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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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14/02/2012 21:57
 
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CAPITOLO OTTAVO


COLLETTA PER I POVERI DI GERUSALEMME

[1]Vogliamo poi farvi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia:
Per Paolo tutto è grazia di Dio e tutto nasce dalla grazia di Dio. Il capitolo precedente è stato chiuso con una affermazione: egli può contare totalmente sulla comunità di Corinto. Può contare, si è detto, non per motivi personali, ma per la causa del Vangelo, per la verità di esso, per la testimonianza che bisogna sempre rendere a Cristo che ci ha salvati e redenti nel sangue della sua croce.
Uno dei principi forti che deve regolare la vita della Chiesa è l’esemplarità. Questa, se saggiamente usata, può produrre frutti insperati, può veramente dare un volto nuovo alle altre comunità.
L’esemplarità non è una cosa secondaria, è essenziale nella vita delle diverse comunità. Bisogna sempre gareggiare nel bene e come si gareggia se non conoscendo ciò che gli altri hanno fatto con il desiderio e la volontà di superarli, imitandoli?
Far conoscere il bene che nelle comunità si fa è anche un obbligo per l’apostolo del Signore. Anche questo è modo di predicare il Vangelo, forma concreta di annunziare la buona novella.
Questa la si può annunziare direttamente, predicando la Parola di Cristo Gesù, e indirettamente, presentando i frutti che essa ha generato e prodotto nelle diverse comunità, nei cuori e nelle opere dei credenti in Cristo Gesù.
Nel presentare il bene, bisogna sempre ricordarsi che esso è grazia di Dio, opera in noi dello Spirito Santo. Noi siamo solo il campo di Dio, tutto il resto, compresa la nostra buona volontà, è il Signore che la suscita ed è anche Lui che la porta a compimento.
È il mistero del bene che si compie nel mondo. Tutto nell’uomo è da Dio. Confessare l’origine soprannaturale del bene che si compie in noi è rendere gloria a Dio, è proclamare la sua misericordia e la sua bontà, è dire al mondo intero la potenza creatrice, salvatrice, santificatrice, ricca di frutti del Signore nostro Dio.
L’uomo deve accogliere la grazia di Dio come il terreno accoglie il seme, ma anche il terreno è preparato per il seme dall’agricoltore. È l’agricoltore che prepara il terreno, è lui che vi mette il seme, è sempre lui che lo custodisce e lo coltiva, è lui che lo raccoglie ed è sempre lui che lo distribuisce secondo la sua volontà.
Come la terra si lascia lavorare dall’agricoltore senza opporre nessuna resistenza così l’uomo deve lasciarsi lavorare da Dio, deve essere uno strumento plasmabile nelle sue mani. Solo così nel suo cuore, nella sua mente, nelle sue mani si possono raccogliere frutti di vita eterna per sé e per gli altri.
In questo versetto le comunità della Macedonia vengono dette da Paolo chiese. Sono chiese, comunità, dell’unica comunità di Dio, che è il corpo di Cristo.
Per un prodigio particolare dell’onnipotenza divina, in ogni singola chiesa, o comunità, vive tutta intera la Chiesa di Dio, perché vive tutto intero il corpo di Cristo.
Il corpo di Cristo è uno, indivisibile. Eppure esso vive in tutte le ostie consacrate di questo mondo. Ma vive sempre come l’unico corpo di Gesù. Si moltiplica il pane, ma non il corpo; così si moltiplicano nel mondo le comunità ecclesiali, ma non la Chiesa, che è una ed indivisa.
Anche questo è il mistero che avvolge la Chiesa, come l’altro mistero che avvolge l’Eucaristia.
Come fa ogni uomo a mangiare il corpo di Cristo ed il corpo di Cristo ad essere sempre uno e lo stesso in ogni ostia consacrata di questo mondo?
Si spezza il pane ma non il corpo, si spezzano le comunità ma non la Chiesa; si moltiplicano le comunità, ma non si moltiplica la Chiesa, come si moltiplicano le ostie consacrate, ma non si moltiplica il corpo di Cristo Signore.
Un solo Corpo di Cristo, una sola comunità che vive grazie al pane del corpo di Cristo in tutte le comunità formate attorno all’apostolo del Signore e a quanti sono presbiteri in comunione d’amore e di obbedienza gerarchica con lui nell’unica fede, nell’unica carità, nell’unica e sola speranza.
[2]nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità.
Quelle della Macedonia sono comunità, sono chiese che non hanno paura di dare al Signore.
Sono piene d’amore, di fede e di speranza. Il loro cuore è ricco. Secondo la ricchezza del cuore ognuno mette a disposizione delle altre chiese, o comunità, quanto realmente può dare.
Queste comunità sono afflitte da lunghe prove, da lunghe tribolazioni. Sono quelle persecuzioni che all’inizio accompagnavano sempre i seguaci di Cristo Gesù.
Vivono anche in una povertà materiale, che qui viene definita estrema. Non hanno mezzi economici. Sono realmente poveri.
Però il cuore è ricco di gioia. La gioia, si sa, è opera e frutto dello Spirito Santo. Quando un cuore è mosso e animato dallo Spirito Santo, questo cuore non ha paura, non teme di privarsi di quel poco che ha.
In esso c’è lo Spirito Santo che infonde la speranza nella Provvidenza divina. Il Vangelo lo dice. Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù. Chi rende credibile al nostro cuore questa parola di Gesù? Lo Spirito Santo. Quando la rende credibile? Proprio quando siamo nell’estrema povertà. Quando viviamo giorno per giorno totalmente affidati alla misericordia di Dio che come Padre provvido ha cura di tutti i suoi figli.
Anche la carità è l’animazione in noi dello Spirito del Signore. Chi è pervaso di Spirito Santo si muove in linea ascendente e discendente, orizzontale e verticale, è posto dinanzi al vero Dio, ma anche ai fratelli da amare.
Lo Spirito Santo ci fa vedere Dio secondo verità, nella sua misericordia e nel suo amore, ce lo fa vedere come il Padre che ha cura di tutti i suoi figli, come il Padre che mette alla prova il nostro amore per Lui e per i fratelli.
Se noi abbiamo un pane e gli altri fratelli non ne hanno, se il Signore ci chiede il pane per gli altri suoi figli, dicendoci che ce lo ritornerà presto, noi che facciamo? Non gli diamo forse il pane che abbiamo perché Lui lo dia ai fratelli, sapendo che oggi e domani Lui non solo ci riporterà il pane che gli abbiamo chiesto, ma ci darà sempre il pane di cui abbiamo bisogno?
Lo Spirito Santo non solo ci fa vedere Dio secondo verità, anche i fratelli ce li fa vedere nella nuova dimensione che è quella di essere al pari di noi l’unico corpo del Signore Gesù e quindi da amare e da servire come se fossimo noi stessi.
Come per noi stessi sappiamo privarci di ogni cosa, lo Spirito Santo non solo ci dona la fede di vedere le reali necessità dei fratelli, ci dona anche la forza per privarci noi anche del necessario, se le circostanze lo richiedono, perché i nostri fratelli abbiano l’indispensabile per poter sussistere, o continuare vivere a causa delle avverse condizioni storiche nelle quali si trovano, o sono costretti a vivere.
Lo Spirito Santo diviene in noi gli occhi di Dio con i quali noi lo possiamo contemplare secondo verità, ma anche si fa il Cuore di Dio in noi affinché noi possiamo amare secondo la larghezza, la profondità, la lunghezza del suo amore. Si fa in noi fortezza e libertà perché noi possiamo dare senza paura, senza timore, ciò che abbiamo ai nostri fratelli che sono nel bisogno.
È questa la ricchezza di ogni uomo, lo Spirito Santo che dimora in lui con la potenza della sua forza.
Se lo Spirito Santo non vive nel cristiano, questi non vede, non possiede mai a sufficienza, non dona, ha paura, teme, si chiude in se stesso, pensa che il Signore non possa aiutarlo, pensa al suo domani, ma non considera l’oggi in cui si trovano i suoi fratelli che hanno bisogno del suo pane per poter giungere a domani.
E così il cristiano che è pieno di Spirito Santo garantisce l’oggi ai suoi fratelli nella fede e il Signore provvede a Lui per oggi e per domani. Questa è la nostra fede e questa fede è la ricchezza dell’uomo di Dio che è pieno dello Spirito Santo.
[3]Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente,
Paolo rende testimonianza alla generosità delle comunità della Macedonia. Questa testimonianza consta di due verità, anzi di tre.
I Macedoni hanno dato secondo i loro mezzi, hanno dato al di là dei loro mezzi, hanno dato spontaneamente. Sono queste le condizioni perché l’opera abbia valore presso il Signore, perché il Signore la possa ricompensare nel regno dei cieli, ascrivercela cioè a nostra giustizia.
Fare opere di carità deve essere una esigenza del cuore, una sua particolare mozione. Il cuore è la sede dell’amore. Se il cuore è pieno di amore e l’amore lo infonde in esso lo Spirito Santo, il cuore diffonde attorno a sé altro amore. Anzi, lo deve fare sprigionare tutto. Non è possibile infatti che un cuore colmo dell’amore di Dio per Cristo e per i fratelli si possa chiudere in se stesso, fermarsi proprio quando è il momento di amare.
È questa la spontaneità di cui parla Paolo. Essa è libertà nel dono. Nessuno esige qualcosa dall’altro, nessuno obbliga a fare qualcosa. Ognuno manifesta all’altro le proprie o altrui necessità, alle quali si risponde con la larghezza dell’amore che è in noi.
Se l’amore è vero, puro in noi, allora l’altro è visto come noi stessi. Lo trattiamo come tratteremmo noi stessi nella stessa circostanza o condizione storica. Nasce da questa visione soprannaturale non solo il dono, ma la larghezza del dono, l’abbondanza del dono.
Si dona in proporzione a quanto si possiede, si dona oltre quanto l’altro osa richiederci, o domandarci.
Chi vuole conoscere quanto è grande lo Spirito Santo in una persona è sufficiente che lo si verifichi nell’amore, nel dono di qualche cosa ai fratelli.
Le chiese della Macedonia sono chiese che vivono nello Spirito del Signore, lo attesta il fatto che il loro amore è grande. È un amore che fa superare loro il timore, la paura della estrema povertà. È un amore che chiede di partecipare all’opera di carità in favore di un’altra chiesa. È un amore che sa spingersi ben oltre le proprie reali possibilità economiche.
Da questa constatazione bisogna dedurre anche una piccola verità di ordine teologico. Molte volte si assiste nelle raccolte a delle insistenze che poi si rivelano sterili, insistenze che non producono. Sono esse fondate non sulla mozione dello Spirito del Signore, ma sul sentimento umano. Il sentimento umano non muove mai i cuori; anzi, a volte, li porta in delle spirali perverse di un ragionamento umano che è l’uccisione dell’amore vero e puro dentro di noi.
Bisogna cambiare metodologia. Bisogna partire dal formare cristianamente le comunità. Una volta che esse sono formate nella verità e nella santità che vengono da Dio, lo Spirito del Signore cresce operativamente e sapiezialmente in loro ed è Lui che muove la mente, il cuore, la volontà, i sentimenti a fare ciò che mai un uomo avrebbe potuto pensare di fare qualche giorno prima.
Dobbiamo confessarlo. Poche volte abbiamo o facciamo affidamento alla forza interiore dello Spirito Santo. Mettiamo lo Spirito Santo in un cuore e la storia dell’umanità intera avrà un altro corso, un’altra direzione. Avrà la direzione dell’amore che non conosce confini al suo espandersi e al suo diffondersi.
Lavorare secondo le regole dello Spirito Santo richiede anche in noi una forte fede e una santità più grande, ma è questa l’unica via che è data da Dio per la salvezza del mondo, per manifestare agli uomini la straordinaria potenza del suo Santo Spirito che dona la vita ai cuori pavidi e fragili, alle menti chiuse e fredde, alle volontà deboli e inferme. È lo Spirito Santo che rinnova un uomo e gli da la forza e la capacità di amare secondo il cuore di Cristo e di Dio.
[4]domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi.
Chi è preposto a guidare la comunità, a suggerire forme concrete di amore, teme, giustamente, che in certi luoghi alcune cose non possono essere fatte perché le condizioni reali non lo consentono.
Egli, però, deve sempre manifestare i bisogni concreti che devono essere risolti nelle comunità cristiane.
Manifestare non è obbligare, o costringere indirettamente. È semplicemente amore. L’amore è vero non solo quando manifesta le cose buone, ma anche quando rivela le situazioni non buone nelle quali gli altri vivono.
Che amore sarebbe quello che tace le difficoltà nelle quali gli altri si trovano e dice solo le gioie e le speranze al positivo che si vivono negli altri?
Questo non è certamente l’amore cristiano. L’amore cristiano è prima di tutto scienza del reale, così come esso è, così come è vissuto.
Una volta che questa scienza è stata data ai cuori ed è proprio dell’amore darla, spetta a colui che è venuto a conoscenza della reale situazione decidersi secondo la sua volontà, i suoi sentimenti, il suo stesso cuore.
Le chiese della Macedonia hanno avuto la scienza della reale situazione nella quale viveva la chiesa di Gerusalemme, la chiesa che in qualche modo è loro madre, perché è attraverso quella prima comunità che loro stessi sono venuti alla fede.
Qual è l’obbligo di un vero figlio? Quello di aiutare la propria madre, di venirle incontro, di sostenerla, di sorreggerla, di darle il conforto sia materiale che spirituale.
Paolo non chiede che essi vi prendano parte. Sono loro che con insistenza chiedono a Paolo di poter prendere parte.
Altra sottile annotazione è questa: la partecipazione all’opera di bene è detta da Paolo: grazia. È infatti una vera grazia del Signore poter partecipare alle sofferenze dei fratelli, così si parteciperà domani alla loro gioia.
Anche questa è visione di fede. Il cristiano vede tutto secondo gli occhi della fede, fa tutto secondo la scienza e la sapienza dello Spirito Santo.
Questa sapienza non dice forse nel Vangelo che la carità verso i propri fratelli è un tesoro che noi poniamo nel cielo e con il quale possiamo vivere beatamente tutta l’eternità. Non un giorno, il domani dell’uomo, ma tutto l’oggi di Dio che è la sua eternità, il suo paradiso.
Partecipare i beni della terra diviene condividere con Cristo i beni del cielo, i beni eterni. Cristo è il povero che ci chiede di condividere con Lui i beni materiali che oggi gli sono necessari per poter vivere i giorni dell’uomo. Questa condivisione materiale si trasforma in condivisione dei beni spirituali di cui Cristo è ricco, ricchissimo. Con questi beni possiamo noi vivere tutti i giorni di Dio, che sono eterni, e li possiamo vivere sia su questa terra che nel cielo.
È grazia la carità vero i fratelli anche per l’altro motivo: essa copre una moltitudine di peccati ed espia tutte le pene ad essi dovute.
Le chiese della Macedonia che sono mosse, illuminate, rese sagge e sapienti dallo Spirito Santo, sanno cosa fare e perché farlo. La loro fede illumina i loro occhi, la carità di Cristo li infiamma, la speranza della vita eterna le rende operose oltre misura, oltre le stesse possibilità materiali.
Tanto può la ricchezza della vera fede, del vero amore e della vera speranza posta in un cuore e fatta germogliare in essa, portata a maturazione di crescita fino alla perfezione.
I santi sono i discepoli di Gesù. Sono santi perché lavati nel sangue di Cristo, rigenerati a figli di Dio, santificati con la grazia dello Spirito Santo.
[5]Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio;
Paolo rende testimonianza che il loro impegno a favore della comunità di Gerusalemme ha superato le sue stesse speranze. Lui era certo che i Macedoni vi avrebbero messo tutta la loro attenzione, la buona volontà, ogni collaborazione. Ciò che Paolo sperava di ottenere da loro andò ben oltre le sue attese e di questo rende testimonianza.
Questo sta a significare che quando si partecipa ad un’opera bisogna mettere tutto il cuore e ogni collaborazione possibile. Se l’uomo mette tutto se stesso, anche Dio mette tutto se stesso e l’opera produrrà frutti copiosi.
I Macedoni vi hanno messo tutto il loro cuore, la loro volontà, ogni loro impegno materiale e il Signore li ha benedetti. Quando c’è la benedizione di Dio l’opera è estremamente fruttuosa. Dio sempre benedice, quando ci si impegna con tutte le nostre forze e soprattutto con tutto il nostro cuore.
Quando invece manca la benedizione di Dio è il segno che neanche la nostra opera è stata svolta secondo verità e i frutti non possono essere che assai scarsi.
Questo deve insegnarci la regola della partecipazione alle opere di carità, di missione, di evangelizzazione, di solidarietà, ad ogni altra opera di bene che si svolge per noi e attraverso noi.
Se vi mettiamo tutto noi stessi, Dio mette tutto se stesso, l’opera produce molto, moltissimo, produce tanto da meravigliare gli stessi che l’hanno organizzata.
Viene anche ribadito in questo versetto che ogni opera che si svolge nella comunità a favore degli altri, è un’opera che si compie non in favore dei destinatari, o degli organizzatori e di quanti la zelano.
L’opera di bontà e di amore si compie sempre a favore del Signore. Si compie per Lui, per amare Lui, obbedire a Lui, compiere la sua volontà, eseguire ogni suo comando d’amore.
La si compie per Lui perché è Lui che domani ci darà la ricompensa eterna e non i beneficiari o gli organizzatori dell’opera.
La si compie per Lui perché è il suo amore che ci spinge ad operare ed è lo Spirito di Dio che muove il nostro cuore a rispondere secondo la legge di Cristo, secondo un amore totale che è capace anche di privarsi di ciò che è necessario al fine di aiutare i più deboli e i meno abbienti.
Si fa anche per l’uomo, e in modo particolare per colui che l’ha voluta e l’ha posta in essere. Si compie per lui, perché si vede in lui uno strumento attraverso il quale si manifesta la volontà di Dio, nel quale è la mozione dello Spirito e attraverso il quale opera ed agisce l’amore di Cristo Gesù per ogni sua pecorella.
I Macedoni infine operano tutto questo non solo per il Signore, ma perché reputano nel loro cuore che in quest’opera si manifesta e si esprime la volontà di Dio. Questo dovrebbe aprirci ad una visione nuova della nostra esistenza. Chi comanda deve sempre essere manifestazione sulla terra della volontà di Dio, chi riceve il comando deve vedere in esso l’espressione più alta della volontà di Dio.
Colui che riceve il comando deve essere certo di obbedire a Dio e così colui che comanda deve possedere nel suo cuore che quanto comanda è solo volontà di Dio.
Poiché solo lo Spirito Santo può convincere il cuore di chi riceve il comando che quanto gli è stato comandato è volontà di Dio, spetta a colui che comanda lasciarsi muovere dallo Spirito Santo, invocare sempre il suo aiuto, la sua assistenza spirituale, perché ogni sua parola di comando sia solo volontà di Dio.
Così colui che comanda è mosso dallo Spirito Santo e colui che riceve il comando è convinto dallo Spirito Santo e accoglie l’ordine ricevuto come volontà di Dio e nella realizzazione di quanto gli è stato ordinato mette tutto il suo cuore, la sua intelligenza, la sua mente e la sua volontà.
Osserverà il primo comandamento della carità: amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te stesso. Così si compie la volontà di Dio e così si ama il Signore che ci dona un comando attraverso i suoi apostoli.
[6]cosicché abbiamo pregato Tito di portare a compimento fra voi quest'opera generosa, dato che lui stesso l'aveva incominciata.
Ogni opera, perché sia portata a compimento, occorre che venga zelata da persone singole, con responsabilità specifica.
Non si può indire un’opera e poi abbandonarla a se stessa. È come se non fosse indetta.
Questo è l’errore comune, nel quale tutti vi incorrono. Si vuole un’opera e poi non si affida a persone specifiche con responsabilità specifica.
Oppure la si indice e si obbliga qualcuno a portarla a compimento. Poiché colui che è stato obbligato non crede in quello che gli è stato comandato, non la vede come volontà di Dio, o se la vede, non vi presta nessuna attenzione, l’opera muore sul nascere, oppure produce frutti di nessun importanza, frutti di delusione e non di speranza oltre ogni attesa.
Questa verità deve correggere necessariamente le nostre modalità di intervento nella storia. Se si vuole che un’opera riesca è necessario che la si affidi a delle persone che credono in essa e che si impegnano a portarla a realizzazione secondo la legge dell’amore di Cristo.
Se qualcuno non crede nell’opera, perché non la vede come volontà di Dio, è giusto che se riceve l’incarico, lo rifiuti anche. Questo per non creare disillusioni e anche perché si possono impegnare altre forze che credono e che vogliono parteciparvi.
La correttezza iniziale è di obbligo. Se questo non lo facciamo, se ci assumiamo l’opera senza volontà e soprattutto senza fede, siamo poi obbligati a portarla a compimento secondo le leggi della fede e dell’amore. Un’opera assunta obbliga in coscienza alla sua realizzazione.
Inoltre non è sufficiente iniziare l’opera, bisogna portarla compimento. Paolo prega Tito perché dia compimento all’opera da lui iniziata.
Questo deve anche insegnarci che c’è un momento per iniziare e un momento per finire. Iniziare e poi non finire non è secondo Dio. Iniziare e non lavorare neanche questo è secondo Dio.
Ogni opera secondo Dio ha un tempo di inizio e un tempo di compimento, di chiusura. Con amore la si inizia, con amore la si realizza, con amore la si chiude.
È soprattutto opportuno, come già detto, che colui che l’ha iniziata, la zeli durante tutto il suo percorso, e sia lo stesso che la chiuda.
Se lui stesso non può portarla a compimento, è giusto che l’affidi a delle persone che nell’opera credono, altrimenti il risultato non può essere che uno solo: il fallimento dell’opera, oppure una assai scarsa produzione.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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