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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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08/02/2012 22:43
 
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L’AMORE DI CRISTO È FORZA

[11]Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini; per quanto invece riguarda Dio, gli siamo ben noti. E spero di esserlo anche davanti alle vostre coscienze.
Paolo ha una consapevolezza che è il timone della sua esistenza. Questa consapevolezza è il timore del Signore.
Lui sa che la Parola di Dio è verità e che il Signore mantiene ogni Parola uscita dalla sua bocca.
Lui è convinto di questo, la sua missione è quella di convincere gli uomini.
In questa frase è tutto il mistero della missione della Chiesa. Molti figli della Chiesa, oggi, hanno perso questa consapevolezza del timore del Signore.
Si sono come smarriti nei meandri di un pensiero della terra che non è più fondato sul timore del Signore, perché non tiene più conto della Parola da lui proferita e sulla quale si fonda la nostra fede.
Perché Paolo si affatica, soffre, è perseguitato, è messo ogni giorno a morte, va in giro per il mondo, spende ogni sua energia per vivere tutta la sua sollecitudine pastorale?
Il motivo è in questa sua affermazione. Lui è consapevole della verità di quanto il Signore ha detto. È consapevole della morte eterna che grava su quanti vivono nel peccato e nella trasgressione della legge di Dio.
È consapevole della dannazione eterna che pende sulla testa dei suoi fratelli. È consapevole che attraverso la sua predicazione molti potrebbero entrare nel cammino della vita. È consapevole che se lui tace il Vangelo, l’uomo rimane nelle tenebre e nell’ombra di morte. È consapevole che nessuna storia umana potrà mai cambiare se il Vangelo non diviene per tutti la luce che illumina ogni uomo.
È consapevole che il compito di proclamare il Vangelo gli è stato affidato direttamente dallo Spirito del Signore. Dio lo ha chiamato e lo ha costituito strumento di luce e di salvezza.
Se lui non fa questo, il mondo resta nelle tenebre. Lui dovrà domani rendere conto al Signore del perché non ha svolto la missione che aveva ricevuto dal Cielo e che lo ha costituito luce delle genti, proclamatore del Vangelo della Grazia, predicatore della buona novella della salvezza.
Questa è la sua convinzione. È una convinzione che si fonda e si stabilisce nel timore del Signore, cioè nell’assoluta certezza che quanto il Signore ha detto nella sua Parola si compirà per ciascuno di noi.
Poiché la morte eterna grava sulla testa dei suoi fratelli e vi grava per davvero, egli cerca con ogni mezzo di convincere gli uomini a lasciarsi conquistare da Cristo Gesù e dalla Parola di grazia e di salvezza che Lui ci ha annunciato e che ha già realizzato per noi.
Naturalmente c’è dall’altro lato l’uomo e la sua coscienza, la sua volontà, la sua mente e il suo cuore. L’uomo potrà anche rifiutarsi di credere, lo potrà anche perseguitare, ma in questo caso Paolo è senza colpa riguardo a coloro che si perdono. È senza colpa perché lui ha una coscienza retta dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.
Che la sua coscienza sia retta dinanzi a Dio, non possono esserci dubbi. Dio conosce il suo lavoro, la sua rettitudine, il suo amore, il suo zelo pastorale, conosce le sue innumerevoli fatiche.
Paolo vuole che questa stessa conoscenza di lui l’abbiano anche gli uomini, soprattutto l’abbiano i Corinzi, presso i quali egli ha anche lavorato con molta fatica e tribolazione.
Questo ci deve insegnare che non solo bisogna manifestare a Dio la nostra coscienza retta; è necessario che anche dinanzi agli uomini la nostra coscienza sia retta. Non che appaia retta, ma che sia veramente tale.
Noi dobbiamo chiedere che l’altro ci guardi sempre e ci veda nella nostra rettitudine di coscienza; è altrettanto vero che dobbiamo in ogni circostanza dimostrargli che agiamo solo per rettitudine di coscienza e che in tutto quello che facciamo brilla su di noi solo ed esclusivamente la legge e la volontà di Dio.
Ciò che il Signore comanda e vuole noi lo facciamo; ciò che il Signore non vuole, non comanda, noi non lo vogliamo, non lo desideriamo, non lo facciamo, con imparzialità, con carità, con serenità, ma anche con tanta fermezza e decisione.
[12]Non ricominciamo a raccomandarci a voi, ma è solo per darvi occasione di vanto a nostro riguardo, perché abbiate di che rispondere a coloro il cui vanto è esteriore e non nel cuore.
Paolo vuole che i Corinzi vedano in lui una coscienza retta che sempre lo muove e lo spinge all’azione; vuole che lo pensino non mosso da alcun interesse terreno, o di parte; vuole che lo considerino un appassionato annunciatore del Vangelo di Cristo Gesù.
Il suo discorso è sottile. Egli vuole che i Corinzi possano veramente vantarsi di lui e per lui. Perché Paolo adduce questo motivo del vanto a proposito della sua coscienza retta con la quale agisce? C’è veramente bisogno che l’altro possa vantarsi di noi? Non è in Dio e di Dio che bisogna sempre vantarsi?
Si è detto che il suo discorso è sottile. Eccone il motivo. A quei tempi c’erano dei cristiani fanfaroni, che dicevano, ma non facevano. Questi cristiani portavano tanto scompiglio nella comunità.
Per esaltare se stessi, la loro opera, a volte denigravano Paolo, lo accusavano ingiustamente, lo deridevano, lo giudicavano un uomo buono a nulla.
Se i Corinzi avessero creduto questo, ne sarebbe andata di mezzo la credibilità del Vangelo.
Quale credibilità può avere una predicazione fatta da un uomo che non pone nessuna credibilità? L’uomo è la sua credibilità. Se lui non è credibile, come può essere credibile quanto egli dice, ma soprattutto il Vangelo che egli annunzia?
Paolo vuole che i Corinzi possano vantarsi di lui, ma vantarsi non a motivo della persona di Paolo. Sappiamo che questo Paolo mai lo ha permesso e per nessuna ragione al mondo. Devono vantarsi di lui a motivo della verità che egli proclama.
Questa verità è talmente vera, talmente sublime, talmente corrispondente al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, da non poter lasciare alcun dubbio nella mente e soprattutto nel cuore dei suoi ascoltatori e neanche delle comunità presso le quali egli ha lavorato.
Sapendo che Paolo è di retta coscienza e che annunzia secondo verità il Vangelo di Cristo Signore; sapendo altresì che il suo lavoro è a prova di carità e di speranza, i Corinzi possono vantarsi di Lui, ma non possono dire altrettanto di quanti cercano un vanto esteriore, che non è il vanto del cuore.
Il vanto del cuore è quello testimoniato dalla retta coscienza e dalla carità pastorale che guida ogni azione missionaria; il vanto esteriore sono quelle cose che si fanno per piacere agli uomini e per ricevere da loro una lode, una nota di merito. Questo vanto non è secondo Dio, è solo un vanto di fumo, una caligine con la quale ci si riveste per nascondere la nullità che segue ogni nostro intervento nella storia.
Il nostro intervento è nullo, improduttivo, perché non fondato sulla verità di Cristo Signore e non portato avanti con la sua carità pastorale, che dona la sua vita per la vita delle sue pecore.
Sapendo chi è veramente Paolo, loro possono sapere anche chi non sono gli altri, cosa non fanno gli altri, su che cosa si fonda realmente ed essenzialmente il loro lavoro pastorale: sul niente, ma soprattutto su una cattiva coscienza che non cerca il bene secondo Dio, ma solo il bene secondo l’uomo, che è egoismo e superbia, esaltazione e vanagloria.
[13]Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi.
Quando si predica il Vangelo si può essere presi anche per pazzi, per degli uomini che sono fuori di senno. Questo Paolo lo sa e lo conferma anche. Quando un missionario del Vangelo che agisce con rettitudine di coscienza viene preso per pazzo, viene dichiarato fuori di senno, ciò significa semplicemente che egli è nella più grande verità, nella più assoluta conformità al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
In questo versetto Paolo mostra tutta la sua saggezza e sapienza ispirata. Egli non vuole mettere in difficoltà i Corinzi. Dice loro di non prendersela se lui è fuori di senno, di non farne caso.
Non è per loro che egli è fuori di senno. Egli è fuori di senno per il Signore e dinanzi al Signore.
Dinanzi al Signore non dobbiamo forse essere tutti fuori di senno, non dobbiamo rinunciare forse a tutta la nostra razionalità umana per poter indossare e rivestirci della sua sapienza e saggezza eterna che è il suo Vangelo?
C’è forse spazio per la sapienza umana nella stoltezza e nell’illogicità del Vangelo? Per questo Paolo è fuori di senno, per acquisire tutta la sapienza e la saggezza del Vangelo, per rivestire Cristo e la follia della sua croce.
Divenuto fuori di senno per il Signore, rivestito della sua sapienza e saggezza eterna egli è divenuto nuovamente assennato, ma si tratta di un senno che è in Dio, non fuori di Lui, ma è in Dio, è in lui ma è tutto a favore dei Corinzi.
Questi possono attingere alla fonte della sua sapienza e divenire a loro volta assennati in Cristo; possono gustare l’acqua della verità e della santità ed entrare così anche loro nella verità e nella santità che scaturiscono solo dalla parola di Cristo Gesù, compresa alla luce della sapienza eterna dello Spirito Santo.
Se non si diviene fuori di senno per il Signore non si può neanche divenire assennati per gli uomini.
O la Parola di Dio prende posto interamente in noi e questo avviene solo attraverso il rinnegamento di noi stessi, divenendo fuori di senno, oppure mai noi potremo essere assennati per gli uomini, mai potremo manifestare loro la saggezza dello Spirito Santo che deve divenire anche loro luce di saggezza e di assennatezza in modo da portare la loro vita in Cristo Gesù e nel suo mistero di verità e di salvezza.
[14]Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti.
Paolo rivela ora ai Corinzi tutto il suo cuore. Chi muove Paolo ad agire è l’amore di Cristo Gesù.
L’amore di Cristo è il dono della sua vita per la salvezza del mondo. L’amore di Cristo è la sua croce. L’amore di Cristo è l’umiliazione dinanzi agli uomini. L’amore di Cristo è olocausto e sacrificio di se stesso, è annientamento, è farsi servo degli altri e questo sino alla fine di ogni possibilità umana.
Se Paolo è spinto dall’amore di Cristo e l’amore di Cristo è questo per Paolo, egli ama come Cristo, ama di un amore che sa farsi sacrificio, oblazione ed olocausto per il mondo intero. Non può esserci allora differenza tra l’amore di Cristo e l’amore di Paolo. Sono tutti e due avvolti e conquistati da un unico amore, con una sola differenza che l’amore di Cristo è fonte, principio, sorgente dell’amore che è in Paolo.
L’amore di Cristo è un amore che conduce alla morte di croce, è un amore che porta ogni altro in questa sua stessa morte.
Cristo è morto per tutti. Tutti in lui sono morti. Sono morti sacramentalmente, devono morire realmente; sono morti oggettivamente, devono morire soggettivamente.
Devono morire la stessa morte di Cristo, non per se stessi, ma per gli altri; devono far sì che tutti muoiano, perché loro sono morti in Cristo, morendo la sua stessa morte per amore.
Quando l’amore nel missionario del Vangelo è quello di Cristo che vive ed opera in lui, il risultato è lo stesso che fu di Cristo.
Questo amore conduce alla morte fisica colui che lo possiede; questo amore produce frutti di vita eterna attorno a sé, poiché conquista i cuori al Vangelo e li spinge a dare anche loro la vita per Cristo e perché in Cristo molti altri muoiano la vita di Cristo.
Quando l’amore di Cristo spinge il missionario del Vangelo, sempre maturano di questi frutti di morte che generano tanta altra vita evangelica attorno a sé e quindi tante altre morti di Cristo nel mondo.
Il processo di morte si moltiplica e diviene quasi infinito. È questo processo che genera la salvezza nel mondo. Quando questo processo si interrompe perché in qualcuno non è più l’amore di Cristo che spinge, la vita cristiana si raffredda e molti cuori ritornano nella loro falsità di un tempo e in una vita che non è più condotta e spinta dall’amore di Cristo.
Quando non si produce salvezza attorno a sé, è il segno che il nostro amore si è raffreddato e che Cristo non vive più in noi. Noi non siamo in lui, non moriamo la sua morte, non possiamo generare la sua vita.
[15]Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.
Paolo pone qui il principio dell’ascesi cristiana e della sana e retta spiritualità che deve guidare i discepoli di Gesù.
Pone anche uno dei più grandi principi di antropologia cristocentrica, dai risvolti ecclesiologici di massima importanza.
Cristo è morto per tutti, per ogni uomo. È questo il principio soteriologico che è a fondamento della cristologia.
Per essere di fede cristiana occorre professare che Cristo, la seconda Persona della Santissima Trinità, si è incarnato, ha subito la passione, è morto ed è risorto per noi.
Paolo dirà in altri testi: è morto per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione.
Quello che molte cristologie, anche cattoliche ignorano, è l’altra affermazione di Paolo: perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.
Ogni vera cristologia deve comporsi pertanto di due verità: quella di Cristo che è morto per tutti; l’altra che tutti ormai devono vivere per Cristo.
La fede è completa se queste due verità sono assieme. Se queste due verità vengono separate, una annunziata: la prima; l’altra lasciata: la seconda, noi non abbiamo una vera, autentica cristologia.
Abbiamo una cristologia che non diviene antropologia, né ecclesiologia. Non diviene antropologia perché coloro per i quali Cristo è morto non vivono per Cristo. Cristo è morto per tutti, tutti devono vivere per Cristo.
Devono dare la loro vita a Cristo, perché Cristo la trasformi in uno strumento di salvezza a favore di tutti gli uomini.
Non diviene ecclesiologia, perché la Chiesa oltre che dispensatrice dei divini misteri a coloro che già credono, è nella sua essenza missionaria; dispensa i misteri perché è missionaria.
Essa deve andare per terra e per mare ad annunziare il grande mistero della salvezza, il grande dono dell’amore di Dio in Cristo Gesù.
Essa non solo deve annunziare Cristo, deve far sì, attraverso il suo ministero e la sua stessa vita vissuta tutta per Cristo, che ogni altro uomo si inserisca in questo mistero di salvezza e doni la sua vita interamente a Cristo Gesù, affinché per mezzo di essa salvi e redima il mondo intero.
Quando c’è un calo nella missione, quando c’è un calo antropologico, quando l’uomo comincia a non essere più l’uomo evangelico e la Chiesa perde di incidenza e di slancio nella sua missione, che abbia la forza di interrogare i suoi teologi, i maestri che insegnano la fede: vedrà che in loro c’è stato un calo nella fede in Cristo Gesù, c’è stata un perdita di verità, uno smarrimento nei principi della salvezza.
La prassi nella Chiesa è sempre governata da una verità che essa annunzia; se la verità è trasformata in parte o in tutto, anche la prassi subisce una trasformazione, un orientamento diverso e una diversa modalità di impostazione.
Chi lavora sul cambiamento della prassi, senza cambiare la fede che è all’origine di ogni prassi, lavora invano. La sua è veramente una energia sciupata, sprecata, messa in atto a vuoto.
Quanti hanno l’obbligo di vigilare sul retto insegnamento della fede devono avere la fortezza dello Spirito Santo e intervenire tempestivamente affinché non si registri nel seno della comunità un calo di fede.
Quello che si può fare subito con un intervento assai opportuno e immediato, se tralasciato, se rinviato, produce dei danni così gravi che occorrono poi dei secoli per ristabilire nei cuori la verità, se ci si riesce.
La responsabilità della vigilanza è la più grave dinanzi a Dio che esiste sulla terra. Per questa responsabilità la Chiesa si mantiene nella sua verità, ma anche devia dal cammino di Cristo e dello Spirito e percorre vie di falsità e di menzogna, come oggi.
Oggi non si pone più alcuna attenzione all’affermazione che tutti coloro per i quali Cristo è morto, e Cristo è morto per tutti, vivano e muoiano per lui.
Qual è il risultato: un’antropologia di salvezza senza spiritualità e senza ascesi, senza Cristo e senza Vangelo, senza principi morali sani che orientano la vita verso una sempre più perfetta configurazione a Cristo Gesù nella vita e nella morte.
[16]Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così.
Altra affermazione che merita di essere analizzata e sviluppata nei suoi contenuti.
Ogni conoscenza tra i cristiani deve avvenire nella fede e secondo la fede. Bisogna vedere l’altro nel mistero di Cristo e di Dio.
Bisogna vedere così il cristiano e il pagano, il peccatore e il giusto, colui che è dentro la comunità e colui che vive ai margini.
Vedere ognuno secondo la fede e nella fede ha un solo significato: quello che Dio ha fatto di lui nella fede, quello che Dio vuol fare di lui secondo la fede.
Anche Cristo Gesù deve essere conosciuto secondo la fede, non secondo i ricordi personali, le relazioni di parentela, di amicizia, di etnia, di razza, di appartenenza, o di altre forme che riguardano sempre la sfera umana della conoscenza.
Chi è l’altro secondo la fede, ma soprattutto chi è Cristo secondo la fede? È il Redentore e il Salvatore di ogni uomo; è colui nel quale ogni uomo deve essere chiamato a divenire nuova creatura.
Chi è Paolo secondo la fede? È il ministro, lo strumento di Cristo per inondare il mondo di verità, per dare la luce del Vangelo a tutte le genti.
Chi è il cristiano secondo la fede? È colui che è divenuto in Cristo luce e sale della terra; è colui che deve testimoniare attraverso la verità di Cristo e la sua grazia che abitano ed agiscono in lui la straordinaria potenza del mistero del quale è divenuto parte.
Chi è il pagano secondo la fede? È un uomo da chiamare a Cristo, da condurre a Lui, da inserire nel suo mistero di morte e di vita, perché lo compia nella sua carne.
Se ogni pagano viene conosciuto così, secondo la fede, la Chiesa non può che trasformarsi in missionaria, non può che riprendere la via del mondo, andare incontro ad ogni uomo, per manifestargli la sua vocazione, chiamandolo perché la compia in Cristo Gesù. È solo in Lui che la vocazione dell’uomo può essere compiuta, può realizzarsi, può essere portata a maturazione.
Questi sono solo alcuni esempi di come si possa e si debba pensare e vedere ogni cosa secondo la fede.
Chi è il peccatore secondo la fede? È un uomo a cui bisogna dare la grazia di Cristo Gesù. Al cristiano non compete né il giudizio, né la condanna; a lui spetta, perché è suo dovere, dare al peccatore tutto l’amore di Cristo Gesù perché si converta e viva.
Oggi è difficile vedere nella Chiesa le persone secondo la fede: Papa, Vescovi, Sacerdoti, Diaconi, fedele laici. Perché? Il motivo è uno solo.
Chi ci dona la visione secondo la fede è lo Spirito del Signore che abita in noi. Se siamo senza lo Spirito, oppure la nostra comunione con Lui è assai povera di contenuti di saggezza e di verità, a causa della nostra poca santità, noi non vediamo più secondo la fede, vediamo secondo la carne.
L’altro non ha nulla di più di noi, ha solamente un ufficio o una carica che esercita, come si esercitano uffici e cariche nella società civile.
[17]Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
Paolo dona ora un saggio della sua visione secondo la fede. La fede ci fa una cosa sola con Cristo, perché ci fa un solo corpo in Cristo.
Chi è Cristo? È la novità di Dio, la sua santità, la sua verità, la sua grazia, la sua misericordia, la sua giustizia.
Cristo è l’uomo nuovo venuto a fare nuove tutte le cose. Noi siamo in Cristo, siamo nuovi come lui, partecipiamo della sua novità di amore e di verità.
Qual è la conseguenza di questa novità? L’abbandono delle cose vecchie. Vecchio, per Paolo, è tutto il passato vissuto senza Cristo o nell’attesa di lui.
Altra conseguenza è questa: le cose vecchie in Cristo non esistono più; se le facciamo esistere, allora noi non siamo più vitalmente inseriti in Cristo; siamo in Cristo in ragione del nostro battesimo, ma non lo siamo in quanto partecipazione alla sua grazia e alla sua verità e questo in ragione del peccato che ora milita nelle nostre membra.
Anche questo è un altro grande principio dell’antropologia paolina, che è poi essenza dell’antropologia cristiana.
L’essere divenuti in Cristo nuove creature obbliga a vivere come tali. Obbliga a vivere in novità di vita e la novità di vita per Paolo è una sola: riproporre la vita di Cristo nelle nostre membra, anche perché noi siamo suo corpo. Tutta la sua vita deve maturare in noi frutti di verità, di carità, di santità, di giustizia.
La Chiesa non ha solo l’obbligo di annunziare Cristo, di inserire in Cristo, ha anche quello di aiutare ogni membro di Cristo a sviluppare tutta la novità che Cristo ha creato in lui mediante il suo Santo Spirito.
La Chiesa deve essere maestra e guida perché ogni suo figlio manifesti Cristo nelle opere e nei pensieri. Per questo, oltre che missionaria, deve essere anche formatrice di quanti già credono in Cristo.
Senza quest’opera di formazione continua, intensa, vera, autentica, la stessa missione svanisce.
Non può svolgere la missione cristiana se non chi vive di Cristo, in Cristo e per Cristo. È compito della Chiesa impegnare ogni sua energia affinché il popolo di Dio cresca nella verità, nella grazia, nella santità, cresca in cristiformità, cresca in spiritualità, cresca in figliolanza.
Per fare questo dovrà trovare forme e vie sempre attuali. Non potrà fare questo se non si convincerà che la crescita in novità è l’essenza stessa della sua vita e del suo essere posta come luce in mezzo agli uomini.
Una luce che si affievolisce non è vista più da nessuno; mentre una luce che cresce e si ingrandisce sempre più, può attrarre uomini da molto lontano.
Questa è la via della Chiesa e solo questa: la formazione spirituale, dottrinale, sapienziale dei suoi figli perché sviluppino tutta la potenzialità di novità che Cristo ha versato nel loro seno, facendoli suo corpo, facendoli parte del suo mistero di vita e di salvezza.
[18]Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.
Quanto è avvenuto nel cristiano non è un frutto che matura dalla sua natura, né dalla sua volontà, e neanche da sforzi e impegno profusi nella realizzazione della sua novità.
La novità è un dono di Dio, è un frutto del suo amore eterno per l’uomo.
Bisogna partire da qui. Dio è il principio di tutto. Da Dio è partita la creazione, da Lui anche la redenzione. Da Lui siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, da Lui anche redenti, giustificati, salvati.
Da Lui saremo accolti nella vita eterna. Anche questa è un dono del suo amore e della sua misericordia.
Questa verità almeno in campo cattolico è salva. Tutto da Dio parte e tutto a Dio ritorna. La sua grazia previene, accompagna e segue. Su questo non ci sono disparità di pensiero. Le disparità invece sorgono quando bisogna affermare le modalità storiche attraverso le quali la grazia e la verità vengono in noi e le vie da percorrere perché possiamo essere fatte nuove creature.
La riconciliazione è mediante Cristo e in Cristo. La riconciliazione è finalizzata ad essere noi in tutto avvolti della novità di Cristo.
Su questo iniziano le divergenze, o meglio iniziano le falsità. Da tutti si afferma la redenzione per Cristo, ma non la redenzione in Cristo finalizzata alla creazione in noi della novità che è Cristo Gesù.
La redenzione e la finalità della redenzione sono da confessare come un unico indivisibile mistero. Non si può affermare che l’uomo è stato fatto nuova creatura in Cristo Gesù senza affermare che lui è chiamato a sviluppare nella sua storia tutta questa potenzialità di vita nuova che è stata a lui data il giorno del suo battesimo.
Una redenzione concepita solo come apertura del regno dei cieli e di salvezza finale, senza la fruttificazione nella storia, della novità che Cristo ha prodotto in noi, non è redenzione biblica, non è cristiana, soprattutto non è cattolica, perché non è questa la redenzione che Cristo Gesù è venuto ad operare in mezzo a noi.
Inoltre cristologia ed ecclesiologia sono un solo mistero di salvezza, un unico mistero. È la Chiesa colei che ha avuto il ministero di predicare la redenzione o riconciliazione che Dio ha operato in Cristo Gesù.
La riconciliazione vera si compone per tanto di tre verità: essa è voluta da Dio, è Dio il fondamento, il principio della riconciliazione con Lui. Dio questa riconciliazione l’ha operata in Cristo. Dio ha affidato alla Chiesa il ministero della riconciliazione.
La riconciliazione ha bisogno di queste verità per compiersi nell’uomo e nel cristiano.
Se il mondo non conosce Cristo Gesù - non lo conosce, cioè, come colui nel quale Dio ci ha riconciliati - se non lo si accoglie perché ci riconcili in Lui con il Padre - anche se la riconciliazione è stata operata da Cristo e voluta dal Padre - l’uomo resta fuori del mistero della riconciliazione. Vi resta fuori a causa del ministero della riconciliazione che non è stato svolto, non è stato portato a compimento da chi aveva ricevuto questo mandato.
Questa unità nella triplice verità deve essere necessariamente composta perché Dio possa riconciliare in mondo a sé.
[19]È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
Paolo ora spiega in che cosa consiste la riconciliazione.
Con il peccato l’uomo ha contratto una colpa dinanzi a Lui. Questa colpa merita una pena, che è la morte eterna dell’uomo, il cui frutto è la morte corporale che avviene alla fine della sua vita terrena.
Dio, a causa di Cristo, per il suo sacrificio offerto sulla croce, per la sua obbedienza fino alla morte e alla morte di croce, non imputa più questa colpa, l’ha cancellata, l’ha perdonata, non la ricorda più.
Da precisare che la riconciliazione cristiana non è solo la non imputazione delle colpe contratte a causa dei peccati commessi.
Questa è solo una parte della riconciliazione. La riconciliazione cristiana da un lato confessa la non imputazione delle colpe commesse, il perdono dei peccati, l’estinzione anche delle pene temporali dovute ai peccati, dall’altro professa la novità di vita, di cui Paolo ha già parlato abbondantemente anche in questo stesso capitolo.
La riconciliazione è incorporazione in Cristo, figliolanza adottiva, inabitazione in noi di Dio e della sua grazia. La riconciliazione è essere stati fatti in Cristo creature nuove, a sua immagine e somiglianza.
Tutti questi aspetti della riconciliazione sono essenziali e devono essere insegnati, altrimenti si può anche ridurre la riconciliazione ad un fatto puramente giuridico. Il Signore non ci imputa il peccato, ma noi rimarremmo così come siamo dentro e fuori.
Questa non è l’idea e la verità cristiana della riconciliazione. La novità che essa crea in noi è più grande di ciò che essa distrugge in noi. Distrugge il peccato - è questa è una cosa grandissima - immette in noi tutta la potenza della grazia di Dio, immette Dio che è grazia per noi. È questa grazia ed è il Dio della grazia che ci rinnova con il suo amore e ci rende ad immagine della verità di Cristo crocifisso e risorto.
Tutta questa ricchezza è stata messa da Dio nelle mani della sua Chiesa e nella Chiesa di coloro che Cristo ha scelto come continuatori della sua missione: sono gli Apostoli e i loro collaboratori.
La parola della riconciliazione che Cristo ha affidato alla Chiesa non è solo la predicazione del Vangelo, è anche il dono della grazia; è la remissione dei peccati; è l’incorporazione in Cristo; è il dono dello Spirito Santo; è la celebrazione della Cena nella quale si riceve Cristo e la sua divina carità.
Tutto questo la Chiesa è obbligata a farlo perché costituita da Dio strumento di riconciliazione; ha ricevuto da Dio il ministero della riconciliazione.
Per la nostra fede e per l’espletamento della missione si fa il mondo nuovo, l’uomo entra nella novità di Cristo. Così, per noi e per la nostra non fede, per il non espletamento della Parola della riconciliazione il mondo rimane vecchio, nel suo peccato. Rimane vecchio in noi perché non crediamo, rimane vecchio negli altri perché abbiamo omesso di esercitare il ministero della verità e della grazia che il Signore aveva ed ha posto nelle nostre mani.
Dio si è consegnato nelle mani di Cristo. Ha consegnato a Cristo la sua volontà di redenzione e di riconciliazione del mondo. Cristo ha eseguito la volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce. Ha adempiuto il comando del Padre.
Cristo ha però messo se stesso, tutto se stesso nelle mani della sua Chiesa. Tutto ora dipende dalla Chiesa. Dio è nelle mani della Chiesa, Cristo è nelle mani della Chiesa. Se la Chiesa lo dona, Cristo si dona, Dio si dona; se la Chiesa non lo dona, Dio non si dona, perché Cristo non è stato dato.
L’uomo rimane nella sua vecchia natura, rimane nel suo peccato, agisce da peccatore perché da peccatore vive.
[20]Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Che Paolo creda in questa verità, lo attestano queste sue parole, parole che nascono dal profondo del suo cuore, che manifestano il suo spirito e rivelano la sua anima.
Lui sa quanto importante è la sua missione nel mondo, lui sa quale potenza di grazia può sviluppare ogni sua parola. Lui sa quale energia divina è racchiusa nella sua predicazione e quale maturazione di frutti comporta la sua opera missionaria.
Se lui non la esercita, tutto il mondo rimane nel buio e anche i cristiani possono ritornare nel buio, nelle tenebre di un tempo, in quella vecchia umanità dalla quale il Signore un giorno li ha tratti fuori.
La proclamazione della verità si trasforma ora in lui in predicazione della verità, in vero annuncio di salvezza.
Lui è ambasciatore, araldo di Dio, in favore di Cristo Gesù. In lui opera e parla Dio, parla Dio in favore di Cristo Gesù, parla Cristo Gesù in favore del Padre.
Consapevole che la sua voce è voce di Dio e di Cristo, l’insegnamento ora si trasforma in supplica, in un invito accorato ad accogliere il dono di Dio.
Non è sufficiente che Dio abbia riconciliato il mondo in Cristo, è urgente che ognuno si lasci riconciliare in Cristo da Dio e si ci lascia riconciliare accogliendo nel nostro cuore la Parola del Vangelo, il Vangelo della grazia, mettendo in noi la verità di Cristo e Cristo verità che l’Apostolo di Dio e di Cristo Gesù ci annunzia.
Lasciarsi riconciliare con Dio, invitare ogni uomo ad accogliere la Parola della salvezza, è l’invito sempre nuovo e perenne che la Chiesa deve fare ad ogni uomo.
È questa la via della salvezza. Non se ne conoscono altre. Altre non esistono, non ci sono.
Paolo in questo versetto ci dona un esempio mirabile di come bisogna coniugare proclamazione della verità e supplica ad accogliere la verità.
Anche su questo siamo in grave difetto. A volte noi predichiamo la verità, manca poi l’invito esplicito ad accoglierla nel nostro cuore. Se si separa la verità dalla supplica ad accoglierla, la verità proclamata è lasciata alla libera volontà dell’uomo.
Questa non è azione missionaria della Chiesa. L’azione missionaria della Chiesa inizia con un invito forte alla conversione. Convertitevi e credete al Vangelo. L’invito alla conversione, alla riconciliazione deve essere esplicito, formale, chiaro, evidente.
Non può essere presunto, né celato, né fatto per mezze frasi o per allusioni. Questo non è il metodo di Cristo Gesù, non è lo stile di Paolo, non è la via dei santi.
Bisogna stare attenti a che l’invito alla riconciliazione non sia sganciato dalla verità. Né verità senza invito, né invito senza verità.
Oggi assistiamo a degli inviti senza verità. Questi non danno salvezza, questi portano fuori della Chiesa e della stessa salvezza.
Assistiamo anche ad un annuncio della verità senza invito, senza supplica, senza accorato appello a che si entri nella verità e nel Vangelo della grazia.
Anche questo non serve alla Chiesa, perché non serve a Cristo, non serve a Dio.
Quando ogni ministro della riconciliazione avrà ricomposto nel suo cuore la verità e la supplica, il Vangelo e l’invito, l’annunzio e la chiamata alla verità, allora, attraverso di lui, la luce si diffonderà sulla terra e la verità di Cristo Signore conquisterà i cuori.
[21]Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.
Viene ora affermato perché in Cristo Gesù Dio ha riconciliato in mondo a sé.
Cristo è innocente, santo, vero, giusto, obbediente. Egli è senza peccato. Non ha conosciuto il peccato per nascita. Fin dal primo istante della sua vita terrena egli è santissimo, è il Santissimo.
Non ha conosciuto il peccato personale, perché in lui c’è stata l’obbedienza piena e perfetta alla volontà del Padre. Cristo è vissuto per fare la volontà del Padre, da sempre, dal primo istante in cui la sapienza ha iniziato a governare la sua vita.
Egli però è stato costituito da Dio vittima di espiazione per i nostri peccati. Dio ha messo sulle sue spalle i peccati dell’umanità perché li espiasse per noi.
C’è in questa affermazione di Paolo tutta la verità annunziata da Isaia e che manifesta la sostituzione vicaria del Servo del Signore.
A posto nostro è stato sacrificato il Figlio, a posto nostro ha preso i peccati e li ha portati sul legno della Croce, il Servo del Signore, che è anche il suo Figlio Unigenito.
Trattare da peccato ha quindi un solo possibile significato: lo trattò da sacrificio per il peccato.
D’altronde tutta la rivelazione presenta Cristo come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Lo toglie portandolo sulle sue spalle e sacrificandosi per esso sul legno della croce.
Su questo è sufficiente leggere i carmi del Servo Sofferente (Is 52,13-53,12):
“Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo così si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito”.
“Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato”.
“Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà  salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca”.
“Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”.
È importante sottolineare il fine dell’espiazione vicaria compiuta da Cristo Gesù: perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.
Cosa significa questa affermazione di Paolo. Semplicemente questo: la riconciliazione che Dio vuole non è soltanto la non imputazione delle nostre colpe, ma che noi diveniamo parte della sua giustizia, siamo la sua giustizia sulla terra.
Siamo cioè la sua verità, la sua volontà, il suo amore, la sua grazia. Tutto siamo di lui perché attraverso il ministero della riconciliazione noi siamo divenuti partecipi della natura divina. Questa nella sua essenza è giustizia, è verità, perché è carità, amore.
Come si può constatare in Paolo non c’è alcuna ombra di una giustificazione con modalità tipicamente forensi: cioè come pura e semplice assoluzione della nostra colpa, come remissione della nostra pena.
La giustificazione diviene creazione in noi della giustizia di Dio, creazione e formazione della sua verità e della carità che è l’essenza stessa del suo essere e della sua natura. E tutto questo perché noi possiamo manifestare nel mondo Dio, essere nella creazione la figura visibile dell’invisibile Dio.
Per sapere chi è il vero Dio, ogni uomo dovrebbe poterlo dire guardando il cristiano.
Se lui in Cristo è diventato giustizia di Dio, come Cristo nel mondo era giustizia di Dio, chi lo vede può sapere chi è Dio.
Il cristiano è la via attraverso la quale il mondo vede Dio, lo riconosce, lo accoglie, lo adora, presta a lui l’ossequio della sua obbedienza, perché lo ha riconosciuto come il vero Dio dopo aver incontrato un cristiano nella sua vita.
Di tutta questa ricchezza poco resta oggi nella predicazione della Chiesa. Tutto si sta riducendo ad un moralismo senza contenuti né di vera fede né di sani e retti principi di moralità.
Se la Chiesa vuole risplendere come luce delle genti e sale della terra deve ripartire dalla verità di Cristo e di Dio.
Deve ripartire dalla sua vera essenza, dalla nuova realtà che essa è divenuta grazie al sangue di Cristo: essa è nel mondo giustizia di Dio e sua manifestazione. Questa è la sua verità, questa la sua natura, questa la sua missione.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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