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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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14/02/2012 22:01
 
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LO SPLENDORE DEL GLORIOSO VANGELO DI CRISTO

Esemplarità e conoscenza del bene. Chi vuole annunziare efficacemente il Vangelo deve divenire un uomo esemplare, deve cioè possedere la più alta coerenza tra ciò che dice e ciò che fa. Deve essere in tutto come Cristo, il quale diceva quello che faceva, ma faceva quello che il Padre gli diceva. Così deve potersi dire di ogni cristiano: egli dice ciò che fa, ma fa ciò che gli dice Cristo Signore. L’esemplarità, perché sia vera, autentica, deve fondarsi interamente sulla conoscenza del bene. Chi vuole fare il bene secondo Dio deve necessariamente conoscere la volontà di Dio. C’è la volontà di Dio contenuta nel Vangelo, ma il Vangelo non mette un uomo nella volontà di Dio, poiché nel Vangelo è tracciata tutta intera la verità, non è indicata la via particolare che ogni uomo deve percorrere. Qual è la via particolare che ciascuno di noi, allora, deve percorrere, praticare? Qual è l’esemplarità che ciascuno deve offrire al mondo? Questo è dato di conoscerlo solo se lo Spirito del Signore si posa su di noi e ci muove con la sua luce soprannaturale, donandoci anche la forza di poter realizzare, attuare, compiere quanto egli ha suggerito al nostro cuore e ha messo nella nostra mente e nel nostro desiderio. Il cristiano deve essere esemplare; può esserlo se lo Spirito del Signore si posa su di lui e lo muove nella conoscenza attuale della volontà che Dio ha su di lui. Questa è la sola via percorribile per essere esemplari e poter annunziare secondo verità, per una credibilità sempre più grande, il Vangelo della salvezza.
Dalla povertà la ricchezza. Dobbiamo vivere le opere di misericordia materiali. Chi può animare la nostra misericordia? Solo lo Spirito Santo. Come? Immettendo nel nostro cuore tutto l’amore di Cristo Gesù per l’uomo da salvare. Se lo Spirito del Signore non versa nel nostro cuore l’amore di Cristo Gesù e non lo muove quotidianamente esso si ferma, si blocca. Se lo Spirito non illumina gli occhi della nostra mente per vedere le necessità dei fratelli, essi non vedono e noi passiamo avanti, come sono passati avanti sia il sacerdote che il levita, quando hanno incontrato il malcapitato lunga la via che da Gerusalemme scendeva a Gerico, o come il ricco epulone che non è riuscito a vedere il povero Lazzaro seduto alla sua porta mentre i cani venivano a leccare le sue piaghe. Lo Spirito Santo è il vero animatore, l’ispiratore e anche il motore della nostra carità. Quanti sono senza lo Spirito Santo non vedono, non sentono, non amano. Non vedono perché sono senza occhi, non sentono perché sono senza orecchi, non amano perché sono senza cuore. Ma per amare secondo Dio, sul modello e l’esemplarità di Cristo Gesù, bisogna spogliarsi, farsi poveri, rinunziare. La vera via dell’amore è la rinunzia, la privazione, il sacrificio. Dal nostro sacrificio e dalla nostra privazione nasce la ricchezza nel mondo. Ciò che per noi diviene superfluo per l’altro è strettamente necessario, anzi indispensabile per poter continuare a vivere. Quando avremo imparato questo, potremo iniziare ad amare secondo Dio. Il modo per amare secondo Dio è uno solo: Cristo Gesù che si lascia crocifiggere perché l’abbondanza della ricchezza di grazia e di verità, che è nel cielo presso Dio, discenda sulla terra e la inondi come l’acqua del mare ricopre gli oceani. L’elemosina, ogni altra forma di carità, è un frutto dello Spirito dentro di noi, è sua vera, autentica mozione. Per questo motivo sanno amare solo coloro che sono ripieni di Spirito Santo, gli altri non sanno amare, perché manca loro il vero principio generatore dell’amore. Anche la quantità del dono da offrire e da elargire è mozione dello Spirito Santo. Senza di Lui, anche se a volte la carità viene fatta, essa rimane senza effetto, perché non risolve il problema concreto dell’uomo; mentre chi è mosso dallo Spirito Santo non solo fa l’elemosina, o la carità, ma anche risolve, sa risolvere il problema di un uomo, perché lo vede come un suo fratello, come un altro se stesso da salvare, da ricolmare di ogni dono sia della terra che del cielo, sia di Dio che degli uomini.
La scienza del reale. San Paolo è uomo che parla ai suoi fratelli dalla pienezza della verità di Cristo Gesù, dal centro del suo amore e della sua carità sconfinata, che neanche la morte è riuscita a interrompere, perché anche dopo morte possiamo nutrirci di Lui, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue. Anche nella carità egli vuole che si vive secondo un principio di fede: bisogna che il cristiano impari a vedere la volontà di Dio in ciò che accade, perché solo dall’interpretazione corretta, giusta, santa della volontà di Dio, la nostra carità potrà dirsi opera secondo il Vangelo, opera secondo la volontà attuale di Dio, che si manifesta in questo tempo e in questa ora. Fare la carità diviene e si fa scienza del reale, non del reale conosciuto secondo gli occhi dell’uomo, ma di quel reale che solo Dio conosce e al quale l’uomo deve dare una soluzione secondo la fede, una giusta soluzione, non falsa, non errata, non a metà e neppure una soluzione spirituale quando essa deve essere materiale, o viceversa. Questa scienza del reale che si chiama carità ha bisogno di essere animata e per questo occorre che venga sempre sostenuta da quanti hanno zelo nel cuore, amore per la salvezza dei loro fratelli. Non dimentichiamo che la carità materiale deve essere un segno per l’apertura all’altra carità, che è quella spirituale e che consiste nel dare la grazia e la verità ad ogni uomo; nel dare Cristo che è verità e grazia per il mondo intero. Per essere animata, la carità deve essere prima creduta; per essere creduta, occorre un sano convincimento in noi e questo è solo opera dello Spirito Santo. Questo sano convincimento rimane però improduttivo se manca la sua mozione che spinge verso l’opera concreta. Più il cristiano è mosso dallo Spirito Santo, più possiede la scienza del reale, più crede nell’opera, più l’opera produce. Quando invece manca la nostra fede nell’opera, niente si realizza. La regola per la fruttificazione della verità e della carità nel mondo è uno solo: la nostra fede. Dio trionfa solo attraverso la nostra fede. Quando la fede non è implicata in quello che facciamo, Dio non può intervenire dal cielo e il mondo rimane come il povero Lazzaro presso la porta del ricco epulone: nudo, affamato, piagato, sofferente, in attesa che la morte venga a prenderselo e portarlo nel seno di Abramo.
Chiamati a trascenderci. La carità è la virtù che chiama ogni uomo a trascendersi, ad uscire da se stesso, a immergersi totalmente nell’altro, affinché dal di dentro dell’altro lo conduca a Dio, sacrificando e offrendo se stesso per questa causa. Per comprendere cosa è in verità la carità, bisogna pensare a Cristo Gesù. Lui era Dio, andò oltre la sua natura divina, assunse la natura umana, si fece natura umana, tant’è che non c’è Dio senza l’uomo e non c’è l’uomo senza Dio. L’uomo è perfettamente uomo e Dio è perfettamente Dio, senza alcuna confusione delle due nature e tuttavia è Dio che si fa uomo. In Cristo c’è il vero uomo, ma non c’è la persona umana, perché esiste solo la persona divina. Facendosi uomo, divenendo uomo, assunse dell’uomo tutto, lo caricò su di sé, lo fece suo, anche il peccato dell’uomo fece suo, ma senza però commetterlo, lo fece tanto suo che potendo espiare per noi, essendo la sua Persona Dio, ma essendo nella carne umana, essendo suo il peccato nostro, avendo assunto la nostra umanità, lo portò sulla croce, lo affisse, lo espiò per sempre. Cristo Gesù si trascese, andò oltre la sua natura divina, entrò nella natura umana, ma facendosi natura umana e dal di dentro della natura umana salvò tutta la natura umana. Anche noi siamo chiamati a trascenderci, ad andare oltre noi stessi, superandoci, divenendo vita e forma di vita dell’altro, assumendo dell’altro ogni condizione, espiando da questa condizione il suo peccato, ma anche portando in essa tutta la ricchezza di ogni dono materiale e spirituale che è nella nostra natura, nella nostra persona, nella nostra vita. È questo il percorso della carità e finché non ci si trascende, non ci si fa per gli altri come Cristo, questi rimangono sempre gli altri e dal di fuori noi facciamo qualcosa per gli altri, ma questa non è la carità cristiana, non è l’amore che Cristo è venuto ad insegnarci con il suo esempio, il cui culmine è la morte in croce per noi, per l’espiazione dei nostri peccati e il dono della sua risurrezione gloriosa perché noi fossimo tutti avvolti dalla sua vita divina eterna con la quale è stata ora rivestita la nostra umanità.
La carità è la prova della fede. Vista e considerata così, la carità è la prova della fede. Fede per noi cristiani non è solo aderire a Cristo verità, è molto di più: è seguire Cristo carità, Cristo amore, Cristo dono di vita all’umanità intera. Cristo contemplato nel suo essere e nella sua parola è la nostra fede. Noi crediamo che la sua Parola è verità, crediamo che la sua Parola è la nostra vita, la nostra carità, il nostro amore per il Signore e per gli uomini, per il Signore che è nostro Creatore, per gli uomini che sono nostri fratelli. Chi segue Cristo, lo segue perché è verità, lo segue però per divenire con Lui un solo moto di carità, una sola opera di amore, una sola missione di verità e di carità. Se non ci si trascende come Lui, se non si entra nella vita degli altri e dal di dentro di questa vita si porta la salvezza al mondo intero, noi non siamo veri seguaci di Cristo Gesù, non siamo suoi discepoli. Siamo dei conoscitori della sua Parola e della sua vita, ma non siamo discepoli. Il discepolo è colui che cammina dietro Cristo, è una cosa sola con Cristo, e in quanto tale, vuole compiere tutto il percorso d’amore che ha compiuto Cristo Gesù: trascendere se stesso, assumere l’altro, divenire una cosa sola con l’altro – anche se la forma di Cristo non è possibile per nessun uomo – ma si può divenire una cosa sola con l’altro, assumendo interamente la condizione dell’altro, salvarla spendendo tutta la nostra vita, consumando ogni energia spirituale e materiale, e questo per obbedienza a Cristo, che è, a sua volta, obbediente al Padre. Il Padre vuole la salvezza del mondo intero; in Cristo, il cristiano deve rispondere a Dio salvando i fratelli, ma Cristo gli insegna che se li vuole salvare deve trasformare la fede in carità, in amore, seguendo il suo esempio e la sua via. Quando la verità non si trasforma in carità, la verità è sterile, vuota; è un albero che non produce frutti. Quest’albero bisogna solo tagliarlo e gettarlo nel fuoco. Non serve a Dio, non serve all’uomo.
L’esempio che trascina. La carità storica ha bisogno di tanta esemplarità. Il missionario del Signore deve essere un trascinatore nella carità. Non deve trascinare esortando, incitando, deve trascinare vivendo lui per primo tutta la ricchezza della carità di Cristo Gesù, il cui modello perenne rimane per noi il suo Vangelo. È la Parola la regola di ogni carità e senza osservanza della Parola, del Vangelo non c’è neanche carità. L’apostolo del Signore vivendo intensamente di Parola di Cristo Gesù, insegna ad ogni uomo che è possibile seguire il Maestro e Signore. Ognuno vedendo il suo esempio, potrà, se vorrà, veramente trasformare la Parola in amore, il Vangelo in opera di salvezza per il mondo intero. Nel rendere concreta l’opera di carità materiale bisogna agire con prontezza, con tempestività, con quell’urgenza che suggerisce che non c’è alcun tempo da perdere. La carità a volte è l’unica via di salvezza per l’altro, ritardarla è esporre la vita dell’altro a sicura morte; farla in modo non adeguato, anche questo significa mettere in serio pericolo la vita dei fratelli. La prontezza deve essere nel volere e nella realizzazione. Più si è pronti nella volontà, più si è pronti nelle opere. Quando la volontà è debole, quando la luce della fede è poca, quando l’uomo si chiude nel proprio egoismo, perché non sufficientemente formato nella conoscenza della sua vocazione, la sua carità è inesistente, nulla. Ciò che fa, in nessun modo potrà dirsi carità cristiana. La carità cristiana lo abbiamo visto cosa è. Sappiamo come bisogna farla e cosa bisogna fare per amare alla maniera di Cristo Gesù. Inoltre la carità materiale deve essere fatta secondo i propri mezzi, ma i propri mezzi non sono quelli materiali, sono quelli spirituali. Cristo diede tutta la vita per la nostra salvezza; diede il suo cuore, il suo spirito, la sua anima, i suoi pensieri, la sua volontà, consegnata interamente allo Spirito Santo perché fosse sempre messa in comunione d'amore con Dio e con i fratelli. Chi tuttavia non possiede questa forma di Cristo dentro di sé, può almeno fare una semplice cosa: vivere una povertà aperta, non chiusa ai bisogni dei fratelli. Nessun è talmente povero che non possa fare qualcosa per gli altri. Ma per fare qualcosa per gli altri è necessario aprirsi agli altri anche nella nostra povertà. Ciò che per noi potrebbe essere povertà, per gli altri sarebbe abbondanza, ricchezza, opulenza. L’amore e solo l’amore di Cristo in noi potrà far sì che la nostra povertà si trasformi in carità per il mondo intero. Chi non possiede lo Spirito del Signore non potrà mai trasformare la sua povertà in carità talmente alta e sublime da concludersi con l’offerta stessa della propria vita.
Fare il bene secondo la misura del bene. Altra regola della carità è questa: c’è una misura del bene che mai noi possiamo trascurare se vogliamo fare il bene. Il bene di per sé non ha una legge fissa. Il bene, se è fatto con la carità di Cristo dentro di noi e con la sapienza, saggezza, fortezza e consiglio dello Spirito Santo, è un bene che si trascende sempre, si supera sempre, non è mai soddisfatto di sé, perché c’è sempre un bene ulteriore da fare, da elargire, da offrire all’uomo e ad ogni uomo perché raggiunga la salvezza eterna, passando attraverso il deserto dell’esistenza senza venire meno durante il cammino, né spiritualmente, né fisicamente, o corporalmente. Se per un attimo ci chiediamo qual è la misura del bene, dobbiamo rispondere che il bene ha una misura. Questa misura, però, non è il bene che si possiede a deciderla; è, invece, la carità di Cristo che abita dentro di noi. Più grande è la carità di Cristo Gesù; più grande si fa la misura del bene da operare; meno grande è la carità del Signore Gesù, più piccola, anzi inesistente, si fa la misura con la quale noi operiamo il bene ai nostri fratelli. Chi vuole educare una comunità all’amore, al vero amore, deve immettere nel cuore dei seguaci di Cristo Signore tutto il suo amore, tutta la sua carità, mostrandogliela visibilmente attraverso la sua vita. Chi presiede una comunità deve prima di tutto presiederla divenendo visibilità dell’amore di Cristo Gesù in mezzo al suo gregge. Se questo non avviene, tutto alla fine si dimostrerà vano. Il gregge del Signore non saprà mai cosa è il vero e il puro amore di Cristo, perché non lo vede incarnato in colui che è stato chiamato ed inviato proprio per rendere visibile al mondo la carità di Cristo e il suo amore. La via della carità è Cristo Gesù, la forza della carità è il suo amore infuso in noi dallo Spirito Santo. Al di là di queste due regole non sarà mai possibile formare una comunità all’amore, al servizio della carità, a donare la vita per la salvezza dei fratelli, vita, si intende, del corpo, vita dello Spirito.
Le regole della giustizia. Ci sono delle regole che precedono la carità e anche la rendono possibile, specie se si tratta della carità materiale. Queste regole sono quelle della giustizia. Di per sé, quando si parla della giustizia, il pensiero fa subito riferimento alla giustizia commutativa, che è la legge del dare e dell’avere tra gli uomini, o semplicemente dei diritti e dei doveri degli uni verso gli altri. È assai evidente che ogni prestazione meriti un salario; ma non sempre è evidente che il salario non deve andare oltre la prestazione, altrimenti avviene uno squilibrio tra diritto e dovere. C’è giustizia quando c’è equilibrio, quando l’equilibrio si rompe, tra prestazione e salario, allora non c’è più giustizia. Se è giusto che il datore di lavoro paghi l’operaio, è anche giusto che l’operaio svolga con coscienza, professionalità, responsabilità il lavoro concordato. È questo l’equilibrio che oggi manca. Questa assenza ci fa cadere nell’ingiustizia perenne, quotidiana, capillarizzata. Chi vuole salvare la società deve mettere in atto ogni attenzione a che la giustizia e solo essa regoli i rapporti tra gli uomini. La giustizia commutativa regola, però, uno dei tanti rapporti tra uomo e uomo. C’è un’altra giustizia che è superiore, che è fonte, che trascende questa giustizia, anzi che dà valore e consistenza ad essa e ad ogni altra giustizia che si esercita nel mondo. Questa giustizia superiore dice che tutto quello che noi siamo, abbiamo, possediamo, realizziamo è un dono di Dio, una elargizione del suo amore, perché noi la mettiamo a disposizione del mondo intero. Per noi è dato, ed è questa la vera giustizia, tutto ciò che ci serve per vivere oggi, tutto il resto deve essere consegnato a Dio, perché Dio lo doni ai fratelli come un regalo del suo amore e lo doni anche a noi sotto frutto di benedizione e di più larga abbondanza.
Tenere alto il modello. C’è un obbligo che il cristiano mai deve perdere di vista, dimenticare, trascurare: quello di tenere sempre più alto il modello. L’esemplarità è la via ottimale per la diffusione del Vangelo nel mondo. Se essa cade, o addirittura scade, diviene evanescente, le parole che noi diciamo sull’amore e sulla carità sono prive di ogni significato. Non ha senso esaltare il valore morale del cristianesimo, se poi alla prova, la fede perde ogni suo valore a motivo della carità che non si vive. C’è un obbligo di credibilità sul quale si deve impostare ogni azione missionaria. Se il cristiano si convincerà di questa via santa, che è poi la sola efficace per parlare di Gesù Signore ai cuori, il cristianesimo avrà una forte spinta di conversione e di santificazione. Molti che sono lontani potranno accogliere l’invito ad abbracciare la fede in Cristo Gesù; quanti sono vicini, sono, cioè, già cristiani, potranno ricevere una spinta per una vita più santa, più coerente; per una vita che sia vera, autentica testimonianza a Gesù e al suo amore. Senza l’esemplarità tutto risulta vano, inefficace; la stessa parola che noi annunciamo non si differenzia per nulla dalle altre parole. L’esemplarità è vita per il cristianesimo. È ben giusto che il modello di vita cristiana sia tenuto il più alto possibile; sia veramente come la lucerna posta sul lucerniere per illuminare tutti quelli della casa.
Corrispondenza tra dire e fare. Questa corrispondenza deve essere l’unica legge del cristiano. Il cristiano si deve presentare dinanzi al mondo con la sua carità, il suo amore, la sua opera di pace e di solidarietà, di comunione e di condivisione. D’altronde Gesù stesso prima di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amati i suoi che erano nel mondo e amati sino alla fine, lavando loro i piedi, disse a Pietro e agli altri che il mondo avrebbe creduto in loro solo se si fossero presentati con la testimonianza dell’amore, se avessero amato il mondo come lui lo ha amato, donando tutta intera la sua vita per la salvezza. Il fare, ma non un fare qualsiasi, il fare che è l’opera di carità deve precedere il dire, che è anch’esso un’opera, è l’opera dell’annunzio del Vangelo della salvezza. Tra il fare e il dire ci deve essere corrispondenza perfetta. Il fare altro non deve essere che la verità tradotta in carità e il dire altro non è che la manifestazione della carità che anima il cuore di Dio, il cuore di Cristo, il cuore dello Spirito Santo. Questa corrispondenza nella carità e nella verità deve abbracciare ogni risorsa sia del cielo che della terra, sia dell’anima, che dello spirito, ogni talento, ogni carisma, ogni ministero, ogni cosa, anche la più piccola che l’uomo intraprende. È una via sempre da percorrere; però è anche una via che non è mai definita in se stessa, poiché la carità è l’unica virtù in cui non c’è il peccato per eccesso. La carità non ha veramente confini, né sulla terra e né nel cielo, né nelle cose spirituali, né in quelle materiali. La carità è legge a se stessa e chi ama veramente non ha legge, non ha misura, non ha confini, non ha e basta, perché ha dato tutto se stesso all’amore.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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