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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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12/02/2012 18:55
 
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CAPITOLO SESTO



ESORTAZIONE

[11]La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi.
Paolo veramente può dire di aver parlato con sincerità, con assoluta verità.
Nelle sue parole non c’è dolo, non c’è inganno, non c’è finzione, non c’è adulazione, non c’è ricerca di se stesso, non c’è neanche la sopravvalutazione di sé.
Ciò che è sulla bocca è anche nel cuore e ciò che è nel cuore è sulla bocca. Ma nel cuore di Paolo c’è la verità, la sincerità, l’amore vero, puro; c’è la volontà di fare solo la volontà di Dio; c’è l’edificazione del suo regno sulla terra; c’è la sollecitudine pastorale per tutti loro.
Questo c’è nel cuore di Paolo e questo egli dice ai Corinzi. In lui non c’è alcuna macchinazione.
I Corinzi possono essere certi: lui è mosso solo dall’amore di Cristo Gesù e quando si è mossi dal suo amore, c’è solo la ricerca del bene dell’altro, anche se questa ricerca dovesse costare il dono della propria vita, questa è già offerta. L’amore possiede questa grande forza interiore.
Perché Paolo ha aperto il suo cuore ai Corinzi? Lo ha aperto perché non vuole che nel loro cuore ci sia un qualche dubbio, un sospetto, un qualche pensiero ambiguo su di lui, o un pensiero non del tutto puro.
Quando si ha la responsabilità di condurre gli uomini a Cristo, quando si è strumento del Signore nella missione apostolica, è dovere dell’apostolo far sì che ogni incertezza sulla sua persona si dilegui.
Lo richiede il Vangelo di Gesù e la grazia che egli deve donare ai fratelli. Lo richiede il servizio santo.
Nessuno può permettere che la sua persona si intrometta, si introduca tra il Vangelo e i destinatari di esso.
Il missionario deve essere solo un portatore della Parola e della grazia, la deve portare nella limpidità delle sua azione, nella purezza della sua coscienza, nella verità del suo cuore, nella sincerità della sua bocca.
Egli non può permettere che il dubbio avvolga la sua persona. Sarebbe l’impedimento più grande a che lui possa continuare ad essere missionario di Cristo Gesù.
Quando nel cuore dell’altro, indipendentemente dalle nostre azioni, pensieri, parole e comportamenti, si insinua il dubbio della non lealtà da parte nostra, è giusto che si chiarifichi ogni cosa, non per la nostra persona, ma per il Vangelo che noi portiamo.
A noi non interessa minimamente la nostra persona; interessa la purezza del Vangelo. Perché il Vangelo risulti nitido, puro, santo sulla nostra bocca e nel nostro cuore, è giusto che il missionario parli francamente, dica la verità così come essa sé, renda testimonianza della sua santità dinanzi al mondo intero.
Quella del missionario del Vangelo è una vita pubblica. Pubblicamente è giudicato, pubblicamente deve difendere la sua missione perché niente delle sue opere vada compromesso e tutti coloro che lo ascoltano possano accogliere la parola che egli dice. Non perché è sua parola, ma perché è Parola di Cristo Gesù.
[12]Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto.
Paolo manifesta ora la differenza che esiste tra il suo comportamento e quello dei Corinzi.
Il suo è un comportamento di amore. Il suo cuore è talmente largo che è capace di accogliere tutti loro. Li accoglie nel perdono, nella grande comprensione, nella misericordia verso coloro che hanno sbagliato.
Li accoglie riproponendo loro la verità di Cristo, ribadendo qual è la sua missione e quale il suo mandato nel mondo e presso di loro.
Li accoglie ridivenendo per loro il maestro, l’apostolo, il servo del Signore che ha un solo desiderio: quello di essere utile in qualche modo attraverso l’annunzio della parola della salvezza, per mezzo del dono del Vangelo di Cristo Signore.
Il suo cuore è largo, spazioso, ricco di misericordia e di perdono, capace di accogliere sempre, capace anche di nascondere ogni loro peccato, ogni loro manchevolezza nei suoi riguardi, ogni ingiuria e calunnia, ogni falsità che è uscita dalla loro bocca.
Alla larghezza del cuore di Paolo corrisponde invece la ristrettezza, la pochezza del cuore dei Corinzi.
Tuttavia bisogna precisare una cosa: Paolo non dice che per loro c’è tanto spazio nel suo cuore, mentre per lui nei loro cuori non c’è posto.
Questo non è un problema del missionario del Vangelo. Per il missionario del Vangelo lo spazio deve essere solo nel cuore di Cristo, è lì il suo posto, il suo spazio, il suo presente, il suo futuro, la sua eternità.
Che ci sia spazio nei loro cuori per lui, o che questo spazio non ci sia, per lui ha veramente poca importanza. Lui è nel cuore di Cristo, è immerso nel suo amore, è avvolto dalla sua carità, è sorretto dallo Spirito del Signore; cammina attratto dal Padre dei cieli che lo attende nel suo regno eterno per vivere con lui per sempre.
Non c’è spazio per loro stessi nei loro cuori. Questi sono troppo angusti, troppo piccoli, assai meschini per fare spazio all’amore.
Se non c’è spazio per loro stessi, ci potrà essere spazio per gli altri? No di certo.
Paolo svela così perché non c’è spazio per lui nei loro cuori. Sarebbe una vera assurdità che ci fosse. Quando il cuore è piccolo, è piccolo per tutti, a cominciare da se stessi. Il loro cuore è piccolo per se stessi, è piccolo per ogni altro.
Deve rimanere sempre piccolo, deve restringersi sempre di più? Può invece cambiare, allargarsi, divenire un luogo capace di abbracciare il mondo intero?
Lo può, a condizione che il discepolo di Gesù vi metta tutta la sua buona volontà e per primo accolga Cristo, tutto il suo amore, tutto il suo cuore; accolga lo Spirito Santo, colui che è stato mandato da Cristo Gesù nei cuori perché faccia spazio, lo allarghi affinché tutto il suo amore possa essere riversato in essi.
[13]Io parlo come a figli: rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!
Paolo vuole, desidera che i Corinzi siano dei veri discepoli di Gesù. Ora è proprio di ogni buon discepolo avere un cuore grande, tutto aperto all’amore, aperto però verso tutti.
Paolo ha generato i Corinzi nella fede, per la fede egli è loro padre.
C’è una relazione santa che deve regnare tra il padre e i figli e questa relazione è l’amore vero, sincero, puro, santo. I Corinzi devono amare Paolo con lo stesso amore con il quale loro sono stati amati da Paolo. Quello di Paolo è stato un amore che li ha generati alla fede, li ha introdotti nel Vangelo, li ha fortificati, rigenerati, santificati con la grazia del Signore.
Paolo chiede ai Corinzi che lo accolgano nel suo cuore, che gli manifestino tutto il loro amore.
Paolo ha forse bisogno dell’amore dei Corinzi? Non è lui tutto ripieno dell’amore di Dio? Cosa può aggiungere l’amore dei Corinzi alla pienezza di amore che è nel suo cuore?
Il problema vero non è quello di sapere se ha bisogno dell’amore, è invece l’altro, quello cioè di conoscere perché Paolo chiede ai Corinzi che gli manifestino tutto l’amore ricevuto.
Abbiamo detto che l’amore vero, puro, santo, l’amore che Cristo riversa nei cuori è un amore universale, non esclude nessuno, abbraccia tutti, tutti conforta, tutti risolleva, a tutti manifesta la via di Dio, in tutti infonde speranza, perché dona la grazia e la verità che salvano.
Se c’è un solo uomo che viene escluso dal nostro amore, significa che l’amore che è in noi è un amore viziato.
Quello dei Corinzi per Paolo è un amore viziato. È un amore che si lascia tentare, non è un amore forte, risoluto, vero, autentico. Non è un amore capace di perdono, di misericordia. Non è un amore che si dedica al discernimento, ma soprattutto alla preghiera per sapere sempre e in ogni momento, per grazia di Dio che ci illumina e ci dona il suo santo timore, qual è la verità che guida la nostra vita, se quella di Dio oppure l’altra degli uomini, che sovente è pura falsità, immaginazione, invenzione.
L’apostolo non dipende dall’amore che le comunità da lui formate riflettono su di lui. Egli non attende nulla dagli altri, neanche da coloro che ha portato alla fede. Attende però e vuole che il messaggio di Cristo sia vissuto da tutti in maniera esemplare, perfetta.
Ai Corinzi manca propria questa esemplarità, questa perfezione. Il loro amore è imperfetto, non vero, non sincero, lacunoso, fatto di impulsi e di istinti, molte volte tirato su da mormorazioni, lamentele, parole vane, sciocche e ogni altro peccato che nasce e si sviluppa prosperando in un cuore non ancora inabitato dalla grazia del Signore, non del tutto consegnato alla verità di nostro Signore Gesù Cristo.
Paolo saprà che il loro amore è divenuto puro se lui un giorno troverà spazio nei loro cuori, ma dovrà sempre trattarsi di uno spazio che manifesta e rivela tutta la loro verità e la loro sincerità nei riguardi di Cristo Gesù e del suo strumento umano.
Quando un apostolo si accorge che egli non è amato, non è contraccambiato nell’amore che dona, è il segno evidente che l’amore che lui ha creato nei cuori attraverso il dono del Vangelo e della carità di Cristo, è un amore imperfetto, incipiente, un amore che non è vero amore. Spetta a lui intervenire, mettere ogni attenzione, ricorrere ai ripari perché questo non succeda, perché l’amore con il quale si ama nella comunità sia esclusivamente lo stesso amore con il quale essi sono stati amati da Cristo Gesù, sono stati redenti e santificati; sia l’amore che li chiama a perfezione.
[14]Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?
Da questo versetto scopriamo perché l’amore per Paolo non era puro e anche perché nel loro cuore c’era poco spazio per loro stessi e per lo stesso Paolo, loro padre e maestro nella fede e nella verità.
I Corinzi, dopo un primo momento di vita evangelica, in tutto secondo gli insegnamenti di Paolo, a poco a poco erano scivolati in una specie di sincretismo.
Da un lato si frequentavano i fedeli e dall’altro lato si conviveva anche con i pagani, non materialmente s’intende ma spiritualmente, moralmente.
Farsi legare al gioco estraneo degli infedeli ha un solo significato: quello di abbracciare nuovamente le falsità di un tempo, quelle falsità dalle quali erano stati tratti fuori il giorno in cui hanno abbracciato la Parola della verità.
Abbracciare il Vangelo e legarsi nuovamente al gioco delle falsità pagane è veramente un controsenso. Verità e falsità non possono convivere. O si abbraccia la falsità e ci si allontana dalla verità, oppure ci si lascia avvolgere dalla verità e si sciolgono i legami iniqui con la falsità del mondo e degli infedeli.
Il pensiero di Paolo è nitido, chiaro. Può esserci rapporto tra giustizia ed iniquità? No. Può esserci coabitazione tra tenebre e luce? No.
Le tenebre scacciano la luce e la luce scaccia le tenebre. È impossibile di impossibilità assoluta, metafisica, neanche Dio può fare un simile prodigio: che tenebre e luce coabitano nello stesso luogo. Luce e tenebre si oppongono, come si oppone giustizia e iniquità.
Chi è giusto non è iniquo e chi è iniquo non può essere giusto. Chi è nelle tenebre non dimora nella luce e chi dimora nella luce non può stare nelle tenebre.
Può coesistere il giogo di Cristo sul collo del cristiano e il giogo degli infedeli, di quanti cioè non conoscono Dio e vanno a lui attraverso le filosofie, le mode, le stesse religioni?
Il giogo di Cristo scaccia il giogo degli infedeli e il giogo degli infedeli dichiara nullo il giogo di Cristo Gesù.
Da quando il Signore creò l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden il dramma è sempre uno: il desiderio dell’uomo di essere allo stesso tempo uomo delle tenebre e uomo della luce, della verità e della menzogna, della falsità e della sincerità, di Dio e del demonio, o di satana.
All’uomo non è consentito servire due padroni. Egli deve scegliere un solo padrone, sapendo che se sceglie l’uno non potrà mai scegliere contemporaneamente l’altro, e che se sceglie contemporaneamente Dio e gli idoli, ha scelto non Dio ma gli idoli. Dio va scelto per se stesso e non condivide il suo posto con nessun altro nel cuore dell’uomo. Il cuore o è tutto suo, o è del mondo.
È questo anche il dramma del cristiano dei nostri giorni che vuole vivere nel mondo, ma fregiarsi del nome di cristiano. Il mondo e Cristo non possono coabitare nel suo cuore.
Questo deve essere detto con fermezza, chiarezza, determinazione; deve essere detto con profonda convinzione da parte dell’apostolo del Signore, perché nessuno pensi di poter trovare una scusante ai suoi atteggiamenti a motivo della poca chiarezza di chi è incaricato da Dio a portare nel mondo il suo Vangelo che chiama ogni uomo alla conversione e alla fede.
[15]Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?
Viene precisata ulteriormente la non possibile commistione tra Vangelo e mondo, tra luce e tenebra, tra giustizia e ingiustizia.
Cristo e satana non possono intendersi. Cristo viene nel mondo per distruggere il regno di satana. Satana invece lavora alacremente per distruggere il regno di Cristo.
Se l’uno lavora ed opera per la distruzione dell’altro - e questo per loro specifica natura, natura di amore e di carità quella di Cristo, natura di invidia e di male quella di satana e Cristo mai si potrà trasformare in natura di male e neanche satana in natura di bene - possono loro intendersi, lavorare di comune accordo, per una causa identica?
Mai. In eterno mai. Una tale possibilità non esiste, non è mai esistita, non potrà mai esistere. Satana sarà eternamente satana e sino alla fine del mondo cercherà di divorare quante più anime può per condurle nel suo regno di morte, di tenebra, di non luce eterna.
Cristo invece attraverso i suoi missionari, i suoi strumenti di amore e di verità lavora perché ogni uomo esca dal regno delle tenebre ed entri nel regno della luce.
Se tra Cristo e Satana non c’è intesa, come potrebbe mai esserci tra satana e i discepoli di Cristo Gesù? Se questa intesa esiste, significa che il discepolo di Cristo Gesù ha abbandonato il suo maestro, ha lasciato la via della grazia e della verità e si è consegnato nelle mani di satana.
Solo così è possibile creare l’intesa tra il cristiano e Beliar.
Altra impossibilità è la collaborazione tra un infedele e un fedele. Il fedele è colui che ha accolto Cristo, la sua Parola, si è lasciato rinnovare dalla sua grazia, ha cambiato vita, vive nel regno di Cristo.
L’infedele invece è colui che non ha voluto accogliere il Vangelo, lo ha rifiutato e lo rifiuta, anzi combatte contro lo stesso Vangelo, perché lo reputa contrario ai suoi principi di paganità.
L’intesa non è qui a livello operativo, di svolgere una qualche mansione insieme; l’intesa è a livello di fede, di verità, di grazia, di Vangelo, di vita eterna, di regno di Dio. Il fedele crede che il Vangelo sia l’unica sua verità, l’unica sua salvezza. L’infedele invece crede nei suoi dei e nelle sue pratiche religiose.
Il fedele non può manomettere la sua verità per andare incontro a colui che è infedele e che tale vuole rimanere. Lui deve proclamare con fermezza la Parola di Cristo Gesù, sarà poi l’infedele ad assumersi tutta la sua responsabilità, della fede e della non fede, dell’accoglienza e del rifiuto della Parola che gli è stata annunziata, proclamata, insegnata, data.
La forza del fedele è nella proclamazione, nell’annunzio del Vangelo della salvezza. Per il Vangelo il mondo si salva, si redime, viene conquistato a Dio.
Se c’è l’intesa, questa non sarà mai sulla verità di Cristo, del Padre e dello Spirito Santo. Non solo l’infedele non si salva e non si redime, quanto il fedele si sfedelizza e diventa anche lui infedele perché è caduto dalla verità di Cristo e di Dio.
Conosciamo la forza di Cristo nell’annunziare la verità sull’Eucaristia. Quando vide che i suoi discepoli se ne stavano andando, non cercò con loro un’intesa, proclamò con più vigore la sua verità, anzi mise anche gli apostoli nella condizione di scegliere solo Lui e la sua Parola.
È questa determinazione nella verità che manca oggi a molti cristiani. Tanti sono coloro che vivono di intesa con il mondo, di intesa con il male, di intesa con il peccato e con ogni altro genere di trasgressione dei comandamenti.
La forza del cristianesimo non è la debolezza del mondo; è la potenza di verità con la quale si presenta dinanzi al mondo. Così come la debolezza del cristianesimo non è la strapotenza del mondo, è invece la pochezza di verità con la quale egli si presenta dinanzi al mondo.
[16]Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo.
Si pensi per un istante che la santità del tempio, a causa dell’abitazione di Dio in esso, non consentiva ai pagani di potervi accedere.
A portare un idolo nel tempio, neanche a pensarlo. Il solo pensiero sarebbe stato un abominio per un vero adoratore del Dio vivente.
Accordare il tempio di Dio con gli idoli, significa per Paolo una sola cosa: portare l’idolo nel tempio santo di Dio e aprire le sue porte per il culto.
Come questo era inimmaginabile, così deve essere inimmaginabile pensare che il cristiano, che è il vero tempio di Dio, il tempio vivo della sua gloria, possa far abitare nel suo cuore gli idoli dei pagani.
Idolatria e cristianesimo non possono accordarsi. O il cristiano è tempio santo di Dio, o è tempio sconsacrato della sua gloria.
La commistione, la coabitazione in noi di Dio e degli idoli ha un solo significato: la nostra caduta dalla fede e dall’amore del Signore, il nostro ritorno nell’idolatria di un tempo.
Che noi siamo il tempio di Dio, Paolo non lo desume dalla liturgia battesimale e dal suo ricco simbolismo, dai molteplici significati e contenuti di verità che essa esprime, manifesta, celebra. Lo desume direttamente dalla Parola di Dio, dalle promesse che il Signore aveva fatto ai padri, quando ha svelato il suo mistero e rivelato il suo disegno di amore in favore degli uomini.
È volontà di Dio abitare in mezzo agli uomini, camminare con gli uomini, essere il Dio di tutti gli uomini. A questa offerta di grazia deve corrispondere anche la nostra volontà. Lui vuole e noi vogliamo. Noi vogliamo essere il popolo santo di Dio, perché tale ci ha costituito il Signore.
La presenza viva di Dio in mezzo a noi, il camminare egli con noi vuol dire una cosa sola: liberazione da ogni schiavitù di pensiero e di cuore che vengono da parte del mondo, introduzione nella sua casa, nella sua terra, nella sua verità, nella sua obbedienza.
Dio cammina con noi per ammaestrarci, per istruirci, formarci, elevarci, condurci di verità in verità, di fede in fede, di grazia in grazia, di obbedienza in obbedienza.
Cercare un accordo con gli idoli è liberarsi dalla verità di Dio, o pensare che la verità di Dio non sia l’unica, la sola, l’esclusiva verità, e quindi si ha bisogno di altre verità che in qualche modo rendano più perfetta quella che il Signore ci ha rivelato.
La verità di Dio è assoluta, eterna, per sempre, senza prima e senza dopo, senza tempo, senza divenire. Essa è perfetta in ogni sua parte, completa in tutto, ad essa nulla manca, nulla si deve aggiungere e nulla togliere.
La verità di Dio è la perfezione stessa di Dio, è la sua luce eterna pronunziata su di noi prima per crearci, poi per redimerci, infine per santificarci viene proferita ogni giorno e sempre nuova e vitale viene fatta comprendere al nostro spirito dallo Spirito Santo del Signore.
L’infedele non deve dire nulla alla Chiesa, non deve perché in quanto a verità non può. L’infedele può dire una sola cosa alla Chiesa: vivi la verità che tu annunzi e dimostrami con la tua vita che tu realmente credi in quello che dici e poi anch’io crederò in quello che tu annunzi e proclami.
Per il resto l’infedele come il fedele devono sempre mettersi in un atteggiamento di ascolto di fronte alla Chiesa di Dio, al missionario del Vangelo, all’araldo e al banditore della divina parola. Ecco perché non può esserci intesa, né accordo, né ricerca comune della verità.
[17]Perciò uscite di mezzo a loro e riparatevi, dice il Signore, non toccate nulla d'impuro. E io vi accoglierò,
Comprendere questo versetto è di fondamentale importanza, se non si vuole cadere in degli anacronismi storici che hanno fatto il loro tempo e che non ritornano più.
Anticamente il Signore ha liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto, togliendo il popolo dalla terra dell’asservimento. Israele lasciò fisicamente l’Egitto per non ritornarvi mai più.
C’è come un distacco fisico che è allontanamento da tutto ciò che appartiene a quel popolo. Quel popolo è impuro e tutto ciò che egli possiede è impuro. La liberazione, o cammino di libertà, non è solamente morale, veritativo, è anche fisico, del corpo e non solo della mente, o dell’anima, o dello spirito dell’uomo.
Loro escono dall’Egitto, il Signore li accoglie nella sua terra, nella terra che aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
Con il Nuovo Testamento l’uscita non può essere materiale, fisica. Il cristiano non ha un luogo per sé dove ritirarsi per sempre, lontano dagli altri uomini, lontano da tutto ciò che il Signore ha dichiarato impuro e quindi non toccabile.
L’uscita è spirituale, del cuore, della mente, dell’anima. Si esce dal mondo perché si abbandona la sua falsità, le sue idolatrie, le sue impurità che sono sporcizie ed iniquità.
Si lascia il mondo e ci si ripara presso Dio e Dio ci accoglie perché ci dona il suo Santo Spirito che è per noi saggezza e sapienza di Dio alla luce del quale noi dobbiamo leggere tutta la realtà e discernere in essa ciò che è conforme alla volontà di Dio da ciò che è difforme.
Gesù lo ha detto: voi siete nel mondo, non siete del mondo. La nostra uscita oggi è quella di non appartenere più alla mentalità di questo mondo, di non conformarci ad essa; anzi di essere tra coloro che vivamente si oppongono ad essa per distruggerla, calando in essa la luce radiosa del Vangelo di Dio.
Uscire significa per tutti noi entrare in Cristo, nel suo cuore, nei suoi desideri, nel suo amore, nella sua obbedienza, nella relazione perfetta di ascolto e di mozione dello Spirito che lui possedeva e che governa la sua umana esistenza.
Quando si esce per entrare in Cristo e nel suo cuore, con Cristo si ritorna nel mondo per portare in esso la luce della verità e della salvezza. Spiritualmente si esce, materialmente e spiritualmente si ritorna.
Dopo essere usciti, ma per liberare il mondo, il mondo non ci riconoscerà più. Sa che non gli apparteniamo e si scaglia violentemente contro di noi come si è scagliato contro Cristo fino ad ucciderlo.
Uscendo in questo modo, usciamo per essere accolti da Dio, nel suo regno, nella sua verità, nella sua giustizia, nel suo amore.
Dio ci accoglie per ricolmarci del suo Santo Spirito. Solo se ripieni e ricolmi di Lui si può tornare nel mondo, per salvare il mondo.
Senza l’accoglienza da parte di Dio che ci forma e ci ammaestra, senza il dono dello Spirito Santo che ci cambia e ci trasforma, che da esseri del mondo ci trasforma in esseri spirituali, tutti di Dio, restiamo e siamo mondo. Chi è mondo non può salvare il mondo. Salva il mondo chi si lascia trasformare da Dio in un essere tutto spirituale e santo.
In fondo dovremmo fare come fece Mosè. Egli era Ebreo. Divenne un figlio degli Egiziani. Da figlio degli Egiziani non poteva salvare i figli di Dio. Lasciò l’Egitto, divenne figlio di Dio, ritornò in Egitto, operò con il Signore la redenzione e la salvezza del suo popolo. La operò con la forza e la potenza di Dio che agiva in lui, ma anche la operò con il taglio netto che egli aveva fatto con il mondo al quale un tempo apparteneva. Lui uscì dall’Egitto, il Signore lo rimandò indietro, ma lo rimandò da uomo tutto nuovo, da uomo che ormai apparteneva come fede e come verità al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, apparteneva al Dio dei Padri e come tale e perché tale ha potuto essere mandato da Dio a compiere la liberazione del suo popolo.
Non toccate nulla di impuro ha un solo significato per noi. Impuro non è il mondo in sé e non sono le cose del mondo, tutte create buone da Dio. Impuro è solo il peccato. Al cristiano non è consentito peccare in alcun modo.
[18]e sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente.
Quando noi usciamo dal mondo, e si esce in un solo modo, attraverso la via sacramentale, rinascendo da acqua e da Spirito Santo, il Signore ci fa suoi figli di adozione.
Lui è vero Padre per noi, noi siamo veri figli per lui. Da vero Padre ci ama, da veri figli siamo chiamati a servirlo e a onorarlo.
La paternità comporta la comunicazione della propria natura. Dio, generandoci da acqua e da Spirito Santo, ci rende partecipi della sua natura divina.
Non può esserci paternità solamente morale, spirituale, la paternità di Dio è un vero prodigio del suo amore, in quanto egli ci chiama ad una comunione così intima con Lui che si fa partecipazione della propria natura.
È come se Dio ci divinizzasse. Questa è l’opera della sua onnipotenza. Cosa comporta la partecipazione alla sua divina natura noi non lo comprendiamo appieno su questa terra, lo vedremo però quando saremo nel cielo. Solo allora potremo iniziare a benedire in eterno il Signore per le grandi cose che ha fatto per noi.
Anche la figliolanza non può ridursi ad un rapporto di coabitazione pura e semplice. Siamo figli perché siamo nella stessa casa. La figliolanza richiede ed esige l’assimilazione del pensiero del Padre, il compimento della sua volontà, l’onore e la devozione per il suo santo nome, il rispetto per la sua divina maestà.
Un vero figlio acquisisce lo stile di vita del Padre, si forma sul suo pensiero, cammina nella sua volontà, si trasforma ad immagine del suo amore.
Essere figli di Dio comporta un radicale cambiamento del nostro modo di essere e di operare. Tutto in noi deve testimoniare questa figliolanza, tutto deve manifestare questa nuova realtà che è stata creata in noi.
Se siamo figli di Dio, se Dio ci ha resi partecipi della sua natura, se abbiamo lasciato il mondo, se non possiamo toccare nulla di impuro, come è possibile che il cristiano dopo aver ricevuto un dono così grande, ritorni nel mondo e si faccia mondo con il mondo, ritorni nel mondo e diventi alleato di satana, distruttore del regno di Dio e costruttore dell’impero del male?
Non è forse questo distruggere se stesso come creatura, fatta figlia di Dio, dal momento che si ritorna ad essere seguaci e figli di satana?
È il nuovo essere ricevuto in dono che esige la distinzione netta con il pensiero del mondo. Chi pensa secondo il mondo pensa contro Dio, non contro un Dio ignoto, o un Dio che si è manifestato a noi e ci ha chiesto alcune cose da fare. Nulla di tutto questo. Il cristiano pensa contro il Dio che è divenuto suo Padre, pensa ed agisce contro il Dio che lo ha reso partecipe della sua divina natura; pensa ed opera contro quel regno del quale egli è membro, poiché figlio dell’Altissimo.
Chi pensa secondo il mondo, pensa solo contro se stesso e per la sua rovina eterna. Questo è il motivo per cui Paolo chiede una separazione netta con il mondo. Non si tratta di una separazione fisica, del corpo, ma della mente e del cuore.
Tutto l’uomo deve stare nel mondo, ma per vincere il mondo, non per essere da esso vinto. Deve stare nel mondo per salvare il mondo, ma lo può salvare solo se rimane vero figlio del Padre e pensa come il Padre, vuole come il Padre, ama come il Padre, agisce come il Padre, vive come il Padre.
Da inviato di Dio, con la potenza della sua verità e della novità che è in lui, da vero figlio del Padre, egli è nel mondo per liberare il mondo dal suo peccato, dalla sua schiavitù e ricondurlo nella verità e nella grazia di Cristo Gesù.
Questo è il cristiano e questa è la sua missione.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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