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MEDITIAMO la PASSIONE guardando la SINDONE

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2019 16:00
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07/02/2010 21:42
 
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Le strabilianti consonanze tra l’Uomo della Sindone e la Passione di Cristo.
Un’altra traccia della credibilità del racconto evangelico lasciata dalla storia.


Un telo di lino color avorio, lungo 4 metri e 36 centimetri per 1 metro e dieci, spesso mezzo millimetro. Sul tessuto è impressa l’immagine di un uomo che porta i segni della flagellazione e di una corona di spine, i fori dei chiodi, una profonda ferita al costato, il ginocchio sinistro malridotto da ripetute cadute. Il volto, di indicibile bellezza, è pure segnato da ecchimosi e tumefazioni. La Sindone – ancora oggi al centro di affascinanti e controverse ricerche da parte degli scienziati – certamente è straordinario oggetto di devozione, che rievoca con impressionante precisione le sofferenze patite da Gesù di Nazaret durante la sua passione. Le analogie con la narrazione evangelica sono impressionanti.
A cominciare dalla flagellazione, che Ponzio Pilato aveva ordinato forse con la segreta speranza di sottrarre Gesù alla pena capitale.
Le impronte della flagellazione – circa 120 – si notano in tutto il corpo dell’uomo della Sindone, ma soprattutto sulla schiena. La vittima veniva infatti legata a una colonna con il viso rivolto verso di essa. Lo strumento usato dai Romani per questa tortura era il flagello taxillato, costituito da strisce di cuoio appesantite da palline acuminate di piombo, che scarnificavano l’intero corpo al punto che talvolta provocavano la morte della vittima. Il sangue è presente in modo copioso su tutto il corpo sindonico. Il Vangelo racconta che i soldati, dopo aver intrecciato una corona di spine, la misero in capo a Gesù, e lo schernivano percuotendolo sulla testa con una canna. Tutta la superficie del cranio dell’uomo della Sindone è segnata da tracce di sangue, che sono più numerose sulla nuca. Ciò corrisponde a una corona non consistente in un piccolo cerchio di spine, ma a un vero e proprio casco di rovi calcato in testa, che evoca le insegne regali in uso all’epoca in oriente.
Il corpo impresso sul lino presenta due ampie ferite lacero contuse sulle due spalle, provocate dallo sfregamento della trave orizzontale che il condannato alla crocifissione doveva trasportare fino al luogo dell’esecuzione. Infatti, nella crocifissione romana il palo verticale, lo stipite, era già infisso a terra, mentre solo il palo orizzontale – una trave del peso di oltre 50 chili detta patibolo – veniva legato alle braccia distese del condannato, e poi assicurato con una fune alle caviglie, collegando con una corda i diversi condannati.
Dunque, le cadute di Gesù furono provocate anche dagli strattoni dei due ladroni che lo accompagnavano.
La Sindone documenta in modo inequivocabile che l’uomo avvolto in quel lenzuolo è caduto molte volte. Ci sono una serie di traumi cranici, provocati dalla robusta trave del patibolo che ad ogni inciampo schiacciava violentemente il capo del condannato contro le pietre della strada. Gesù, le braccia legate al patibulum, non può ripararsi il volto con le mani e va a cadere rovinosamente faccia a terra. Oltre al volto, anche le ginocchia evidenziano numerose lesioni della stessa natura. I soldati del picchetto che accompagna i tre sul Golgota si accorgono della prostrazione di Gesù, e forse temono che possa morire lungo la strada. Allora, con procedura insolita, costringono un uomo che passa di là, Simone di Cirene, a caricarsi il patibolo sulle spalle.
A questo punto, anche se alleviato del carico, il volto di Gesù è una maschera di sangue. L’uomo della Sindone ne fornisce una “fotografia” impressionante: il setto nasale è rotto; c’è una ecchimosi al centro della fronte, e poi una contusione all’altezza dello zigomo destro che comprime l’occhio.
Giunto al Calvario, Gesù viene spogliato brutalmente del suo mantello dai soldati, che per non tagliarlo lo tirano a sorte. Le ferite, rimaste aderenti alla stoffa, vengono riaperte dal brusco strappo della tunica. La Sindone mostra alcuni rivoli di sangue che sono riconducibili proprio allo strappo di un tessuto incollato alla pelle.
Tutto è pronto per la crocifissione. La Sindone riserva qui le sorprese maggiori: tutti gli artisti medioevali raffigurano il Cristo crocifisso nelle mani, mentre nella Sindone l’uomo avvolto nel lino non ha il palmo delle mani forate dai chiodi, ma sono invece i polsi a presentare il segno caratteristico dei ferri. L’anatomia conferma oggi che questa era l’unica modalità che rendeva staticamente sicura la crocifissione. Nell’uomo della Sindone non compare l’impronta del pollice: è un effetto inevitabile della lesione del nervo mediano, causata dal chiodo, che fa flettere automaticamente il pollice verso il palmo. Lo sfregamento dei fasci nervosi contro i chiodi, sui quali va a pesare tutto il corpo, procura un dolore lancinante.
Nell’uomo della Sindone, i piedi sono fra loro sovrapposti e trafitti da un unico lungo chiodo, che tormenta atrocemente il condannato durante il movimento rotatorio di oscillazione tra la posizione di accasciamento e sollevamento. La Sindone, fedelmente, ne fornisce traccia: la ferita del polso sinistro presenta due rivoli separati, che derivano dalle due posizioni tenute dalla vittima durante l’agonia. Lo stesso Gesù – come ogni condannato al patibolo – per alcuni istanti si accascia gravando sui chiodi delle mani, e poi si risolleva per non soffocare facendo leva sul chiodo che gli trafigge i piedi. È in questa posizione che il Figlio di Dio ha la possibilità di parlare, perdonando i suoi carnefici, dialogando con il ladrone pentito, e rivolgendosi a Maria e all’apostolo Giovanni. Poi, tutto è compiuto e Gesù muore. Viene sepolto in tutta fretta per via del sabato incombente. In questo modo, il suo corpo non viene lavato, cosicché viene affidato al sudario con tutti i segni della cruenta passione. Durante la deposizione e il tragitto verso la tomba, molto sangue misto a siero esce dalla ferita del costato. Il colore più intenso dimostra che si tratta di sangue fuoriuscito dopo la morte della vittima. Ma la Sindone ci parla misteriosamente anche della resurrezione: affinché l’immagine si sia riprodotta è stato necessario che il cadavere sia rimasto nel sudario almeno 24 ore ma non più di qualche giorno, perché altrimenti la putrefazione avrebbe distrutto l’immagine e il lenzuolo stesso. Tempi che corrispondono a quanto avvenne nel sepolcro trovato vuoto dalle donne e dai discepoli, la mattina di quel primo giorno dopo il sabato.

Scritto da Mario PALMARO

BIBLIOGRAFIA


Orazio Favaro, Via Crucis con la Sindone, Elle Di Ci, Torino 1997.
Maria Grazia Siliato, Sindone, Piemme, Casale Monferrato 1997.
Orazio Petrosillo – Emanuela Marinelli, La Sindone un enigma alla prova della scienza, Rizzoli, Milano 1990.


Dossier: La Passione di Cristo? E' storia vera

IL TIMONE - N. 31 - ANNO VI - Marzo 2004 - pag. 44 - 45
Ultimo aggiornamento Venerdì 02 Ottobre 2009 19:05
[Modificato da Credente 15/01/2019 16:00]
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30/03/2010 10:10
 
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Il chirurgo Pierre Barbet, che ha molto studiato e approfondito le caratteristiche della SINDONE soprattutto dal punto di vista medico-chirurgico, ha descritto tutti i momenti della passione che l'uomo della Sindone mostra di aver attraversato analizzando le impronte, le macchie e l'immagine impresse sul Telo.  

Ecco la sua ricostruzione di profondo conoscitore della sua materia, che può essere considerata anche una significativa e sobria meditazione di convinto credente pur rimanendo fedele alla equilibrata valutazione di medico.
[Modificato da Credente 30/03/2010 10:13]
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La passione corporale di Gesù


Ho scritto queste considerazioni il giorno della Circoncisione del 1940.

Se esiste una leggenda radicata negli animi, essa è quella della durezza di cuore dei chirurghi : si dice che l'assuefazione affievolisce le sensazioni e che questa abitudine, sorretta dalla necessità d'un male per un bene, ci riduce in uno stato di serena insensibilità. Nulla di più falso. Se ci irrigidiamo contro l'emozione che non deve manifestarsi e, neppure interiormente, turbare l'atto chirurgico (come il pugile, istintivamente, contrae l'epigastrio dove attende il colpo), la pietà rimane in noi sempre viva ed anzi si affina con l'età. Quando ci si è chinati per anni sulla sofferenza altrui, quando la si è provata in noi stessi, si è certo più vicini alla compassione che all'indifferenza, poiché si capisce meglio il dolore e se ne conoscono meglio le cause e gli effetti.

Così un chirurgo, quando ha meditato sulle sofferenze della Passione, ne ha analizzato i tempi e le circostanze fisiologiche e si è sforzato di ricostruire metodicamente tutte le tappe di questo martirio di una notte e di un giorno, può, meglio del più eloquente predicatore, meglio del più santo degli asceti (a parte coloro che ne ebbero la visione diretta, e ne furono annientati), prender parte alle sofferenze del Cristo. Vi assicuro che è abominevole: per parte mia, sono giunto a non più osare di pensarvi. Sarà viltà, senza dubbio, ma ritengo che si debba avere una virtù eroica o non capire, che si debba essere santi o incoscienti, per poter fare una « Via Crucis ».

Quanto a me, non lo posso fare più.

Ed è tuttavia questa « Via Crucis » che sono stato pregato di scrivere : ed io non voglio rifiutarmi, certo che essa farà del bene. O bone et fluidissime Jesu aiutatemi. Voi che le avete sopportate, fate che io sia in grado di descrivere queste Vostre sofferenze. Forse, sforzandomi di rimanere obiettivo, opponendo all'emozione la mia « insensibilità » di chirurgo, potrò giungere sino in fondo. Se singhiozzerò prima della fine, mio povero amico che leggi, fa come me senza vergogna; vorrà soltanto dire che avrai capito. Seguimi dunque : abbiamo per guida i testi sacri e la Santa Sindone, il cui studio scientifico me ne ha dimostrato l'autenticità.

In realtà la Passione inizia alla Natività, poiché Gesù, nella Sua onniscienza, ha sempre saputo, visto e voluto le sofferenze che attendevano la Sua Umanità. Il primo sangue fu versato per noi nella Circoncisione, otto giorni dopo la nascita. Si può già immaginare che cosa dev'essere per un uomo la previsione esatta del suo martirio.

Di fatto è nel Getsemani che incomincerà l'olocausto. "Gesù, dopo aver dato ai Suoi la Sua carne da mangiare ed il Suo sangue da bere, li conduce con sè di notte, come al solito, nell'orto degli olivi. Li lascia sdraiare presso l'ingresso, conduce un po' più lontano i Suoi tre intimi e si allontana da loro di un tiro di sasso per prepararsi pregando. Sa che la Sua ora è venuta. Egli stesso ha mandato il traditore di Karioth : « quod facis^ fac citius » (ciò che devi, fallo presto -Giov., XIII, 27). Ha fretta di farla finita e lo vuole. Ma poiché ha rivestito, incarnandosi, quella forma di schiavitù che è la nostra umanità, questa si ribella ed inizia la tragedia della lotta tra la Sua volontà e la natura. « Coepit parere et taedere » (Incominciò ad atterrirsi ed attristarsi - marco 14, 33).

Quella coppa che Egli deve bere contiene due amarezze : anzitutto i peccati degli uomini di cui deve caricarsi, Egli il giusto, per redimere i Suoi fratelli, e questa è senza dubbio la prova più dura, una prova che non possiamo immaginare poiché i più santi di noi sono coloro che più vivamente sentono la loro indegnità e la loro infamia. Forse, comprendiamo meglio il prevedere, il soffrire in anticipo le torture fisiche, che Egli subisce già nel pensiero : eppure non abbiamo provato che il brivido retrospettivo delle sofferenze passate. Dev'essere qualcosa di indicibile : « Padre, se vuoi, allontana da me questo calice; però non si faccia la mia ma la tua volontà. - luca, 22, 42). E' qui la Sua Umanità che parla... e che si sottomette, poiché la Sua Divinità sa ciò che vuole da tutta l'eternità : l'Uomo si trova in un punto morto. I Suoi tre fedeli sono addormentati -per la tristezza - dice S. Luca (22, 45). Poveretti!

La lotta è spaventosa : un angelo scende per confortarLo, ma nello stesso tempo per raccogliere, sembra, la Sua accettazione. -Ed entrato in agonia, pregava più intensamente : e diede in un sudore, come di grumi di sangue che cadevano sino a terra. -luca, 22, 44). Si tratta del sudor di sangue che alcuni esegeti razionalisti, subodorando qualche miracolo, hanno interpretato come simbolico. E' curioso constatare quante bestialità questi materialisti moderni possono dire in materia scientifica. Sottolineiamo che il solo Evangelista che riporta il fatto è un medico. Ed il nostro venerato collega Luca, medìcus carissimus, (Epist. di S. Paolo ai Colossesì), lo fa con la precisione e concisione d'un buon clinico. L'ematoidrosi è un fenomeno rarissimo ma esattamente descritto. Essa si produce, come scrive il Dott. Le Bec, « in condizioni particolissime: una spossatezza fisica accompagnata da una scossa morale, conseguenza di una profonda emozione, di una grande paura » (Le supplice de la d'oix, Parigi, 1925, loc. cit.) et coepit pavere et taedere). Il terrore, lo spavento e la scossa morale sono qui al massimo grado. E' ciò che Luca chiama « agonia » che, in greco, significa lotta ed ansietà. « E diede in un sudore, come di grumi di sangue, che cadevano sino a terra ».


Sal 54, 2 Porgi l'orecchio, Dio, alla mia preghiera, non respingere la mia supplica; 3 dammi ascolto e rispondimi, mi agito nel mio lamento e sono sconvolto 4 al grido del nemico, al clamore dell'empio. Contro di me riversano sventura, mi perseguitano con furore. 5 Dentro di me freme il mio cuore, piombano su di me terrori di morte. 6 Timore e spavento mi invadono e lo sgomento mi opprime. 7 Dico: «Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo? 8 Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto. 9 Riposerei in un luogo di riparo dalla furia del vento e dell'uragano».




A che serve spiegare il fenomeno? Una intensa vasodilatazione dei capillari sottocutanei che si rompono a contatto dei cul di sacco dei milioni di ghiandole sudoripare. Il sangue si mescola al sudore e si coagula sulla pelle, dopo essudazione. Ed è questo insieme di sudore e di grumi, che si raccoglie e discende per tutto il corpo in quantità sufficiente per cadere al suolo. Da notare che questa emorragia microscopica si produce in tutta la pelle, la quale è in tal modo già lesa nel suo insieme, per così dire indolenzita e resa fragile per tutti i colpi futuri. Ma andiamo avanti.

Ecco Giuda ed i servi del Sinedrio, armati di spade e di bastoni e recanti corde e lanterne. Vi è pure la coorte dei soldati del Tempio comandati dal loro tribuno. Ci si è ben guardati dall'avvisare i Romani e la coorte della torre Antonia. Il loro turno non verrà che quando gli Ebrei, dopo aver pronunziato la loro sentenza, cercheranno di farla ratificare dal procuratore. Gesù si fa avanti: una Sua parola basta a far cadere a terra i Suoi aggressori, ultima manifestazione del Suo potere, prima di abbandonarsi alla volontà divina. Il bravo Pietro ne ha approfittato per mozzare l'orecchia di Malco e, ultimo miracolo, Gesù l'ha riattaccata.

Ma la turba urlante s'è ripresa, ha legato il Cristo e lo conduce, senza riguardi, lo si può credere, non curandosi dei personaggi di secondo piano. E' l'abbandono, almeno apparente. Gesù sa che Pietro e Giovanni lo seguono di lontano marco, 15, 54; Giov., 19, 15) e che Marco non scamperà all'arresto se non fuggendosene nudo, dopo aver lasciato nelle mani delle guardie il lenzuolo che lo copriva.

Ed eccoli davanti a Caifa ed al Sinedrio. E' notte fonda: non può trattarsi che di una istruttoria preliminare. Gesù rifiuta di rispondere : ha predicato apertamente la Sua dottrina. Caifa è disorientato, furioso ed una delle sue guardie, traducendo questo sdegno, da uno schiaffo all'imputato : così rispondi al sommo sacerdote ? - Giov. 18, 22).

Ma questo non è nulla : bisogna attendere il mattino, per poter udire i testimoni. Gesù è trascinato fuori della sala; nel cortile vede Pietro che l'ha rinnegato tre volte e con uno sguardo lo perdona. Lo si trascina in qualche sala sotterranea e la canaglia dei servi se la spasserà sulle spalle di questo falso profeta (debitamente legato), che ancora poco fa li ha gettati a terra con non si sa quale stregoneria. Lo si tempesta di schiaffi, di pugni, gli si sputa sul viso, e poiché non c'è modo di dormire, si cerca di divertircisi un poco. E, velatoGli il volto, ciascuno lo colpisce : gli schiaffi risuonano e questi bruti hanno la mano pesante : « Profetizza : dicci, Cristo, chi ti ha percosso ». Il Suo corpo è già tutto un dolore, la Sua testa rintrona come una campana; Egli è colto da vertigini... e tace. Con una sola parola, potrebbe annientarli « e non aprì bocca -Isaia, 53,7). Questa plebaglia finisce per stancarsi e Gesù attende.


Alle prime luci del giorno, seconda udienza, sfilata pietosa di falsi testimoni che non provano nulla. Bisogna che Egli stesso si condanni, affermando la Sua filiazione divina, e quel volgare istrione di Caifa proclama la bestemmia strappandosi le vesti. Oh, rassicuratevi: questi buoni Giudei prudenti hanno un abito preparato e ricucito leggermente che può servire un gran numero di volte ! Non resta che ottenere da Roma la condanna a morte che essa ha arrogato a sé in questo paese di protettorato.


Gesù, già spossato per la fatica ed indolenzito per i colpi, verrà trascinato all'altro capo di Gerusalemme, nella città alta, alla torre Antonia, specie di cittadella di dove la maestà romana assicura l'ordine nella città troppo agitata per i suoi gusti. La gloria di Roma è rappresentata da un disgraziato funzionario, piccolo romano della classe dei cavalieri, un « arrivato » ben felice di esercitare il comando, tuttavia difficile, su un popolo fanatico, ostile ed ipocrita. Pilato è preoccupato di conservare il suo posto, ma si trova preso tra gli ordini imperativi di Roma e le mene sornione di questi Ebrei, spesso molto in favore presso gli imperatori. Ingomma, si tratta di un pover'nomo. Non ha che una rèligione, se ne sia una, quella del Divus Caesar. E' il prodotto mediocre della barbara civiltà, della cultura materialista. Ma come prendersela con lui? E' come l'hanno fatto: la vita di un uomo ha per lui poco valore, soprattutto se non si tratta di un cittadino romano. La pietà non gli è stata insegnata e non conosce che un dovere : mantenere l'ordine. (A Roma s'immaginano che sia facile!). Tutti questi Ebrei litigiosi, mentitori e superstiziosi, con tutti i loro « tabù » e la loro manìa di lavarsi per nulla, la loro servilità e la loro insolenza e le vigliacche denunce al ministero contro un amministratore coloniale che fa del suo meglio, tutto ciò lo disgusta. Egli lì disprezza... e li teme.

Gesù invece (eppure in quale stato gli compare dinanzi, coperto di ecchimosi e di sputi!), Gesù gli si impone e gli è simpatico; ed egli farà tutto quanto sarà in suo potere per strapparlo alle unghie di questi energumeni : « e cercava di liberarlo - Giov.19, 12).

« Gesù - egli dice - è Galileo : passiamolo a quella vecchia canaglia di Erode che recita la parte del reuccio negro e crede d'essere chi sa chi ». Ma Gesù disprezza quella volpe e non gli risponde verbo. Ed eccolo di ritorno con la turba urlante e quegli insopportabili farisei che schiamazzano in tono acutissimo, agitando le loro barbette. « Odiose queste chiacchiere ! Che restino fuori, visto che si sentirebbero contaminati se entrassero in un pretorio romano! ».

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30/03/2010 10:11
 
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Ponzio interroga questo pover'uomo che lo interessa. E Gesù non lo disprezza. Ha pietà della sua invincibile ignoranza, gli risponde con dolcezza e tenta persino di istruirlo. « Ah - pensa Pilato - se non ci fosse questa canaglia che urla qui fuori, una buona sortita della coorte farebbe in fretta « cum gladio » (spada alla mano) a far tacere i più schiamazzanti e a disperdere gli altri. Non è molto che ho fatto massacrare nel Tempio qualche galileo troppo agitato. Sì, ma questi sornioni uomini del Sinedrio incominciano ad insinuare che non sono amico di Cesare e con questo non c'è da scherzare! E poi «per Èrcole » che cosa significano tutte queste storie di Rè dei Giudei, Figlio dì Dio, Messia? » Se Pilato avesse letto le Scritture, forse sarebbe stato un altro Nicodemo, poiché anche Nicodemo è un vile ; ma sarà la viltà a rompere gli argini. « Quest'uomo è giusto; io lo faccio flagellare (oh, la logica romana ) ; forse questi bruti ne avranno pietà ».


Sal 68,27 perché inseguono colui che hai percosso, aggiungono dolore a chi tu hai ferito.


Ma anch'io sono un vile : perché se mi attardo a difendere questo "Quirite lamentevole^ è soltanto per ritardare il mio dolore. « Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare - Giov.,19, 1).

I soldati di guardia conducono Gesù nell'atrio del Pretorio e chiamano alla riscossa tutta la coorte : le distrazioni sono rare in questo paese di occupazione. Tuttavia il Signore ha dimostrato spesso una speciale simpatia per i militari. Come ha ammirato la confidenza e l'umiltà di quel centurione e la sua affettuosa premura per il suo servo che Egli ha guarito ! (Nulla mi toglierà la convinzione che si trattava dell'attendente di quell'ufficiale di fanteria coloniale). E fra poco, il centurione di guardia al Calvario per primo proclamerà la Sua divinità. La coorte sembra presa da un delirio collettivo, che Pilato non ha previsto. Satana è là, a suggerire loro l'odio. Ma basta. Non più parole: soltanto colpi; e procuriamo

di andare sino alla tino. Essi lo spogliano e, del tutto nudo, lo legano per i polsi a una colonna dell'atrio, con le braccia sollevate in alto.

La flagellazione si effettua con delle striscio di cuoio multiple, su cui sono fissate, a qualche distanza dall'estremità libera, due palle di piombo o degli ossicini. (E' almeno a questo genere di flagrum che corrispondono le impronte della Sindone). Il numero dei colpi è fissato a 39 dalla legge ebraica. Ma i carnefici sono legionari scatenati, che andranno sino al limite della sincope. Infatti le tracce sulla Sindone sono innumerevoli e la maggior parte sulla impronta posteriore (la parte anteriore del corpo è contro la colonna) ; si vedono sulle spalle, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto. I colpi di flagello scendono sulle cosce, sui polpacci: e là, l'estremità delle strisce, oltre le pallottole di piombo, avvolge l'arto e lascia il suo solco fin sulla faccia anteriore delle gambe.

I carnefici sono due, uno da ciascun lato, e sono di ineguale corporatura (come si deduce dall'orientamento delle impronte sulla Sindone). Essi colpiscono accanitamente, con grande sforzo. Ai primi colpi le corregge lasciano delle lunghe tracce livide, delle lunghe ecchimosi bluastre sottocutanee. Si ricordi che la pelle è già stata alterata, resa più sensibile dai milioni di piccole emorragie intradermiche del sudor di sangue. Le palle di piombo determinano maggiori contusioni. Poi la pelle, infiltrata di sangue e resa più fragile, si apre sotto nuovi colpi. Il sangue zampilla; lembi di pelle si distaccano e restano pendenti. Tutta la parte pò steriore non è più che una superficie rossa su cui risaltano grandi solchi marezzati; e qua e là, le piaghe profonde dovute alle palle di piombo. Queste piaghe in forma di manubrio (le due palle e le striscie tra di loro) s'imprimeranno sulla Sindone.

Ad ogni colpo, il corpo trasale in un doloroso soprassalto. Ma Egli non apre bocca e questo mutismo raddoppia la furia satanica dei Suoi camitici. .Non è più la fredda esecuzione di un ordine giudiziario; è uno scatenarsi di demoni. Il sangue scorre dalle spalle tino a terra (le larghe lastre del pavimento ne sono coperte) e si sparge in pioggia, dai flagelli sollevati, fin sulle rosse clamidi degli spettatori. Ma ben presto le forze del suppliziato vengon meno : un sudor freddo inonda la Sua fronte, la testa Gli gira in una vertigine di nausea, brividi gli corron lungo la schiena. Le gambe cedono ed Egli, se non fosse legato molto in alto per i polsi, cadrebbe nella pozza di sangue. « Ha avuto quanto gli spettava, anche se non abbiamo contato. Dopo tutto, non abbiamo ricevuto l'ordine di ucciderlo a frustate. Lasciamo che si rimetta; possiamo ancora divertirci ».

« Ah ! questo scemo pretende di essere Re, come se ce ne fossero sotto le aquile romane, e Rè dei Giudei ancora ; è il colmo del ridicolo. Ha delle noie con i suoi sudditi? Non ci pensi: noi saremo suoi fidi. Presto, un manto ed uno scettro». Lo hanno fatto sedere su una base di colonna (non è molto solida la Maestà!). La vecchia clamide d'un legionario sulle spalle nude Gli fa le veci della porpora regale ; una grossa canna nella destra e sarebbe perfetto, se non vi mancasse una corona : qualcosa di originale ! (Tra 19 secoli, contribuirà a farlo riconoscere questa corona, che molto probabilmente nessun crocifisso ha portato). In un angolo, una fascina di quegli arbusti che abbondano nei cespugli del sobborgo. Sono flessibili e forniti di lunghe spine, molto più lunghe, più acute e più dure di quelle dell'acacia. Se ne intreccia con precauzione (poiché pungono) una specie di fondo di canestro che Gli si applica sul capo. Se ne ribattono i bordi e con una fascia di giunchi ritorti si serra la testa tra la nuca e la fronte.

Le spine penetrano nel cuoio capelluto ed esso sanguina. (Noi chirurghi sappiamo quanto sanguini il cuoio capelluto). Già il capo è tutto invischiato di grumi; lunghi rìvoli di sangue sono colati sulla fronte, sotto la fascia di giunchi, hanno inondato i lunghi capelli arruffati ed hanno riempito la barba.


Lam 1,12 Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta, ....




La commedia dell'adorazione ha avuto inizio. A turno ciascuno piega le ginocchia davanti a Lui, con una smorfia spaventosa, seguita da un forte schiaffo : « Salve, Rè dei Giudei! )). Ma Egli non risponde. Il Suo povero viso, straziato ed impallidito, non ha un movimento. Davvero non è divertente !

Esasperati, i fedeli sudditi Gli sputano sul viso. « Non sai tenere il tuo scettro, via! ». E giù un gran colpo sul cappello di spine, che si affonda ancor di più ; ed ecco che piovono altri schiaffi. Non mi ricordo più : è stato uno di questi legionari o l'ha ricevuto da qualcuno del Sinedrio? Ma ora vedo che un forte colpo di bastone dato obliquamente Gli ha lasciato sulla guancia, destra un'orribile piaga contusa e che il Suo grande naso semitico, così nobile, è deformato da una frattura dell'ala cartilaginea. Il sangue cola dalle narici sui baffi. Basta, mio Dio !

Ma ecco ritornare Pilato, un po' inquieto sulla sorte del prigioniero : « Che cosa ne avranno fatto quei bruti? Ah ! l'hanno ridotto in ben malo modo ! Se i Giudei non sono contenti ! ». E lo mostra dal balcone del Pretorio nella Sua divisa regale meravigliato egli stesso di sentire un po' dì pietà per quello straccio d'uomo. Ma egli ha fatto i conti senza l'odio : « Tolle. crucifige! » (A morte, crocifiggilo! - Giov.21, 15). Ah! i demoni! E l'argomento terribile per lui: «Egli s'è fatto rè; se tu l'assolvi non sei amico di Cesare ». Allora il vile cede e si lava le mani.


Gli strappano la clamide che già ha aderito a tutte le Sue ferite, ed il sangue riprende a scorrere : Egli ha un gran brivido. Gli rimettono le Sue vesti che si tingono dì rosso. La croce è pronta ed Egli stesso si carica il legno sulla spalla destra. Per quale miracolo Egli può stare in piedi sotto tale peso? Non è, veramente, tutta la croce, ma solo il grosso braccio orizzontale, il «patibulum », che Egli dovrà portare fino al Golgota; ma esso pesa ancora una cinquantina di chili. Il palo verticale, lo « stipes », è già piantato sul Calvario.


Ed il cammino incomincia, a piedi nudi, per strade dal fondo irregolare cosparso di ciottoli. I soldati Lo tirano con le corde che Lo legano, ansiosi di sapere se giungerà fino in cima. Due ladroni Lo seguono, nella stessa guisa. Il percorso fortunatamente non è molto lungo, circa 600 metri; ed il colle del Calvario o poco fuori di porta Efraim. Ma il tragitto è molto accidentato, anche nell'interno dei bastioni. Gesù, penosamente, mette un piede davanti all'altro e spesso si accascia e cade sulle ginocchia che non sono ben presto che una piaga. I soldati di scorta Lo sollevano, senza trattarlo troppo brutalmente; sentono che Egli potrebbe benissimo morire per via.

E' sempre quella trave, in equilìbrio sulla spalla, che lo ammacca con le sue asperità e che sembra volervi penetrare di forza. Io so di che cosa si tratta : ho trasportato una volta al V° Genio, delle traverse di ferrovia, ben piallate, e conosco questa sensazione di penetrazione in una spalla ferma e sana. Ma la Sua spalla è coperta di piaghe che si riaprono, si allungano, si approfondiscono ad ogni pie' sospinto. E' spossato. Sulla Sua tunica inconsutile una enorme macchia di sangue va sempre più allargandosi e si estende poi fin sulla schiena. Egli cade ancora e questa volta lungo disteso ; la trave Gli sfugge e Gli scortica il dorso. Potrà rialzarsi? Fortunatamente passa di là un uomo di ritorno dai campi, quel Simone di Cirene che, come i suoi figli Alessandro e Rufo, sarà presto buon cristiano. I soldati lo costringono a portare quella trave; il buon uomo non rifiuta. Oh! come lo farei volentieri anch'io! Non c'è più da salire, finalmente, che il pendio del Golgota e faticosamente si giunge in cima. Gesù si accascia al suolo e la crocifissione ha inizio.


Oh! non c'è nulla di complicato: i carnefici sanno il loro mestiere. Bisogna anzitutto denudarlo. Per le vesti esterne è ancor facile ; ma la tunica aderisce intimamente alle Sue Piaghe, per così dire a tutto il corpo, e il toglierla è semplicemente atroce. Non avete mai tolto la prima medicazione già disseccata da una larga piaga contusa? o non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l'anestesia generale? In tal caso, potete in parte rendervi conto di che cosa si tratta. Ogni filo di lana aderisce alla superficie scoperta e quando lo si solleva strappa una delle in numerevoli terminazioni nervose messe a nudo nella piaga. Queste migliala di chocs dolorosi s'addizionano e si moltiplicano, ciascuno aumentando via via la sensibilità del sistema nervoso.

Ora, qui non si tratta di una lesione locale, ma di quasi tutta la superficie del corpo e soprattutto di questa schiena ridotta in stato scioccante. I carnefici frettolosi non hanno nè modo nè misura. Forse è meglio così, ma come mai questo dolore acuto, atroce, non provoca una sincope? Come è evidente che, da un capo all'altro, Egli domina e dirige la Sua Passione !

 


Il sangue riprende a scorrere; Lo distendono sul dorso. Gli hanno lasciato la stretta cintola che il pudore dei Giudei conserva ai giustiziati? Confesso di non saperlo. Ciò ha d'altronde poca importanza ; comunque nella Sua Sindone Egli sarà nudo. Le piaghe del Suo dorso, delle cosce, dei polpacci, s'incrostano di polvere e di ghìaietta. Lo hanno messo ai piedi dello stipes, con le spalle distese sul patibulum. I carnefici prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi e l'orribile supplizio ha inizio. Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato che in corrispondenza della testa è largo 8 mm.), lo appoggia sul polso, in quella piega anteriore che conosce per esperienza, fu solo colpo del grosso martello : il chiodo è già piantato nel legno, ove qualche colpo energico lo fìssa saldamente.

Gesù non ha gridato, però il Suo viso si è spaventosamente contratto. Ma soprattutto ho visto nello stesso istante il Suo pollice, con un movimento violento, prepotente, mettersi in opposizione nel palmo : il Suo nervo mediano è stato leso. Allora mi rendo conto di ciò che Egli ha provato : un dolore indicibile, folgorante, che si è diffuso nelle Sue dita, è «zampillato », come una lingua di fuoco, fino alla spalla, è esploso nel Suo cervello. E' il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Quasi sempre esso provoca una sincope ed è un bene. Gesù non ha voluto perdere conoscenza. Almeno, il nervo fosse stato tagliato di netto I Invece (ed io stesso l'ho constatato sperimentalmente) esso non è stato distrutto che in parte : la lesione del tronco nervoso rimane in contatto con quel chiodo e su di esso, tra poco, quando il corpo sarà sospeso, si tenderà fortemente come una corda di violino sul suo ponticello, e vibrerà ad ogni scossa, ad ogni movimento, risvegliando il terribile dolore. Ed Egli ne ha per tre ore I


L'altro braccio è allungato dall'aiutante; gli stessi gesti si ripetono e gli stessi dolori. Ma questa volta - pensateci - Egli sa ciò che l'attende. Ora è inchiodato sul patibulum, a cui aderisce perfettamente con le spalle e le braccia. Ha già forma di croce: quanto è grande!

«Andiamo, in piedi!». Il carnefice ed il suo aiutante impugnano le estremità della trave e rialzano il condannato. dapprima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare all'indietro, lo addossano al palo verticale. Ma questo avviene esercitando trazione sulle due mani inchiodate. Con un grande sforzo, a braccia tese (ma Io stipes non è molto alto), rapidamente, perché è molto pesante, essi incastrano con abile gesto il patibulum all'alto dello stipes. Alla sua sommità, con alcuni chiodi, è fissato il titulus scritto in tre lingue. Il corpo, stirando le braccia, che si allungano obliquamente, è un po' disceso. Le spalle ferite dalle fustigazioni e dal trasporto della croce, hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. La nuca, che sovrasta il patibulum, l'ha urtato passando, per arrestarsi in corrispondenza della sommità del palo verticale. Le punte taglienti del grande cappello di spine hanno lacerato ancor più profondamente il cranio. La povera testa è inclinata in avanti, poiché lo spessore della corona le impedisce di riposare sul legno ; ed ogni volta che Egli la solleva, ne risveglia le punture.

Il corpo appeso è sostenuto soltanto dai chiodi piantati nei due carpi. E potrebbe bastare. Esso non cade in avanti. Ma è regola inchiodare anche i piedi. Per questo, non c'è bisogno di mensola ; basta piegare le ginocchia e stendere i piedi a piatto sul legno dello stipes. Perché, dal momento che non è necessario, dare lavoro ad un falegname? Non certo per alleviare le pene del crocifisso. Il piede sinistro è messo a piatto sulla croce e con un solo colpo di martello il chiodo penetra nella sua parte di mezzo, tra il secondo ed il terzo osso metatarsale. L'aiutante piega anche l'altro ginocchio ed il carnefice, riportando il piede sinistro davanti al destro tenuto piatto dall'aiutante, con un secondo colpo perfora questo piede nello stesso punto. Quest'operazione è facile; e poi a grandi colpi il chiodo è spinto nel legno. Qui, grazie a Dio, nulla più di un banale dolore ; ma il supplizio ha appena avuto inizio. Con due uomini, tutto il lavoro non è durato più di due minuti e le ferite hanno sanguinato pochissimo. Ci si affacenda allora attorno ai due ladroni ; e i tre patiboli sono approntati di fronte alla città deicida.

Non ascoltiamo tutti questi Giudei trionfanti che insultano il Suo dolore. Egli ha già perdonato « poiché non •sanno quel che si fanno ». Gesù a tutta prima si è accasciato. Dopo tante torture, per un corpo sfinito questa immobilità costituisce quasi un riposo, coincidendo con una diminuzione della sua capacità vitale. Ma Egli ha sete. Oh ! non l'ha ancora detto. Prima di distendersi sulla croce ha rifiutato la pozione analgesica, vino mescolato con mirra e fiele, che preparano le pie donne di Gerusalemme. La Sua sofferenza, la vuole completa; sa che la dominerà. Ha sete. Sì, « la mia lingua ha aderito al mio palato - Salmo XXI, 6). Non ha bevuto nulla ne mangiato da ieri sera. E' mezzogiorno. Il sudore del Getsemani, tutte le fatiche, la grave emorragia al Pretorio e quelle successive ed anche un po' di questo sangue che esce dalle piaghe, Gli hanno sottratto una gran parte della Sua massa sanguigna. Ha sete. I lineamenti sono tirati, il volto pallido è solcato di sangue che si coagula dappertutto. La bocca è semiaperta ed il labbro inferiore già comincia a pendere. Un filo di saliva scende dalla barba, mescolato al sangue che esce dal naso schiacciato. La gola è secca ed infuocata, ma Egli non può deglutire. Ha sete. In questo volto tumefatto, sanguinante e deformato, come sì potrebbe riconoscere il più bello dei figli degli uomini?


Sarebbe spaventoso, se non Vi si vedesse, malgrado tutto, risplendere la serena maestà del Dio che vuoi salvare i Suoi fratelli. Ha sete. E tra poco lo dirà, perché si adempiano le Scritture. Ed uno stupido soldato, nascondendo la sua compassione sotto lo scherno, Gli tenderà sulla punta d'una canna una spugna imbevuta nella sua acidula « posca » (« acetum » dicono i Vangeli).


Sal 68,22 Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto


Ne berrà anche solo una goccia? Si è detto che il fatto di bere determina in questi poveri suppliziati una sincope mortale. Come, dopo aver bevuto, potrà dunque parlare ancora due o tre volte? No, no : morirà alla Sua ora. Ha sete,

E tutto è appena incominciato. Ma dopo un attimo uno strano fenomeno si produce. I muscoli delle braccia si irrigidiscono spontaneamente, in una contrattura che andrà accentuandosi : i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si tratta di crampi!

Tutti, poco o tanto, abbiamo sofferto questo dolore, progressivo ed acuto, in un polpaccio, tra due coste, un po' dappertutto. Bisogna distendere, allungandolo, questo muscolo contratto. Ma guardiamo! Ecco, ora, alle coscie ed alle gambe gli stessi rilievi mostruosi rigidi e le dita dei piedi che s'incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono dimenticare. E' ciò che noi chiamiamo tetania, quando i crampi si generalizzano : ed ecco che questo avviene. I muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili ; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il respiro si è fatto a poco a poco più corto e superficiale. Le coste, già sollevate per la trazione delle braccia, si sono ancora più sopraelevate; l'epigastrio si incava ed anche le infossature al di sopra delle clavlcole. L'aria entra fischiando ma non riesce quasi ad uscire. Egli respira con l'apice dei polmoni, inspira un po' ma non può più espirare. Ha sete d'aria ; come un enfisematoso in piena crisi d'asma: il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi passa al violetto purpureo e poi al cianotico. Colpito da asfissia, soffoca. I polmoni gonfi d'aria non possono più svuotarsi. La fronte è coperta di sudore^ gli occhi escono fuori dell'orbita. Quale atroce dolore deve martellare il suo cranio! Sta per morire! Ebbene, tanto meglio. Non ha dunque sofferto abbastanza?

No, la Sua ora non è ancora giunta.

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30/03/2010 10:12
 
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Sal 21,7 Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. 8 Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: 9 «Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico». 10 Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. 11 Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. 12 Da me non stare lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. 13 Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. 14 Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce. 15 Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. 16 È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto. 17 Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi, 18 posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano: 19 si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte. 20 Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto. 21 Scampami dalla spada, dalle unghie del cane la mia vita. 22 Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali.


 

Nè la sete, nè l'emorragia, nè l'asfissia, nè il dolore avranno ragione di Dio Salvatore e, se muore con questi sintomi, morirà veramente solo perché lo vuole, « avendo il potere di deporre la Sua vita e di riprenderla. - S.Agostino Trattato sui Salmi. Salmo 63, vers. 3).

Che cosa avviene? Lentamente con uno sforzo sovrumano, ha preso punto d'appoggio sul chiodo dei piedi, sì, sulle Sue piaghe. Il collo dei piedi e le ginocchia si distendono a poco a poco ed il corpo, a piccoli colpi, risale alleggerendo la trazione sulle braccia (questa trazione, che era superiore ai novanta chili su ciascuna mano). Allora ecco che spontaneamente il fenomeno diminuisce, regredisce la tetania, i muscoli si distendono, almeno quelli del torace. La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e ben presto il volto ha ripreso il suo primitivo pallore.

Perché tutto questo sforzo? Perché vuole parlarci: «Padre, perdona loro - Luca, 23, 34). Oh! sì, che Egli ci perdoni, noi che siamo i Suoi carnefici. Ma dopo un istante, il Corpo incomincia a riafflosciarsi e la tetania riprenderà. Ed ogni volta che parlerà (e sono state tramandate almeno sette delle Sue frasi), ogni volta che vorrà respirare, dovrà risollevarsi per ritrovare il respiro, tenendosi ritto sul chiodo dei piedi. Ed ogni movimento si ripercuote nelle Sue mani, in indicibili dolori. L'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato ed a cui si lascia riprender vita per soffocarlo più volte. A questa asfissia, Egli non può sfuggire per un istante, se non a prezzo di sofferenze atroci e con un atto di volontà. E questo durerà tre ore!


Il Centurione, un po' in disparte, osserva con un'attenzione già piena di rispetto. Tra un accesso e l'altro di asfissia, Egli si solleva e parla : « Figlio, ecco tua Madre ». - Un po' più tardi quel povero diavolo di ladrone s'è fatto promettere il Paradiso. Ma, quando dunque morrete, Signore? !



Lo so, Pasqua Vi attende ed il Vostro Corpo non imputridirà come il nostro. Sta scritto : Non permetterai che il tuo Santo conosca la corruzione. - Salmo XV, 10. Ma, mio povero Gesù , tutte le Vostre Piaghe sono infette: esse lo sarebbero d'altronde anche per meno. Vedo distintamente gemere da esse una linfa chiara e trasparente che si raccoglie nel punto declive in una crosta cerea. Sulle meno recenti già si formano false membrane che secernono un siero purulento. Sta pure scritto : «le mie piaghe si sono infettate ed hanno suppurato - Salmo 37, 5).>

Uno sciame di mosche orrende, di grosse mosche verdi e blu, come se ne vedono nei mattatoi e nei carnai, ronza attorno al Suo Corpo: ed improvvisamente piomba sull'una o sull'altra piaga per suggerne il succo e depositarvi le uova. Esse si accanniscono sul viso : non si può scacciarle. Fortunatamente dopo un po' il cielo si oscura, il sole si nasconde ; d'un tratto la temperatura s'abbassa. E queste figlie di Belzebù a poco a poco se ne vanno.

Fra poco saranno le tre. Finalmente ! Gesù lotta sempre ; di quando in quando si risolleva. Tutti i Suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibrazioni dei suoi nervi mediani, non Gli hanno strappato un lamento. Ma se i Suoi amici sono presenti, il Padre (ed è l'ultima prova) sembra averLo abbandonato: « Eli, Eli, lammo sabachtani? » (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? - matteo 27, 46; marco, 16, 34; Salmo 21, 1).

Sa che è giunta l'ora. E grida: « Tutto è compiuto)) (Giov., XIX, 30). La coppa è vuota, l'opera è completa. Poi sollevandosi di nuovo e come per farci capire che muore di Sua volontà « di nuovo gridando con gran voce - Matteo, 27, 50) : « Padre - dice - nelle tue mani raccomando il mio spirito )) (Luca 23, 46). E' morto quando ha voluto. E non mi si parli più di teorie fìsiologiche!

«

Laudato si, mi Signore, per sora nostra morte corporale!)) Oh sì, Signore, siate lodato per aver finalmente voluto morire. Poiché non ne potevamo più. Ora tutto va bene. In un ultimo respiro, la Vostra testa s'è inclinata lentamente verso di me, diritta davanti a 'Voi, col mento sullo sterno. Vedo ora distintamente il Vostro Voli-o disteso, rasserenato, illuminato (nonostante tanti lividi spaventosi) dalla dolcis sima Maestà di Dio che è sempre presente. Ho piegato le mie ginocchia davanti a Voi ed ho baciato i Vostri piedi trafitti, dove il sangue scende ancora coagulandosi verso le punte. La rigidità cadaverica Vi ha colto bruscamente, come il cervo forzato alla corsa. Le vostre gambe sono dure come l'acciaio... e bruciano. Quale temperatura inaudita Vi ha dato questa tetania?

La terra ha tremato ed il sole si è eclissato. Giuseppe è andato a reclamare il Vostro corpo a Pilato, che non lo rifiuterà. Egli odia i Giudei che l'hanno costretto ad uccidervi : la scritta sul Vostro capo proclama alto il suo risentimento : « Gesù Rè dei Giudei e crocifisso come uno schiavo ! Il Centurione è andato a fare il suo rapporto dopo averVi proclamato vero Figlio di Dìo. Tra poco vi deporremo e non sarà difficile, una volta schiodati i piedi. Giuseppe e Nicodemo staccheranno il patibulum dallo stipes. Giovanni, Ìl Vostro prediletto, Vi reggerà i piedi : e noi, in due con un lenzuolo attorcigliato Vi sosterremo per le reni. La Sindone è pronta sulla pietra qui vicina, dirimpetto al sepolcro ; e là, a nostro agio, schioderemo le Vostre mani.

Ma, che accade? Ah! sì, i Giudei hanno dovuto chiedere a Pilato che si liberi il colle da questi patiboli che offendono la vista e contaminerebbero la festa di domani. Razza di vipere che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello! Alcuni soldati spezzano a colpi di sbarre di ferro le gambe dei ladroni. Essi pendono ora miseramente e, poiché non possono più sollevarsi sulle gambe, la tetania e la asfissia li uniranno ben presto.

Ma non c'è nulla da fare per voi! « Os non comminuetis ex co » (non romperete nessuna delle Sue ossa - Giov., XIX, 36; esodo, XII, ^6; numeri, IX, 12). Lasciateci dunque in pace: non vedete che è morto? - Senza dubbio, rispondono. Ma che idea è venuta ad uno di loro? Con un gesto tragico e preciso ha sollevato l'asta della lancia e con un sol colpo gliela immerge profondamente nel fianco destro. Oh! perché? « E subito dalia piaga uscì sangue ed acqua » (Giov., XIX, 34). Giovanni l'ha visto, ed io pure : e non sapremmo mentire ; un abbondante fiotto di sangue liquido e nero, che è zampillato sul soldato e a poco a poco scende sul petto coagulandosi in strati successivi. Ma nello stesso tempo, visibile soprattutto ai bordi, è colato un liquido limpido e chiaro come acqua. Vediamo ; la piaga è al di sotto e al di fuori del capezzolo (V spazio intercostale), il colpo è obliquo. E' dunque il sangue dell'orecchietta destra e l'acqua esce dal pericardio. Ma allora, mio povero Gesù, il Vostro cuore era compresso da questo liquido e Voi avevate, oltre a tutto, quel dolore angoscioso e crudele del cuore serrato in una morsa.

Non bastava quanto avevamo visto? Ed era perché lo sapessimo, che quest'uomo ha commesso la sua strana aggressione? Forse i Giudei avrebbero preteso che Voi non eravate morto, ma svenuto ; la Vostra risurrezione domandava dunque questa testimonianza.


 

Ed ora, lettore, ringraziamo Iddio che mi ha dato la forza di giungere sino alla line : non senza lacrime ! Tutti questi orrendi dolori, che abbiamo visto in Lui, Egli li ha durante tutta la sua vita previsti, premeditati, voluti nel Suo amore per redimere tutte le nostre colpe. « E' stato sacrificato perché lo ha voluto - Isaia, 53, 7). Ha diretto tutta la Sua Passione senza evitare una tortura ; accettandone le conseguenze fisiologiche, ma senza esserne dominato. Egli, è morto quando, come e perché ha voluto,

Gesù è in agonia sino alla fine dei tempi. E' giusto, è bene soffrire con Lui e, quando ci invia il dolore, ringraziarLo di poterci associare al Suo.

Bisogna completare, come diceva S.Paolo, ciò che manca ai patimenti di Cristo, e con Maria, sua Madre e Madre nostra , accettare con gioia, fraternamente la nostra "con-passione".


O Gesù che non avete avuto pietà di Voi stesso che siete Dio, abbiate pietà di noi che siamo peccatori.

 

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16/04/2010 23:24
 
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Card. Schönborn: la Sindone ci parla del silenzio del Sabato Santo

Meditazione dell'arcivescovo di Vienna nel duomo di Torino

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine”: è iniziata con una citazione dall’omelia per “il grande e Santo Sabato, attribuita a Epifanio di Salamina, che si legge nell’Ufficio delle letture del Sabato Santo”, la meditazione che il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha tenuto lunedì sera nel duomo di Torino in occasione dell’Ostensione della Sindone 2010 sul tema “Passio Christi – Passio hominis. Il mistero del Sabato santo”.

“Quest’omelia – ha affermato Schönborn - parla di un contenuto di fede che confessiamo nella breve frase del Credo: …discese agli inferi (‘discendit ad inferos’)”. Per la redenzione dell’uomo era necessario “anche che Gesù Cristo ‘assaggiasse’ la morte, che sperimentasse davvero lo stato di morte, come vediamo in maniera così sconvolgente nella Sindone”.

“Non risulta facile oggi – ha commentato l’arcivescovo di Vienna - comprendere questo articolo di fede. La verità di fede vi è formulata in concetti provenienti da un immaginario che ci è estraneo. L’idea di un ‘regno della morte’, di un ‘mondo inferiore’ al di sotto del mondo in cui viviamo, di un ‘inferno’ che contiene le anime dei morti, sembra totalmente lontana dalla nostra moderna coscienza razionale”.

“Non sarebbe quindi meglio rinunciarci?”, ha chiesto ai numerosi presenti lo stesso cardinale. Ma “la Chiesa dai tempi più antichi ha tenuto ferma questa confessione. Non dovrebbe essere questo, per noi, uno stimolo a sforzarci di capire, proprio quando la questione appare difficile ed oscura? Proprio in considerazione degli eventi del ventesimo secolo, occuparsi del Sabato Santo, del giorno in cui Dio tace, sembra oggi più attuale che mai”.

“Regno della morte”, “mondo inferiore” ed “inferno”, ha spiegato Schönborn “non indicano il luogo di eterna condanna, bensì la dimora dei morti, chiamata in ebreo lo Sheol, in greco l’Ade (At 2,31). È il luogo dove le anime dei defunti si trovano imprigioniate dopo la morte”.

“Le testimonianze bibliche – ha proseguito Schönborn, citando Giovanni Paolo II - confermano la discesa di Cristo ai morti come vera esperienza di morte, come l’espressione di più profonda solidarietà con gli uomini. Durante quei tre giorni, dalla sua morte fino alla resurrezione, Gesù ha sperimentato ‘lo stato di morte’, cioè la separazione dell’anima dal corpo, nello stato e condizione di tutti gli uomini”.

D’altra parte “Gesù stesso lo aveva preannunciato, paragonando il proprio cammino con la storia del profeta Giona: 'Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra (Mt 12, 40)'”.

“Teresia Benedita a Cruce, Edith Stein, la filosofa e carmelitana uccisa ad Auschwitz – ha ricordato l’arcivescovo di Vienna -, ha descritto questa scena a modo di visione, in un piccolo pezzo teatrale dal titolo 'Dialogo notturno'. Lo scrisse nel giugno del 1941 per l’onomastico della sua priora, Madre Antonia a Spiritu Sancto, nel convento olandese di Echt”.

La meditazione del cardinale nel duomo di Torino, che è stata inframmezzata da intervalli musicali, ha quindi lasciato spazio alla citazione dei versi composti dalla Stein.

“Il silenzio del Sabato Santo, di cui la Sindone ci parla in maniera così imponente – ha ripreso Schönborn -, è l’atteggiamento di attesa di tutta la terra. Esso ricorda il silenzio che precede la creazione del mondo (Gen 1,2), quando tutto attende che Dio agisca con potenza”.

“Ed è così anche qui – ha affermato il cardinale -. Cristo è venuto nel mondo e la sua opera terrena, la vita fra gli uomini e la morte per il peccato, è compiuta. Egli si è inserito nella genealogia del genere umano peccatore, per redimere tutti, fino ad Adamo, il progenitore di tutti gli uomini. Ora, il Sabato Santo, nella morte, fattosi solidale anche con i morti, egli va come in trionfo nel mondo degli inferi, per chiamare fuori tutti coloro che la morte tiene ancora prigionieri”.

L’arcivescovo di Vienna ha, quindi ricordato la visione sostenuta dal teologo Hans Urs von Balthasar che “mette in evidenza un aspetto che nei Padri fu poco sviluppato. Il Sabato Santo, la morte di Cristo non reca in sé, in un primo momento, nessun trionfalismo. Uno sguardo alla Sindone ce lo conferma, lo sperimentiamo nella liturgia del Sabato Santo che è estremamente semplice, senza alcuna celebrazione eucaristica”.

Questa visione ricorda che “la morte di Cristo lascia in un primo momento i suoi discepoli e la Chiesa tutta nello sgomento, nell’afflizione e nel timore. Il credente è invitato al silenzio, al raccoglimento e all’adorazione. La salvezza che si realizza nella discesa agli inferi nel Sabato Santo è ancora nascosta, la morte ha ancora il suo potere, che poi le verrà tolto”.

Da un lato c’è “l’abbassamento di Gesù Cristo, la sua solidarietà con noi fino alla prova della più profonda amarezza della morte” ma dall’altro “la gloria; Gesù Cristo è morto veramente, ma in questa morte egli è già il Beato che chiama alla beata comunione tutti i giusti che sono morti con lui. Dio si reca nell’abbassamento per strappare gli uomini alla morte e condurli in alto”.

“Disceso agli inferi – ha proseguito l’arcivescovo di Vienna citando le 'Meditazioni sulla Settimana Santa' scritte dall’allora cardinale Ratzinger - significa che Cristo ha varcato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo insuperabile, irraggiungibile del nostro essere abbandonati”.

Significa, ha concluso, che “anche nell’ultima notte nella quale nessuna parola penetra, nella quale noi tutti siamo come bambini che piangono, abbandonati, c’è una voce che ci chiama, c’è una mano che ci prende e che ci guida. La solitudine insuperabile dell’uomo è superata da quando Lui vi è entrato”.
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03/05/2010 23:29
 
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2 Maggio 2010

MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI

«Nel Sacro Telo la luce della vita»

Cari amici,
questo è per me un momento molto atteso. In diverse altre occasioni mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: "Il mistero del Sabato Santo".

Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di san Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.

Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: "Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi" (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo "fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte".

Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: "Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!". Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.

E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento "fotografico", dotato di un "positivo" e di un "negativo". E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la "terra di nessuno" tra la morte e la risurrezione, ma in questa "terra di nessuno" è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: "Passio Christi. Passio hominis". E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale.

In quel "tempo-oltre-il-tempo" Gesù Cristo è "disceso agli inferi". Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: "gli inferi". Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato "negli inferi": anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: "Passio Christi. Passio hominis".

Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo "Uomo dei dolori", che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - "Passio Christi. Passio hominis" -, da questo volto promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.

Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.
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17/08/2010 09:11
 
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Quel lenzuolo di lino
Pubblichiamo volentieri il brano poetico segnalatoci da Maria Teresa Fiorista “Questo episodio poetico in versi offre un excursus suggestivo e incisivo della storia della Sindone, dal momento della Resurrezione fino ai giorni nostri. È raccontato con spirito di fede, ma anche con precisi riferimenti di ordine teologico, storico e scientifico e facilmente si imprime nella mente di chi legge, avendo in mente il Sacro Sudario. L’episodio è tratto dal libro “I VANGELI IN VERSI E IN RIMA”, un popolare poema sulla storia di Cristo, che ricrea personaggi e figure del Vangelo, portando insieme sulla scena primi attori e comprimari come in una sacra rappresentazione. L’autore è un medico cardiologo dell’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano. Credo che il brano allegato possa offrire un contributo a questo grande evento e spero che questa Ostensione possa diffondere nei cuori sentimenti di fede per Gesù Cristo: il volto della Sindone interpella ciascuno di noi e a ciascuno rivolge la domanda: e voi chi dite che io sia?”.
QUEL LENZUOLO DI LINO
Ma era rimasta lì
Una donna allibita
A guardare la tomba
Deserta e incustodita,
Non corse con le altre
Il fatto ad annunciare,
Ma restò lì, stranita,
E come a curiosare.
Col cuore che batteva
E piena di paura
Restava sulla soglia
Di quella sepoltura:
Guardava ora la pietra,
Ora i sigilli al suolo,
Finché infine il suo sguardo
Si pose sul lenzuolo.
Per tutta la lunghezza
Lo srotola, lo spiega,
Come un lungo papiro,
Da alfa fino a omèga:
Man mano che ogni gesto
Lei compie piano piano
Ecco che la figura
Scopre di un corpo umano.
Il Nazareno sopra
Vi è raffigurato,
Dal capo fino ai piedi,
La schiena ed il costato;
Poiché il telo sul corpo
Fu ripiegato ad U,
Non soltanto di fronte
Lei vi vede Gesù;
La destra e la sinistra
Però son rovesciate
Come se le due effigie
Vi fossero specchiate.
E come su una lastra
Di nitrato d’argento
Vi era rimasto impresso
Il corpo in quel momento,
Come accade oggigiorno
Con la fotografia
Rimase impressionato
Dal corpo che andò via;
Fu un atomo di tempo,
Il morto tornò vivo,
E nell’attraversarlo
Lasciò il suo negativo.
E come quando un nucleo
Subisce una fissione
Sì che impazzito schizza
Via via ogni neutrone,
Così si liberò
Un’energia infinita
Come quando dal caos
Prese forma la vita;
Si sprigionò dal corpo
Una luce radiante
Che, risorgendo, il telo
Impressionò all’ istante.
L’impronta più o meno
Rimase su quel telo
Secondo quanto il corpo
Distava da quel velo,
E sopra vi rimase,
Impressionato e fisso,
Il segno di com’era
Lui stato crocifisso;
E sopra vi rimase,
E non sarà più tolto,
L’indelebile segno
Di come fu sepolto.
Sulla nuca e sul capo
Dove si attacca il crine
Precisi e puntiformi
I segni delle spine,
Le guance tumefatte,
Uno zigomo offeso,
Qualche ruga di sangue
Sulla fronte rappreso.
Malgrado le torture,
Nonostante i tormenti,
Quel viso esprime ancora
Perfetti lineamenti,
Nonostante i supplizi
Di tutta la Passione
Sereni sono i tratti,
Pacata è l’espressione.
Si leggono distinti
In modo misterioso
I segni del Suo sangue
Venoso ed arterioso;
Sopra la schiena i segni
Delle percosse avute,
Impressi sui ginocchi
I segni di cadute.
Presenti al dorso e ai fianchi
Da doppia direzione
I segni paralleli
Della flagellazione,
Attraverso le spalle
Obliquamente un segno
Dove poggiava il peso
Della trave di legno.
A destra, sul costato,
Il colpo di una lancia,
Con la chiazza di sangue
Che cola sulla pancia;
Tutt’intorno un alone
Di un più chiaro elemento,
Il siero che dovette
Uscire in quel momento.
Sugli avambracci i rivoli
Del sangue giù colato,
Una mano sull’altra,
Un polso trapassato;
Le orme impresse dei piedi,
Un polpaccio più corto
Per il rigore freddo
Di quando era già morto.
Quanto i Vangeli dicono
Circa quel venerdì
Vi rimase tal quale
Impresso su così,
Quanto storicamente
È scritto nel Vangelo
Come fotocopiato
Si impresse su quel telo.
Quel telo sopravvisse
Agli incendi di Tito,
Poi sempre in qualche casa
Rimase custodito,
La libertà di culto
Che diede Costantino
Trovava ancora intatto
Quel lenzuolo di lino.
Poi i barbari abbatterono
Le aquile romane,
Irruppero impetuose
Le orde maomettane,
Giungeva fino al Volga
L’impero bizantino
E ancora restò intatto
Quel lenzuolo di lino.
E da Gerusalemme
Poi lungo la Turchia
Giunse fino a Bisanzio,
Non si sa per che via;
Ma già il volto di Cristo
Ben oltre i Dardanelli
Ha quella stessa barba,
Quegli stessi capelli.
Passava l’anno Mille,
Vennero le Crociate,
Dal Catai Marco Polo
Portò sete pregiate;
Scoppiava qui la guerra
Tra il Guelfo e il Ghibellino,
Sempre restava intatto
Quel lenzuolo di lino.
Milleduecentoquattro:
In quell’antica data
Avanzano i cristiani
Della quarta crociata,
Depongono la spada
E in fila, a capo chino,
Si segnano al vedere
Quel lenzuolo di lino.
Ma alla rovina di
Bisanzio saccheggiata
Quella reliquia s’è
Già volatilizzata,
E quando poi sul Bosforo
Monarca è Baldovino
È scomparso nel nulla
Quel lenzuolo di lino.




E poi per oltre un secolo
Non si seppe più niente,
Era ancor sul Mar Nero?
Era già in Occidente?
Tra le svariate ipotesi
Quella più accreditata
Che forse dai Templari
Sia stata trafugata.
Sorsero poi i Comuni,
Venne l’età vulgare,
Fiorivano i commerci
Per terra e per il mare,
E al tempo in cui Boccaccio
Scrisse il Decamerone
Quel telo fa in Europa
La prima apparizione:
Un cavalier crociato
Deposta la sua lancia
L’affida ad un canonico
Nella terra di Francia,
Nella terra di Francia
Un cavalier crociato
L’affida ad un canonico
Intatto e ben piegato.
E già volge al tramonto
Qui ormai la Signoria,
Brucia Giovanna d’Arco
A Reims per eresia;
Non v’è più un amanuense
Che copi stando chino,
Sempre rimane intatto
Quel lenzuolo di lino.
Tre caravelle audaci
Solcan la nuova onda,
Ritocca col pennello
Leonardo la Gioconda,
Ritrae uno stanco Papa
Raffaello da Urbino
E giace sempre intatto
Quel lenzuolo di lino.
Trasportano i velieri
Caffè e cioccolato,
Scaricano le stive
Argento insanguinato,
A Roma si ribella
Un monaco tedesco,
Quel lenzuolo di lino
Riposa intanto al fresco.
Ma nella quarta decade
Del Millecinquecento
Per poco prese fuoco
Nel rogo di un convento,
Però non stava scritto
Che a causa di un cerino
Scomparisse dal mondo
Quel lenzuolo di lino.
Le zone bruciacchiate,
Le parti un po’ annerite
Furon curate come
Se fossero ferite,
Di nuovo ancora inferte
Come quando Lui visse...
Solo che le pie donne
Ora son le Clarisse.




Michelangelo muore,
C’è la Controriforma,
Giunge infine sul P0
Quella divina orma,
E dentro una Cappella
Del Duomo di Torino
Si posa finalmente
Quel lenzuolo di lino.
Brucia Giordano Bruno
Col libero pensiero,
Le stelle apron le menti
A Galileo e Keplero,
La scienza muove i primi
Passi, come un bambino,
E sempre posa intatto
Quel lenzuolo di lino.
Trionfa la ragione,
Si rifiuta il Divino,
Si nega la parvenza
Di quel pallido lino;
Cadon le teste sotto
Una violenza cieca,
E sempre quel lenzuolo
Riposa in una teca.
Muore Napoleone,
Tramano i Carbonari,
Sbuffano lenti i primi
Treni lungo i binari,
L’Italia è unita dal
Rosso garibaldino
Ma il tempo non intacca
Quel lenzuolo di lino.
(E ad un’ostensione
Quasi a fine Ottocento
Pensò qualcuno di
Fare un esperimento;
E allora un avvocato,
Tale Secondo Pia,
Scattava a quel lenzuolo
Qualche fotografia.
La lastra fuoriuscita
Dalla camera oscura
Fu sconvolgente, e quasi
Da mettere paura:
C’era, sul negativo,
L’immagine risolta,
Quasi che fosse Lui
Risorto un’altra volta!)
Si viaggia tra le nuvole,
E’ il Millenovecento:
Si accendono nel buio
Le ombre in movimento,
La radio rende l’uomo
All’uomo più vicino
E sempre giace intatto
Quel lenzuolo di lino.
Solo quando le bombe
Piovono giù dal cielo
In luogo più sicuro
Vien portato quel telo,
E dentro un’abbazia
Nei pressi di Avellino
Resta ancora inviolato
Quel lenzuolo di lino.




Cadono imperi e regni,
Si alterna la fortuna
Delle vicende umane,
L’uomo va sulla luna,
Dalla messa la Chiesa
Abbandona il latino,
Ma sempre resta intatto
Quel lenzuolo di lino.
Cadono i blocchi, crolla
Il muro di Berlino,
Ma sempre resta intatto
Quel lenzuolo di lino;
Crolla un’ ideologia
Che era sembrata eterna,
L’Europa è ancora in guerra
Ma questa è storia odierna.
E quasi già al Duemila
L’ultimo vilipendio,
Brucia una notte il Duomo
Nel fuoco di un incendio:
Fu solo per incuria?
O fu invece per dolo?
Però ancora una volta
Si salva quel lenzuolo.
Quel lenzuolo di lino
E’ la testimonianza
Della luce che il buio
Sconfisse in quella stanza,
Quel lenzuolo di lino
Per noi è il segno visivo
Di un corpo che già morto
Per sempre tornò vivo.
Sosterranno che è un falso,
Diran che non è vero,
Però resta impossibile
Spiegar quel bianco e nero,
Diran che è stato fatto
In tempo successivo
Però resta impossibile
Spiegar quel negativo.
Diran che quella stoffa
Non è dell’anno Zero
Ma non sapranno come
Spiegare quel mistero,
Diranno che datarla
Non è affatto sicuro
Ma non sapranno come
Spiegar quel chiaroscuro.
S’affanneranno a dire
Che è tutta un’impostura
Ma non sapranno come
Spiegar quella figura,
Porteranno i più esatti
Cavilli della scienza
Ma non sapranno come
Spiegar quella parvenza.
Si appelleranno al
Carbonio radioattivo
Ma quell’ombra comunque
Sarà senza un motivo,
Diran che quell’indizio
E’ l’unico che conta
Ma non sapranno come
Spiegare quell’ impronta.




Ma anche a chi sostiene
Che il telo è una bugia,
Quel volto dice: -... E Voi,
Chi dite che io sia...? -,
Ed anche a chi non crede
Divino quel sembiante,
Quel volto, muto, pone
Un quesito inquietante.
A chi lo guarda scettico
Incredulo e stranito,
Quel volto sembra dire:
- Mettimi qui il tuo dito -,
Quel volto sembra dire,
Muto, coi suoi perché,
Quello che fate a un uomo
L ‘avrete fatto a me... -.
Solo una cosa è certa,
E per tutti è sicura,
L’effigie su quel telo
Non è certo pittura;
Solamente di un fatto
Sono tutti convinti,
I tratti di quell’uomo
Non son stati dipinti.
E ancora allo scoccare
Di quest’anno Duemila
Milioni di persone
Pazienti fan la fila,
In cuore vuole ognuno
Vedere da vicino
Anche solo un istante
Quel lenzuolo di lino.
Nel vederlo ripensi
Proprio a quel primo giorno
Che il sabato seguiva,
Allorché quella salma
Per sempre tornò viva,
Nel vederlo ripensi
Che in quel primo mattino...
Si afflosciò vuoto al suolo
Quel lenzuolo di lino.

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19/04/2011 10:51
 
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Sacro Volto
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08/03/2012 13:07
 
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Lu 9,23
  Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.


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08/03/2012 13:11
 
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VIA CRUCIS ALLA LUCE DELLA SINDONE


SINDONE E PASSIONE

Sindone e Passione stanno in una relazione molto stretta fra loro, e non è possibile parlare dell'una senza almeno accennare all'altra.

Della Passione di Gesù si parla già da due millenni, in base al racconto evangelico e sulla scia della teologia cattolica.

Della Sindone, esplicitamente, si parla già da qualche secolo, ma abbondantemente e vivacemente solo da qualche decennio, praticamente dall'inizio del 1900.

Sindone in greco significa lenzuolo. Effettivamente è un lenzuolo di lino, lungo m. 4,36 e largo m. 1,20, custodito in una cassaforte di argento nella Reale Cappella del duomo di Torino. Ai profani è serbato vederla piamente nelle ostensioni - ossia esposizioni - che si sogliono fare di tanto in tanto in occasione di avvenimenti fausti e di giubilei.

L'ostensione del 1898 è rimasta famosa perché ha aperto la strada alla fotografia, e ai successivi studi sulla sindone.

La fotografia venne eseguita dal dilettante Secondo Pia. Durante lo sviluppo delle lastre, il Pia si commosse perché vide affiorare in positivo i lineamenti netti di un Uomo spoglio e dolente, ma solenne, visto di fronte e posteriormente, il quale riproduceva l'immagine del Redentore durante la Passione.

Il Signore ci ha lasciato la sua fotografia in uno dei momenti più disastrosi: dopo una morte straziante per innumerevoli e incredibili dolori fisici e morali. Date uno sguardo alla Sindone che lo rivela: é un corpo tutto pesto e piagato, coperto di contusioni, di ferite e di sangue dalla testa ai piedi.


LA VIA CRUCIS ALLA LUCE DELLA SINDONE COMMENTO A CURA DI CARLO DOLZA

«Io sono convinto che, dopo i Sacramenti e gli atti della Liturgia, non vi e pratica più utile per le anime no­stre della Via Crucis fatta con devozione » (Marmion).

Da questa pratica infatti siamo aiutati a realizzare la esortazione di San Paolo: «Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo le sofferenze di Gesù morente, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo » (2 Cor 4, 12).

La presente serie di meditazioni è ispirata alla santa sindone, conservata a Torino. Il beato Sebastiano Valfré così paragonava la Sindone alla Croce: « La Croce ha ri­cevuto Gesù vivo e ce l'ha restituito morto, la Sindone ha ricevuto Gesù morto e ce l'ha restituito vivo ».

« Chi vuoi esser mio discepolo, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 6, 24)


PREGHIAMO

O DIO che hai lasciato le impronte della tua passione nella santa sindone, con la quale Giuseppe di Arimatea avvolse il tuo corpo santissimo deposto dalla croce, concedi benigno, per la tua morte e la tua sepoltura, di essere condotti alla gloria della risurrezione. AMEN.



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08/03/2012 13:13
 
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I

IL SANGUE DELL'AGONIA

"Gesù, entrato in agonia, pregava più intensamente. E diede in sudore come gocce di sangue che cadevano a terra » (Lc 22, 44)

LA SINDONE È UNA FOTOGRAFIA A CARATTERI DI SANGUE

II primo sangue Gesù lo versò nell'orto degli olivi. S. Luca, medico, fa osservare che il suo sudore divenne sanguigno.

II fenomeno è conosciuto anche oggi in medicina: av­viene quando l'organismo è sottoposto a una violenta emozione; allora i capillari sottocutanei si rompono ed emettono sangue, che, mescolandosi con il sudore esce all'esterno.

Non avete potuto, nemmeno per un'ora, restar svegli con me? » (Mt 26, 40)

Era la prima volta che Gesù, in quell'ora di angoscia, chiedeva qualcosa per Sé ai suoi amici: li avrebbe voluti vicini nella preghiera. E loro dormono.

Che io impari, o Signore, a tenerti compagnia con la preghiera e a sostenermi in Te!


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08/03/2012 13:13
 
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Per visualizzare la straordinaria corrispondenza dei dati evangelici con l'uomo della Sindone, e di quanto sopportò, cliccare sul seguente link:


 LE IMMAGINI IN DETTAGLIO DELLA SINDONE
[Modificato da Credente 08/03/2012 13:43]
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08/03/2012 13:13
 
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II

I SEGNI SUL VOLTO

"Uno dei servi che gli stava accanto gli diede uno schiaffo » (Gv 18, 22)

FU IL PRIMO OLTRAGGIO DELLA PASSIONE: POI LE PERCOSSE NON SI CONTANO PIÙ

II volto di Gesù nella Sindone conserva le tracce di questi eccessi di furore.

Varie tumefazioni appaiono evidenti: una sotto l'occhio destro, un'altra - più estesa - su tutta la guancia destra, che si estende fino al labbro e al mento. Anche il naso ha una deformazione: si tratta di un colpo di bastone che ha contuso e distorto il setto nasale.

II volto è ciò che di più nobile si manifesta nell'uomo: è il riverbero della ricchezza interiore.

Un oltraggio al volto assume il significato dell'offesa più grave.

Gesù si è sottoposto anche a questa umiliazione: «Non ho nascosto il mio volto a coloro che mi schernivano e mi percuotevano» (Is 50, 6).

Fammi comprendere, o Signore, che le umiliazioni - pur abbattendomi sotto il peso dell'incomprensione o dell'ingiustizia - sono il vincolo che mi legano più strettamente a Te! 

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08/03/2012 13:14
 
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III

LA FLAGELLAZIONE

«Allora Pilato rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo diede nelle loro mani (Mt 26, 27)

Gesù fu legato con le mani in alto e con il viso rivol­to alla colonna. Lo si deduce dal fatto che le impronte della flagellazione sono in maggior numero sul dorso che non sul torace e non vi sono tracce di questo supplizio sugli avambracci.

Il flagello usato per questa tortura consisteva in una striscia di cuoio, terminante in una coppia di pallottole di piombo. Nell'impeto della sferzata, la correggia si avvinghiava al corpo, le sfere si conficcavano nella carne e si ritraevano lacerandola.

Quanti i colpi? Sulla Sindone se ne conta un centinaio: oltre quaranta sferzate di una frusta che portava due cap­pi. E sotto i colpi il corpo di Gesù va gradatamente arros­sandosi per divenire livido. I solchi di sangue si intreccia­no e colano sul lastricato.

«Dalla pianta dei piedi fino al capo non c'è nulla che sia rimasto illeso (Is 1, 6) Ogniqualvolta riceverò il tuo perdono, ricorderò che « è da quei lividi che noi fummo guariti» (1 Pt 2, 24).


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08/03/2012 13:15
 
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IV

LA CORONAZIONE DI SPINE

«Lo vestirono di porpora e, intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo e piegando il ginocchio davanti a lui, lo schernivano dicendo: salve o re dei giudei. E gli percuotevano la testa con una canna (Mt 15, 17-18)

I chirurghi sanno bene quanto sanguini una ferita alla testa.

Nella Sindone l'elemento più significativo dell'abbon­dante colata di sangue appare sulla fronte.

II coagulo, partendo dalla vena frontale, scende sinuo­samente fino a raggrumarsi sul sopracciglio sinistro.

La forma di un « 3 » è dovuta al corrugarsi, nello spa­simo del dolore, del muscolo frontale.

La maggior densità dell'emorragia si riscontra nella nuca. Nelle convulsioni della permanenza in croce, la testa, sollevandosi, sfregava contro il patibolo e le spine di­laniavano il capo del Signore.

« Ecco il vostro re » (Gv 19, 14)

Era venuto per un regno di amore, e vede la rivolta di coloro che aveva beneficato, la fuga degli apostoli, il rin­negamento di Pietro, il tradimento di Giuda...

Fa' che io sappia, o Signore, con qualche slancio di vera amicizia, riconoscerti Re del mio cuore!

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08/03/2012 13:16
 
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V

IL CARICO DELLA CROCE

«Ed egli, portando la sua croce, s'incamminò verso il luogo detto Calvario » (Gv 19, 16)

Gesù porta sulle spalle il « patibulum », ossia il brac­cio trasversale della croce, che doveva poi essere aggan­ciato su quello verticale, infisso permanentemente nel luogo del supplizio.

La lunghezza, sufficiente ad accogliere l'apertura delle braccia, era almeno di due metri; il peso quindi di oltre mezzo quintale: notevole per un uomo normale, immenso per un uomo malmenato e dissanguato.

La trave è tenuta obliqua sulla spalla destra, già co­perta di piaghe che si riaprono e si allargano.

Alle cadute, il peso schiaccia tutto il corpo: la con­tusione più ampia della spalla destra e quella della scapo­la sinistra si spiegano col peso e con l'escoriazione del legno nel trasporto della croce e nelle cadute.

Sulla tunica che Maria ha tessuto, un'enorme macchia di sangue va sempre più allargandosi.

Gesù si riserva la parte più gravosa.

È per poter dire a me: « Il mio giogo è soave, il mio peso è leggero » (Mt 11, 30). 

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08/03/2012 13:17
 
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VI

LE CADUTE

«Costrinsero a forza un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, a portare la sua croce» (Mc 15, 21)

Cadere su una strada irregolare e accidentata compor­ta inevitabilmente delle escoriazioni alle ginocchia.

Un uomo che incespichi, con un carico sulla spalla destra, cade appoggiandosi per primo sul ginocchio destro. La Sindone, oltre che presentare più gonfio questo gi­nocchio, ne mette in evidenza le ferite.

«Aiutatevi l'un l'altro a portare i vostri pesi » (Gal 6, 2)

È questo il modo di poter far giungere anche a Te, o Signore, un po' di sollievo.


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08/03/2012 13:18
 
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VII

I CHIODI NEI POLSI

«Se non gli vedo nelle mani il foro dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, non credo... Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani (Gv 20, 25 e 27)

Giunti sul Calvario, strappano a Gesù la tunica che aderisce alle piaghe.

Poi lo distendono a terra, nella polvere e nella ghiaia che impastano le sue ferite.

L'afferrano per le braccia e lo stirano a forza sul patibolo.

Un chiodo lungo, quadrato e appuntito, è presentato sul polso: non sul palmo, che non avrebbe potuto reggere al peso e si sarebbe dilacerato.

I colpi del grosso martello aprono e dilaniano la piaga, fino a che il chiodo non sia conficcato nel legno.

La lesione del nervo mediano ha fatto ripiegare sotto il palmo il pollice, che infatti nella Sindone non appare. La lesione dei grossi tronchi nervosi dà lo spasimo più atroce che un uomo possa sopportare.

I nervi feriti rimangono a contatto col chiodo, sul qua­le tra poco tutto il peso del corpo farà sentire la trazione e li farà vibrare ad ogni scossa.

Per l'altro braccio gli stessi gesti, gli stessi dolori.

Fa' comprendere. anche a me, o Signore, che sono più utili per la redenzione le mani immobili, inchiodate nel sacrificio, che non le mani immerse nell'attività.


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08/03/2012 13:19
 
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VIII

GESÙ ELEVATO IN CROCE

«Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini» (Gv 12, 32)

Si rimette in piedi il condannato, sollevandolo dalle estremità del palo trasversale. Quindi, facendolo cammi­nare all'indietro, lo addossano al palo verticale.

Poi, con un'energica spinta verso l'alto, si aggancia il patibolo alla sommità dello stipite.

Le spalle di Gesù, scarnificate dalla flagellazione e dal carico della croce, strisciano dolorosamente all'insù con­tro il legno ruvido.

Si inchiodano i piedi, il sinistro sopra il destro, con un solo chiodo.

Nella Sindone il piede destro ha lasciato minore im­pronta del sinistro: nel sepolcro ha conservato la rigidità cadaverica della croce.

« Ha salvato gli altri: salvi ora se stesso... Non sei tu il Cristo? Dunque salva te e noi » (Lc 23, 35 e 39)

È difficile intravedere la salvezza in Uno che sta per perdersi! Allo stesso modo come è difficile intravedere la volontà di Dio sotto le avversità, la conquista attraverso la rinunzia, l'arricchimento mediante la donazione...



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08/03/2012 13:20
 
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IX

LE TRE ORE DI AGONIA

«Era già quasi l'ora sesta, quando le tenebre si stesero su tutta la terra, fino all'ora nona » (Lc 24, 44)

L'AGONIA HA INIZIO A MEZZOGIORNO E SI PROTRAE FINO ALLE TRE DEL POMERIGGIO

Le due direzioni delle colate di sangue, che partono dalle trafitture dei polsi, stanno ad indicare l'alternarsi delle posizioni di Gesù in Croce.

Quando il corpo, nello sfinimento della debolezza, si abbandona accasciato, il sangue colava lungo l'avambrac­cio fino al gomito.

Quando invece Gesù, per dar tregua allo spasimo delle spalle, prendeva come appoggio il chiodo dei piedi e si sollevava, portando le braccia parallele al patibolo, allora il sangue colava perpendicolare al braccio e cadeva a terra.

In quei momenti i polmoni prendono un po' di respiro. Perché questo? Perché Gesù vuole parlare.

Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno » (Lc 23, 34)

Insegnami, o Signore, a dire coscientemente: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.


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08/03/2012 13:21
 
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X

I CRAMPI MUSCOLARI

«Io tendo le mie braccia verso di te: affrettati, o Signore, esaudiscimi! Vedi non ne posso più! » (Salmo 142)

NELLA SINDONE I MUSCOLI DELLE BRACCIA SI PRESENTANO NETTAMENTE IRRIGIDITI PER EFFETTO DELL'IPERTENSIONE

II fenomeno dei crampi, che alle volte noi esperimen­tiamo in un polpaccio o fra due costole, si verifica nei crocifissi fino al parossismo in forma tetanica che invade interamente il corpo.

Tutto il peso grava sulle braccia in forma obliqua. Quasi subito i crampi iniziano negli avambracci, poi passano alle braccia e si estendono al tronco fino agli arti inferiori.

Ho guardato attorno, nessuno che mi aiutasse; ho atteso ansioso: nessuno che mi sostenesse! » (Is 63, 5)

I disagi che incontrerò non andranno piú dispersi nell'incomprensione e nell'insofferenza: saranno, o Signore, una presenza presso di Te, per un'unica offerta al Padre dei tuoi e dei miei dolori.



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08/03/2012 13:22
 
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XI

LA MORTE DI GESÙ

«Gesù, dopo aver mandato un grande grido, rese lo spirito » (Mt 27, 50)

DOLOROSA LA PASSIONE: ANCOR PIÙ DOLOROSA LA MORTE

Nella Sindone il torace di Gesù ha un rilievo molto marcato.

Nello spasimo della trazione, la gabbia toracica si ar­resta in stato di dilatazione. Ne risulta che i polmoni non sono più in grado di compiere il ricambio dell'aria; così non si effettua più l'ossigenazione del sangue, per cui nel paziente avviene l'asfissia: esattamente come se qualcu­no lo soffocasse alla gola.

E VENNE LA FINE

Ad Adamo era stato inspirato in volto lo spirito della vita (Gen 2, 7), il nuovo Adamo, Gesù, dona a noi la vita rendendo lo spirito ».

O Gesù, che io veda la mia morte nella prospettiva della tua: come porta verso la vita. 

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08/03/2012 13:22
 
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08/03/2012 13:23
 
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XII

LA FERITA DEL COSTATO

«Venuti a Gesù, siccome videro che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aperse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua » (Gv 19, 23)

La Sindone riporta chiaramente sulla parte destra dei torace l'impronta di una grossa ferita.

Attraverso ad essa, con un percorso assai breve, la lancia era arrivata a colpire il cuore, svuotandolo del san­gue. Ad esso si era aggiunto il siero, che doveva trovarsi in abbondanza a motivo degli strapazzi e della dolorosa agonia.

Per gli ebrei il centro del sacrificio non era la morte della vittima, ma l'aspersione del sangue, che essi consi­deravano come sede della vita.

Quel sangue che Giovanni vede sgorgare è dunque co­municazione di vita all'umanità morta per il peccato. L'acqua che uscì dall'intimo del Salvatore è, secondo la significazione data da Gesù (Gv 7, 38), lo Spirito Santo che ci avrebbe mandato per farci vivere della sua vìta divina.

Gesù non soffrì più di questa ferita: era già morto.

II colpo di lancia giunse però al cuore di Maria, che compie nel suo dolore « ciò che manca alla Passione di Gesù, per il suo corpo che è la Chiesa » (Col 1, 24).

Non avevo ancora pensato, o Maria, di ringraziarti della sofferenza che Tu hai offerto per la mia salvezza.



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08/03/2012 13:24
 
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XIII

LA SEPOLTURA DI GESÙ

«Giuseppe d'Arimatea, preso il corpo di Gesù, l'avvolse in una candida sindone e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che aveva fatto scavare nella roccia» (Mt 27, 59)

Durante il trasporto al sepolcro, nel ripiegamento del corpo di Gesù dentro la Sindone, si produsse un'altra im­pronta di sangue.

Dalla ferita del costato continuò la colata, che andò a raccogliersi ai fianchi e intrise il lenzuolo.

La culla e il sepolcro: chi non vede le eloquenti analogie?

Qui e là Gesù è in una grotta non sua, qui e là è av­volto in bianchi lini, qui e là il Verbo di Dio, la Parola so­stanziale, tace.

Imprimi in me, o Signore, gli insegnamenti che dalla culla al sepolcro mi hai donato: silenzio, distacco, sottomissione totale.

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08/03/2012 13:25
 
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XIV

IL VOLTO DIVINO

«Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37)

Rimanendo per quaranta ore nel sepolcro, Gesù volle mostrare che era veramente morto.

Si sa infatti che, morto l'individuo, alcune cellule con­tinuano ancora la loro attività; ma in capo a quaranta ore tutto è fermo.

Morto sì, ma non in preda allo sfacelo. «Non permet­terai che il tuo Santo veda la corru

zione» (Atti 2, 27).

II volto della Sindone infatti è quello di Chi è morto per entrare nella vita.

Sopra quel volto, sulla croce, stava la scritta ad indi­care che Chi moriva era un Re.

Il buon ladrone ebbe l'intuito di comprendere, attraver­so quel volto dolorante, la maestà regale: « Ricordati di me, quando sarai nel tuo Regno... Oggi sarai con me in Paradiso » (Lc 23, 42).

E così il dolore divenne felicità. O Signore, insegnami a capire che sulla croce non c'è soltanto dolore, ma soprattutto amore: quell'amore che è sollievo al dolore, che è speranza di risurrezione e di vita.


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08/03/2012 13:26
 
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08/03/2012 13:29
 
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PREGHIERA 

O MIO SIGNORE GESÙ

che sei nato per me in una grotta, che hai vissuto per me una vita di pene e di afflizioni, che sei morto per me sopra una croce dopo atroci torture fisiche e morali, rivolgi anche per noi la tua preghiera: 

PADRE PERDONA,   ed indica a tua Madre: ECCO TUO FIGLIO 

Al momento della nostra morte assicura anche a noi: OGGI SARAI CON ME IN PARADISO


O mio Salvatore, NON MI ABBANDONARE IO HO SETE di Te, fonte di acqua viva.

I miei giorni passano rapidamente, TUTTO SARA’ PRESTO COMPIUTO per me.

NELLE TUE MANI AFFIDO IL MIO SPIRITO ora e per sempre. 

AMEN

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01/07/2014 14:06
 
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Nuovo studio: le braccia «disarticolate»
dell'Uomo della Sindone

Un nuovo studio sulla Sindone

UN NUOVO STUDIO SULLA SINDONE

Quattro docenti universitari firmano un articolo sulla rivista «Injury»: il crocifisso avvolto nel telo ha riportato una lussazione dell’omero e la paralisi di un braccio, subendo un violento trauma al collo e al torace. Tracce di una doppia inchiodatura dei polsi

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

L’Uomo della Sindone, «ha subito una lussazione sottoglenoidea dell’omero e un abbassamento della spalla ed ha la mano piatta e un enoftalmo, condizioni che non sono state descritte finora, nonostante i numerosi studi sul soggetto. Queste lesioni indicano che l’Uomo ha sofferto un violento trauma al collo, al torace e alla spalla da dietro, causando danno neuromuscolare e lesioni all’intero plesso brachiale».

 

È la conclusione alla quale sono arrivati quattro docenti universitari che si sono concentrati sull'immagine sindonica, osservando anche che «l’incrocio delle mani sul pube, e non sopra il pube come avviene normalmente, sono in relazione alla trazione che le braccia hanno subito durante l’inchiodatura sul patibolo». Lo studio - una parte del quale è già stato pubblicato, mentre un'altra parte sta per esserlo - è firmato da Matteo Bevilacqua (già Direttore della S.C. di Fisiopatologia Respiratoria, Ospedale-Università di Padova); Giulio Fanti (Associato al Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Università di Padova); Michele D'Arienzo, (Direttore della Clinica Ortopedica, Università di Palermo) e Raffaele De Caro (Direttore dell'Istituto di Anatomia Normale, Università di Padova), e viene ospitato da «Injury» - International Journal of the Care of the Injured - prestigiosa rivista internazionale di ortopedia.

 La prima scoperta di questi studiosi è che l'Uomo sindonico ha subito la lussazione della spalla e la paralisi del braccio destro. La persona la cui impronta è rimasta sul telo di lino sarebbe dunque caduta sotto il peso della croce, o meglio del «patibolum», la sua trave orizzontale. L'Uomo sindonico, spiegano, «è caduto in avanti battendo violentemente con il corpo a terra. La trave gli lacerò i nervi alla base del collo e gli provocò la lussazione della spalla (l’omero è risultato 3,5 cm sotto l’articolazione) cosicché il braccio rimase paralizzato e penzoloni. In queste condizioni era impossibile continuare a portare il patibolo». E qui non si può non citare la circostanza riportata nel vangelo: i soldati costrinsero Simone di Cirene a sostituire il condannato. Non dunque un gesto compassionevole, ma una necessità. «Si spiega pure - affermano gli studiosi - perché l’Uomo della Sindone presenta una spalla destra più bassa di 15° rispetto alla sinistra e perché ha l’occhio destro un po’ retratto, per la paralisi dell’intero plesso brachiale».

 

La seconda scoperta descritta nell'articolo per «Injury» riguarda la doppia inchiodatura alle mani subita dall'Uomo sindonico. «Finora non si riusciva a spiegare l’assenza d’impronta dei pollici con una inchiodatura eseguita lontano dal nervo mediano e dal tendine flessore lungo del pollice. L’analisi attenta delle macchie di sangue sul polso della mano sinistra e le prove sperimentali fatte su arti di cadavere, di persone che avevano fatto testamento biologico a favore dell’Istituto di Anatomia, hanno permesso di chiarire il mistero: l’Uomo della Sindone è stato inchiodato due volte.
Molto probabilmente è stato inchiodato due volte anche al polso destro che sulla Sindone non si vede, coperto dalla mano sinistra».

 A che cosa è dovuta questa doppia inchiodatura? «Una motivazione convincente può essere perché non si riusciva a inchiodare le mani nei fori già preformati sul patibolo, fori che venivano praticati per evitare che i chiodi si torcessero battendoli su legno duro come il noce». Dopo aver inchiodato il primo polso e non essere riusciti a inchiodare il secondo nel foro preparato, i carnefici dell'Uomo sindonico li avrebbero dunque schiodati entrambi. E li avrebbero quindi inchiodati «più in basso, a livello della terza piega superficiale del polso, fra prima e seconda fila delle ossa del carpo dal lato ulnare della mano».

 La terza scoperta presentata dall'equipe di studiosi riguarda il piede destro dell'Uomo della Sindone che «è stato inchiodato due volte. L’analisi dell’impronta della pianta del piede destro fa riconoscere che esso ha subito due inchiodature: una fra il secondo e il terzo metatarso e un’altra, che non era stata notata chiaramente da altri studiosi, anche a livello del tallone».

 Per gli studiosi l'Uomo della Sindone «ha certamente sofferto di una gravissima e diffusa causalgia (dolore con calore intenso, spesso con shock, ai minimi movimenti degli arti) dovuta: alla paralisi totale del braccio destro (causalgia paradossa); all’inchiodatura del braccio sinistro per danno al nervo mediano; all’inchiodatura dei piedi per danno ai nervi tibiali». L’inchiodatura ha compromesso la respirazione in due modi: «I polmoni, con le braccia sollevate di circa 15°, e quindi con gabbia toracica più espansa erano in difficoltà a espirare e questo riduceva la capacità ventilatoria. Inoltre, ogni profonda inspirazione, per parlare o per prendere fiato, ottenuta facendo leva sugli arti inferiori, gli procurava dolori fortissimi, lancinanti».

 Gli autori dei due articoli su «Injury» ritengono che le chiazze di siero separate da quelle di sangue provenienti dal torace e riscontrabili sul telo sindonico, dovute presumibilmente al colpo di lancia sferrato post-mortem, siano dovute a un sanguinamento polmonare iniziato prima ancora della crocifissione, dopo la violenta caduta con il patibolo sulle spalle. Gli studiosi non concordano con quanto finora ipotizzato circa il fatto che il sangue fuoriuscito dal costato «sia stato causato da ferita con la lancia del pericardio, perché il sacco pericardico in caso di rottura di cuore può contenere una modesta quantità di sangue, da 50 a 300 ml, che si sarebbero depositati sul diaframma senza essere drenati all’esterno».

Infine, gli autori dell'articolo avanzano delle ipotesi sulla causa immediata di morte dell'Uomo sindonico. «La limitazione respiratoria, più la presenza dell’emotorace che comprimeva il polmone destro non sono sufficienti a causare una morte per asfissia che è caratterizzata da insufficienza respiratoria caratterizzata in fase terminale da perdita di coscienza e coma». Secondo gli studiosi, la caduta con il patibolo sulle spalle, può avere causato «non solo una contusione polmonare ma anche una contusione cardiaca che insieme alle gravissime condizioni cliniche e psichiche può essere sfociato in un infarto cardiaco e nella rottura di cuore».

 

Secondo Bevilacqua, Fanti, D'Arienzo e De Caro, questi risultati rappresentano un ulteriore indizio della totale sovrapponibilità dell'immagine sindonica con i più minimi dettagli del racconto evangelico.


[Modificato da Credente 01/07/2014 14:08]
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