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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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14/02/2012 21:58
 
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SIATE GENEROSI

[7]E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa.
La comunità di Corinto vive una vita di fede che possiamo definire buona, eccellente. C’è una esemplarità che esce dai confini della città e si riversa nel mondo circostante. Paolo ci segnala alcune peculiarità della vita cristiana dei Corinzi. Essi hanno una vita che è fondata sulla parola, sulla fede, sulla scienza, sullo zelo, sulla carità.
Possiamo dire che è questa l’essenza del Vangelo. Questa vita evangelica è stata però insegnata loro da Paolo. Cosa allora manca ancora ai Corinzi? Da un punto di vista di formazione possiamo dire che sono completi. Tuttavia il cristianesimo è imitazione della perfezione divina. Tra ciò che si fa e ciò che siamo chiamati a fare c’è sempre un divario assai grande, quasi infinito.
Nasce perciò la necessità di avere nel cuore sempre questa verità: la nostra vocazione è una chiamata a trascenderci, ad andare sempre oltre, ogni giorno oltre, e questo sino alla fine dei nostri giorni.
Purtroppo sovente questo non avviene, si arresta la crescita, non solo si ritorna indietro, si smette anche di essere cristiani che vivono correttamente una vita nella fede, nella Parola, nella scienza, in ogni zelo, nella carità.
Queste virtù o si alimentano attraverso una nostra costante crescita, o a poco a poco ci dimentichiamo di esse e si ritorna nel nostro vecchio mondo. La crescita è essenziale, necessaria; essa deve essere sempre verificata, analizzata.
Sulla nostra crescita è giusto che quotidianamente ci interroghiamo, anche attraverso il quotidiano esame di coscienza. Chi non solo vuole crescere, ma ogni giorno si impegna a crescere, costui sicuramente raggiungerà una perfezione adeguata, potrà anche raggiungere la perfezione della santità cristiana.
Infatti Paolo li esorta ad aggiungere al loro cammino spirituale, già buono, esemplare, anche questo.
Devono portare anche loro a compimento la colletta in favore della chiesa di Gerusalemme, ma devono compierla non alla leggera, alla buona, donando quel poco solo per dire di aver partecipato.
Paolo vuole che in quest’opera essi si distinguano e la distinzione avviene solo nell’abbondanza dei frutti, in una partecipazione sentita, in una collaborazione vera, dove ognuno si impegna secondo tutte le sue possibilità e se necessario anche oltre le proprie possibilità.
Abbiamo già detto che quest’opera è secondo la volontà di Dio, esprime la carità di Cristo Gesù, è mossa nei cuori dallo Spirito Santo, quindi deve essere fatta tutta secondo la legge dell’amore di Dio e di Cristo. Deve essere fatta mettendo in atto ogni intelligenza perché si possa raggiungere un risultato esemplare, degno di lode da parte di Dio, ma anche da parte degli uomini.
San Paolo non chiede che si impegnino in quest’opera, chiede che si distinguano. Ma per distinguersi occorre fare quanto gli altri, anzi più degli altri. Occorre che il frutto sia veramente abbondante, ricco, carico, anzi stracarico.
[8]Non dico questo per farvene un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri.
In questo versetto Paolo mostra tutto il suo amore per la verità, manifesta anche la sapienza e la scienza dello Spirito Santo che lo muovono e lo spingono a dare le giuste motivazioni.
Non c’è cosa più bella nelle relazioni con i fratelli nella fede che dare le motivazioni giuste del perché si faccia una cosa, si deve fare, si chiede di farla. La prima verità che Paolo manifesta è assai semplice: nella carità non c’è comando e così nell’elemosina, o nella partecipazione ad una colletta. Non c’è comando perché l’elemosina è una richiesta, è un bussare al cuore di un altro, è un chiedere ciò che l’altro non deve secondo le più strette regole della giustizia, che stabiliscono le relazioni che governano i rapporti umani.
Se è un’opera di carità, essa deve essere solamente proposta, non imposta, non comandata. Anche se non si comanda, ma solamente si propone, è giusto che si indichino i motivi di una tale proposta, perché saranno questi a suscitare nel cuore un interessamento più grande e di conseguenza un frutto più copioso.
Molte volte assistiamo a delle richieste, ma senza motivazioni. Sono richieste che falliscono già in partenza. Ogni uomo deve essere messo in condizione di svegliare la sua coscienza, di riattivare il suo cuore, di agitare i suoi sentimenti, di muovere il suo spirito, di far risuscitare la sua anima, che a volte potrebbe anche essere assopita, dormiente.
Tutto questo avviene con delle buone motivazioni, con dei principi di fede, di carità e di speranza che vengono addotti nel momento in cui si chiede qualcosa di necessario agli altri a beneficio di qualche nostro fratello nella fede, oppure a favore di un’azione comune che bisogna svolgere perché lo richiede la vita della comunità cristiana.
La traduzione semplice del pensiero di Paolo è questo. Voi Corinzi dite di essere dei buoni cristiani, di comportarvi sempre secondo la verità del Vangelo, di amare Cristo Gesù, di servire gli altri, di avere una vita moralmente ineccepibile, esemplare nella fede, nella carità, nello zelo.
Adesso quest’opera sarà per voi il vero banco di prova. Se siete veri cristiani lo dimostrerete attraverso la partecipazione a quest’opera. Se i frutti saranno buoni, copiosi, la vostra realtà cristiana è ben fondata, ben solida, ben strutturata, compaginata.
Se invece i frutti saranno assai scarsi, vuol dire che tutto quello che si dice di voi è solo apparenza.
Voi dite di essere sinceri nell’amore, è ora il momento di manifestare la vostra premura verso gli altri, se veramente amate gli altri è ora il tempo di renderlo palese, non attraverso delle parole, bensì con un’opera di carità.
La carità verso gli altri è la prova della fede e della speranza, è la manifestazione della verità delle nostre parole, dei nostri sentimenti, dei nostri desideri.
La carità verso i poveri ci rivela se il nostro andare dietro Cristo Gesù è vero, oppure semplicemente falso; ci segnala qual è il grado di imitazione di Cristo che abbiamo raggiunto andando dietro di Lui e seguendolo nel suo dono unico d’amore al mondo intero.
[9]Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
È veramente mossa dallo Spirito questa esortazione di Paolo. Non si tratta più ora di prova della fede, bensì di esame vero e proprio sulla consistenza del loro cristianesimo. Attraverso quest’opera di carità Paolo saprà chi veramente cammina dietro Cristo per imitarlo, e chi invece va dietro di Lui solo per qualche interesse umano.
Il cristianesimo non è la pratica di una dottrina, l’incarnazione di una verità, non è neanche una morale più o meno eccellente, alta, unica al mondo.
Il cristianesimo è prima di ogni altra cosa sequela di Cristo nell’imitazione di Lui. Chi vuole essere cristiano non solo deve camminare dietro Cristo, deve anche imitarlo, poiché è nell’imitazione di Lui che si raggiunge la perfezione morale, si raggiunge la pienezza nella fede, nella speranza, nella carità.
Chi è Cristo? Dalla definizione che Paolo di volta in volta ci offre del Signore Gesù, noi comprendiamo la nostra vocazione, sappiamo quale direzione dobbiamo dare alla nostra vita.
Se Cristo è il Crocifisso, seguire lui vuol dire incamminarsi verso la via della croce, significa operare una obbedienza a Dio che è ascolto totale della sua parola fino alla morte e alla morte di croce. Significa vincere ogni invidia, superbia, vanagloria, ricerca di sé. Tutta la nostra vita deve essere consegnata al compimento della volontà di Dio secondo la mozione particolare dello Spirito Santo.
Cristo Gesù è ora presentato come l’uomo ricco. Anzi, più che ricco, egli era Dio, abitava nella gloria del Cielo, era nel seno del Padre, era tutto avvolto di gloria divina, perché gloria divina è la sua essenza.
Cosa fece Cristo? Si spogliò di tutto questo, lo abbandonò e fece questo per arricchire noi tutti con la sua povertà.
Apparentemente sembra un controsenso essere ricchi, farsi poveri, arricchire gli altri con la povertà ottenuta dallo spogliamento di sé.
Cristo avrebbe potuto aiutarci solo spogliandosi della sua gloria, della sua ricchezza celeste, solo scendendo sulla terra, facendosi in tutto simili a noi, tranne che nel peccato e raggiungendo il sommo di questo impoverimento sull’albero della croce, dove appese anche il suo cuore come ultimo segno, definitiva prova del suo amore per noi che arriva anche a morire.
È in questa estrema povertà la nostra ricchezza. L’obbedienza che lo conduce ad annientarsi sulla croce produce un frutto di vita eterna che è la nostra salvezza e quindi il nostro arricchimento.
Siamo ricchi di Dio, di grazia, di verità, proprio per questo atto di Cristo, che poi è tutta intera la sua vita, portata all’estrema delle povertà, alla povertà in cui niente più di questa terra gli appartiene, neanche il suo corpo. È questa la via attraverso la quale è possibile recare nel mondo la salvezza e la pace, la gioia e la libertà, l’amore, la fede, la speranza, il tutto per ogni uomo.
Portando questo esempio di Cristo, secondo questa specifica via o forma del suo essere – l’annichilimento, l’abbassamento, l’innalzamento sulla croce dove è la sua più estrema povertà, ma anche il sommo della ricchezza che si riversa su di noi – Paolo ci dice che un buon cristiano, per essere veramente un imitatore di Cristo, deve anche lui spogliarsi di sé, delle sue cose, come Cristo deve mettere tutto se stesso a servizio dell’amore. Sarà da questo svuotamento di sé, dal raggiungimento della più grande povertà per lui che nasce la ricchezza nel mondo, nasce la carità verso i fratelli.
La povertà è la ricchezza del mondo; è la nostra povertà la ricchezza dei fratelli, non la povertà in sé. La nostra povertà si raggiunge attraverso un atto della volontà, una decisione del nostro spirito, una mozione del cuore e un desiderio dell’anima, la quale veramente desidera arricchire gli altri e per questo si spoglia di se stessa.
Questa povertà sublime, totale, piena, povertà alla quale niente manca, il cristiano la raggiunge nel martirio, quando dona la sua vita a Cristo per testimoniare che lui è il solo Signore del cielo e della terra e che ogni vita è sua e di nessun altro.
Quando si arriva a questa sublime povertà, il mondo diventa ricco, perché tutta la grazia del cielo si riversa sulla terra e la rende ricca di Dio. È Dio la ricchezza dell’uomo, l’unica ricchezza della creatura.
I Corinzi sono chiamati a imitare Cristo, quindi a spogliarsi di sé, sono invitati alla rinunzia, all’abnegazione, ad un amore che non conosce limiti, ad una carità che si concretizza con il dono di tutto se stessi.
Paolo li chiama a farsi poveri loro per arricchire i poveri di Gerusalemme. Quelli di Gerusalemme sono poveri per circostanza, quelli di Corinto devono divenire poveri per volontà. Facendosi loro poveri per volontà, aiutano anche i cristiani di Gerusalemme a scegliere la povertà di Cristo, avendo a disposizione di che vivere.
Anche loro sono messi nella condizione di rinunziare volontariamente a qualche cosa, perché qualche altro fratello bisognoso possa usufruire della loro ricchezza che è sempre un frutto della più grande povertà.
[10]E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dall'anno passato siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma a desiderarla.
Paolo ricorda ora ai Corinzi che la loro partecipazione a quest’opera non è stata per nulla un’imposizione dall’esterno.
Non appena hanno sentito delle necessità e delle ristrettezze in cui versava la comunità di Gerusalemme, essi stessi non solo hanno intrapreso quest’opera, ma sono stati essi stessi a desiderarla.
Loro stessi hanno desiderato che quest’opera fosse intrapresa, divenendo così i primi promotori. Quasi quasi sono loro gli autori di quest’opera, sono loro i primi promotori e quindi è più che giusto che le diano nuovo slancio, nuova forza, più forte vigore, più incisività operativa.
Inoltre e prima di tutto, c’è un vantaggio non indifferente. Ne va di mezzo la credibilità stessa dei Corinzi. Se loro hanno intrapreso quest’opera, loro l’hanno desiderata, perché poi l’hanno fatta cadere?
Forse si sono pentiti, forse non vi credono più, forse si sono stancati? Oppure ritengono che non valga proprio la pena di portarla a compimento, a causa delle difficoltà cui devono sottoporsi al fine di fare un qualcosa di buono e di santo?
Qual è allora il vantaggio di quest’opera? È prima di tutto la credibilità del loro essere seguaci di Cristo di fronte alle altre comunità; è l’esemplarità che sempre dobbiamo dare anche gli altri perché si sentano sorretti, aiutati, spronati da noi.
Se i Corinzi che in qualche modo l’hanno ideata, pensata, voluta e desiderata non la portano a compimento, quale esempio si dona agli altri fratelli nella fede? Non li si invita indirettamente a non farla, a desistere, ad abbandonarla, a non preoccuparsi della sua riuscita?
Il buon esempio trascina più di mille parole, è così il cattivo esempio arriva dove non arrivano mille parole. Paolo vuole che i Corinzi si convincano di questo e si mettano subito all’opera. Tutte le comunità cristiane dal loro buon esempio ne avrebbero tratto uno sprone e uno zelo capace di infiammare i loro cuori e di dare nuovo slancio alla loro intenzione.
[11]Ora dunque realizzatela, perché come vi fu la prontezza del volere, così anche vi sia il compimento, secondo i vostri mezzi.
Una volta che un’opera è stata desiderata, ad essa si è dato inizio, è anche giusto che venga portata a compimento.
È dovere di chi guida e governa le comunità cristiane vigilare perché non si venga meno nell’opera intrapresa.
Paolo esorta i Corinzi a realizzare la colletta in favore della chiesa di Gerusalemme. Devono portare a compimento quest’opera di carità. Lui è apostolo del Signore per ricordare come si vive il Vangelo; per spronare a vivere il Vangelo; per incitare, quando si accorge che c’è come una specie di rallentamento.
Ai Corinzi dona una regola che vale non solo per loro, ma per ogni altra comunità e per ogni opera che si intraprende. Questa regola è assai semplice.
Le opere di Dio devono essere fatte con prontezza, subito, non si può attendere, specie quando si tratta della vita fisica degli altri.
La prontezza deve essere unica: nel volere e nella realizzazione. Come i Corinzi sono stati pronti nel desiderare l’opera e nel dare loro inizio, così devono essere pronti nel portarla a compimento, a darle rapida realizzazione.
Perché bisogna avere prontezza nelle cose di Dio? La ragione è una sola: il bene non può essere rimandato a domani, il bene bisogna farlo subito, immediatamente, quando è il tempo di farlo, quando i tempi sono maturi per farlo.
Se il bene si rimanda, un grande danno ricade sulla comunità del Signore e questo è un grave peccato di omissione.
Tuttavia a questa regola Paolo ne aggiunge un’altra: bisogna attenersi ai propri mezzi, non oltre i propri mezzi. Anche questa è saggezza, perché è volontà di Dio che si faccia il bene che egli ha posto nelle nostre mani e non un bene più grande o più piccolo.
Su questa regola spesso non ci siamo. Non abbiamo la misura dei nostri limiti, né la conoscenza dei nostri mezzi. A volte ci immettiamo in delle cose che neanche il Signore vuole, le facciamo secondo lo spirito del mondo, non secondo lo Spirito di Dio e di Cristo Gesù.
A questo dovremmo porre molta attenzione. Presso il Signore non è la quantità che conta, è invece la generosità del nostro cuore, è la prontezza dell’opera, è la buona volontà, è il considerare ogni cosa secondo la volontà di Dio e non secondo la nostra o quella dei nostri fratelli nella fede.
[12]Se infatti c'è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che non possiede.
Viene specificato il pensiero appena accennato e cioè la raccomandazione di Paolo che si operi secondo i propri mezzi e non si vada al di là di ciò che uno può fare effettivamente.
Dio quando giudica un’opera, lo fa osservando la volontà che vi viene posta in essa.
Se la volontà è buona, se il cuore ci assiste e ci guida, se la mente ci offre l’intelligenza e la saggezza per operare secondo la retta regola di ogni azione che si compie, il Signore da parte sua mette la sua benedizione e tutto riesce a Lui gradito.
La buona volontà non è però assoluta, cioè indipendente dalla condizione storica nella quale uno si trova.
Se la nostra condizione è quella di essere poveri, come poveri dobbiamo agire, come poveri operare, ma soprattutto come poveri cooperare all’altrui povertà.
Non ci si può chiudere nella propria povertà. Anche nella povertà bisogna aprire il cuore ai fratelli. È stato sempre questo l’insegnamento della Scrittura.
Leggiamo nel libro di Tobia (4,5-11) : “Ogni giorno, o figlio, ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandi. Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell'ingiustizia. Se agirai con rettitudine, riusciranno le tue azioni, come quelle di chiunque pratichi la giustizia. Dei tuoi beni fà elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio.
La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, dá  molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l'elemosina libera dalla morte e salva dall'andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l'elemosina è un dono prezioso davanti all'Altissimo”.
La coscienza però deve stare nella pace e la regola della pace la dona la reale possibilità e non il desiderio dell’uomo, che potrebbe anche lasciarsi prendere da megalomania, da superbia, da vanagloria e da ogni altro pensiero non secondo Dio, che potrebbe farci da tentazione e quindi turbare la pace nostra e dei fratelli.
C’è pertanto una misura anche nel fare il bene. Dio vuole che noi vi mettiamo tutta la nostra buona volontà, vi partecipiamo con cuore, che valutiamo ogni reale possibilità. Poi il resto lo si affida al Signore e alla sua provvidenza che tutto può, al di là dei nostri mezzi e delle nostre reali possibilità.
Quando un’opera viene così compiuta, il Signore la gradisce, la benedice, la centuplica, la moltiplica, aggiunge Lui ciò che manca a quello che noi abbiamo potuto fare. È questa la regola santa da osservare sempre. Questa regola bisogna anche insegnare, perché nessun cuore entri in turbamento per quello che realmente non ha potuto fare.
Come si può constatare la Scrittura nasce veramente dalla saggezza di Dio e dalla sua eterna intelligenza. Essa dona norme e regole che danno pace. Non così avviene con le regole e le disposizioni degli uomini, che spesso turbano i cuori, le menti, perché portano l’uomo a fare l’impossibile e a realizzare l’irrealizzabile.
Che il Signore ci guardi da tanta stoltezza, ma anche che ci dia sempre la buona volontà nel fare tutto ciò che è secondo i nostri mezzi.
Spesso infatti ci chiudiamo nella nostra povertà a causa di una volontà non buona. Tutto ciò che potremmo fare non lo facciamo. Questo è peccato. E quando c’è il peccato, non è mai una questione di mezzi, è sempre questione di buona volontà.
[13]Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza.
Paolo esce qui dalla regola della carità, che vuole che si concorra con i propri beni, anche se pochi, venendo in aiuto e in sostegno di quelli che versano in gravi difficoltà ed annunzia un’altra regola che è quella della giustizia.
Quando si esce dalla carità e si entra nella giustizia, allora non c’è più la buona volontà che regola e determina l’opera, c’è una regola molto più oggettiva che è quella del dare e dell’avere.
Uno ha ricevuto? Poiché ha ricevuto deve dare. Deve dare secondo quello che l’altro gli ha dato e glielo deve dare perché l’altro gli ha prestato un servizio ben preciso.
A volte bisogna anche uscire dalla legge della carità, che è un dono spontaneo, del cuore che uno fa all’altro, liberamente, senza alcun obbligo né morale, né spirituale, né fisico o altro.
Bisogna entrare nella legge della giustizia che è a fondamento di tutte le azioni degli uomini.
Il discorso di Paolo diviene così assai semplice. Quando uno ordina un lavoro, o una qualsiasi altra opera ad un altro, egli è obbligato secondo giustizia ad una retribuzione, a dare il dovuto.
Quando c’è una giustizia da compiere, uno non guarda se è povero o se è ricco, guarda che c’è un obbligo che bisogna soddisfare e non si è giusti finché non è stata data soddisfazione.
La povertà viene messa da parte, si trova ciò che serve, si dona ciò che è giusto, si escogitano mille forme per entrare in possesso di quello che ci occorre, anche attraverso un lavoro supplementare, un impegno più duraturo in certe mansioni che esercitiamo.
Questa è la legge degli uomini. Paolo vuole che questa regola di giustizia, questo fare uguaglianza domanda che non si guardi l’opera della colletta solo come un dono libero, ma la si guardi come un obbligo di giustizia, cioè vuole che la si veda come una soddisfazione verso un debito contratto nei riguardi della comunità di Gerusalemme.
Questo non si può comprendere se non si parte dalla comunione reale che regna nella comunità. Quando parliamo di comunione reale intendiamo la messa in comune di tutti i beni, sia spirituali che materiali.
La chiesa di Gerusalemme ha dato ai Corinzi i beni spirituali, la verità e la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, è ben giusto che la comunità dei Corinzi doni alla chiesa di Gerusalemme quanto può perché sopravviva in un momento di così grave carestia.
[14]Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:
L’abbondanza e l’indigenza non sono per la stessa materia, cioè per i beni di questo mondo, nel senso che un giorno erano ricchi quelli di Gerusalemme e hanno contribuito a rendere meno penosa la povertà dei Corinzi. Mentre oggi sarebbero i Corinzi nell’abbondanza e avrebbero questo obbligo di giustizia in favore dei poveri di Gerusalemme.
L’abbondanza e l’indigenza sono su due piani differenti, si tratta di abbondanza spirituale e di indigenza materiale.
La chiesa di Gerusalemme è sempre nell’abbondanza spirituale e questa abbondanza viene riversata sull’indigenza spirituale che accompagna la comunità di Corinto.
La comunità di Corinto invece è nell’abbondanza dei beni materiali e deve sempre sostenere l’indigenza materiale in cui sono venuti a trovarsi i fratelli di Gerusalemme.
È questa l’uguaglianza che Paolo chiede ed è secondo questa uguaglianza che bisogna agire. Fare uguaglianza non è opera di carità, è opera di giustizia, dovere verso coloro che ci hanno arricchiti.
Così i Corinzi ricevono ogni giorno dei beni spirituali da parte di quelli di Gerusalemme e quelli di Gerusalemme ricevono dei beni materiali.
Questo principio di fede deve andare al di là della situazione storica del tempo di Paolo. Esso è legge perenne nella chiesa di Dio.
Questo principio di fede vuole infatti che colui che riceve dei beni materiali per sostentarsi, offra al suo benefattore dei beni spirituali. Egli è obbligato in coscienza a pregare, a presentare dinanzi a Dio le loro necessità di ogni genere, è suo obbligo di giustizia dar loro la verità e la grazia di Cristo assieme ad ogni altro bene spirituale di cui l’altro ha bisogno e che lui può elargire.
Qui entriamo nella specificità del dono materiale e spirituale e questa legge della specificità Paolo l’ha già annunziata: secondo i propri mezzi nella buona volontà.
Altro è il bene spirituale che può dare un sacerdote, altro quello di un semplice fedele laico, ma tutti e due sono obbligati in coscienza a dare secondo i propri mezzi e con buona volontà. Altro il bene che può dare una persona in buona salute e altro quello di una persona che è fisicamente ammalata.
Il bene non è lo stesso, la regola invece è unica: secondo i propri mezzi nella buona volontà.
[15]Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno.
Questo versetto è invece la regola che vigeva nella raccolta della manna e qui entriamo in tutt’altra argomentazione.
La regola che governava la raccolta della manna è in Esodo (c. 16), la riportiamo perché è ben giusto che vi riflettiamo un poco (vv 4.-31):
“Allora il Signore disse a Mosè: Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni altro giorno”.
“Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: Questa sera saprete che il Signore vi ha fatti uscire dal paese d'Egitto; domani mattina vedrete la Gloria del Signore; poiché egli ha inteso le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi? Mosè disse: Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni, con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore”.
“Mosè disse ad Aronne: Dá questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni! Ora mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco la Gloria del Signore apparve nella nube”.
“Il Signore disse a Mosè: Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio. Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono l'accampamento; al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all'accampamento. Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra”.
“Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: Man hu: che cos'è?, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: E` il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa comanda il Signore: Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda. Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto chi poco. Si misurò con l'omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne”.
Poi Mosè disse loro: Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino. Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva. Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi della comunità vennero ad informare Mosè”.
“E disse loro: È appunto ciò che ha detto il Signore: Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina. Essi lo misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi. Disse Mosè: Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non lo troverete nella campagna. Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà”.
“Nel settimo giorno alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, ma non ne trovarono. Disse allora il Signore a Mosè: Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? Vedete che il Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dá  al sesto giorno il pane per due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo dove si trova. Il popolo dunque riposò nel settimo giorno. La casa d'Israele la chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di una focaccia con miele”.
Secondo questa legge tutto sulla terra è un dono di Dio ed è per tutti gli uomini, singolarmente presi, uno per uno.
I beni piovono dal cielo. Sono cioè un dono dell’amore di Dio. Finché ci sarà un solo uomo sulla terra, Dio farà sempre piovere questi doni d’amore dal cielo per il suo sostentamento.
Lo dice anche Gesù nel Vangelo: “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù”.
Ognuno però deve andare a raccogliere la manna, deve cioè mettere la sua buona volontà, il suo lavoro, il sudore della sua fronte.
Dio dona, l’uomo raccoglie; Dio dona per tutti, tutti devono poter raccogliere, a tutti deve essere data la possibilità di poter raccogliere, ognuno deve essere messo in questa possibilità.
Altra specificità è questa: ognuno raccoglie, alla fine ciò che gli resta è la misura stabilita, cioè quanto basta per un giorno, poiché l’altro giorno, eccetto il sabato, deve essere giorno di raccolta.
Che abbia raccolto poco o assai, la misura è ciò che gli necessita per vivere, secondo quanto Dio ha stabilito.
Se avessimo un po’ più di fede, potremmo osservare come questa legge di Dio governa perennemente l’azione degli uomini.
Ci sono coloro che si affannano e poi alla fine hanno solo quel poco che serve loro per vivere. Ci sono coloro che sembrano essere avvolti dalla più nera delle ristrettezze eppure ogni giorno hanno da vivere, tanto che possono e sono invitati a mettere ogni buona volontà per rendersi utili ai fratelli attraverso l’opera di carità e anche di giustizia.
Infine altra osservazione che nasce dalla legge sulla manna: è giusto che se uno un giorno ha raccolto di più, dia questo di più a colui che in quel giorno ha raccolto di meno.
È questa l’uguaglianza che Paolo intende che venga vissuta nella Chiesa tra i cristiani. Per fare questo occorre però una fede forte, robusta, sana, senza cedimenti.
Solo per fede e solo nella fede si può vivere questo insegnamento. È questo il principio che conduce alla povertà in spirito, ma è anche il principio che si può vivere solo partendo da un cuore povero in spirito.
Al di sopra di tutti però regna il Signore, il quale è lì per fare uguaglianza sempre; se una sera sembra che lui non l’abbia fatta, dobbiamo essere certi che è solo una nostra illusione.
Forti di questo principio di fede, è giusto che noi stessi ogni sera facciamo uguaglianza, poniamo la nostra vita totalmente nelle mani di Dio, prepariamo il nostro cuore affinché domani, alzandosi, vada con buona volontà a procurarsi il cibo che il Signore la notte ha fatto piovere dal cielo, non solo per noi, ma per tutti i nostri fratelli.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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