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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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14/02/2012 22:00
 
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[16]Siano pertanto rese grazie a Dio che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore di Tito!
Paolo sa che ogni opera deve essere portata a compimento da una persona particolare.
Ma chi può mettere nel cuore l’amore per un’opera così grande se non il Signore? È Lui che infonde nel cuore la sollecitudine sia per l’opera da portare a compimento, sia per il luogo dove agire concretamente.
Tito è fedele collaboratore di Paolo. Egli si è dedicato all’opera della colletta. Il Signore ha messo nel suo cuore l’amore per questo servizio. Paolo benedice e rende grazie a Dio che lo ha arricchito di un così grande amore, o di una così grande sollecitudine.
Paolo sa quanto sia importante per le comunità cristiane che i Corinzi portino a termine quest’opera. Sa anche però che il cuore può essere solo mosso dallo Spirito di Dio. Poiché in Tito c’è una sollecitudine verso la chiesa di Corinto, e questa sollecitudine riguarda la conduzione a buon termine dell’opera da essi intrapresa, egli non può che ringraziare Dio.
Dio ha messo nel cuore di Tito questa sollecitudine, i Corinzi possono portare a termine la loro opera, le chiese tutte ne avranno un grande vantaggio, saranno stimolate dall’esempio dei Corinzi a fare altrettanto, a non tirarsi indietro. Quando una comunità è vista dalle altre come modello da imitare, questa comunità è obbligata più di ogni altra ad essere modello sempre. Se non dovesse esserlo, le altre verrebbero trascinate dalla sua cattiva condotta, o dalla sua inerzia, o dalla non buona partecipazione alle cose di Dio.
Questo ci insegna come sia sommamente importante che si conservi l’alta considerazione di cui una persona, o una comunità gode. Quando gli altri ci vedono in un determinato modo, è giusto che noi rispettiamo il loro modo di vederci e di considerarci, non per nostra vanagloria, o superbia; ma perché ne va di mezzo il loro rapporto con il Signore.
Loro vedono noi come modello da imitare; se noi cadiamo, se ci lasciamo andare, se abbandoniamo il nostro tenore spirituale di vita, l’altro potrà pensare che sia giusto così. Sia giusto cioè che anche lui abbandoni il suo tenore di vita spirituale e si lasci andare nelle piccole venialità, poi, anche nel peccato, nella piena trasgressione della legge del Signore.
Su questo abbiamo posto finora poca attenzione, sia a livello personale, sia comunitario. Spesso abbiamo pensato che l’esemplarità non giovi a nessuno e soprattutto che ognuno di noi possa comportarsi come gli pare.
Nulla di più sbagliato. L’altro vede in noi un modello da imitare; se noi cadiamo, l’altro cade, ma cadendo giustificherà la sua condotta presso Dio e presso gli uomini.
Più uno riveste incarichi di responsabilità nella comunità e più è obbligato all’esemplarità, specie se si tratta di responsabilità sacerdotale e ancora più episcopale.
L’obbligo dell’esemplarità è proporzionato all’altezza della carica ecclesiale che si riveste e all’incidenza spirituale che si ha sugli altri. Un solo atto di scandalo di un sacerdote nella comunità produce un danno irreparabile; ci vorranno secoli di lavoro santo per poterlo rimediare.
A volte neanche lo si può rimediare, tanto è stato il male che ha inoculato nei cuori e nelle menti. Su questo è giusto che ognuno vi rifletta per se stesso e si dia le proprie regole di esemplarità, necessarie per ogni membro che ha deciso di essere di Cristo e di seguire Lui nell’ascolto della sua Parola di vita eterna.
[17]Egli infatti ha accolto il mio invito e ancor più pieno di zelo è partito spontaneamente per venire da voi.
Un’altra verità che bisogna senz’altro cogliere ed evidenziare.
Quando si lavora in collaborazione c’è chi invita e chi esegue; c’è chi comanda e chi obbedisce; c’è chi ordina e chi porta a compimento l’ordine ricevuto.
Le relazioni tra chi parla e chi ascolta possono essere molteplici. Non sempre dobbiamo vedere un comando di più stretta obbedienza, anche perché nel Vangelo l’obbedienza non è mai all’uomo, ma sempre a Dio e alla sua verità. È all’uomo in quanto dice la volontà di Dio, manifesta la sua verità.
Paolo e Tito sono collaboratori di Dio per la causa dell’evangelizzazione dei popoli.
Paolo vede che è cosa buona, giusta, opportuna, lodevole, ricca di frutti se Tito prende a cuore di portare a compimento la realizzazione della colletta in Corinto. Lo invita a dedicarsi a quest’ufficio, a questo servizio. Uno può sempre invitare un altro a fare una cosa.
La regola che qui viene esposta e precisata è questa: a nulla serve un invito, se colui che è stato invitato non fa suo l’invito e non agisce come se la cosa venisse da lui stesso.
A volte, si agisce perché l’altro l’ha voluto, l’ha chiesto, lo ha imposto; si agisce per non deludere l’altro, per non arrecargli un dispiacere, o addirittura perché non si può fare altrimenti, perché se si potesse fare altrimenti, sicuramente si agirebbe diversamente.
Questo pensiero non è regola di comportamento nella chiesa di Dio. Nella comunità dei credenti in Cristo ognuno deve fare proprio l’invito o l’esortazione dell’altro, deve far sì che sia un pensiero e un desiderio che è sgorgato dal suo cuore e dalla sua mente, anche se esso è stato suscitato non per vie interiori, ma esteriori, per mezzo della parola di un collaboratore.
La spontaneità dice volontarietà, ma anche personalizzazione dell’opera. Questa è come se nascesse da lui, dipendesse totalmente da lui, fosse interamente messa nelle sue mani.
Nella spontaneità l’altro dona solo l’impulso iniziale. Poi scompare, è come se non esistesse più. L’opera è qualcosa di interamente nostro e tutta dipendente dalla nostra attività sia materiale che spirituale.
Si arriva a tanto se in noi c’è una grande fede, un grande amore, un desiderio di realizzare nel concreto quanto il Signore ci ha suggerito attraverso la voce storica di un suo ministro, o strumento di salvezza.
Molte delle nostre opere falliscono perché non sono fatte proprie; sono considerate come un qualcosa che non ci appartiene, qualcosa che ci è stato comandato, o suggerito, ma che non è entrato né nel nostro cuore, né nella nostra volontà, né nella nostra coscienza.
[18]Con lui abbiamo inviato pure il fratello che ha lode in tutte le Chiese a motivo del Vangelo;
Chi sia questo fratello lo ignoriamo. Non sappiamo a quale comunità appartenesse. Di lui conosciamo solo questa notizia che non ci permette in alcun modo di identificarlo, neanche attraverso la comparazione e il raffronto con altre Lettere di Paolo e soprattutto con gli Atti degli Apostoli che sono ricchi di notizie sulla vita della prima comunità.
Sappiamo però che quest’uomo gode di molta stima, è lodato nella comunità a motivo del Vangelo.
Si tratta pertanto di un missionario, di un evangelizzatore, di uno che compiva con Paolo, o sotto la sua vigilanza, la predicazione del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
Importante è sottolineare che sempre quando si tratta di compiere un’opera importante si scelgano sempre le persone al di fuori di ogni sospetto, persone limpide, di chiara fama, imparziali, libere, votate alla causa di Cristo Gesù. Questo è giusto che avvenga a motivo di quella chiarezza e visibilità che deve governare sempre l’agire della Chiesa sia delle piccole che delle grandi comunità.
È uno stile questo che dovremmo imitare, soprattutto per evitare voci, dicerie, chiacchiere, parole vane, sospetti, pettegolezzi e ogni altro genere di interferenze indebite in opere che riguardano tutta la comunità e non solo colui che la pensa o la porta a compimento.
Quando un uomo è palesemente di retta coscienza, palesemente un fedele servitore di Gesù Cristo, di lui la comunità si può fidare anche se impiegato per opere delicate, difficili, per le quali è richiesta la più grande onestà e la più scrupolosa attenzione.
[19]egli è stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest'opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l'impulso del nostro cuore.
Viene ora messo in evidenza che tutto quanto avviene nella chiesa, avviene solo per manifestare la gloria del Signore.
Tutto si deve fare per la gloria di Dio, tutto per compiere un suo comando di amore, tutto per obbedire alla sua divina volontà.
Dà veramente gloria al Signore vedere che l’amore che regna nella comunità e vi regna perché le opere sono buone.
Gesù lo ha detto: “Vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. I cristiani vedono il frutto della carità che viene prodotto nelle loro comunità e magnifichino il Padre dei cieli che ha suscitato una tale comunione effettiva, reale tra le diverse comunità.
Alla gloria del Signore Paolo aggiunge anche un altro scopo: egli vuole dimostrare al mondo intero qual è l’impulso che lo muove.
A volte il lavoro apostolico di Paolo era frainteso, capito male, interpretato male. Se questo avviene, potrebbe esserci una ricaduta negativa non sulla sua persona, ma sul suo ministero e sulla missione che lui porta avanti per il mondo.
Ne verrebbe a soffrire il Vangelo. Questo chiede che ogni operaio di Dio costantemente verifichi la sua condotta e la liberi anche da un più piccolo sospetto che potrebbe nascere da una interpretazione errata di quanto è stato da lui operato.
Questo specificato, è giusto che l’apostolo tragga un beneficio personale da quello che svolge, ma deve essere un beneficio a favore non della sua persona, bensì della sua missione, della sua opera apostolica.
Se l’opera apostolica è creduta, essa sicuramente potrà produrre abbondanti frutti di conversione e di salvezza eterna. Se invece non è creduta, di questi frutti non ne maturano. Manca la credibilità che deve sempre accompagnare il predicatore del Vangelo.
Quest’opera intrapresa da Paolo, da lui fortemente voluta, da lui affidata a dei collaboratori al di fuori di ogni sospetto, da lui anche chiarificata con ogni apporto di sana dottrina e di verità evangelica, manifesta l’assoluta gratuità, il disinteresse, rivela solo l’amore puro. Chi ama di un amore puro non può essere che da Dio, di lui ci si può fidare, la sua parola può essere ascoltata, il suo messaggio può essere messo in pratica.
Nasce dalla carità, come dalla carità del suo cuore è nata quest’opera. Del resto carità spirituale e carità materiale sono un unico atto di carità, un’unica mozione di carità, un unico gesto.
Il cuore che produce e genera di tali atti materiali di carità, può generarli e porli in atto perché in esso abita e regna l’altra carità, quella spirituale, per la quale Paolo non esita a sacrificare tutta intera la sua vita perché gli uomini possano entrare nel regno dei cieli.
La saggezza di Paolo è grande, grandissima la sua prudenza. Egli sa che è assai importante per un missionario del Vangelo rendersi credibile. In ogni occasione egli vuole rendersi credibile, non per la gloria della sua persona, bensì per la gloria di Dio e la diffusione nel mondo del Vangelo della salvezza.
[20]Con ciò intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata.
Il cuore dell’uomo è un baratro, nessuno mai lo potrà conoscere appieno. Di Gesù è detto nel Vangelo che lui non si confidava con nessuno, poiché sapeva ciò che c’è in ogni cuore.
Paolo partecipa della intelligenza e della sapienza dello Spirito Santo. Egli sa cosa c’è in ogni cuore, sa quanto è difficile conservarlo sempre puro, limpido; quanto è arduo mantenerlo nella verità di fede e di storia.
Molti potrebbero lasciarselo inquinare e dubitare dell’azione di Paolo e quindi biasimare il suo operato.
È proprio dell’intelligenza dello Spirito Santo operare con prudenza antecedente affinché nessuna voce di biasimo sorga nei nostri confronti.
Bisogna agire con tanta rettitudine di coscienza, con altrettanta libertà, mettendo in atto tutti quei suggerimenti di prudenza e di saggezza che liberano la nostra persona da un qualsiasi coinvolgimento posteriore, susseguente.
Sarebbe stato facile che qualcuno avesse potuto pensare male in un’opera così vasta dai frutti così abbondanti. Cosa fa Paolo? Mette ai posti chiave persone di chiara fame, al di là di ogni sospetto, persone stimate e lodate nella comunità, persone la cui onestà era a prova di fuoco.
Queste persone divengono suoi collaboratori, tant’è che l’intera opera è come se passasse nelle loro mani.
Questo consente a Paolo di rimanere libero da giudizi, pregiudizi, biasimi, critiche e ogni altro inopportuno intervento da parte dell’uomo. Così egli può continuare ad annunziare il Vangelo di Cristo Gesù, senza che alcuno possa pensare che in lui ci sia un qualche interesse terreno nella missione che svolge.
Egli opera solo per amore del Signore. Nessun personale vantaggio deriva a lui da tutto quello che fa. Sappiamo che rifiutava persino di lasciarsi sostenere e questo per essere libero dalla comunità nell’annunciare il Vangelo della salvezza. Questa è l’accortezza di Paolo per amore del Vangelo e questa la sua sapienza ed intelligenza sempre a causa del Vangelo.
Da lui dobbiamo imparare come si agisce per prudenza antecedente e come ci si comporta santamente in ogni opera da noi intrapresa. Tutto deve essere fatto alla luce del sole e tutto deve essere chiaro fin dall’inizio, prima che qualcuno possa parlare, prima che sorgano parole vane e necessità di difendersi, o di smentire quanto viene proferito ingiustamente.
[21]Ci preoccupiamo infatti di comportarci bene non soltanto davanti al Signore, ma anche davanti agli uomini.
È questa una preoccupazione necessaria, indispensabile. Il motivo è presto detto.
Comportarsi bene dinanzi a Dio significa vivere la sua santa legge, osservare ogni più piccola prescrizione, fare tutto nel timore del Signore, avendo sempre dinanzi ai nostri occhi Lui, il suo amore, ma anche il suo giudizio che emetterà su di noi un giorno.
Il cristiano però non vive in un luogo solitario, appartato. Lui non agisce solo dinanzi a Dio, agisce ed opera anche dinanzi agli uomini.
Ora gli uomini non vedono la coscienza, non leggono il cuore, non conoscono la nostra retta intenzione e neanche sanno le finalità proprie di un’opera da noi intrapresa.
Questa ignoranza unitamente alla cattiveria che c’è nei cuori, insieme ai pensieri malvagi che sovente dimorarono nelle menti esigono che quanto c’è dentro di puro e di santo, sia anche fuori.
Fuori la rettitudine si deve trasformare in prudenza e in saggezza, in accortezza, in lungimiranza, in libertà, in visibilità.
Quanto noi facciamo deve apparire santo, oltre che esserlo. Se lo è, ma non appare tale, l’altro avrà sempre di che mormorare, di che lamentarsi, di che criticare, di che biasimare sul nostro conto.
Noi non siamo persone private, siamo persone pubbliche e come tali dobbiamo pensare, come tali agire, come tali comportarci.
Su questo argomento Paolo è già intervenuto nella prima Lettera ai Corinzi quando ha detto che tutto è lecito, ma non tutto giova, tutto è buono, ma non tutto è fattibile.
Non a motivo della nostra coscienza, ma della coscienza di quanti sono vicino a noi, di quanti accanto a noi vivono.
È, questa, la ragione per cui bisogna essere irreprensibili sia davanti a Dio che davanti agli uomini. Ma per fare questo bisogna cambiare modo di concepirsi, di pensarsi. Bisogna iniziare a pensarsi persone pubbliche e non più private, persone osservate e giudicate e non persone che vivono in isolamento, nel deserto del tempo e della storia, persone che vengono scandagliate anche nei piccoli gesti della vita. Cambiare pensiero si può, ad una sola condizione: che nel nostro cuore ci sia un amore veramente grande per Cristo e per il Vangelo, un amore così intenso e forte che ci liberi da un qualsiasi altro amore, che ci renda così poveri in spirito da non desiderare veramente niente, che ci faccia collaboratori di Dio così perfetti da saper valutare ogni piccola e grande cosa che potrebbe intralciare il cammino della nostra missione nel mondo.
D’altronde nessuno si potrebbe comportare bene dinanzi a Dio se non si comportasse bene dinanzi agli uomini. È proprio della legge di Dio comportarsi bene dinanzi agli uomini perché gli uomini possano rendere gloria a lui che opera tutto in tutti.
Ma nessuno potrà mai comportarsi bene dinanzi agli uomini se non agisce e opera bene dinanzi a Dio. Senza poter piacere a Dio c’è solo ipocrisia e inganno.
[22]Con loro abbiamo inviato anche il nostro fratello, di cui abbiamo più volte sperimentato lo zelo in molte circostanze; egli è ora più zelante che mai per la grande fiducia che ha in voi.
Chi sia questo fratello non è detto. Di lui si dice che è stato sperimentato lo zelo in molte circostanze. Egli ha dato cioè prova di amore, di fedeltà, di rettitudine di intenzione, di coscienza retta nel suo agire nella comunità. Di lui tutti si possono fidare. È un uomo degno di stima e di fiducia.
Su questo abbiamo già trattato in precedenza e non è il caso che vi ritorniamo.
Ciò che invece merita di essere evidenziato è il secondo pensiero che viene affermato in questo versetto.
Questo fratello è pieno di zelo, lo zelo è stato sperimentato. È sufficiente questo zelo per portare avanti ogni opera? Si può aiutare, sostenere lo zelo di qualcuno?
Paolo dice in questo versetto che lo zelo di questo fratello è cresciuto, è aumentato. Il motivo? È certo che egli sarà aiutato dai Corinzi in questa opera.
Sapendo che può contare sicuramente sulla loro intraprendenza, egli è più zelante che mai, più volenteroso che mai, più impegnato che mai nella volontà e nel cuore.
La fiducia negli altri, che è poi certezza di opera e di cuore, fa aumentare il nostro impegno, accresce la nostra volontà, rafforza il nostro cuore, dona più grande impulso alla nostra anima, rende ricchi di verità e di bene i nostri pensieri. Tutto cambia in noi quando c’è la fiducia negli altri, quando si vedono gli altri di buona volontà e impegnati assieme a noi nell’opera da portare a compimento.
Quando invece si vede dinanzi a sé un deserto, la porta dei cuori chiusa, l’intelligenza ancorata al niente, il cuore fermo e pavido, lo spirito assopito e l’anima sonnecchiante, l’altro può contare solo sulle sue forze che a volte sono deboli e fragili. Anche se in lui c’è la buona volontà, questa immediatamente si raffredda a causa della scarsa collaborazione che gli altri ci offrono.
Questo deve insegnarci che la comunione nella verità e nella carità è cosa estremamente necessaria in una comunità. Il dono di uno può sostenere il dono dell’altro e insieme si possono fare veramente grandi cose. Quando invece subentra lo scoraggiamento, la mancanza di fiducia, l’assenza di fede negli altri, allora tutto rimane immobile e anche se c’è una qualche buona volontà da parte di questo o di quell’altro, a poco a poco tutto si spegne e tutto ritorna nella sua tranquillità di omissione e di peccato.
Trovare fiducia, ma anche accordare fiducia è sommamente necessario per il buon funzionamento di una comunità cristiana. Tutto è nella fiducia data e ricevuta. Di questo dobbiamo rendercene conto subito e in ogni momento dobbiamo operare di conseguenza.
Spesso però succede che non si ha fiducia in chi viene preposto per un’opera e lo stesso che è preposto non ha fiducia in coloro presso i quali è inviato. Se le cose dovessero rimanere così, sarebbe il completo fallimento.
Diviene pertanto obbligatorio per colui che è stato inviato rendersi uomo degno di fiducia. Costui a sua volta deve creare la fiducia nella comunità, fiducia non in se stesso, ma nella comunità, deve cioè rendere la comunità attenta all’opera da fare, impegnata in essa, cooperatrice e sostenitrice di quanto avviene in essa a gloria di Dio e a beneficio spirituale e materiale dei fratelli.
[23]Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo.
Paolo spiega ora quali sono le differenti relazioni che legano le comunità agli inviati presso i Corinzi per quest’opera buona, di vera, autentica carità cristiana.
Tito rende presente Paolo. È come se Paolo fosse lui personalmente presente in mezzo a loro.
Tito infatti è compagno di Paolo nella missione evangelica, ma anche suo stretto collaboratore, quindi a giusto titolo tiene il posto di Paolo a Corinto.
Paolo è assente, ma è come se fosse presente a motivo della presenza di Tito.
Gli altri fratelli, sono coloro di cui si è parlato nei versetti immediatamente precedenti la cui identità ignoriamo, sono delegati delle Chiese, sono i loro rappresentati.
Le Chiese sorelle della Macedonia hanno delegato queste persone. Queste agiscono per nome e per conto delle Chiese invianti. Non sono inviati di Paolo e quindi non agiscono per conto e nel nome di Paolo.
Sono anche questi fratelli gloria di Cristo. Ciò deve avere un solo significato. È gloria di Cristo colui che vive il suo Vangelo, si nutre della sua parola, rende testimonianza nelle parole e nelle opere della sua morte e della sua risurrezione.
Se si vuole leggere con attenzione questo versetto è giusto che si ponga in rilievo la grande prudenza, la saggezza e l’intelligenza, dono in Paolo dello Spirito Santo, attraverso cui egli fino alla fine fa in modo che nessuno possa biasimare il suo operato.
Quanti si recano a Corinto per la colletta non sono suoi rappresentanti solamente, sono rappresentanti suoi e delle Chiese. L’intera Chiesa ha voluto questa colletta, l’intera Chiesa la porta a compimento, l’intera Chiesa vigila su di essa e la conduce avanti con zelo. Se l’opera non è di uno solo, ma è di tutta la Chiesa è giusto che sempre e comunque appaia la Chiesa dietro l’opera e non solo Paolo, o qualcuno dei suoi collaboratori.
Anche su questo dovremmo fare sempre molta attenzione. Vi pone attenzione però solo colui nel quale dimora lo Spirito Santo con la potenza dei suoi doni.
Quanti non hanno lo Spirito di Dio non possono agire con una tale potenza di prudenza. Compiono l’opera ma in modo sprudente, si espongono ad ogni genere di biasimo.
È obbligo per ogni uomo di Dio evitare che su di lui si abbatta il biasimo dovuto a imprudenza, o al mancato esercizio di una qualche virtù, specie la virtù della carità, della fede, della speranza.
Su questo l’uomo di Dio deve costantemente verificarsi, pregare molto, perché la tentazione è sempre alle porte. Potrebbe esporsi a una qualche critica di biasimo e non di lode da parte del mondo e degli stessi cristiani.
Per questo Paolo vuole che si operi sempre correttamente dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.
[24]Date dunque a loro la prova del vostro affetto e della legittimità del nostro vanto per voi davanti a tutte le Chiese.
Paolo sa che i Corinzi sono fieri dell’affetto che portano per Paolo. Ora non c’è affetto vero, sincero, autentico, santo fuori dell’ascolto di quanto l’altro ci dice, ci ricorda, ci chiede di fare.
Quando uno ama l’altro, tra i due c’è una simpatia di ascolto reciproco. Nella nostra fede cristiana, il rapporto tra l’apostolo del Signore e ogni altro fedele in Cristo Gesù deve essere sempre un rapporto di obbedienza, non all’uomo, ma a colui che l’uomo rende presente, non alla parola dell’uomo, ma al Vangelo e alla verità che è nella parola dell’uomo di Dio.
Se i Corinzi veramente nutrono un affetto sincero per Paolo devono darsi da fare e compiere quest’opera come se fosse lo stesso Paolo presente in mezzo a loro a compierla.
Devono mettervi tutto il loro zelo, la loro perseveranza, il loro costante impegno, nulla devono lasciare, tutto devono fare perché l’opera sia portata a compimento.
Se loro non amano quest’opera, la compiono con superficialità, è il segno evidente che loro non hanno affetto per Paolo. Chi non ascolta e non ama il comando dell’apostolo, chi non lo vive secondo tutta l’intensità di pensiero, di volontà, di mente e di cuore, di anima e di spirito, costui ama poco, anzi ama per niente. Il suo affetto consiste solo in parole. Costui non ama, perché non ascolta.
C’è ancora un’altra relazione tra Paolo e i Corinzi che esige che l’opera venga fatta con l’impegno di tutta la loro vita.
Paolo è fiero dei Corinzi. Spesso li addita come una comunità esemplare, una comunità da imitare, una comunità dove c’è Cristo, il suo Vangelo, dove si opera secondo la verità di Dio, dove veramente si ama e si crede. Un vanto che non poggia su una solida realtà storica, è un vanto effimero, facilmente rinnegato dai fatti, dalle opere, dai comportamenti.
Chi vuole che il suo vanto sia vero deve impegnarsi con ogni mezzo a far sì che tra ciò che si dice di lui e i fatti da lui compiuti vi sia una perfetta corrispondenza.
Come dimostrare a tutte le Chiese di Dio presso le quali Paolo si è vantato dei Corinzi, se non quello di poter continuare a vantarsi?
E come si potrà vantare se non attraverso un segno tangibile di carità da loro offerto?
Qual è questo segno tangibile se non una partecipazione piena alla colletta in favore dei fratelli di Gerusalemme?
Loro daranno buona prova di amore verso i loro fratelli che versano in necessità e che sono nel bisogno, metteranno ogni impegno in quest’opera, collaboreranno come si conviene ai santi con Tito e gli altri inviati e allora Paolo potrà veramente vantarsi di loro presso tutte le Chiese; potrà dire che le sue parole non erano prive di fondamento, poiché la storia lo attesta, lo dimostra, lo conferma.
Dei Corinzi si potrà sempre vantare, perché mai sono venuti meno ad un impegno da lui suggerito, voluto, proposto.
Cosa ci insegna questa parola di Paolo? Una cosa sola: quando si propone un’opera santa bisogna fare appello a tutte le risorse non solo di cielo, ma anche di terra, per convincere gli altri a partecipare secondo verità e bontà, secondo impegno e partecipazione.
Sfruttare i rapporti umani, nella santità e nella verità, per promuovere il bene non è peccato, anzi è obbligo di giustizia presso il Signore.
In fondo il ragionamento di Paolo prima si è fondato sulla fede, sulle conseguenze della fede, sul mistero stesso di Cristo. Sono queste le risorse del cielo, risorse di fede, di carità, di speranza, risorse anche di teologia, che è in sé anche deduzione, argomentazione, conclusioni secondo i principi posti.
A questo bisogna sempre aggiungere le risorse della terra, se ce ne sono. Qui occorre tutto l’acume umano, che è, negli uomini di Dio, saggezza ed intelligenza dello Spirito Santo. Solo così potranno servirsi di ogni cosa perché si possa realizzare il bene secondo la forma del bene.
A volte non basta il semplice comando, e neanche fare appello alla verità del cielo, anche le verità della terra possono contribuire a che un desiderio buono sia portato a compimento, un’opera realizzata, una missione eseguita con santità, una relazione sia vissuta con più intensità di verità e di amore.
Perché queste risorse della terra vengano usate secondo le regole della giustizia, secondo il volere del Signore, esse devono mirare solo al bene secondo Dio.
Se è un bene non secondo Dio, allora mai si potrà fare ricorso ad esse. In questo caso si tratterebbe di fondare una ingiustizia nel nome dell’amicizia o delle relazioni di Vangelo che intercorrono tra noi e gli altri. La preghiera ci verrà sempre in aiuto, la buona volontà ci guiderà, ma soprattutto ci occorre la retta coscienza, che detta l’azione in tutto conforme alla volontà santissima del nostro Dio.
È sempre bello però potersi servire di ogni ritrovato dell’intelligenza e della sapienza al fine di portare a compimento, nella verità e nella carità, le opere del Signore.
Che lo Spirito Santo ci sia sempre da Maestro e da Guida come lo fu per Paolo e per tutti gli altri uomini di Dio che si sono lasciati muovere da Lui. La storia ha bisogno di questa mozione e di questa guida.
La storia è cambiata, trasformata da uomini che si lasciano muovere e guidare dalla sapienza eterna, divina, soprannaturale dello Spirito di Dio.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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