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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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08/02/2012 22:41
 
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CAPITOLO QUINTO
LA SPERANZA DELLA GLORIA FUTURA

[1]Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli.
Il pensiero di Paolo è veramente fisso nel cielo. È come se lui già fosse risorto insieme a Cristo. Egli parla come uno che ha esperienza di queste cose.
Egli ha visto il Signore risorto, lo ha visto nel suo corpo di luce, lo ha contemplato nella sua gloria divina. Dallo splendore che emanava dal corpo glorioso di Cristo egli è stato anche accecato fisicamente.
Come lui stesso ci dirà, non solo ha visto Cristo Gesù nella sua gloria sulla via di Damasco, da Dio è stato anche rapito in Paradiso e con occhi non di carne, ma di spirito questa volta, ha visto e contemplato le meraviglie del cielo.
Meraviglie così sublimi che nessuna lingua umana è capace di poterle descrivere, o solamente raccontare.
Non c’è paragone alcuno tra la gloria del cielo e i concetti terreni che un uomo possiede. Ciò che ci attende è inimmaginabile, inspiegabile, neanche può essere concepito da mente umana.
Ci sono però delle verità che la fede ci insegna. Sono verità che Dio stesso ci ha fatto conoscere, anche se con concetti umani e con parole storiche.
Da questa rivelazione e dalla verità in essa contenuta, sappiamo cosa avverrà e dobbiamo prepararci.
Il nostro corpo verrà disfatto. Con la morte sarà ridotto in polvere del suolo. Questo è il suo disfacimento. Il corpo è considerato in questo versetto come la nostra abitazione terrena.
L’anima che è la parte spirituale dell’uomo è stata posta nel corpo e il corpo le funge come di abitazione. Questa abitazione, che è essenziale all’uomo e senza la quale l’uomo non esiste, perché lui è anima che ha bisogno di una dimora sulla terra, sarà disfatta, sarà annientata. Di essa niente rimarrà.
L’anima non può stare in eterno senza la sua dimora. Essa è stata fatta per abitare in una dimora e questa dimora è il suo corpo.
Quando l’anima muore, va nel cielo, se è stata santa e giusta su questa terra, se ha vissuto nella sua dimora terrena secondo la legge del Signore. Nel cielo attende che il Signore gli faccia un’altra dimora, una dimora eterna, una dimora che non è una nuova creazione, altrimenti la morte avrebbe vinto in eterno l’uomo, ma sarà invece una dimora risorta, chiamata a nuova vita. Sarà la prima dimora, il primo corpo, ma trasformato dalla potenza creatrice del Signore. Dio chiamerà il nostro corpo dalla polvere del suolo e lo consegnerà all’anima, questa lo indosserà nuovamente, ma in una maniera del tutto nuova.
Indosserà un corpo spirituale, incorruttibile, immortale, glorioso. Indosserà un corpo tutto simile al corpo glorioso di Cristo Gesù.
Questa è la verità della fede ed è verità rivelata, verità che nessuna mente umana avrebbe mai potuto immaginare solamente, anche se il desiderio di immortalità è una delle componenti religiosi della storia dell’umanità.
[2]Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste:
Il desiderio di raggiungere questo nuovo rivestimento è la forza che muove Paolo, che lo spinge nella predicazione del Vangelo.
Il fine dell’uomo è questo, è questa la sua vocazione. A questo il Signore lo chiama e per questo Cristo Gesù si è fatto uomo, è morto in croce, è risorto ed è salito al cielo: per darci un corpo glorioso come il suo, per darci un posto nel cielo assieme a Lui, per portarci nella patria del cielo e lì vivere assieme a lui per tutta l’eternità.
Se nell’uomo manca il desiderio di rivestirsi del suo corpo celeste, tutto manca in lui, anzi tutto diviene senza senso in lui.
La speranza della beata risurrezione è l’energia sempre nuova e sempre inesauribile che spinge i cristiani ad andare sempre innanzi, nonostante tutto; li spinge a superare pericoli, a vincere ostacoli, ad affrontare anche la morte, a subire il martirio.
Tutto l’uomo deve dare della vita del suo corpo al fine di rivestire il corpo glorioso nel regno dei cieli.
La Chiesa deve impegnare tutte le sue energie a creare nei cuori questa speranza; deve anche mostrare ad ogni uomo come concretamente si vive nella speranza della beata risurrezione.
Essa deve trascinare verso il cielo ogni altro uomo, ma deve farlo camminando anch’essa verso il cielo, libera da ogni legame con la terra, disponibile sempre nel compimento della volontà di Dio, che è per tutti noi la via attraverso la quale si raggiunge la patria celeste.
Tutto dipende dal grado di speranza che c’è nel cuore di un uomo. Non ci può essere cammino autentico di santità se non diviene cammino forte nella speranza.
È facile sapere chi è vero cristiano da chi non lo è. È sufficiente misurare il suo desiderio di andare nel cielo con Cristo Gesù; basta osservare l’anelito di ricongiungersi con Dio.
Questo desiderio e questo anelito porta un uomo a liberarsi da tutti gli affetti della terra, da tutti i desideri, da ogni concupiscenza, da ogni altro legame che tiene prigioniero il suo corpo e il suo spirito ai beni di questo mondo.
La speranza forte nel cuore di un uomo crea la povertà in spirito e ogni altra beatitudine. Se un uomo non è vero povero in spirito, in lui non c’è speranza di vita eterna; se non c’è questa speranza il suo cristianesimo o è falso, o è carente in molte cose.
Più forte è il desiderio del cielo e più grande è la libertà del cristiano, libertà dal mondo e dalle sue cose, libertà dalla terra e dalle sue ricchezze.
Chi vuole sapere quanto egli è cristiano si esamini su questo desiderio e scoprirà il grado della sua santità, della sua libertà, della verità con la quale vive la sua appartenenza a Cristo e al suo Vangelo.
[3]a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi.
Qual è il vestito che ognuno deve indossare al momento della morte?
Non si tratta certo di un vestito fatto di stoffa, o di qualche altro ritrovato della nostra terra.
Il vestito che Paolo vuole che noi indossiamo è la fede, la carità, la speranza. Sono le tre virtù teologali portati al più alto grado di sviluppo in noi.
Assieme alle tre virtù teologali non possono mancare le virtù cardinali, che sono la forma attraverso la quale dobbiamo vivere le virtù teologali.
Le virtù teologali e cardinali concretamente si vivono nell’osservanza delle beatitudini, che sono la nuova legge del cristiano.
Quando un uomo indossa questo abito, egli potrà presentarsi dinanzi al Signore il quale lo riconoscerà come vero discepolo di Cristo. Indossa, infatti, la Parola trasformata in opere, e lo mette nell’attesa di essere rivestito dell’altro corpo, quello tutto spirituale, di gloria, che non muore più e più non si corrompe.
Sono invece nudi tutti coloro che non hanno indossato la Parola di Cristo Gesù trasformata in opere. Per costoro non c’è posto nel regno dei cieli. Se sono morti pentiti, a causa della loro imperfezione, andranno in purgatorio a purificarsi da ogni pena dovuta ai peccati, ma non espiata sulla terra attraverso le vie che lo stesso Signore ci ha indicato per l’espiazione della pena.
Se invece l’anima è in stato di peccato mortale, essa non avrà posto nel cielo, né in purgatorio. Il suo spazio è solo nell’inferno eterno. Anche per i dannati ci sarà il rivestimento del corpo fatto di spirito, ma questo corpo non sarà per la gloria, bensì per l’infamia e l’infelicità eterna. Sarà un corpo di tenebra e non di luce, un corpo di morte e non di vita, un corpo di sofferenza e non di gioia, un corpo tormentato che tormenta l’anima e non un corpo invece pieno di felicità che dona gaudio eterno all’anima.
Anche questa verità la Chiesa dovrebbe annunziare. Purtroppo molti uomini di Chiesa la tacciono, la nascondono, la minimizzano, la ignorano e la fanno ignorare; alcuni, anzi, la trasformano, perché la negano del tutto.
Finché nella Chiesa non si annunzierà secondo verità la rivelazione, il mistero, il presente e il futuro, inutile illudersi che ci possano essere cammini di giustizia e di santità.
La cattiva predicazione è il più grande male che la Chiesa possa arrecare a se stessa. Un cattivo predicatore distrugge la Chiesa dal suo interno e molti oggi sono coloro che la distruggono, perché predicano male la verità e annunziano in modo falso, erroneo, i misteri della nostra santissima fede.
Mai si insisterà abbastanza sulla coralità della fede. Tutti la stessa fede e tutti secondo la medesima verità, tutti nella comprensione sempre più piena che ci dona lo Spirito del Signore.
[4]In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita.
Qui Paolo ci offre una immagine di come lui concepisce la sua permanenza su questa terra.
È come se il suo corpo fosse schiacciato da un enorme masso. L’anima che è nel corpo è come se fosse sotto un peso, dal quale è come se fosse soffocata, uccisa.
Liberarsi da questo peso non è desiderio di essere spogliati di qualcosa. Il peso del corpo non si toglie perché dona fastidio all’anima, o perché l’anima vuole restare senza il corpo.
Questo non è il concetto qui espresso da Paolo. L’anima vuole liberarsi da questo corpo di carne, da questo corpo che è un peso che la schiaccia e che a volte la conduce anche nella morte eterna, non per restare senza il corpo.
La natura dell’anima è quella di restare eternamente unita al suo corpo. Se uno dovesse considerare il corpo come un di più per l’anima, o come un peso da cui potersi facilmente liberare, oppure il corpo come una prigione dell’anima, una prigione che le impedisce di esprimere se stessa: questo non è un concetto santo e non esprime affatto la fede cattolica.
Il sospiro, il desiderio di liberarsi dal corpo non è per restare nudi, o spogli del corpo. Il corpo è divenuto un peso per l’anima a causa del peccato e dei frutti di morte che il peccato ha prodotto in esso: la concupiscenza e la superbia.
Paolo vuole liberarsi da questo corpo di peccato, da questo corpo che è un peso per l’anima, è un peso a causa del male che abita in esso e che trascina anche l’anima di male in male.
Questo corpo che è un peso, è anche un corpo condannato a morte, è un corpo che dovrà finire, che dovrà dissolversi, che dovrà ritornare polvere del suolo.
Paolo vuole che questo processo di morte si compia subito in lui, si compia presto al fine di rivestire il corpo della vita eterna, quel corpo tutto glorioso e spirituale che dovrà essere per l’anima la sua abitazione eterna nel cielo.
Il sospiro di Paolo, il suo desiderio, l’anelito che lo muove e lo conduce è uno solo: rivestire il suo corpo di vita, affinché tutto diventi vita in lui e tutto ciò che è mortale in lui venga assorbito dalla vita.
Chi vive con questo desiderio nel cuore, cambia senso alla sua vita; le dona un significato nuovo, il significato di chi cammina nella ricerca di questa liberazione che dovrà compiersi per lui. La terra diviene solo via, sentiero, un tratto di strada necessaria da percorrere e nulla più.
Chi forma nel suo cuore e nel suo spirito questo anelito verso la risurrezione gloriosa, dona tutta un’impostazione diversa al suo esistere su questa terra.
Gli dona un’impostazione di verità, di libertà, di amore, di solidarietà, di condivisione, di comunione reale con ogni uomo.
La terra e tutte le sue cose, la stessa vita del corpo e per il corpo, riceve la sua giusta dimensione: di mezzo e non di fine; di mezzo per raggiungere il regno dei cieli, per ottenere la nuova vestizione del corpo della vita eterna.
[5]È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito.
Quanto Paolo annunzia non è una sovrastruttura, un qualcosa che è venuto dopo; un desiderio messo nel cuore dell’uomo dopo il peccato e la caduta.
Dio ha creato ogni uomo per la vita eterna. Questo è il suo disegno eterno per la creatura fatta a sua immagine e somiglianza.
Non siamo stati creati per la morte, siamo stati creati per la vita; non siamo stati fatti per la concupiscenza o per la superbia, siamo stati fatti per la libertà nella verità.
Cristo è venuto a sanarci da ogni peccato, da ogni causa e frutto di peccato che dimora in noi.
È venuto per riportare nel cuore dell’uomo la sua vocazione d’origine, la vocazione che è sua fin da principio. Il principio della vocazione dell’uomo non è nel tempo, bensì nell’eternità.
Da sempre, da quando Dio ha pensato l’uomo, lo ha voluto con questo futuro eterno di gloria nel cielo.
Da sempre lo ha visto in Cristo risorto e asceso al cielo, nella gloria eterna. Questa è la sua vocazione.
Non solo Dio ci ha creati così, ma anche quando noi abbiamo perso questa speranza a causa del peccato, quando noi camminavamo per sentieri di morte, quando cercavamo la nostra immortalità in qualcosa di assai diverso che non la risurrezione finale dell’ultimo giorno, il Signore metteva nel nostro cuore il suo Spirito che creava dentro di noi questo anelito e desiderio di immortalità.
Poiché l’uomo abitava sempre in una tenda di peccato, gli riusciva difficile comprendere, ma soprattutto dare un volto e un’immagine di verità a questo desiderio che lo Spirito infondeva nel cuore dell’uomo, anche se a livello inconscio e non ancora esplicito, a motivo del non ancora compimento della risurrezione di Cristo Gesù nella nostra storia.
Ora che Cristo è venuto, ora che la sua risurrezione si è compiuta, ora che la sua Parola, la Parola della verità eterna, ci è stata comunicata tutta, ora che lo Spirito è stato effuso su di noi, lo Spirito è divenuto in noi non solo caparra della nostra risurrezione futura, certezza assoluta.
Lo Spirito crea in noi il vero desiderio del cielo e costantemente lo rende più vero, lo libera da tutte le incongruenze e le imperfezioni che un corpo di peccato potrebbe far ricadere su di esso, o negandolo, o trasformandolo, o cambiandolo, o modificandolo, o annullandolo del tutto.
Lo Spirito del Signore è la verità del nostro spirito, la luce dei nostri pensieri, la sapienza dei nostri sentimenti, la forza della nostra volontà, è la santità della nostra anima.
Con lo Spirito di Dio dentro di noi, noi camminiamo spediti verso la risurrezione gloriosa e ogni giorno percorriamo la giusta strada al fine di potervi pervenire.
Anche in questo caso è facile sapere chi possiede il vero Spirito di Dio, da chi crede di averlo, o addirittura finge di possederlo.
Chi è nel vero Spirito del Signore non solo possiede nel suo cuore la certezza e la verità della beata risurrezione gloriosa, verso questa risurrezione è attratto, questa risurrezione anela e sospira, verso questa risurrezione cammina con alacrità e celerità, per questa risurrezione si libera da tutti quegli impedimenti di ordine materiale e spirituale che potrebbero o impedirne il compimento, o renderlo meno glorioso e meno splendente, a causa dei peccati che ancora si commettono con il corpo.
La forza e la potenza dello Spirito di Dio in noi si misura anche dal desiderio e dall’anelito della patria del cielo e di rivestire il nuovo corpo di gloria e di luce, che è già nostro a causa dello Spirito di Dio che è stato versato nei nostri cuori come caparra della nostra vita eterna.
[6]Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore,
Perché Paolo anela alla risurrezione e lotta come se fosse sotto un peso per liberarsi da questo corpo?
Il motivo ce lo dice in questo versetto. L’uomo è stato creato per vivere in comunione di amore e di verità con il Signore.
Non si tratta di una comunione solo spirituale, bensì di una comunione di tutto l’uomo, del suo corpo e della sua anima.
L’uomo era stato chiamato ad abitare presso Dio, nel suo giardino. L’uomo era stato creato per contemplarsi in Dio e in Dio sempre avverarsi e farsi.
A causa del peccato noi siamo come in esilio, siamo lontano dal Signore. Non spiritualmente parlando, poiché spiritualmente questo non può mai avvenire per un cristiano, costituito da Cristo tempio dello Spirito Santo, dimora vivente sulla terra della Beata Trinità.
Siamo lontani dal Signore con il corpo. La mente, lo spirito, il cuore, l’anima gustano Dio, lo sentono. I sensi invece no. Sono essi lontano dal Signore, perché non lo vedono, non lo sentono, non lo ascoltano, non lo contemplano, non lo ammirano, non gustano la sua bellezza.
Questo esilio non è la vera vocazione dell’uomo; l’esilio è frutto del peccato e sua conseguenza. Questo esilio deve finire e ognuno deve pregare il Signore perché per lui finisca presto, si consumi quanto prima questo stato di lontananza dal Signore, perché il Signore e l’uomo possano vivere nella stessa abitazione e possano amarsi nella luce eterna.
Donde nasce la fiducia nel cuore di Paolo? Nasce dal fatto che ormai l’esilio è momentaneo, passeggero, di breve durata; nasce anche dal fatto che l’esilio sarà vinto per sempre e nella forma migliore. Dio ci introdurrà nuovamente nella sua dimora eterna. Noi possiamo vivere con lui per sempre.
Nasce dalla caparra che Dio ha versato nel nostro cuore e che è lo Spirito Santo, il quale ha come compito proprio quello di alimentare la speranza, il desiderio di rendere il nostro anelito di cielo così forte da non lasciare spazio a che nel cuore si introducano altri desideri mondani e terreni.
Nasce dal fatto anche che tutta la nostra fede è fondata sulla verità della risurrezione di Cristo Gesù.
Cristo Gesù ha vinto la morte, ha svestito il suo corpo di carne, ha indossato il suo corpo di luce e di gloria. Questa vittoria è già nostra; anche noi indosseremo il corpo di gloria e di luce.
[7]camminiamo nella fede e non ancora in visione.
È questa la condizione di ogni uomo. Egli deve andare a Dio, deve attendere la gloria del cielo per fede.
L’uomo non deve vedere la gloria del cielo, deve invece credere che essa esiste e che è il suo sommo bene.
Perché bisogna camminare nella fede e non nella visione?
Se l’uomo camminasse nella visione non avrebbe relazione con Dio; farebbe una cosa perché la vede, o non la vede; la farebbe perché da se stesso la valuterebbe buona, o non buona.
Sarebbe lui il principio del discernimento, della verità, della bontà, del suo presente e del suo futuro.
Dio sarebbe solo come principio finale, come punto di arrivo, come termine di tutto.
Invece Dio vuole essere principio iniziale; vuole essere posto all’inizio del cammino con una relazione di fede.
Dio chiede all’uomo che si fidi di Lui, che ascolti la sua Parola perché viene da Lui, perché la dice Lui, perché Lui la pronunzia, perché Egli è la verità eterna, perché non c’è altra verità se non quella contenuta nella sua Parola e non c’è altro futuro vero per l’uomo se non quello che la Parola indica e contiene.
La relazione pertanto non può stabilirsi o fondarsi sull’uomo, sarebbe una relazione immanente all’uomo e questa non è fede.
La relazione deve invece fondarsi su un rapporto di trascendenza, di conoscenza, di apertura, di accoglienza di Colui che è il nostro Dio e che viene a noi attraverso la Parola.
Egli pone la sua Parola all’inizio del nostro cammino e con essa ci indica la via. La Parola è via, ma anche contenuto di ciò che ci attende alla fine della vita. Dio non solo ci dice quale via percorrere, ma anche quali sono i frutti che possiamo raccogliere percorrendo la sua via e quali invece quelli che di sicuro ci attendono se non facciamo quanto egli ci dirà.
Nell’uno e nell’altro caso la Parola del Signore è verità per noi. Verità se l’accogliamo, verità se non l’accogliamo; quello che cambia sono i frutti, è il fine che è diverso.
Il Signore non ci dice solamente la verità della vita eterna con la sua Parola, ci dice anche la verità della morte eterna. Ed è verità assoluta. Indipendentemente dall’accoglienza o dalla non accoglienza, quanto è contenuto nella sua parola si compie per noi.
Per fare un esempio: oggi l’uomo è senza Parola di Dio, è senza la sua Parola di vita. Questo non vuol dire che è anche senza la sua Parola di morte. Se è senza la Parola di vita, necessariamente si trova nella Parola di morte; se non è nella Parola dell’amore e della carità, si trova nella parola dell’odio e dell’egoismo, della sopraffazione e dell’ignoranza dell’altro.
È questo vale per ogni Parola che è uscita dalla bocca di Dio. Nessuna delle sue Parole ritorna a Lui vuota, senza aver prodotto il frutto per cui Lui l’ha fatta risuonare in mezzo a noi.
Se l’uomo vuole entrare in Paradiso deve abbracciare la Parola del Vangelo che lo conduce alla vita eterna; se non vuole andare nella vita eterna è sufficiente che rifiuti la Parola del Vangelo, ma rifiutandola, compie quella Parola che è scritta per lui e che gli preannunzia la sua morte eterna.
[8]Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore.
In questo versetto Paolo ci dice qual è la sua preferenza. Da un lato c’è l’esilio lontano dal Signore e consiste nel dimorare lui nel corpo, ma non essere nella patria del cielo.
Dall’altro lato c’è l’esilio dal corpo, la morte e il disfacimento come condizione necessaria per andare presso il Signore.
Paolo tra le due realtà, preferisce uscire dal corpo, andare in esilio dal corpo, ma essere presso il Signore, anziché vivere in esilio dal Signore ed abitare nel suo corpo.
L’amore per il Signore è più grande in lui del desiderio e dell’amore di stare nel suo corpo.
Questo però non significa che in lui c’è svilimento del corpo o che consideri il corpo come un qualcosa di meno importante, o una cosa da cui ci possiamo liberare quando noi vogliamo, al fine di raggiungere il Signore nella vita eterna.
L’uscita dall’anima dal corpo è un esilio, quindi una vera sofferenza, è un allontanamento forzato, una costrizione non naturale.
Naturalmente l’anima è fatta per essere nel corpo e il corpo è fatto per essere nell’anima. Tant’è che si parla di anima incarnata e di corpo animato.
Paolo può preferire questo perché è pieno di fiducia nella Parola di Cristo Gesù che gli ha promesso la risurrezione gloriosa nell’ultimo giorno.
Si tratta pertanto di un esilio momentaneo, passeggero; si lascia il corpo per un tempo assai breve e intanto si vive nella gioia eterna del cielo assieme a Dio. Mentre si gusta la gioia eterna, si attende il ritorno del corpo nel cielo, la liberazione dal suo esilio di morte nel quale il corpo è stato condotto a causa del primo peccato che l’umanità ha commesso in Adamo.
Se non ci fosse questa fiducia, che in Paolo è fede e nasce dall’accoglienza nel suo cuore della Parola di Cristo Gesù, lui, come ogni altro uomo, si sarebbe attaccato morbosamente alla vita terrena e non l’avrebbe lasciata neanche per un istante.
Quando manca la piena fiducia nella Parola di Cristo Gesù si ha una visione assai triste della morte. O la si vive come un ritorno al nulla. In questo caso vivere un giorno in più o un giorno in meno non ha valore per l’uomo, specie se questo giorno in più bisogna viverlo nella sofferenza e nel dolore. O la si vive con disperazione, come un qualcosa che viene a rapinarci il bene più caro e quindi si fa di tutto per restare anche un minuto in più su questa terra.
Da questa visione della morte nascono molti atteggiamenti dell’uomo e molti peccati. Basti pensare all’eutanasia o a tutti quegli altri orrendi delitti che si commettono e che manifestano il nostro egoismo e la nostra chiusura in noi stessi.
La vita invece è carità, amore, dono, comunione, solidarietà, condivisione, servizio, disponibilità, attenzione. Il valore della vita è questo. Ha valore quella vita che viene sacrificata all’amore, viene data a Dio perché ne faccia uno strumento di bene e di servizio al bene.
In questa visione di fede c’è un momento in cui bisogna sciogliere le vele e partire. Partire è il fine stesso della nostra esistenza. Si parte però nella fede e nella piena fiducia nella beata risurrezione; si parte nella verità che la morte è per noi un esilio, al quale il Signore porrà termine solo nell’ultimo giorno.
L’amore per il Signore, il desiderio di stare con lui dona conforto e sollievo in questo esilio; la speranza ce lo fa vivere secondo verità; la verità ce lo fa vivere nella speranza della beata risurrezione.
[9]Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi.
Nonostante il nostro desiderio, la nostra fede, la nostra speranza, il tempo della morte non può essere stabilito da noi, ma da Dio.
Il motivo è duplice: perché è Dio il Signore della nostra vita ed è Signore per creazione. Come l’uomo non si dona la vita, così non se la può togliere a suo piacimento.
Togliersela da sé è un peccato contro la vita, è un peccato contro il Signore della vita, è un peccato contro il fine stesso della vita.
Per un cristiano, poi, togliersi la vita diviene un peccato contro l’amore, contro la carità, contro Cristo stesso.
È peccato contro Cristo perché lui ha redento la nostra vita. Per redimerla e per salvarla Lui stesso è andato incontro alla croce, vi è salito sopra, ha subito per noi ogni sorta di umiliazione e di sofferenza, nel corpo e nello spirito. Se Cristo per salvare la nostra vita è andato incontro Lui ad una morte così dolorosa, ciò significa che la nostra vita ha un valore ai suoi occhi. Se ha valore ai suoi occhi, se ha valore agli occhi di Dio, deve avere valore anche ai nostri occhi.
Se non l’apprezziamo, non apprezziamo Cristo che l’ha redenta. Sviliamo la sua passione e morte; sviliamo il dono dello Spirito Santo che ci ha dato; sviliamo tutti i beni eterni che egli ci ha conquistato.
È un peccato contro la carità, contro l’amore. Con il battesimo noi abbiamo consegnato la nostra vita a Cristo, con lui siamo divenuti un solo corpo, siamo il suo corpo sulla terra.
Il corpo di Cristo è lo strumento dell’amore di Dio, con esso Dio salva, redime, ama, fa il bene, dona sollievo ai fratelli, reca loro il conforto della sua consolazione, porta sulla terra tutto il suo amore e tutta la sua carità eterna.
Togliersi la vita diviene sottrazione del nostro corpo alla carità di Dio. È Lui che sa come servirsi del nostro corpo per operare il bene. Può servirsi nella salute e può servirsi nella malattia; può servirsi in uno stato e in un altro.
La fede ci dice che il nostro corpo, la nostra vita, la nostra anima e tutto di noi è di Dio. La fede ci deve dire anche, e questo ogni giorno, che siamo strumento di Dio per portare salvezza in questo mondo.
Allo stesso modo che Cristo Gesù portò la sua salvezza sia quando decideva Lui cosa fare, sia quando hanno deciso gli altri cosa fare di Lui, sia quando andava per le vie della Palestina, che quando si incamminò per la via dolorosa della croce in Gerusalemme, così deve essere per il cristiano.
Lui deve sapere che una volta che la sua vita è stata donata a Dio, sarà Dio a decidere di ogni istante di essa e del modo come essa deve essere vissuta.
Se Dio permette che si viva nella malattia, nella malattia noi serviamo alla carità di Dio. Se vuole che viviamo nella salute, nella salute serviamo alla carità di Cristo.
Senza questa visione di fede la vita non ha senso, non ha significato.
Noi non dobbiamo stabilire o determinare il tempo o l’ora della nostra morte; dobbiamo invece fare tutto per essere graditi al Signore. Si è graditi al Signore se ogni momento della nostra esistenza terrena lo viviamo nella fede come servizio alla carità di Cristo, lo viviamo come strumenti di Dio per compiere, oggi, in mezzo agli uomini, il servizio della salvezza.
Questo significa sforzarsi di essere graditi al Signore: fare tutto secondo la sua volontà, cercare in ogni cosa la sua volontà e la sua volontà è una sola: fare della nostra vita uno strumento di amore attraverso il quale egli possa manifestare la sua eterna ed infinita carità che ha verso ogni uomo.
[10]Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male.
In questo versetto c’è un altro concetto sul valore della vita che bisogna mettere in evidenza, in risalto, al fine di condurla su una strada buona, quella dell’osservanza della Parola di Dio.
Dio è il giudice dell’uomo, di ogni uomo. Alla sera della vita ognuno dovrà presentarsi al suo cospetto per rendere ragione di ogni cosa che avrà fatto, o non fatto, durante la sua permanenza nel corpo.
La vita è come un albero. Esso deve produrre frutti di bene, di amore, di verità, di speranza, di servizio, deve produrre gli stessi frutti che ha prodotto Cristo Gesù.
L’uomo così come esso si è fatto, è un albero di morte e non di vita, di egoismo e non di carità, di sopraffazione e non di pace. Così lo ha fatto il peccato di Adamo, lo ha trasformato in un albero di morte.
Dio però da sempre vuole trasformarlo in un albero di vita, di gioia, di pace, di verità, di salvezza, di bene.
Ha mandato in mezzo a noi il nuovo Albero della vita che è Cristo Gesù e ci ha fatti in Lui alberi di vita e di verità, alberi di bene e di amore, alberi di giustizia e di santità.
Quando ci presenteremo al suo cospetto, e tutti dovranno presentarsi, egli, Dio, guarderà i nostri frutti e se non sono frutti dell’Albero della vita, frutti di bene in Cristo Gesù, non abbiamo diritto di entrare in Paradiso. Non possiamo noi essere trasformati in alberi di amore, quando durante la nostra permanenza nel corpo abbiamo prodotto frutti di male, frutti di ingiustizia, frutti di morte in opposizione ai frutti di Cristo Gesù che sono solo frutti di vita.
Entreranno nel Paradiso solo quanti sono trovati alberi di vita, quanti invece sono trovati alberi di morte, seguiranno la strada della morte eterna, verso la quale le loro opere li hanno condotti e la morte sarà per sempre.
È questa verità che oggi non è più creduta dal credente in Cristo Gesù. C’è come una fede sfasata, oggi, che regna in tanti cuori. È una fede che rinnega Cristo e la sua opera di salvezza; è una fede senza Cristo e senza la sua opera di redenzione; è una fede che non accoglie la verità di Cristo Gesù.
È, la nostra, una fede falsa, anzi è peggiore della non fede. La non fede vive senza Cristo, lo ignora, non sa chi egli è. Vive lontano da lui. La nostra fede invece non è una non fede, è una fede contro Cristo Gesù e contro il suo mistero di vita eterna, contro la sua essenza di Albero della vita, contro la nostra incorporazione in Lui, che ci fa alberi di vita e di amore.
È, la nostra, una fede senza la parola storica di Cristo Gesù e quindi una fede pensata dall’uomo, che non è né spiegazione, né comprensione secondo la pienezza di verità verso cui conduce lo Spirito del Signore i credenti in Cristo Gesù.
È, la nostra, una fede di sentimento, di religiosità popolare, di usi e costumi, di tradizioni degli uomini.
È, la nostra, una fede che ha annullato il comandamento di Dio, le sue beatitudini, il mistero di Cristo Gesù nella sua essenza più vera e più pura a favore di un pensiero umano che vanifica tutta intera la Verità rivelata. Anzi è una fede che giustifica se stessa contro la stessa evidenza della verità del Vangelo.
È, la nostra, una fede che ha bisogno di essere rifondata totalmente. Ha bisogno nuovamente che venga evangelizzata, cioè che venga riempita di contenuti evangelici.
Il futuro della Chiesa e del mondo passa attraverso la nostra capacità nello Spirito Santo di rivitalizzare la nostra fede, di renderla autenticamente fede nella Parola di Cristo Gesù, ascolto della sua Parola, vita nel Vangelo della salvezza.
È il compito che ci attende, attraverso il quale passa la salvezza dell’uomo, su questa terra e nei secoli eterni.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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