegge, nutre, governa e custodisce.

Dice il Salmo: "Neque dormite! qui custodit te, ecco non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel, Dominus custodit te Dominus protectio tua super manum dexteram tuam per diem sol non uret te neque luna per noctem/

Non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d'Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre, sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, ne la luna di notte" (Salm. 120 (121).

 

Scrive a ragione San Paolo: «Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo ulteriore» (Ef.3,14-16).

''Padre nostro" è l'inizio della preghiera che il Signore Gesù ci ha insegnato.

Affermare la paternità di Dio non significa disprezzare il femminile, ma affermare l'assoluta trascendenza di Dio.

Scrive Jean Bastare che se l'amore di Dio « si fosse manifestato donna, avremmo assistito a un ritorno in forze dei culti primitivi. Si sarebbe verificata una confusione più forte che mai tra un amore di assorbimento e un amore di oblazione, la trascendenza divina avrebbe regredito fino a trovarsi inghiottita nel seno delle dee-madri. Bisognava che Gesù fosse uomo e non donna perché Dio fosse Dio e non l'insieme del cosmo», la genialità di Dio è stata proprio l'istituzione della Chiesa quale Madre tanto da far dire a San Cipriano: " Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre" (4).

Nel Vangelo Gesù si rivolge a Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv.3).

Nell'amore dei genitori verso i figli, nelle madri quando esercitano il loro ruolo e soprattutto nei padri a riguardo di questa autorevolezza di cui abbiamo parlato, deve trapelare, trasparire, trasfigurare lo stesso amore di Dio Padre: i nostri figli non sono figli nostri, sono anzitutto figli di Dio e partecipano alla Sua opera di salvezza.

Così come Dio ha dato il Figlio unigenito per la salvezza del mondo, anche noi dobbiamo essere disponibili ad offrire al Padre celeste questi nostri figli ricevuti innanzi tutto quale dono.

 

Qualcuno ha scrittose i divorzi sono in aumento e si dice che i giovani non vogliono più sposarsi, perché allora tanta fretta ed insistenza nell'imporci la creazione di presunti matrimoni-famiglie omosessuali? Che senso ha?

Belle riflessioni, questo significa usare la ragione. Non dovremmo piuttosto preoccuparci di dover prima risolvere il problema di questi abbandoni, di tante ragazze madri, delle adozioni così difficili per  le vere famiglie sterili ma con un padre e una madre, mentre sono così facili per le unioni omosessuali; preoccuparci di risolvere i nostri egoismi, le inquietudini, l'autentico rispetto della vera libertà dei figli cresciuti nella complementarietà fra le diversità sessuali e quindi imparare a rispettare gli altri, non vedere nell'altro  l'oggetto del piacere e del desiderio, assumersi le proprie responsabilità invece di ricorrere all'aborto per nascondere i tanti adulteri che si consumano oramai dal periodo della adolescenza, e quant'altro?

Padre dunque è custode e signore, ma allo stesso modo o è sposo o non è padre.

E sposo è colui che giura, che fa voto solenne, che promette, dunque che impegna se stesso, che da se stesso, che si spende, dal greco spèndein (da cui sposo), che indica appunto il fare libazione solenne.

Sposo è colui che impegna se stesso di fronte al Cielo ma anche davanti agli uomini: ecco perché anche un sacerdote può essere un padre. Non è la generazione sessuale che fa il padre, ma l'impegno alla cura e custodia dei figli, l'impegno a crescerli secondo natura e non secondo le proprie ideologie, l'impegno a dar loro anche una madre perché egli cresca nella complementarietà delle diversità e per questo non vi è che un modello.

 

Lo Sposo si "spende" per la Sposa, si impegna per questa custodia e la sposa provvede a quella dimensione materna che solo una donna può dare. I due sono complementari, si appartengono, ma ognuno conserva la dimensione che gli è propria; hanno una pari dignità, ma al tempo stesso non sono uguali nei ruoli; hanno gli stessi diritti, ma al tempo stesso anch'essi devono proteggere, custodire, difendere i diritti dei figli; sono entrambi educatori; ma al tempo stesso imparano anch'essi dai figli a risolvere i problemi della vita.

Rispettando questo Amore autentico, queste promesse fatte, la donna non sentirà più la necessità di gridare che "l'utero è suo", né l'uomo sentirà la voglia di ripudiarla in cerca di altro. Allora si che i figli comprenderanno la prodezza di una promessa fatta, il significato della fedeltà, del sacrificio, dell'offerta ma anche della vera felicità, della autentica serenità, allora sì che anch'essi saranno in grado di fare scelte coraggiose, saranno in grado di fare promesse e mantenerle contribuendo davvero per una società migliore. Se non si ritorna ai ruoli naturali l'uomo potrà inventarsi mille nuove antropologie che non risolverà mai la propria inquietudine.

«Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen» (Ef.3,14-21).

"Per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli!"

Meditiamo su questo passo, perché qui sta infine l'ultima custodia del padre, la custodia della Tradizione, questa trasmissione della Verità ai figli per i figli dei figli, perché un giorno, chiudendo gli occhi, possa il nostro cuore, pure pentito di tutti gli errori ed i peccati commessi lungo il cammino della vita, presentarsi alla Misericordia di Dio nell'abbandono di chi non ha sciupato il dono di Grazia che gli era stato consegnato nella Fede dei suoi padri: "Laudo autem vos quod omnia mei memores estis et, sicut tradidi vobis, traditiones meas tenetis. Volo autem vos scire quod omnis viri caput Christus est, caput autem mulieris vir, caput vero Christi Deus.

Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l`uomo, e capo di Cristo è Dio". (1Cor.11,2-3)

Custode della Fede è il padre. Custodia della Fede è la Tradizione.

 

Note

 1 - Giorgio Lecchi e Alain de Benoist ne - II male americano - L.ED.E,Roma. i 978. pag. 33.

2 - teste rotonde (ingl. roundheads) Espressione con cui furono indicati i sostenitori del Parlamento durante la guerra civile inglese (1642-51), e in particolare i puritani e i membri del New model army di O. Cromwell (➔), a causa dell’abitudine di portare i capelli rasi;  a essi si contrapponevano i «cavalieri» (ingl. cavaliers), sostenitori del re. Il termine, in origine spregiativo, rimase in uso fino alla rivoluzione del 1688.

3 - Claudio Rise -  Padre, l'assente inaccettabile - San Paolo, Cinisello Balsamo, 2003. pag. 51-52.

4 - San Cipriano, L'unità della chiesa cattolica, III-VI-VII. La frase completa è la seguente: La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura, una sola casa conosce; con casto pudore custodisce la santità di un solo talamo. Lei ci conserva per Dio. Lei destina al Regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se si fosse potuto salvare chi era fuori dall’arca di Noè si salverebbe anche chi è fuori della Chiesa. "



Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/il-dramma-del-femminismo-e-la-soppressione-della-paternit%C3%A0/
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03/11/2013 19:36
 
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Il giudizio di Papa Francesco:
«la famiglia è tra uomo e donna»

Se questa è la posizione della Chiesa rispetto ai fratelli omosessuali, il giudizio di Papa Bergoglio sul matrimonio e sulla famiglia è arrivato un mese dopo nel messaggio del Pontefice allaSettimana Sociale dei cattolici italiani«La Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana», ha spiegato Francesco.«Vogliamo riaffermare», ha proseguito il Pontefice, «che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta». Per sostenere tutto questo non occorre la fede: «Queste riflessioni non interessano solamente i credenti ma tutte le persone di buona volontà, tutti coloro che hanno a cuore il bene comune del Paese».

Come Benedetto XVI, anche Francesco ha puntato l’indice contro «le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia». Conseguenze che «toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico, che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia, alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà». Dobbiamo dare atto questa volta ai principali media di aver riportato la notizia senza le solite strumentalizzazioni o omissioni si veda ad esempio “Repubblica”.

Un altro giudizio interessante di Francesco è stato rivolto ai cattolici durante l’omelia nella domus di Santa Marta, invitandoli ad “immischiarsi in politica”«Chi governa deve farlo con umiltà e amore, caratteristiche indispensabili. E i cittadini, soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica». In particolare, ha proseguito Francesco, «un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare». Ricordiamo che non è proprio una buona notizia per gli amici devoti al laicismo come il vaticanista Marco Politi, che infatti ancora una volta ha scelto di non commentare la notizia come invece avrebbe dovuto fare nel rispetto dei suoi lettori. Nemmeno Roberto Saviano ha commentato, lui che qualche mese fa invitava proprio i cattolici a non entrare in politica: «La Chiesa non ha alcun diritto di condizionare le leggi e le istituzioni dei paesi laici. I cattolici possono dire la loro, ma non influenzare o boicottare nuove leggi. Questo è profondamente ingiusto».

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22/03/2014 10:34
 
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I corsi prematrimoniali cattolici?
Sono anche un risparmio per lo Stato

Corsi prematrimonialiLa disgregazione del nucleo familiare genera costi sociali eimpoverisce lo stato e la società, tanto che il primo ministro inglese David Cameron ha deciso di investire 30 milioni di sterline a sostegno di una ricerca sulle relazioni di coppia.

Il risultato di tale studio è stato pubblicato recentemente e ha mostrato che i corsi pre-matrimoniali, sopratutto quelli gestiti da enti cattolici, sono il modo migliore ed efficace per risparmiare costi per la società e per il contribuente. In particolare, 1€ investito in uno di questi corsi preparatori al matrimonio permette un risparmio di 11,5€ allo Stato.

Il rapporto è stato pubblicato sul sito del governo britannico e alla ricerca commissionata dal Ministero della Pubblica Istruzione hanno partecipato gli esperti del Tavistock Institute. Grazie ai corsi pre-matrimoniali, hanno rilevato, è possibile cambiare il proprio comportamento di coppia, imparare ad affrontare i conflitti e comunicare meglio. Ma, ha riportato il “Telegraph”«i ricercatori hanno rilevato che gli effetti statisticamente più significativi potrebbero essere trovati tra coloro che hanno frequentato i corsi di preparazione al matrimonio gestiti dai“Catholic charity Marriage Care”», ovvero i corsi tenuti dai vescovi inglesi.

In questi corsi si insegna il valore del matrimonio e il suo significato vero. Lo stesso che è stato delineato sull’Harvard Journal of Law and Public Policy da tre prestigiosi studiosi: «Il matrimonio esiste per unire un uomo e una donna come marito e moglie per poi essere pronti a diventare padre e madre dei bambini che tale unione produce. Si basa sulla verità antropologica che uomini e donne sono distinti e complementari. Si basa sul fatto che la riproduzione biologica richiede un uomo e una donna. Si basa sulla realtà sociologica che i bambini meritano una madre e un padre.

Come spiegato recentemente dal Professore Emerito di Sociologia della Rutgers University,David Popenoe«dobbiamo sconfessare l’idea che le mamme possano fare buoni papà, proprio come i papà non possono essere buone mamme. I due sessi sono essenzialmente differenti e ciascuno è culturalmente e biologicamente necessario per lo sviluppo ottimale di un essere umano».

In questi corsi pre-matrimoniali si educa al vero senso del matrimonio, si insegna l’equiparazione dell’uomo alla donna e la valorizzazione della loro diversità. Per questo risultano efficaci in termini di felicità di coppia e chi partecipa ha meno probabilità di divorziare, come ha mostrato recentemente il governo inglese.


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22/03/2014 10:40
 
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Chi colma il cuore della donna




 di Costanza Miriano*


*scrittrice e giornalista


Quando lessi la prima volta la Mulieris Dignitatem credo proprio che non ne capii praticamente nulla, nella sostanza: avevo diciassette anni, e idee tutte strampalate su come dovessero essere maschi e femmine, sul matrimonio, su una malintesa parità tra i sessi. Mi sembravano belle parole, ma destinate a rimanere su carta.


Dieci anni dopo l’enciclica mi sono sposata, e i successivi quindici li ho passati praticamente a cercare di comprenderla. Piano piano, con il tempo, le parole del Santo Padre si stanno traducendo in carne, si sono incarnate nella storia della nostra coppia, hanno dato un nome a ciò che vivevo e anche in parte soffrivo. Credo che in amore si soffra quando si dimentica che“C’è un paradosso nell’esperienza dell’amore: due bisogni infiniti di essere amati si incontranocon due fragili e limitate capacità di amare”. (R.M. Rilke) “Solo nell’orizzonte di un amore più grande è possibile non consumarsi nella pretesa reciproca e non rassegnarsi, ma camminare insieme verso un Destino di cui l’altro è segno”. (C.S. Lewis)


Uomo e donna sono due povertà che si incontrano e si donano. Quella che Lewis chiama pretesa reciproca è destinata a rimanere delusa a causa del nostro peccato, e a causa delle differenze tra l’uomo e la donna. Avere un’identità adulta a mio parere significa proprio accogliere questa verità: cioè che l’altro non potrà mai colmare tutte le attese, anche involontarie, o le pretese che noi riversiamo sulla persona che ci è a fianco. Avere un orizzonte più grande significa invece che le piccole mancanze e delusioni reciproche le possiamo vivere non come crepacci nei quali cercare di non cadere, né tanto meno come rivendicazioni, ma come “giogo soave”, un peso leggero che serve alla propria conversione, che è poi il fine della vita qui sulla terra.


Ogni attesa disattesa – perché l’amore non è quell’unione simbiotica spontanea, gratuita, facile, che prende il nome di amore, almeno nella cultura occidentale dal romanticismo in poi – ogni attesa disattesa, dicevo, dunque non è che lo scartavetramento della vita sul nostro ego, su quella parte di noi che è ferita dal peccato originale e che quindi non funziona, non ci permette di entrare in un rapporto vero e personale con Dio. Ogni uomo e ogni donna sono chiamati a essere sposi prima di tutto del Signore, sia che siano consacrati, e allora è direttamente lui lo sposo, sia che siano invece sposati, e quindi l’altro diventa la via privilegiata per amare e ricevere amore da Dio, che rimane sempre però il nostro sposo. Quello che guarisce i rapporti è ricordare che se il fine oggettivo del matrimonio è quello di generare figli, quello soggettivo è generare se stessi, quindi, poiché esattamente come per le persone consacrate, è il rapporto con Dio che ci definisce, lo sposo è la via per realizzare questa unione con Dio. Amando lo sposo, la sposa, si ama Dio, e questo ci permette innanzitutto di uscire dalla logica “del ragioniere” che sembra prevalere in tante coppie. E poi, ad un livello molto più profondo, l’uomo maschio e  femmina è a immagine di Dio, quindi necessariamente il rapporto con l’altro ci dice qualcosa di decisivo su noi stessi.


L’altro dunque, così diverso, che così spesso ci fa arrabbiare, venire i nervi, ci delude, ci ferisce, non è sbagliato, ma è semplicemente il “segnaposto del totalmente Altro”, come lo definisce il cardinal Angelo Scola, e ci costringe a una domanda sul senso, ci costringe alla conversione. Ci porta a una forma di amore preterintenzionale direi, che parte cioè dalla rinuncia a tutto o a molto di quanto si era atteso o proiettato sull’altro. Si abbraccia quasi la morte dell’amore come lo si era immaginato, e si accetta di perdere. Si ama non più con lo slancio dell’emozione ma con l’amore di un monaco che scolpisce una minuscola scultura sotto la volta di una cattedrale, qualcosa di piccolo e prezioso che non vedrà quasi nessuno, solo coloro che avranno la pazienza di alzare lo sguardo. Preparare un pasto o accogliere le critiche, accettare cambi di programma, silenzi quando si vorrebbe parlare e parole quando si vorrebbe dormire, allegria quando si vorrebbe piangere e riposo quando si vorrebbe proporre. Nellafedeltà al matrimonio partecipiamo dunque anche noi come parte della Chiesa a un’opera che ci trascende, il regno dei cieli, anche se a noi è stata affidata solo quella piccola scultura là in alto, che nessuno guarderà.


Quando manca questa dimensione c’è un amore solo emotivo e si soffre. E sono soprattutto le donne, per la mia esperienza e per quella di coloro con cui sono entrata in contatto dopo aver scritto i miei libri, in scambi anche profondi, a soffrire. Soffrono perché hanno perso il contatto con la loro identità profonda. Gli ultimi decenni per la donna sono stati davvero di grande cambiamento, e non è il tema del mio intervento quindi non mi attardo su questo. Mi limito solo a dire che se la donna ritrova il suo posto tutto si rimette in ordine. La donna soffre perché in lei c’è quella nostalgia del primo sguardo che si è posato su di lei. L’eccomi dell’uomo che risponde all’eccomi di Dio è essenzialmente femminino. Più interiorizzata – scrivePavel Evdokimov ne La donna e la salvezza del mondo – più vicina alla radice, la donna si sente a proprio agio nei limiti del proprio essere e con la sua presenza riempie il mondo dall’interno. La donna possiede una complicità con il tempo, perché sa che il tempo è gestazione, è attesa per qualcosa, per qualcuno. È predisposta al dono di sé, e infatti si realizza quando può donarsi, che sia a dei figli di carne o no. Ha nostalgia dello sguardo che si è posato su di lei al momento della creazione, infatti desidera intimamente che qualcuno le dica che è bella, mentre l’uomo desidera sentirsi capace di portare a termine progetti, di risolvere problemi, di proiettarsi fuori di sé.


Per mezzo della donna l’umanità è invitata a trovare la sua vocazione sponsale con il Signore. È sempre una vocazione in cui la Sposa risponde con il suo amore a quello dello Sposo, dice la Mulieris Dignitatem, lo sposo con la S maiuscola, il Signore. Per questo, scrive il catechismo della Chiesa cattolica, la dimensione mariana, la vocazione prima di tutto sponsale dell’umanità, precede quella petrina. San Paolo nella lettera agli Efesini parla del matrimonio tra un uomo e una donna come di un mistero grande. Accostarsi al mistero del maschile e del femminile ci introduce al mistero di Dio, che ci ha creati maschio e femmina, a sua immagine. La tensione tra maschile e femminile rimanda alla tensione amorosa fra le tre persone della Trinità, solo che noi uomini siamo feriti dal peccato originale. In Efesini 5 sono individuati i punti cruciali, i nodi di peccato dell’uomo e della donna. La donna è invitata a essere sottomessa allo sposo, l’uomo a dare la vita per la sposa, in modo che replichino nel matrimonio la dinamica tra Cristo e la Chiesa, quindi senza dominio o sopraffazione, ma in un dono reciproco.


La donna è invitata a essere sottomessa perché al contrario la sua costante tentazione è quella del controllo, di cercare di plasmare, di formattare coloro che le sono affidati. I figli ma anche lo sposo, spesso. In realtà queste sono qualità di cui l’ha dotata la Provvidenza perché la donna è chiamata a formare, a educare, come diceva anche Benedetto XVI: la donna conserva la consapevolezza che il meglio della sua vocazione è nell’aiutare la vita nel suo formarsi. Che sia sposa o che sia nubile la donna è chiamata a preservare e a fecondare la vita, a orientarla verso la luce. È chiamata a essere promemoria per l’umanità tutta. Come dice ancora Evdokimov c’è una particolare connivenza tra la donna, essere naturalmente religioso, messa di fronte ai misteri più gravi della vita, e lo Spirito datore di vita e consolatore. Lotta per l’uomo, per la sua salvezza. In questa vocazione lavora come sempre il peccato, e così la capacità di orientare al bene rischia continuamente di trasformarsi in tentazione di volere che le cose nel mondo vadano come vogliamo noi. Prendiamo un uomo che mediamente ci può andare, e lo vogliamo migliorare, così rischiamo di non permettere all’altro di essere. Finiamo per correggere, riprendere, per non lasciar emergere gli altri con le loro vere qualità.


La donna invece  è chiamata proprio a questo, a fare da specchio all’uomo, a rimandargli un’immagine positiva di sé, a mettere il lievito dell’amore nel rapporto. Serve una donna chesappia fare spazio, che non abbia paura di perdere posizioni, che parta da un pregiudizio positivo sull’uomo, che prenda l’impegno di fidarsi di lui e del suo sguardo sul mondo, lealmente decisa a  riconoscere di non essere l’unica depositaria del bene e del male – Eva! –   non perché debole ma proprio perché solida, resistente, accogliente. Questo atteggiamento, quando è onesto, limpido, non manipolatorio è un lievito potentissimo perché l’uomo non resiste a una sposa che gli sta lealmente accanto, sottomessa nel senso che rinuncia a imporre sempre il suo punto di vista e comincia a fidarsi, a valorizzare ciò che vede di bello nell’uomo. E così l’uomo comincia a sentire il desiderio di dare la vita come Cristo per la Chiesa. Non una semplice cooperazione di sforzi, ma la creazione di una realtà assolutamente nuova del maschile e del femminile che vanno a formare il corpo del sacerdozio regale. Gloria dell’uomo, come dice san Paolo, la donna è come uno specchio che riflette il volto dell’uomo, glielo rivela e così lo corregge. E così l’uomo si sente spinto a uscire fuori e dominare la terra, e a farlo non per sé ma per coloro che gli sono affidati, per i quali diventa pronto a prendere su di se i colpi della vita.


Il nodo di peccato dell’uomo, infatti, quello per cui san Paolo lo invita a essere pronto a morire per la sposa, è l’egoismo. Il desiderio di tenere qualcosa per sé. Di coinvolgersi ma risparmiando qualcosa, di mettere da parte, di rifugiarsi ogni tanto nel suo spazio privato, senza interferenze. Per l’uomo è faticoso tenere lo sguardo sempre rivolto alla donna, al rapporto, alla casa. L’uomo infatti ha una diversa accentuazione esistenziale: va al di là del proprio essere, ha un carisma di espansione, aspira alla crescita di tutte le sue energie che lo prolungano del mondo, ha un diverso rapporto con il potere. Sto facendo, è appena il caso di puntualizzarlo, un discorso non sociologico, ma spirituale: non sto dicendo che sia solo l’uomo chiamato a uscire fuori di casa e a dare il suo contributo per migliorare il mondo. Non stiamo parlando del mondo del lavoro né del potere. Non è un discorso su chi abbia più o meno dignità, è ovvio che siamo su un altro piano, e che diamo per assodato che l’unica dignità che conti nella Chiesa non può essere altro che l’acquisizione dello Spirito, e in questo la donna è privilegiata.


Sul piano dunque spirituale l’uomo esce la donna accoglie, l’uomo si tende verso l’esterno la donna verso l’interno, l’uomo è il muro, il senso della realtà, la donna l’accoglienza, e questo lo si vede sul piano educativo, nel rapporto con i figli, la donna ha il genio della relazione, tesse trame, spesso l’uomo è più bravo nel potare i rami secchi. Per concludere vorrei ricordare quello che Karol Wojtyla, da vescovo, diceva alle coppie di fidanzati: non dire “ti amo” ma “partecipo con te dell’amore di Dio”. Questo, credo, sia avere un’identità davvero matura



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08/07/2014 11:35
 
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Là dove la famiglia fu abolita

La storia della Cambogia sotto Pol Pot insegna cosa ci aspetta
se la famiglia viene scardinata

di Anna Bono

La famiglia è sotto attacco. Ogni giorno si ha notizia di nuove iniziative volte a indebolirla, a screditare e intralciare chi la difende. Quando il 1° luglio il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato una mozione a sostegno della famiglia, in cui tra l’altro si impegna la giunta regionale a individuare una data per la celebrazione della Festa della Famiglia Naturale, fondata sull’unione di un uomo e di una donna, l’Arcigay ha definito la mozione “intrisa di odio” e quella per la famiglia una “festa abominevole”, un “atto barbaro”. 

Ci sono molti modi di attaccare la famiglia: sottrarle funzioni affidandole ad altre istituzioni, dissolverla, pretendendo che tutte le forme di convivenza e unione siano “famiglia”, svincolare la procreazione dal rapporto tra un uomo e una donna, renderle la vita difficile omettendo di sostenerla e imponendole degli oneri, diffamarla presentandola come un luogo di oppressione, discriminazioni e violenze, in cui si violano le libertà della persona. In questo momento nel mondo occidentale questi modi si stanno usando tutti.     

Chi è ostile alla famiglia è convinto che senza questa istituzione la vita umana, la società sarebbero migliori. In effetti non ha modo di saperlo, almeno non ricorrendo a esempi di società prive di famiglia: a differenza di altre istituzioni, create man mano che le società diventavano più complesse, la famiglia infatti nasce con l’uomo, è sempre esistita. Ma in realtà un esempio storico c’è stato che deve far riflettere, soprattutto chi vede nella famiglia un ostacolo alla piena realizzazione della persona umana e dei valori di libertà e giustizia. È successo una volta che un piccolo popolo, neanche sei milioni di anime, si sia ritrovato dalla sera alla mattina, letteralmente nell’arco di poche ore, privato della famiglia: mariti e mogli, fratelli, genitori e figli separati, costretti a vivere in insediamenti abitativi diversi, spesso distanti tra loro, con la proibizione di comunicare in qualsiasi modo e severissime punizioni alla minima trasgressione.   

Si poteva essere condannati a morte per aver raggiunto un famigliare di nascosto, di notte, sfuggendo al controllo, per stare con lui qualche minuto, portargli del cibo che sempre scarseggiava. L’unica eccezione era per i bambini molto piccoli, se non erano ancora svezzati, e quando risultava conveniente per qualche motivo che fossero le loro madri ad accudirli, ad esempio se si ammalavano. La condizione però era che le mansioni necessarie non diventassero occasione di emozioni, di manifestazioni d’affetto e tenerezze. Durante le riunioni – una sorta di gruppi di autocoscienza – organizzate per accelerare la formazione dell’uomo nuovo che si voleva far nascere in sostituzione di quello contaminato da valori sbagliati, una madre colpevole di aver trasgredito, se scoperta e denunciata, doveva allora ammettere il proprio errore (“è vero, ho abbracciato per un momento la mia bambina che piangeva, l’ho cullata, l’ho baciata, le ho cantato una ninna nanna...”), dichiararsi pentita e promettere di non sbagliare più.  

In quella società senza famiglia, tutto si fece per annichilire le coscienze, ridurre gli uomini in uno stato di inerzia intellettuale e morale, cancellare sentimenti ed emozioni – amore, compassione, gioia, speranza, fiducia – reprimere ogni espressione di individualità. Fu persino proibito l’uso del pronome personale “io”: vietato dire “io voglio”, “io vado”, “io penso”… in altre parole, concepirsi appunto individualmente. Il pronome possessivo “mio” non ci fu bisogno di proibirlo: nessuno possedeva più niente. In meno di cinque anni, da un quarto a oltre un terzo degli abitanti di quel paese senza famiglia morirono: di stenti, di fatica, di fame, di malattie, di torture e sevizie, spesso inflitte dai bambini e dagli adolescenti trasformati in aguzzini spietati.  Molti furono giustiziati. Molti morirono di crepacuore e di disperazione. 

Il bilancio dei morti oscilla tra 1,7  e 2,5 milioni, forse di più ancora: un genocidio. Il rifiuto della famiglia e, non a caso, della proprietà privata, in nome di un uomo libero, di una società giusta ed egualitaria, si era tradotto in un immenso, spaventoso attacco all’individualità, alla persona, alla vita. Il paese senza più famiglia – è superfluo dirlo – è la Cambogia dei khmer rossi, di Pol Pot, che governarono tra il 1975 e il 1979 imponendo un regime comunista totalitario, la Repubblica democratica di Kampuchea.

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12/08/2014 16:16
 
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I CINQUE INGREDIENTI NECESSARI NEL MATRIMONIO
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Il matrimonio ha molto a che vedere con l'arte di cucinare. Si selezionano gli ingredienti migliori, si preparano con cura e si realizza un processo di cottura. Poi si assaggia e si provano modifiche perché il piatto sia più buono. Così dev'essere il matrimonio, un processo in permanente costruzione per ottenere uno stupendo risultato, dando sempre il meglio di sé. E questi sono i cinque ingredienti che non devono mancare:

1. Il buonumore
Anche se è importante condurre una vita ordinata e con una certa struttura, è altresì fondamentale essere flessibili di fronte alle circostanze sfavorevoli che fanno parte della naturalità della vita. Un sorriso in un ambiente teso può dissipare l'ostilità e cambiare la direzione di una situazione che sicuramente non avrebbe avuto un buon esito.
Francisco M. González, in un articolo pubblicato da The Family Watch, annota: “Quante amare discussioni di coppia si eviterebbero se di fronte a un malinteso, un'idea sbagliata, l'errore inevitabile o lo sbaglio abituale anziché la 'scintilla incendiaria' saltasse fuori la risata o il sorriso franco e naturale! In fondo, credo che l'ottimismo e il buonumore nel matrimonio indichino anche maturità, immaginazione e non prendere troppo sul serio ciò che non ha tanta importanza”

2. La creatività
Non deve stupire che le attività della vita quotidiana mettano da parte gli spazi che i coniugi sono chiamati a condividere... Grande errore! Per questo diventa un compito pressante cercare alternative che spezzino la monotonia e invitino al ricongiungimento della coppia.

3. La comunicazione
Si dice che la maggior parte delle crisi matrimoniali abbiano la stessa origine: la mancanza di comunicazione. Non c'è nulla che una buona conversazione non possa risolvere. Il dialogo è un elemento fondamentale di ogni relazione umana, e in particolare di quella coniugale.
Gli sposi devono adottare la comunicazione come propria alleata e compagna, e arrivare così a conoscere il coniuge in modo tanto profondo da far sì che questa conoscenza possa evitare situazioni che provochino dispiacere. Una coppia che comunica è una coppia che si riconosce, che identifica le forze e le debolezze dell'altro e sa trovare un sostegno nei momenti di difficoltà. La comunicazione genera legami di fiducia e intimità che rafforzano la relazione. Un dialogo sincero, sereno, amorevole e rispettoso fa meraviglie, e in certi casi può aiutare più di qualsiasi terapia.

4. Il rispetto
Una relazione di rispetto è una relazione fedele, sincera, amorevole. L'autrice Sheila Morataya Fleishman afferma al riguardo: “Ricordi la prima volta che avete litigato e hai preferito rimanere in silenzio? O almeno non hai alzato la voce? Lo hai fatto per rispetto, vero? (…) L'atteggiamento 'rispetto' nei confronti di ciò che è il coniuge è, decide, fa e pensa è fondamentale perché la relazione di coppia non soffra ferite che con gli anni, se non curate, possono diventare vere e proprie piaghe che non riusciranno mai a chiudersi. Il famoso filosofo Dietrich Von Hildebrand definiva il rispetto `la madre di tutte le virtù´, e insisteva sul fatto che il rispetto è la chiave per una vita felice e ovviamente per un matrimonio felice”.

Le mancanze di rispetto rovinano l'amore e impediscono lo sviluppo umano; eliminare queste condotte negative diventa una delle ricerche incessanti del matrimonio.

5. La fiducia
Tutto ciò che si basa sulla fiducia ha un successo quasi certo. Avere fiducia nel coniuge, ovvero confidare nel suo amore, nelle sue capacità, nelle sue promesse... è un atto che fornisce solidità alla relazione. Riporre nell'altro la fiducia è un atto d'amore; anzi, il matrimonio in sé è una dimostrazione meravigliosa di fiducia. Si dona all'altro il meglio di sé per formare una cosa sola.

Non dimentichiamo questi cinque ingredienti. Sono a disposizione degli sposi per servirli, aiutarli e rafforzarli.


[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]
sources: LaFamilia.info

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04/10/2014 12:07
 
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E' arrivato il momento per LA FAMIGLIA

Pensare alla famiglia è pensare al futuro della società. Con questa idea in mente, papa Francesco ha deciso di dedicare il primo Sinodo del suo pontificato al tema della famiglia. Le questioni che verranno dibattute sono varie, perché la famiglia tocca diverse realtà, e in questa sede esporremo solo alcune delle questioni che verranno affrontate. Le aspettative sono elevate, ma non bisogna aspettarsi grandi decisioni al termine di questo Sinodo straordinario.


Papa Francesco ha sorpreso il mondo (ancora una volta, dirà qualcuno) quando, nell'ottobre 2013, ha annunciato la realizzazione di un Sinodo sulla famiglia. La sorpresa non è giunta dall'annuncio del Sinodo in sé, ma da tutto ciò che è venuto dopo. Innanzitutto la realizzazione di due Sinodi, uno con carattere straordinario, nel 2014, e uno ordinario nel 2015. Il giorno dell'annuncio, padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha spiegato che “questo è il modo in cui il Papa intende portare avanti la riflessione e il cammino della comunità della Chiesa, con la partecipazione responsabile dell'episcopato delle diverse parti del mondo”. Noto per essere un uomo di consensi, Francesco lo ha dimostrato a novembre, quando sono arrivati nelle diocesi di tutto il modo i Lineamenta, il documento preparatorio che viene in genere inviato a tutti i vescovi. Insieme al documento, c'era l'espressa indicazione per cui il testo avrebbe dovuto essere distribuito a tutti i movimenti, le congregazioni e i singoli interessati a inviare le proprie risposte sulla realtà della Chiesa locale. Nonostante questa intenzione teorica fosse stata presente anche nei Sinodi precedenti, è la prima volta che si è declinata in questo modo.

Le risposte sono state tante e hanno provocato un po' di mormorio man mano che si conoscevano le opinioni, visto che molte criticavano la dottrina della Chiesa su certi temi.

Francesco ha comunque ottenuto ciò che voleva: ha messo gran parte del mondo credente e non credente a parlare della famiglia, delle sue sfide, dei suoi punti di forza e delle sue debolezze. Oltre a questo, ha creato un'aspettativa sul Sinodo che farà sì che le sue conclusioni siano ascoltate con la massima attenzione.

Il Sinodo che inizierà il 5 ottobre servirà per ascoltare i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo parlare della realtà locale della Chiesa collegata ai temi della famiglia. Sarà una riunione globale essenzialmente di ascolto, dalla quale non si attendono conclusioni definitive, pastorali o dottrinali. Il papa vuole consolidare la conoscenza della realtà della Chiesa nei vari Paesi del globo, affiancando alle risposte che ha ricevuto dal questionario mondiale le opinioni espresse a voce dei presidenti degli episcopati del mondo, che gli presenteranno l'esperienza pastorale di ogni Paese e le difficoltà specifiche di ogni zona del pianeta.

Molte persone attendono questo Sinodo sperando che ne escano risposte chiare, e questo potrebbe essere il rischio principale di tutto l'entusiasmo che circonda l'evento, visto che non sembra plausibile che, con un nuovo Sinodo previsto per l'anno prossimo, da questa riunione escano grandi decisioni.

Un altro dubbio è sapere se Francesco promuoverà cambiamenti dottrinali o pastorali all'interno della Chiesa. Pur essendo visto da tutti come un progressista, la verità è che il papa non ha “innovato” la dottrina della Chiesa come speravano alcuni settori ecclesiali, ma ha innovato con la pratica pastorale e l'approccio aperto e vicino alle persone. Per questo, il dubbio su eventuali modifiche dottrinali rimane e potrà essere chiarito solo dopo i Sinodi. Certo è che Francesco vuole che la famiglia recuperi il rilievo che ha perso negli ultimi anni come cellula base della società e della felicità dell'essere umano.

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26/10/2014 21:43
 
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“Donne contro il femminismo”:
finalmente la giusta emancipazione!

Women against feminism“Donne contro femminismo” (Women against feminism) è un nuovo fenomeno sui social media (pagina Facebook), in forte crescita, composto da donne di tutto il mondonauseate, disgustate, annoiate dal movimento femminista, che da decenni le riduce a vittime della società, stereotipando gli uomini a nemici predatori e denigrando il ruolo della maternità.

Il femminismo pretende di parlare a nome di tutte le donne, ma le donne finalmente oggi rispondono: «Io non ho bisogno del femminismo», questo è lo slogan, seguito dalle ragioni, scritto sui cartelli tenuti in mano da migliaia di donne nei selfie pubblicati online. Esse contestano l’aggressione femminista ai ruoli tradizionali della famiglia, si oppongono alla guerra agli uomini, respingono l’esistenza della cosiddetta “cultura dello stupro” e negano la presenza del patriarcato. Il femminismo nega che la vera donna potrebbe amare cucinare e tenere pulito per il suo uomo, ha scritto Cathy Young sul “Times”«#WomenAgainstFeminism è essenzialmente giusto. C’è un nocciolo duro di misandria e cultura vittimista nel femminismo moderno che è profondamente inquietante»ha scritto Margaret Wente.

Certo, il “genio femminile” (come ripete spesso Papa Francesco) dev’essere molto più valorizzato nella società di quanto lo sia oggi, ma «queste donne capiscono il femminismo e proprio per questo sanno che questa ideologia non ha nulla a che vedere con la loro vita»ha scritto Naomi Schaefer Riley sul “New York Post”«Noi pensiamo che le donne hanno subito una cultura che vede il sesso occasionale come potenziamento, che ha sostenuto un progetto liberale in cui il governo ha tentato di sostituire gli uomini nei lavori di casa e il risultato è stato donne capo che sottovalutano il lavoro che le donne fanno in casa e poi consumano galloni di inchiostro per chiedersi come mai le donne non possono avere tutto. La buona notizia è che sempre più donne possono semplicemente vedere il femminismo come irrilevante, se non addirittura dannoso per gli interessi delle donne (e delle famiglie)».

I cartelli vengono scritti spesso con i colori blu e rosa, un’altra cosa infantilmente odiata dalle femministe. «Io non ho bisogno del femminismo perché credo nell’uguaglianza, non nella supremazia della donna»si legge in uno dei tanti riusciti cartelli. O ancora«Non ho bisogno di femminismo perché egualitarismo è meglio!». Altri ancora: «La mia autostima non è direttamente legata alla dimensione del mio complesso di vittima!»«Mi piacerebbe essere un ingegnere, ma preferirei solo essere mamma»«Il femminismo è diventato uno pseudonimo di bullismo»«Mi spiegate come dovrei aprire barattoli e sollevare oggetti pesanti senza mio marito?».


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04/02/2016 15:17
 
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Grazie al Family Day, l’Italia diventa
il faro d’Europa sul tema della famiglia

family dayIl giorno dopo la grande manifestazione del Family Day al Circo Massimo molti stanno giustamente analizzando la portata di quest’evento, politica e sociale. E’ stata una bellissima espressione di popolo, di difesa spontanea dell’ideale della famiglia.

Ci distacchiamo tuttavia un attimo dall’entusiasmo generale e manifestiamo un piccolo disagio, motivato da due elementi in particolare. Non riteniamo lungimirante aver calcato la mano sui “due milioni” di partecipanti: chi fa questo gioco è perché di solito i numeri non li ha davvero (pensiamo alFlop Gay delle piazze arcobaleno di qualche giorno fa). Invece, le immagini di ieri parlano chiare: una marea umana –composta anche da diverse persone omosessuali- si è alzata in piedi contro il ddl Cirinnà, che rappresenta il tentativo più riuscito finora della definitiva colonizzazione ideologica della famiglia, dopo divorzio e aborto.

Potevamo parlare di partecipazione esorbitante, di popolo italiano, di sterminata distesa di famiglie… le immagini -come già detto- parlano chiare e sono dalla nostra parte. Abbiamo invece ingenuamente dato occasione ai critici -che già non sono questo pozzo di intelligenza e maturità-, di spostare l’attenzione dall’evento in sé al numero dei partecipanti. Dimenticando che si tratta di un raduno unico nel suo genere, organizzato con le sole forze fisiche ed economiche degli organizzatori, nato dal basso in pochissimo tempo e senza l’aiuto di sigle, lobby, associazioni o politici. Oltretutto, avendo come principali avversari gran parte di stampa e televisione (con tanto di istigazione al pestaggio dei pro-family -definiti “fascisti”- da parte di Beatrice Dondi, giornalista dell’Espresso e dell’Huffington Post). Per questo è scattato l’interesse perfino dai media esteri -dallaBBC al Time– che hanno chiesto agli organizzatori che diavolo sta accadendo in Italia (oltre a vedere il simbolo della Manif pour tous conquistare le prime pagine dei giornali italiani).

Secondo motivo di disagio: il 30 gennaio 2016 è stato un giorno storico, usato però da molti come ennesima occasione di divisione, di attacco al Pontefice e ai vescovi italiani. Arrivando a sostenere (come ha fatto Antonio Socci) che Francesco odia la Chiesa italiana e tutti coloro che difendono la famiglia naturale. Invece la CEI ha pienamente appoggiato l’evento attraverso le parole del presidente, card. Bagnasco, mentre il suo vice mons. Galantino ha condiviso le motivazioni ma mostrato riserve sulla modalità di esprimerle attraverso la piazza. E’ dialogo interno, esattamente come avvenne nei confronti del comunismo: c’era chi preferiva lo scontro diretto e chi la via diplomatica, senza reale divisione sugli ideali (in questo caso, la difesa della famiglia).

Durissime critiche (quasi insulti) stanno arrivando a Papa Francesco perché non avrebbe parlato questa mattina del Family Day. Perché, Benedetto XVI ne parlò il 13 maggio 2007, giorno dopo il primo evento di questo tipo? E, Francesco, ha per caso parlato dopo la recente vittoria del referendum in Slovenia? No, ci fu un richiamo, pochi giorni prima, chiedendo ai cittadini sloveni di difendere la famiglia, esattamente come pochi giorni prima del 30 gennaio 2016 ha chiesto di non paragonare il matrimonio ad altri tipi di unioni (la caratteristica del ddl Cirinnà è proprio questa). Tant’è che il suo discorso è stato letto ieri dal palco e usato dall’Osservatore Romano per “benedireFamily day“, sempre ieri, il grande evento (senza dimenticare il suo incontro di un anno fa con la Manif pour tous Italia). Seppur, non va scordato, il Pontefice si riferisce sempre al mondo intero e mai alla singola realtà locale, come ha spiegatooggi il card. Camillo Ruini. Bellissima la sua risposta sulla presunta mancanza di modernità dell’Italia: «c’è anche un’altra modernità, nel vasto mondo e pure nei nostri Paesi. È la modernità che vediamo oggi al Family Day. Una modernità che fa nascere figli, contrastando la crisi demografica che si sta mangiando l’Europa. Una modernità che ha fiducia nel futuro e crede nei legami sociali. Senza di essa, anche la modernità oggi egemone avrebbe poche speranze».

Non lasciamoci dunque trascinare dalle diatribe sui numeri dei manifestanti, facciamo così il gioco degli oppositori. Non facciamoci trascinare dal tradizionalismo anti-papista nella divisione interna: chi alimenta insofferenza verso la Chiesa è chi si è già ormai estromesso da essa, guardandola non più come Madre ma come nemica. Il Papa richiama gli ideali e il popolo, che nella Chiesa da lui rappresentata si riconosce figlio, si organizza socialmente e politicamente per sostenerli e creare un mondo migliore. Per tutti.

L’ultima cosa su cui abbiamo riflettuto è che le critiche che ci vengono rivolte hanno sempre una base di verità. La maggior obiezione ad ogni manifestazione pubblica del mondo cattolico è, infatti, che al suo interno, perfino tra i responsabili delle singole manifestazioni, vige unacontraddizione tra il dire e il fare. Tra l’ideale che si afferma e la capacità di viverlo. Nello specifico, quanti cattolici spesso sono i primi a divorziare, a risposarsi, a convivere, a negare con la loro stessa esperienza di vita il valore della famiglia. Molti hanno partecipato, e qualcuno anche organizzato, lo stesso Family Day. Il mondo non capisce che siamo un popolo di peccatori, che la Chiesa stessa si basa sulle fondamenta di uno che tradì tre volte Gesù Cristo. Per chi ci guarda, il tradimento dell’ideale che vogliamo affermare è il più grande ostacolo all’adesione del cammino cristiano. Eppure, sappiamo bene che non c’è reale contraddizione, che si può capire e difendere un valore e non avere in sé la forza di viverlo in prima persona. Vediamo il bene ma compiamo il male, dice San Paolo parlando del peccato originale. L’uomo è fatto così, non deve essere una giustificazione questa, ma nemmeno una sorpresa. Non scandalizziamoci perciò di queste critiche -seppur miopi e sbagliate-, ma usiamole per sforzarci a dare la stessa intensità che abbiamo messo nella bellissima piazza di ieri anche nella nostra vita personale, per essere testimoni della bellezza e inviolabilità della famiglia con la nostra stessa vita, prima che con le parole o le manifestazioni.

Alle leggi sbagliate il popolo deve rispondere anche con le piazze, questo è quel che non capiscono coloro che dubitano di questa modalità di manifestare le proprie contrarietà. Ma queste leggi arrivano perché noi per primi, dal ’68 in poi in modo palese, abbiamo contribuito a corromperel’ideale della famiglia con il nostro disimpegno quotidiano verso essa (politici “cattolici” compresi). Se l’oceanico evento di ieri non ci spronerà a tornare con più vigore nel testimoniare il valore della famiglia laddove viviamo, fianco a fianco con gli altri uomini, allora sarà servito a poco. Rimanderà l’equiparazione legislativa tra unione e famiglia, magari (si spera), ma non permetterà all’Italia di essere davvero il faro morale dell’Europa su questo tema. Tuttavia, l’assenza di una corruzione legislativa della società naturale -così la famiglia viene definita nella nostra Costituzione- e la presenza di un popolo che si è alzato per difenderla, ci inorgoglisce ugualmente e ci porta a dire, come fa il card. Ruini, che siamo noi ad esprimere la vera modernità.


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