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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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12/02/2012 18:52
 
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IL VERO MINISTRO DI DIO

[1]E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
Paolo esercita con responsabilità il suo ministero. Essendo collaboratore di Dio, strumento di Cristo, egli fa appello alla coscienza, alla volontà, al cuore, alla mente dei suoi ascoltatori, perché vogliano accogliere la grazia di Dio.
Ogni collaboratore di Dio deve esercitare il suo ministero con responsabilità, deve esercitarlo direttamente, non per supposizione, o indirettamente, predicando solo il Vangelo e lasciando a chi lo ascolta la responsabilità della decisione.
Chi dovesse agire in questo modo, viene meno al suo ministero, non lo esercita secondo verità. È come se non lo esercitasse affatto.
Non solo Paolo fa un invito esplicito perché si accolga la grazia di Dio; il suo invito, o la sua esortazione dice qualcosa in più, che è poi l’essenza e la sostanza del suo ministero.
Egli esorta quanti lo ascoltano a non accogliere invano la grazia di Dio. Non solo ad accoglierla, ma a stare attenti perché il rischio di accogliere invano la grazia di Dio è sempre attuale, ognuno potrebbe rischiare di accogliere la grazia, ma invano.
Quando si accoglie invano la grazia di Dio? Quando non la si fa fruttificare, quando la si lascia morire dentro di noi, quando non si ha cura e non la si coltiva, quando la si deposita nel cuore e poi non vi si pone alcuna attenzione.
La grazia di Dio è come un seme di vita eterna che Dio pone nel nostro cuore e nella nostra anima. Il Signore vuole che essa produca abbondanti frutti.
La grazia è simile a un talento che Dio ci consegna. Bisogna metterla a frutto, bisogna che essa produca altri talenti, faccia germogliare altra grazia dentro di noi, altrimenti siamo noi responsabili dinanzi a Dio di omissione.
Saremmo come il servo infingardo e fannullone che nascose il suo talento sotterra aspettando il ritorno del padrone per consegnarglielo intatto, così come lo aveva ricevuto.
Anche questa deve essere cura e preoccupazione del ministro di Dio e di Cristo; egli deve porre ogni attenzione a che la grazia che lui dona ai cuori produca molti frutti di vita eterna. Per questo deve vigilare, scrutare ogni cosa, essere presente in mezzo al popolo di Dio per suggerire quegli aiuti di grazia e di verità che consentono al cristiano una più grande fruttificazione del dono ricevuto. Anche questo è un suo ministero, una precisa responsabilità dinanzi a Dio. Se la grazia non fruttifica nei cuori per sua responsabilità, perché ha omesso di vigilare, egli dovrà un giorno rendere conto al Signore, sarà chiamato in giudizio per la sua omissione.
Come si può constatare il ministero della riconciliazione bisogna che venga esercitato con la più grande attenzione possibile. Per il ministro di Dio e di Cristo la grazia viene data e fruttifica, per lui anche non viene data e non fruttifica. Lui deve stare sempre attento, deve vigilare che sempre la grazia venga data e che sempre vengano forniti quegli aiuti spirituali necessari ed indispensabili perché la grazia produca in maniera sempre più abbondante.
[2]Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Questo versetto è di Isaia (49,8). Il testo integrale così recita: “Dice il Signore: Al tempo della misericordia ti ho ascoltato, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e posto come alleanza per il popolo, per far risorgere il paese, per farti rioccupare l'eredità devastata”.
È chiaramente questo un passo in cui si annunzia l’intervento di Dio nella storia della salvezza. Dio interviene in favore del suo popolo. Lo ascolta e lo aiuta perché possa ritornare nella sua salvezza.
Ciò che Paolo fa è l’applicazione di questo passo, in cui si manifesta l’interessamento divino a favore del suo popolo, all’ora presente.
Il momento favorevole è la morte e la risurrezione di Gesù Signore. È questo il giorno della salvezza.
Poiché il giorno di Cristo è sempre presente in mezzo a noi, perché il suo giorno ormai è divenuto un giorno eterno, Paolo esorta quanti lo ascoltano a non far passare invano questo giorno.
Bisogna che si viva questo giorno e questo momento con fede, che si accolga il mistero della riconciliazione, che ci si lasci coinvolgere nel mistero di Cristo, anzi che si diventi con Cristo un solo mistero di salvezza e di pace.
Tutti i giorni dell’uomo e tutti i suoi momenti appartengono a questo momento e a questo giorno di grazia e di salvezza. Se l’apostolo annunzia e l’uomo è di buona volontà, la salvezza si compie.
Si compie perché c’è una certezza. Cristo Gesù è venuto in mezzo a noi per farci grazia, per liberarci dal peccato, per introdurci nella nuova vita, per darci il suo Santo Spirito che ci rigenera e ci dona la figliolanza adottiva.
Da questo punto di vista il Nuovo Testamento si differenzia dall’Antico, perché in Isaia c’è un momento particolare ed un giorno del tutto speciale nei quali il Signore vuole manifestare la sua misericordia e il suo amore.
Nel Nuovo Testamento invece non c’è un tempo preciso, un momento particolare. C’è invece il giorno e il momento della salvezza che sono perenni; ad una condizione però: che l’apostolo annunzi, formi, guidi, sorregga, aiuti, sproni e che colui che ascolta accolga e si lasci sostenere nel cammino di Dio e di Cristo da chi è stato costituito strumento e ministro di questa grazia che il Signore vuole riversare con abbondanza nel nostro cuore e sull’umanità intera.
Cristo Gesù è la misericordia e la grazia di Dio sempre a nostro favore, sempre a portata di mano, sempre disponibile perché ogni uomo la possa fare sua, a condizione che vi creda e che l’accolga.
Il problema è però uno solo: pur essendo la grazia di Dio sempre pronta per essere accolta, bisogna fare molta attenzione a non rimandare il momento della sua acquisizione e questo in ragione del peggioramento della nostra condizione spirituale.
Il cuore potrebbe domani divenire di pietra, chiudersi dinanzi a tanta grazia e fossilizzarsi nel suo peccato, pietrificandosi per sempre.
In questo caso, pur essendo la salvezza preparata per noi, a nostra disposizione, noi non ne possiamo usufruire a causa della nostra stoltezza. Ci siamo lasciati ingannare dalla nostra sicurezza e siamo giunti, nel male e nel peccato, al punto del non ritorno.
[3]Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero;
Paolo ha un modo tutto particolare di comprendere il suo ministero. Lo comprende alla luce dello Spirito Santo che in lui è sapienza e saggezza.
Egli sa che l’uomo non vede Dio, non vede Cristo, vede l’apostolo di Dio e il collaboratore di Cristo.
L’incontro dell’uomo con Dio e con Cristo viene mediato dalla sua persona. Gli altri vedono lui e lui solo; se il messaggio lui lo rende credibile, questo sarà credibile; se lui nulla fa per rendersi credibile in quello che dice, la verità che annunzia e la grazia che egli porta saranno rifiutati dall’uomo, in ragione non della verità e della grazia in sé, ma a motivo di colui che le porta e perché non le porta secondo verità e grazia.
L’apostolo, la verità e la grazia devono pertanto divenire una cosa sola. L’apostolo deve essere per l’altro grazia e verità e questo non attraverso le parole che egli pronunzia, ma attraverso la vita che egli conduce.
Se la vita dell’apostolo è tutta grazia e verità, egli sarà riconosciuto vero, gli si crederà, si accoglierà la parola, si riceverà la grazia, si entrerà nel mistero della riconciliazione e della salvezza.
Il rapporto dell’apostolo con la verità e la grazia che egli annunzia e porta non è ininfluente, non è senza incidenza nella storia, non è neutro, o peggio inesistente. Nel senso che è sufficiente che l’apostolo annunzi la verità e doni la grazia e poi della sua vita possa fare quello che vuole, quando e come gli garba.
Lui non è solo un araldo, un banditore, un ministro, egli è anche un testimone, è soprattutto un testimone della risurrezione di Cristo Gesù, un testimone del suo mistero, del quale è divenuto una cosa sola.
Essere testimoni, per Paolo, ha un solo significato: attestare che la verità è divenuta la nostra forma di essere e di pensare e che la grazia ha trasformato tutti i nostri comportamenti. Siamo uomini di grazia e di verità, siamo uomini che non solo attestano il mistero della grazia e della verità, ma che lo rendono visibilmente presente negli uomini e in mezzo a loro.
Chi vuole sapere che cosa è la verità deve sentire parlare l’apostolo del Signore e chi vuole sapere quali sono i frutti della grazia deve osservare l’araldo di Cristo in ogni suo comportamento. La grazia ha il potere in lui di rendere vivibile il Vangelo in ogni sua parte; la verità ha la forza di trasformare i suoi pensieri. Egli non pensa più come il mondo, pensa come Cristo Signore.
Lo scandalo è un comportamento disarmonico, anormale, abnorme. Da un lato ci si presenta come uomini della verità e della grazia di Dio e di Cristo e dall’altro ci si comporta come se questa grazia e questa verità non avesse alcuna incidenza nella nostra vita.
Quale credibilità potrà mai avere un tale araldo del Signore? Quale incidenza nella storia degli uomini potrà mai esercitare un apostolo così fatto?
Potrà mai egli rendere testimonianza a Cristo, se Cristo non ha minimamente sfiorato la sua vita con la verità e trasformato il suo cuore con la grazia?
Chi dona scandalo pone il suo ministero a rischio, lo rende non credibile, viene biasimato. Ma biasimando lui ci si allontana dalla verità che lui porta e ci si dissocia dalla grazia che dona.
In tale senso sbagliano tutti coloro che vorrebbero un ministro e un ministero separato dalla verità e dalla grazia. Lo vorrebbero come un puro strumento. Questo non può essere in ragione del suo ministero che è quello di rendere testimonianza alla verità e alla grazia di Cristo Gesù.
Sbagliano tutti coloro che non vorrebbero che si facesse distinzione tra i diversi ministri di Cristo Gesù. La distinzione si fa non in ragione della persona in sé, ma a motivo della testimonianza che è presso gli uni altissima, presso altri inesistente.
Tra i ministri c’è chi crede in Cristo e chi non crede, chi lo testimonia e chi lo ignora; chi esercita il suo ministero dall’interno del mistero di Cristo Gesù e chi dal di fuori di esso.
La differenza c’è; è abissale; il popolo di Dio la coglie e di certo sceglierà colui che testimonia e vive di Cristo e con Cristo, invece che l’altro che non gli dona alcuna garanzia per la sua fede.
Questo dovrebbe spronarci non ad impedire che il popolo possa cogliere e discernere chi è testimone da chi non lo è, bensì a divenire tutti testimoni, ministri, araldi e banditori credibili, donatori perfetti della grazia e della verità che ci salva.
Il popolo di Dio, che cerca Dio, andrà sempre alla ricerca di coloro che danno Dio, che lo fanno conoscere, che lo manifestano nella sua essenza di verità e di santità. Su questo non possono esserci dubbi. La storia è così. Dietro Cristo le masse accorrevano, non solo in ragione e a motivo della grazia che dava, ma anche perché egli parlava con autorità, testimoniava Dio attraverso la sua parola e il suo esempio. Questo era per il popolo un richiamo forte, assai forte, tanto forte che suscitò l’ira, l’invidia e la gelosia dei sommi sacerdoti, i quali anziché pensare come divenire loro stessi a forma di Cristo, decisero di giustiziare Cristo, perché nessuno più corresse dietro di Lui.
La storia è fatta di questi errori di valutazione, errori che purtroppo ogni giorno si commettono a causa della nostra non volontà di conversione e di fede al Vangelo della salvezza.
[4]ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce,
Basterebbe vivere la prima parte di questo versetto, per dare alla Chiesa un nuovo volto, una nuova dimensione, una nuova essenza.
Paolo ha la coscienza e la consapevolezza di essere un ministro di Dio. Non può esserci, non deve esserci alcuna relazione con il mondo, con gli uomini se non in questa sua essenza.
Chiunque viene a contatto con lui sa di trovarsi dinanzi a un ministro di Dio. Poiché è proprio del ministro mettere in contatto le persone con colui che il suo ministero rende presente, incontrando lui le persone devono incontrarsi sempre con Dio.
Dio però lo incontrano nelle realtà che il ministro è stato comandato di offrire loro. Paolo è stato incaricato da Dio per portare la sua Parola, la sua Verità, il suo Vangelo ad ogni uomo. Ogni uomo che incontra Paolo, incontra il Vangelo di Dio, fa la conoscenza con la Parola del Signore.
Egli non ha una doppia vita: quella in cui svolge il suo ministero e l’altra in cui lo mette da parte. Paolo non si sveste mai da apostolo e ministro di Cristo Gesù.
Ogni relazione che egli instaura con gli uomini, chiunque sia colui che gli sta di fronte, è una relazione di salvezza e di verità, è un incontro con il Vangelo di Cristo Gesù, è un incontro con il Cristo del Vangelo.
Uno dei più seri e gravi problemi del nostro tempo, e non solo di esso, è quella dismissione del nostro ministero, è lo svestimento della funzione apostolica per assumere l’altro o dell’amicizia, o della diplomazia, o dell’incontro di svago e di divertimento, o un’altra qualsiasi forma che però è sempre di dismissione dell’incarico ricevuto da Dio.
Si è “apostoli” del Signore in determinati momenti, non lo si è in altri. Si è veri, quando lo si è, dall’altare, e subito dopo si indossano i panni della paganità e dell’irreligiosità, della mondanità e del cameratismo.
Chi vede l’apostolo deve vedere sempre il ministro di Dio, deve vederlo uomo della verità e della grazia, uomo del Vangelo e dei sacramenti, uomo della Parola, dell’unica Parola che è quella di Cristo Gesù.
Lui non può avere opinioni, pensieri, riflessioni pagani, mondani, superficiali. Lui non può neanche per un istante lasciare la Parola ed entrare in discussioni banali. Ogni cosa che fa deve essere in conformità alla Parola; su ogni cosa che fa deve far brillare la luce della Verità di Cristo e di Dio.
Questa coscienza e questa consapevolezza deve sempre animare, guidare, spingere e sorreggere il ministro di Dio, altrimenti il mondo percepisce che lui gioca con il suo ministero e non lo crederà neanche quando parla di cose santissime. Penserà che le dice per ufficio, perché obbligato, perché forma cultuale attraverso la quale deve in certi momenti presentarsi dinanzi agli uomini.
Non solo egli deve manifestare sempre la sua essenza, la forma di vita con la quale il Signore lo ha sigillato; ci sono delle forme anch’esse obbligatorie, se vuole portare a termine il compito che il Signore gli ha affidato.
Paolo ora enumera una serie di queste forme. Esse non sono facoltative, sono obbligatorie. Solo chi si veste di esse potrà dirsi un vero ministro del Signore, un suo autentico collaboratore, un suo araldo e un banditore della sua verità.
La prima di queste forme è la fermezza. Paolo ha agito con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce.
La fermezza dice stabilità, fortezza, solidità, saldezza, proposito di proseguire, di andare sempre avanti. Dice quella violenza, o tenacia di cui parla lo stesso Cristo Gesù nel suo Vangelo. Il Regno dei cieli subisce violenza e solo i violenti se ne impadroniscono.
La fermezza è dono dello Spirito Santo e fa parte della virtù della fortezza. Paolo è un uomo risoluto, egli è disposto ad andare anche incontro alla morte, in ogni istante, pur di portare a termine il ministero che il Signore gli ha affidato.
Questa fermezza Paolo la vive nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce. Quando il mondo gli si rivolta contro, quando gli uomini lo tartassano con ogni vessazione spirituale e fisica, quando su di lui si abbatte lo spettro della necessità anche fisica e non solo spirituale, egli è fermo, saldo, sempre pronto a proseguire, nonostante tutto.
Nulla lo ferma, nulla può opporsi alla sua missione, nulla potrà mai trattenerlo. Egli deve andare avanti, instancabilmente avanti. Lo attende l’uomo da salvare; lo spinge Cristo che vuole che porti la salvezza ad ogni uomo.
La fermezza la esprime in nove ambiti diversi. Essi sono:
Nelle tribolazioni: le tribolazioni sono avversità causate dagli uomini e che producono un dolore per lo più spirituale, una sofferenza dell’anima e dello spirito. Gesù lo dice: Voi avrete tribolazioni dal mondo. Dice anche: Io ho vinto il mondo.
In Cristo anche noi siamo chiamati a vincere il mondo, lo vinceremo se ci lasceremo coprire dalle tribolazione che esso getterà su di noi compiendo però il viaggio della testimonianza al Vangelo sino alla fine dei nostri giorni, che potrebbe essere anche sigillata dalla tribolazione, questa volta, fisica, della morte inflitta per il nome di Gesù Signore.
Nelle necessità: Le necessità sono tutti quei bisogni che il nostro corpo richiede per vivere una vita degnamente umana.
Paolo si è abituato a rinunciare ad ogni necessità. Lui stesso ci dirà che ormai si è abituato a tutto, alla fame e all’indigenza e questo per non recare alcun impedimento alla corsa del Vangelo di Dio nel mondo.
Mai una necessità deve ostacolarci nel nostro ministero. D’altronde chi vuole portare a compimento la missione ricevuta deve essere disposto ad ogni rinuncia. Le comodità, lo stare bene, gli agi, il conforto, ed ogni altra cosa che potrebbe rendere più agevole il nostro cammino deve essere sempre considerata un di più dal ministro di Cristo Gesù.
È questo l’esempio che Gesù ci ha lasciato. È questo il modello di santità che ha raggiunto Paolo. Sappiamo che lui stesso lavorava per le sue personali necessità, per non incidere nella vita della comunità più di tanto e questo a causa della scarsezza dei mezzi economici nella quale molte comunità versavano a quei tempi.
Nelle angosce: Le angosce sono i turbamenti dello spirito, il dolore dell’anima, sono tutte quelle tristezze che si abbattano su di noi a causa del peccato del mondo che è sempre dinanzi a noi e che vuole sommergerci.
Anche in questo Paolo è fermo, forte, risoluto. Il dolore morale non può fermarlo, le difficoltà non possono arrestarlo, i turbamenti del suo spirito non possono fare da freno alla sua missione.
Egli deve andare avanti, sempre avanti, fino all’ultimo giorno della sua vita. Guai se un uomo si lascia prendere dall’angoscia, si lascia vincere da essa. Questo il mondo vuole. La vittoria del mondo sul ministro di Cristo è piena ed è completa.
[5]nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni;
Paolo ora elenca un’altra serie infinita di difficoltà cui è dovuto andare incontro nello svolgimento del suo ministero. Come si potrà constatare niente gli è stato risparmiato. Tutte le prove si sono abbattute su di lui. Ma alla fine ne è risultato il vincitore. Niente lo ha prostrato, nessuno lo ha fatto desistere, tutto invece è stato da lui vissuto come sacrificio e oblazione e questo per portare a termine il suo viaggio evangelico.
Nelle percosse: Le percosse sono colpi inferti al nostro corpo con verghe, con fruste, con pietre, con pugni, con calci, con bastoni e ogni altro mezzo che l’uomo sa escogitare all’uopo.
Leggendo gli Atti degli Apostoli e questa stessa Lettera alla fine sappiamo tutte le sofferenze fisiche cui è andato incontro.
La forma malvagia degli uomini non lo ha abbattuto. A volte ha fatto piegare corso al suo Vangelo, ma il Vangelo ha sempre trionfato.
Gesù però aveva già avvisato i suoi: se in un villaggio non vi accolgono, fuggite in un altro. Ognuno è responsabile dinanzi a Dio delle sue azioni. A Paolo quella di annunziare il Vangelo, agli altri quella di rifiutarlo e di scagliarsi contro i ministri di Cristo e di Dio.
Alla fine dei nostri giorni renderemo conto al Signore di ogni nostra azione. Riceveremo anche i frutti di esse. Le percosse per il regno ci rendono in tutto uguali al Signore Gesù e ci aprono le porte del regno.
Nelle prigioni: La prigione è la privazione della libertà fisica. Molti dei giorni di Paolo finirono nelle prigioni, specie nell’ultimo tratto della sua vita.
Ma conosciamo la sua serenità, la tranquillità della sua coscienza, la pacatezza del suo cuore.
Sappiamo che nelle prigioni era sempre lui il padrone di sé; era lui che conduceva la sua vita e non gli altri.
Era prigioniero con il corpo, legato alle mani, con i ceppi ai piedi, ma il suo spirito, la sua volontà, la sua coscienza erano di Cristo e per Cristo Gesù. Con Lui viveva anche quei giorni difficili e dolorosi.
Nei tumulti: I tumulti sono quelle piccole sommosse di piazza artificiosamente orchestrate perché lui non rimanesse in una città, o in un determinato territorio.
Anche in queste circostanze la sua era sempre una decisione presa in conformità al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
Anche in queste circostanze lo Spirito del Signore gli suggeriva le modalità concrete per uscirne vincitore.
Nelle fatiche: Le fatiche sono generate in noi dal lungo lavoro svolto. A volte l’impegno per portare il Vangelo in ogni città lo costringeva a un duro lavoro, fino a stancare il suo corpo.
Ma lui non si dava per vinto. Con la forza della sua volontà, con l’aiuto di Cristo che era sempre dinanzi ai suoi occhi camminava, giungeva, predicava, partiva, a volte senza neanche il tempo di riposare un poco.
È sempre così la vita dell’Apostolo del Signore. Sempre a disposizione del Vangelo. È il Vangelo che la regola e la determina. Al Vangelo bisogna consacrare tutto di noi, ogni nostra energia. Poi ci sarà anche il tempo per riposare, se non è un giorno sarà sicuramente l’altro giorno.
Nelle veglie: Le veglie sono le notti passate insonni, non perché non si vuole dormire, ma perché non si può dormire. Ci sono delle circostanze che non dipendono da noi, dipendono dagli altri.
Un buon missionario del Vangelo non cerca la comodità del suo corpo; al corpo gli dona quello che è possibile, nei momenti utili.
Quando non è possibile, quando le circostanze non lo consentono, bisogna anche vincere la naturale fragilità del nostro corpo e darle la forza per andare avanti, per continuare.
La forza di volontà deve essere estremamente grande per vincere la pigrizia del nostro corpo. Guai ad abituare il nostro corpo agli agi e alle comodità. Chi dovesse fare questo, sappia che arriverà all’accidia, cioè al completo indebolimento del corpo e dello spirito, che alla fine si rivelerà uno strumento inutile nelle mani di Dio.
Con un corpo accidioso Dio non può compiere il ministero dell’evangelizzazione dei popoli e del mondo e neanche può svolgere quella poca pastorale ordinaria necessaria al bene delle anime.
Nei digiuni: I digiuni sono la privazione di cibo, sia per motivi di culto che per assenza dello stesso cibo.
Questo tipo di digiuno non è certamente per motivi cultuali, come spesso accadeva nelle comunità, che digiunavano prima di prendere una decisione importante, o prima di iniziare una missione particolare.
Il digiuno di cui parla Paolo è la privazione del cibo a causa della sua assenza. Non c’è di che mangiare. Bisogna sopportare anche questo. Bisogna dare al corpo solo l’indispensabile per continuare a svolgere il suo compito.
Neanche il digiuno ha fiaccato Paolo, lo ha stremato, gli ha fatto smettere di continuare il suo viaggio. Anche a questo ha abituato il suo corpo.
È questa la forza dei veri missionari del Vangelo. Essi sono dei veri maestri per se stessi. Poiché sono maestri per se stessi, possono divenirlo anche per gli altri.
[6]con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero;
In questo versetto Paolo ci mostra e ci elenca alcune qualità dell’anima che bisogna necessariamente possedere se si vuole essere buoni missionari di Cristo Gesù.
Queste qualità sono:
Purezza: Quando l’anima, il corpo e lo spirito non sono inquinati da nessuna forma di male, essi sono puri.
La purezza è dell’anima quando è senza macchia, tutta bianca, rivestita di candore e di semplicità, di bellezza interiore. Quando non è viziata, quando è libera, quando è collocata nella volontà di Dio.
Lo spirito è puro quando è governato dalla retta intenzione, quando cerca sempre il Signore, Lui vuole, desidera e brama; quando ogni cosa è fatta per Lui e non per l’uomo; quando nessun interesse materiale viene ad aggiungersi nello svolgimento del proprio ministero, quando brilla in esso la verità, la carità, la speranza; quando non ci sono secondi fini, pensieri nascosti, interessi reconditi, sentimenti diversi; quando non c’è quel miscuglio tra cose della terra e cose del cielo; quando c’è solo l’interesse del cielo, le cose che riguardano Cristo, la sola ricerca del regno dei cieli.
Il corpo è puro quando viene usato secondo la sua natura e nell’ambito della sola legge del Signore. Quando si ha il pieno governo di esso e quando ogni nostra azione è per il bene secondo Dio e non per il male, è per la verità e la giustizia, per la benevolenza e la carità, per ogni opera di misericordia corporale e spirituale.
Allora il corpo è puro e ogni suo membro deve essere conservato puro, a iniziare dalla lingua che deve dire solo parole di verità, di consolazione, di speranza, deve parlare solo secondo il bene e mai deve essere usata per il male o alcunché di simile.
Quando una persona vive di purezza in essa c’è solo la ricerca di ciò che piace al Signore, che è a lui gradito, santo, giusto.
Sapienza: La sapienza dice riferimento alla conoscenza delle cose.
Si possiede la sapienza quando non solo le cose, ma anche le persone, gli eventi, le circostanze sono conosciuti secondo verità, secondo la verità di Dio, secondo la sua scienza.
La sapienza non è solo è retta conoscenza, conoscenza delle cose secondo Dio, ma è anche amare le cose come Dio le ama.
Ciò che Dio ama la sapienza ama, ciò che Dio non ama, la sapienza non lo ama. Ciò che è secondo il cuore di Dio il sapiente lo cerca e lo desidera, ciò che non è secondo il cuore di Dio, il sapiente non lo vuole, neanche fa parte dei suoi pensieri o dei suoi desideri.
È assai difficile possedere la sapienza. La possiede chi ha un cuore puro, libero, vuoto da tutto ciò che appartiene alla terra, perché si vuole immettere in esso tutto ciò che è del cielo e per il cielo.
Pazienza: La pazienza è invece la legge che regola le relazioni con la storia, gli eventi, le persone, con tutto ciò che accade in questo mondo.
È paziente l’uomo quando in ogni cosa che accade, con ogni persona che incontra, negli stessi avvenimenti della storia, sa conservare il suo amore per il Signore e per i fratelli.
La pazienza è la virtù della carità attraverso la quale amiamo sempre Dio e gli uomini, nonostante le avversità, le sofferenze, e ogni altro male che dovesse abbattersi sulla nostra persona, anche quando questo male è causato dai nostri fratelli.
Anche questa virtù è difficile da potersi conquistare e ottenere. È necessaria molta preghiera, soprattutto è necessario un dono iniziale nostro nei riguardi di Dio e dei fratelli.
È necessario il dono della nostra vita a Dio e ai fratelli per amare Dio secondo la sua volontà e i fratelli secondo il precetto del Signore. Quando questo dono d’amore è stato fatto, allora il cuore è già pronto alla pazienza. Esso sa che ogni cosa che avviene, avviene perché il suo dono d’amore sia sempre rinnovato e concretamente dato a Dio e ai fratelli per manifestare la carità con la quale il Signore ci ama e nella quale dobbiamo sempre amarlo.
Benevolenza: Con la benevolenza l’uomo cerca sempre il bene. In ogni circostanza della vita, buona e non buona, opportuna e non opportuna, di gioia o di sofferenza, di letizia o di martirio, a favore o avversa, egli altro non fa che volere il bene, cercare il bene, il bene desiderare, bramare.
Chi è benevolo cerca sempre una ragione per poter amare l’altro e la ragione è una sola: Cristo Gesù che ci ama sino alla fine, con il dono di tutto se stesso.
Se Cristo ci ha amato con il dono della propria vita, anche noi dobbiamo amare fino al dono della nostra vita.
Dobbiamo amare tutti, sempre, in ogni circostanza. Ogni situazione è posta da Dio dinanzi a noi perché noi esercitiamo la virtù della benevolenza e compiamo ogni cosa per manifestare il suo amore e la sua misericordia.
Spirito di santità: lo spirito di santità non solo è la costante ricerca della volontà di Dio, ma è una smisurata crescita in essa.
Nello spirito di santità non solo si fanno bene le cose, le si fanno nel miglior modo possibile.
Non si cerca solo la volontà di Dio, si cerca tutta la volontà di Dio, in ogni sua parte e nei minimi particolari.
Non si desidera una sola virtù, si bramano per il nostro cuore tutte le virtù e nella loro perfezione.
Quando un cuore è spinto dallo spirito di santità, la perfezione è per lui raggiungibile, perché si è attirati da Dio e dalla sua perfezione di carità e di verità, nella più pura e santa giustizia.
Amore sincero: L’amore è sincero quando nel cuore non c’è altro interesse se non quello di amare in tutto secondo la volontà di Dio. All’amore sincero si contrappone l’amore impuro, interessato, inquinato dal male.
L’amore è sincero solo quando è, il nostro amore, dono dell’amore che Dio ha riversato nei nostri cuori per opera del suo Santo Spirito.
[7]con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra;
In questo versetto Paolo aggiunge altre tre caratteristiche che contraddistinguono il suo ministero.
Con parole di verità. La parola di verità è solo quella di Dio. Ogni parola che è uscita dalla sua bocca è stata per lui solo l’annunzio della volontà di Dio, il ricordo della Parola del Vangelo.
L’Apostolo del Signore non può mescolare parole d’uomo e parole di Dio e farle uscire contemporaneamente dalla sua bocca, oppure prima fa uscire parole di Dio e subito dopo parole d’uomo.
L’Apostolo del Signore è uomo di Dio. Dalla sua bocca deve uscire solo la Parola di Dio, la Parola della verità, il Vangelo della grazia, la buona novella della redenzione per ogni uomo. Se lui fa uscire parole d’uomo, della terra, egli non è solo uomo di Dio, è anche uomo della terra e se è anche uomo della terra, non è uomo di Dio.
Basterebbe che ogni Apostolo del Signore si ricordasse di questo principio ed il mondo potrebbe esultare di santa gioia.
Perché la bocca proferisca parole di Dio nel cuore deve esserci solo il Signore. Quando invece nel cuore ci sono altri accanto a Dio, allora non c’è Dio. L’apostolo in questo caso ha un calo di verità e quindi di incidenza nella storia. Egli non è più uno strumento di verità, perché l’uomo non lo vede più strumento di verità, lo considera un uomo del mondo, un uomo non più di Dio, ma della terra.
San Paolo è cosciente di questo rischio e lui vuole ed è sempre uomo di Dio, strumento del Signore, suo servo, ministro di Cristo per la proclamazione della verità che dona salvezza ai cuori e alle menti.
Con la potenza di Dio. Chi deve agire nell’apostolo non è l’apostolo, ma il Signore.
È il Signore la potenza dell’apostolo, la sua forza. È lui che lo spinge, lo muove, lo attira.
È lui che vuole, agisce, opera, va incontro all’uomo e lo serve secondo la sua imperscrutabile scienza e sapienza eterna.
L’apostolo deve pertanto manifestare sempre la potenza divina che agisce o non agisce non perché l’apostolo lo vuole o non lo vuole, ma perché Dio lo vuole o non lo vuole.
L’apostolo del Signore deve sempre sperimentare nel suo spirito e nel suo corpo la debolezza, la fragilità, il nulla.
Lui deve sapere che attraverso il suo spirito, la sua anima e il suo corpo agisce la potenza di Dio e a Dio deve affidare ogni caso perché sia lui a dare la soluzione di bene, quella che Dio vuole e mai quella che vuole l’uomo, o vuole l’apostolo.
In questo senso l’apostolo non può avere una sua personale volontà nello svolgimento del suo ministero. Sua volontà deve essere quella di Dio. Poiché lui è fratello tra i fratelli e figlio tra i figli, egli deve portare ogni cosa a Dio, affidarla con fiducia a Lui, sapendo che Dio sa cosa fare, quando e come per il bene e la pace dei suoi figli.
L’apostolo non è il risolutore dei problemi dell’uomo, è invece colui che li presenta al Signore.
In questa presentazione è la sua forza, il suo ministero, ma anche la sua libertà. Egli è libero dinanzi ai problemi del mondo perché li ha presentati al Signore; è libero perché accoglie sempre la volontà del Signore; è libero perché possiede la scienza e la sapienza che gli fanno sempre da luce al suo spirito e al suo cuore.
Con le armi della giustizia a destra e a sinistra. L’arma è uno strumento di attacco e di difesa. Paolo si sente armato nell’una e nell’altra mano, ma con un’arma particolare, speciale, con un’arma che non è della terra, ma del cielo. Quest’arma è la giustizia, la perfetta conoscenza della volontà di Dio.
Egli difende la causa di Dio nel mondo annunziando la sua giustizia; espande il suo regno proclamando il Vangelo; distrugge il mondo immettendo in esso il principio o il lievito di vita eterna che è la Parola di Cristo Gesù.
Egli non ha altri intendimenti, altri progetti, altri propositi, altre mire. Il suo progetto è uno solo, lo stesso che fu di Cristo: mandare in rovina il principe di questo mondo, che è tenebra e menzogna, illuminando il mondo con la luce radiosa di Cristo Gesù.
Solo con queste armi il mondo crolla e il regno di Dio si edifica e si costruisce. Quando invece noi non facciamo brillare la parola della giustizia nelle tenebre di questo mondo, ma andiamo nel mondo con le sue stesse tenebre o le sue stesse opere, il mondo ride di noi, perché vede la nostra stoltezza e le nostre tenebre.
Non possiamo avere le armi della giustizia nelle mani, se la giustizia non è nel cuore. Se il Dio della giustizia non guida la nostra vita, come possiamo noi pretendere di usare le sue armi per la edificazione del suo regno nel mondo, se il suo regno non lo abbiamo neanche edificato nel nostro cuore?
Se uno non è nel regno di Dio, non può edificare il regno di Dio. Non si può essere del mondo e lavorare per il regno di Dio, né essere del regno di Dio e lavorare per il mondo.
Quella dell’apostolo del Signore è una scelta. O sceglie di essere con Dio e lascia il mondo, o se rimane nel mondo, indirettamente egli sceglie di non essere con Dio. Luce e tenebre non possono convivere in noi. Se in noi dimorano le tenebre, la luce non brilla su di noi, né può brillare attraverso noi.
[8]nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;
Questo bisogna distinguerlo in due parti. La prima manifesta il contesto storico nel quale Paolo esercita il suo ministero, o ha rivestito e riveste le armi della giustizia. La seconda invece tocca direttamente la sua persona, non in quanto persona di Paolo, ma in quanto persona dedicata interamente al ministero del Vangelo.
Nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Paolo è riuscito a vivere secondo quando ha detto finora (vv. 3-7), in circostanze disparate.
Mai egli si è lasciato vincere dalla situazione storica. La gloria non lo ha esaltato, il disonore non lo ha piegato, scoraggiato.
La cattiva fama non gli ha impedito di proseguire la corsa, e la buona fama non è stata da lui usata per un favore personale, o per qualche utile proprio, che non fosse quello del Vangelo.
Come un abile maestro nelle cose di Dio, egli sa come far sì che tutto si rivolga per il bene del Vangelo, anche le cose più buie ed oscure che si addensano sul suo cammino.
In ogni momento della sua vita egli conserva la sapienza con la quale tutto trasforma in un momento utile e favorevole perché il Vangelo di Dio sia accolto, secondo il Vangelo si viva, per il Vangelo si cammini, il Vangelo si espanda e si diffonda. Questa è vera sapienza. Chi possiede lo Spirito del Signore possiede anche la sua sapienza in misura sempre più grande, proporzionatamente alla crescita dello Spirito dentro di Dio.
Paolo possiede uno Spirito forte, vivo, operante, uno Spirito che ogni giorno cresce in lui. Anche la sapienza in lui è forte, viva, operante e con questa sapienza dirige ogni cosa a Dio.
Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri. Con questa frase Paolo presenta la verità sulla condizione apostolica, dice ciò che è in realtà l’apostolo del Signore.
Lo dice presentando la verità dell’apostolo in contrapposizione a ciò che il mondo pensa dell’apostolo del Signore.
È giusto che verità e falsità vengono messe in contrapposizione, perché appaia con più luce la verità dell’apostolo e la sua missione rigeneratrice di vita per il mondo intero.
Il mondo ritiene che l’apostolo sia un impostore, uno che va tra la gente a raccontare falsità, a dire menzogne, a illudere gli uomini, a predicare loro una felicità che non si compie in questo mondo, ma in un altro, nel cielo.
Uno che predica le virtù, che altro non sono che un restringimento delle forze del male che operano in noi, affinché tutto e solo il bene possa essere fatto attraverso il nostro corpo, la nostra anima, il nostro spirito.
Il mondo pensa che l’apostolo porti l’uomo in un mondo di chimere, di illusioni, di una falsa speranza, in un mondo futuro che nessuno potrà mai contemplare da vivo su questa terra.
Questo lo pensa il mondo. L’apostolo deve avere però la consapevolezza che ciò che lui dice è la sola verità possibile per l’uomo e per questa verità egli deve essere disposto a perdere la propria vita.
L’impostore dice cose non vere per un profitto e un guadagno personale, l’apostolo invece dice la verità per un profitto non per sé ma per tutto il mondo. Lui, la verità, la dice nella più assoluta gratuita. Niente vende e niente compra. Anzi la dice la verità a prezzo della sua vita. Per quello che dice egli ha già messo sulla croce il suo corpo per essere inchiodato e divenire pubblico spettacolo dinanzi al mondo.
Quello che interessa evidenziare in questo versetto non è il fatto che l’apostolo è veritiero, mentre il mondo lo considera un impostore; è invece l’affermazione che l’apostolo è il solo che possiede la verità per il mondo e che questa verità deve egli annunziarla proprio quando da colui presso il quale si reca per dirgliela, lo ritiene un impostore, un venditore di chimere, un annunziatore di false speranze, di speranze che non si possono raggiungere in questo mondo.
Quello che è importante in questo versetto è la fede dell’apostolo nella sua verità. Dico questo perché oggi sta accadendo proprio il contrario: l’apostolo non crede più nella verità del Vangelo; il mondo gli ha detto che lui non può risolvere i problemi di questo mondo con l’annunzio del Vangelo e lui ha creduto, ha abbandonato il Vangelo ed ha assunto le ricette di questo mondo e con esso si sta presentando, divenendo un collaboratore fedele delle idee e delle proposte del mondo per risolvere i problemi di questo mondo.
È questo il problema grave, serio. O noi crediamo che il Vangelo, la verità sia l’unica soluzione di salvezza per l’uomo, oppure dobbiamo cercare un’altra verità. Poiché altre verità non esistono, dobbiamo elevare la menzogna al ruolo di verità e la falsità a strumento di salvezza per l’uomo.
È l’aberrazione nella quale molti cristiani oggi sono caduti. È la stoltezza che governa il cuore di molti tra coloro che dovrebbero essere guide illuminate per la comprensione della Parola di Gesù. Gesù lo ricorda: se un cieco guida un altro cieco tutti e due andranno a finire in un pozzo, in una buca. Non c’è cammino per loro e non c’è futuro.
[9]sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte;
Vengono qui presenti altri tre qualità, o note caratteristiche, di ogni apostolo del Signore.
Sconosciuti, eppure siamo notissimi. In questa prima affermazione viene messa in risalto una delle caratteristiche del ministero apostolico.
L’apostolo del Signore è sconosciuto dal mondo per quanto riguarda la verità, il Vangelo, la Parola del Signore. Non solo non lo si conosce, non lo si vuole conoscere come uomo di Dio, come un suo strumento, come uno che porta sulla terra l’unica salvezza possibile.
Lo si combatte in tutti i modi. Pur di distruggere la verità che è in lui, si distrugge lui. Se non fosse per il Signore che stende una tenda di luce sui suoi veri missionari, molti non riuscirebbero neanche a vivere un solo giorno.
D’altronde luce e tenebra non si possono conoscere. La tenebra può conoscere la luce convertendosi, trasformandosi in essa, abbracciando la luce, diffondendo la luce sulla terra.
Gli apostoli del Signore sono notissimi al mondo perché sono gli unici che vogliono distruggere le tenebre che regnano nel mondo.
Ogni tenebra sa perfettissimamente dove è la luce, anche la più piccola fiammella di luce essa la sa riconoscere, la riconosce perché ne va di mezzo la sua esistenza. Essa non potrà mai esistere come tenebra, se accanto ad essa c’è la luce. Anche la più piccola luce diviene un pericolo per essa.
Questo è il motivo per cui il mondo conosce coloro che sono di Cristo, li conosce per ucciderli, per perseguitarli, per far sì che desistano dal loro essere luce, li tenta perché divengano anche loro tenebra tra le tenebre.
L’apostolo è sconosciuto per ciò che esso porta e per lo stesso motivo è conosciutissimo, è notissimo a tutti. Quando un apostolo del Signore non è noto al mondo, è un brutto segno. È il segno che il mondo lo conosce come suo e quindi gli è ignoto. Di lui non sa cosa farsene, gli appartiene già.
Moribondi, ed ecco viviamo. Questa affermazione dice invece una relazione con il Signore che è di aiuto e di sostegno.
Non solo il Signore fortifica l’anima e lo spirito dei suoi missionari. Gli dona giorno per giorno quella forza necessaria per vivere un’altra giornata di missione. Poi domani sarà un’altra alba e ci sarà un’altra forza che permetterà di vincere la naturale debolezza del nostro corpo, in modo che solo la gloria di Dio risplenda attraverso la nostra vita.
Se si osserva la vita dell’apostolo del Signore, c’è in lui fatica, stanchezza, debolezza fisica dello stesso suo corpo. A volte ci sono malattie e sofferenze di ogni genere.
Ebbene, nonostante che il corpo sembra essere avvolto già dalla morte, per grazia di Dio ogni giorno risuscita e ogni giorno compie la missione di salvezza a favore di tutti gli uomini.
È questo un prodigio dell’amore del Signore e della sua misericordia a favore di coloro che si dedicano interamente al suo servizio.
Puniti, ma non messi a morte. In questa frase c’è tutta la “rivelazione” giovannea “sull’ora” che accompagna la vita di Gesù.
L’ora della dipartita da questo mondo per gli apostoli di Gesù non è stata messa da Dio nelle mani degli uomini. Quest’ora egli l’ha riservata a sé. È lui che stabilisce quando è il momento di alzare le vele e partire per l’eternità e quando ancora bisogna rimanere sulla terra per compiere la missione di salvezza a favore di tutti gli uomini.
Il Signore permette la persecuzione, la punizione, ogni altro genere di sofferenza fisica e morale per saggiare la fedeltà dei suoi ministri. Ma a nessuno è consentito di andare oltre la prova.
Questo spiega perché Paolo sovente è stato punito, ma per lui sempre però si è aperta una via di fuga dalla sofferenza. La sua ora non era ancora venuta e lui serviva ancora al Signore per la causa del Vangelo.
Questo non vale solo per Paolo, vale per ogni missionario del Vangelo. Il Signore ci prova per saggiare il nostro cuore e finché serviamo alla sua Parola e alla sua grazia, come suoi ministri, egli custodirà la nostra vita perché non cada per sempre nelle mani degli uomini.
Poi dalla sera alla mattina, come lo fu per Cristo, ce ne andremo da questo mondo. Il Signore ci abbandona nelle mani del mondo, ma solo per compiere il suo disegno di vita eterna per noi e di salvezza e di redenzione per il mondo intero.
[10]afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!
L’afflizione viene dagli uomini, la letizia viene dal Signore; la povertà è per le cose di questo mondo, la ricchezza invece sono i beni del cielo.
Umanamente l’apostolo non ha nulla, divinamente e spiritualmente parlando l’apostolo invece ha tutto, perché tutto Dio e tutta la sua grazia è stata posta nelle sue mani.
L’apostolo vive nel suo essere la legge del contrasto. C’è in lui da un lato la nullità della terra e dall’altro la ricchezza del cielo. C’è il niente dell’uomo e il tutto di Dio in lui.
Questo contrasto vive se lui riesce a conservarlo intatto, conservando se stesso nell’afflizione, nella povertà, nel niente di questo mondo.
Deve conservarsi nell’afflizione, perché è questa la via per la diffusione del Vangelo nel mondo. Non che il missionario del Vangelo sia chiamato alla sofferenza, all’afflizione. La sofferenza e l’afflizione accompagnano sempre il suo cammino di verità.
Se lui esce dalla verità, non c’è, non ci sarà più afflizione per lui, motivata dal nome di Cristo nel quale egli crede e per il quale lavora. Se non c’è verità in lui, non ci può essere neanche arricchimento celeste da parte sua tra i suoi fratelli.
La verità genera afflizione, l’afflizione genera gioia negli altri, perché dona salvezza, redenzione, vita eterna.
La sola verità non basta per portare ricchezza in questo mondo; occorre che l’apostolo del Signore sia veramente povero, che realmente non possieda nulla. Il motivo è assai semplice. Il Signore vuole che in ogni momento appaia che sia lui ad operare nell’apostolo del Signore, che sia lui a compiere ogni opera, che sia lui a dirigere ogni azione.
Per questo l’apostolo deve vivere nella povertà, nel niente di questa terra. Gesù vuole i suoi missionari affidati interamente alla provvidenza del Padre, al suo sostegno, al suo aiuto solerte.
È in questa povertà effettiva, reale che si manifesta il Signore. L’apostolo del Signore non deve aiutare i poveri a risolvere i problemi della loro povertà. L’apostolo del Signore è il più povero tra i poveri e lui stesso è stato affidato da Cristo alla carità degli uomini, di quanti sono di buona volontà perché possa ricevere ogni giorno un tozzo di pane, di che sfamarsi e continuare così il viaggio della salvezza tra gli uomini.
In tale senso la Chiesa, almeno nei suoi pastori, non può avere il problema di come fare le opere di carità corporali, perché essa stessa è soggetto di queste opere, soggetto passivo, non attivo, perché ella è stata deputata da Dio a compiere le altre opere quella della carità spirituale, nel dono della parola, della verità e della grazia di Cristo Signore.
La Chiesa, sempre nei suoi pastori, ha uno stile particolare di vita. In essa e per essa deve rivelare Dio, la sua presenza nella storia, i suoi divini interventi a favore di tutto il genere umano.
Tutti devono constatare, attraverso la povertà della Chiesa, che è Dio che opera in essa e non l’uomo. Far vedere Dio è anche questo ministero e ufficio della Chiesa, allo stesso modo che Cristo, nella sua povertà e nullità economica, faceva sempre vedere che il Padre era con Lui e che in Lui operava, compiendo quei prodigi d’amore che sono solo frutto dell’Onnipotenza divina.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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