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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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31/01/2012 22:34
 
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SPERANZA DELLA RISURREZIONE

[13]Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo,
In questo versetto Paolo manifesta qual è il suo principio di operazione. Cosa lo spinge a parlare e per che cosa egli parla.
Ogni parola in lui è dettata dalla sua fede. È la fede che parla in lui. Ogni sua parola o è parola di fede, la parola della fede, o uno sviluppo di questa stessa parola di fede.
Senza fede per Paolo non ci sono Parole che possono aiutare l’uomo, senza fede c’è solo una parola umana, ma questa non salva l’uomo.
Niente che è nell’uomo o che proviene dall’uomo salva l’uomo. Salva l’uomo Dio e la sua Parola, Cristo e la sua Parola, lo Spirito Santo che ci mette in comunione con la Parola di Dio e di Cristo Gesù.
La parola vera è quella che nasce dalla fede. Quella parola salva e solo quella.
C’è tuttavia una deduzione che bisogna operare. Come la fede fa nascere la parola, come se la generasse; così anche la non fede genera la parola che esce dalla nostra bocca.
È sufficiente ascoltare un uomo per conoscere il grado della sua fede. Se la sua parola manifesta tutta intera la fede in Cristo Gesù e nel suo mistero di salvezza, la fede nel cuore è ben salda, forte, robusta. Questa fede genera una parola vera, la parola vera scende nel cuore, vi mette la fede e questa genera la vita.
Se invece nel cuore non c’è fede, non c’è verità, non c’è pienezza di rivelazione, la parola lo manifesta, lo evidenzia. La fede è invisibile, la parola è udibile. Basta udire la parola per leggere la fede o il grado di fede che c’è in un cuore.
Paolo ha una fede forte, irresistibile, convinta. Da questa fede egli parla, da questa fede fa scaturire le parole, da questa fede fa nascere la verità che egli annunzia.
Riguardo alla fede neanche si può fingere. Questa finzione non è data all’uomo. Costui parlerà sempre dall’abbondanza del suo cuore. Ciò che c’è dentro egli trae fuori; ciò che dentro non c’è, neanche si può trarre fuori. A volte uno non ha fede, potrebbe però trarre qualche buona lezione di teologia. Ma anche questo è difficile. Anche ciò che si trae dai libri, è sempre in relazione a ciò che si possiede nel cuore.
Il cuore rifiuta una verità che non è sua e rifiutandola non la adotta, non la fa sua. Chi ascolta percepisce immediatamente se ciò che uno dice viene dal suo cuore, o promana dalla sua formazione teologica o dalla sua scienza religiosa.
Se non viene dal cuore, anche se viene dalla sua scienza teologica e religiosa, non salva. Salva solo quella parola che scaturisce dal nostro cuore e che è parola che a sua volta sgorga dalla nostra fede in Cristo Gesù e in tutto il suo mistero di morte e di risurrezione.
[14]convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.
Paolo ci dice ora qual è la sua fede. Egli poggia la sua fede su un solido fondamento: Dio ci risusciterà; Dio ci porrà accanto a Cristo nella gloria del cielo.
Come si può constatare la fede di Paolo nasce dalla risurrezione di Cristo Gesù e su di essa produce un frutto di vita eterna per ogni uomo.
Cristo è risorto. Questa fede è certa. Questa è la fede della Chiesa dalla quale ogni altra fede prende avvio, riceve certezza, ha il suo stabile e duraturo fondamento.
Cristo è risorto perché il Signore lo ha risuscitato, è Lui che lo ha chiamato nuovamente alla vita, trasformandolo. Sappiamo dalla 1ª Lettera ai Corinzi l’importanza che Paolo dona alla risurrezione di Cristo Gesù.
Il Signore, o il Padre dei cieli, che ha risuscitato Cristo Gesù, risusciterà anche noi e ci risusciterà in Gesù, con Gesù, per Gesù.
Come Dio ha potuto risuscitare Cristo Gesù potrà anche risuscitare noi. C’è una sola azione: la risurrezione di Cristo; in questa risurrezione il Padre risusciterà ogni uomo, anzi la risurrezione di ogni uomo è la continuazione di quest’unico atto compiuto da Dio sul corpo di Cristo Signore.
Ci risusciterà il Signore e ci porrà accanto a Cristo, insieme a lui nella gloria del cielo. Anche questa è verità. Noi non saremo separati da Cristo, saremo in Cristo, con Cristo, vivremo in Lui e per Lui. Questa sarà la nostra gioia eterna, il nostro gaudio che non conoscerà mai fine.
Come da questa fede egli attinge le parole da portare nel mondo, così per questa fede e in questa fede egli vive. Paolo altro non attende che il momento della sua risurrezione, il momento della vittoria sulla morte nel suo corpo, il momento di lasciare definitivamente questa terra, questo vecchio cielo, per entrare nei cieli nuovi e nella terra nuova, dove avrà stabile dimora la giustizia.
Vivere per questa fede per Paolo ha un solo significato: spendere interamente la vita perché questo evento si compia, ma si compia nella gloria di Cristo Gesù, non nell’ignominia della perdizione eterna. Ha anche l’altro significato: spendere ogni energia perché tutti gli uomini possano venire a conoscenza di questa verità, perché anche loro ne facciano il principio della loro vita e la regola della loro esistenza terrena.
Su questo penso dovremmo impegnarci un po’ di più tutti quanti. Sia a compiere la risurrezione di Cristo in noi attraverso la santità della vita; sia utilizzando tutte le nostre energie per invitare ogni uomo a lasciarsi anche lui conquistare da questa fede nella risurrezione di Cristo Gesù.
Ha valore solo quella vita che è riportata in questo principio; ha valore quella vita che questo principio sviluppa in tutte le sue conseguenze e potenzialità di vita eterna e di evangelizzazione dei popoli.
[15]Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio.
Questa è una certezza di fede che deve essere infallibile per ogni credente in Cristo Gesù.
Tutto è per i discepoli di Gesù, tutto avviene in loro favore, tutto si compie perché loro possono crescere ed abbondare nella verità della salvezza, tutto si verifica perché si manifesti in modo inconfondibile l’amore di Gesù per loro.
Per Paolo però occorre che il discepolo di Gesù sappia sempre discernere i segni dei tempi, li sappia leggere ed interpretare, sappia scoprire in essi la verità che Dio vi immette, perché l’uomo si lasci conquistare da essa.
In questo versetto scopriamo qual è la visione della realtà che ha Paolo in tutto quanto si verifica intorno a lui.
Ogni cristiano diviene per l’altro grazia di Dio. Se colui al quale questa grazia viene data, manifestata, rivelata, o concessa la sa discernere e accogliere, si innalza dal suo cuore un inno di lode per il Signore, un inno che celebra e magnifica la sua gloria.
Dio ci concede la grazia attraverso un nostro fratello. Se noi sappiamo accoglierla, dopo aver fatto su di essa un serio e quanto mai vero discernimento, si innalza dal nostro cuore l’inno di lode, di benedizione, di glorificazione di Dio, in ragione della grazia che egli ci ha concesso.
A volte però la grazia non viene da una sola persona; è una grazia che ci viene concessa attraverso una moltitudine di persone; è una grazia multipla. Sono molti che la ricevono e sono anche molti che la danno, che la portano agli altri.
È giusto che tutti quelli che la portano e tutti quelli che la ricevono innalzino un inno per cantare la gloria di Dio, il quale manifesta la sua misericordia in modo sempre prodigioso, straordinario; manifesta il suo amore in un modo indicibile all’uomo.
A questi non resta che innalzare la loro voce e glorificare il Padre dei cieli per la sua misericordia manifestata in nostro favore.
Quello che Paolo vuole farci comprendere è questo: il dovere di innalzare l’inno per la glorificazione del Padre non deve essere di uno solo, deve essere sia di chi è stato strumento per il dono della grazia, sia di colui che la grazia ha ricevuto. Poiché molti sono quelli che danno la grazia di Dio e molti quelli che la ricevono, gli uni e gli altri devono glorificare il Signore, devono benedirlo ed esaltarlo. Quello che lui ha fatto e fa per amore dei suoi figli è sempre oltre ogni attesa e ogni aspettativa; supera ogni umano desiderio.
Per questo motivo è ben giusto che l’inno di ringraziamento salga da tutti i cuori. Ma per questo occorre prima che vi sia nell’uomo quella sapienza che è frutto in lui dello Spirito Santo, attraverso la quale il discepolo di Gesù viene messo nella condizione di poter discernere secondo verità ogni grazia che Dio sparge sul cammino dei suoi figli. La sparge perché raggiungano con facilità la salvezza ed entrino nel regno dei cieli da giusti e santificati dal suo amore.
Per fare questo occorre tutta la saggezza dello Spirito Santo e bisogna chiederla quotidianamente attraverso una preghiera intensa, forte, una preghiera che sgorga dal più profondo della nostra anima. Lo richiede la riconoscenza che è dovuta al Signore a motivo di ogni grazia che ci concede, a motivo della sua immensa misericordia e del suo amore eterno con il quale ci ama.
[16]Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno.
Sapendosi Paolo strumento della grazia di Dio, conoscendo i frutti che una grazia accolta produce in un cuore, non si perde d’animo, non si scoraggia, non viene meno, non si abbatte, non lascia mai il suo ministero di missionario e di araldo di Gesù Cristo.
Guai se il missionario di Dio si dovesse scoraggiare anche per un solo istante. La grazia di Dio non si riverserebbe più sull’umanità. Dio verrebbe a perdere la sua lode e la sua gloria.
Chi benedirebbe più il Signore, chi lo loderebbe, chi lo magnificherebbe, chi innalzerebbe il suo inno di ringraziamento per le opere da lui compiute in favore della sua salvezza? Nessuno.
A causa di uno scoraggiamento, Dio non sarebbe più riconosciuto come il Signore in mezzo al mondo e questo a causa della perdita della fede del suo missionario e del suo araldo e inviato nel mondo proprio per far salire a Lui da ogni cuore un inno di benedizione e di ringraziamento.
Ci sarebbero i motivi per potersi scoraggiare. Paolo assiste al disfacimento della sua carne, del suo corpo. Il peso del Vangelo lo ha logorato, consumato. Ogni sua energia fisica è stata spesa perché il Vangelo raggiungesse ogni uomo.
Questo Paolo lo sta osservando. Si vede venire meno nelle forze, non ce la fa più.
A questo disfacimento dell’uomo esteriore corrisponde un rinnovamento sempre più grande dell’uomo interiore.
Si perdono le forze fisiche, si ingrandiscono le forze spirituali, le quali hanno il compito di vivificare quel che ancora resta di quel poco di forze fisiche perché tutto sia speso per il Vangelo.
Niente di ciò che è nell’uomo deve essere sottratto alla missione; tutto invece deve essere impiegato, consumato, esaurito per questo ministero. In questo vengono in aiuto le forze spirituali, anzi più si consumano le forze fisiche e più quelle spirituali aumentano e bilanciano le forze fisiche, in modo che sino alla fine si possa compiere la missione, o il ministero che il Signore ci ha affidato.
È in ragione di queste forze spirituali assai intense e resistenti che non ci si scoraggia, ma è anche in funzione di queste forze che le altre, quelle fisiche, vengono alimentate e l’uomo è in grado di compiere sino alla fine il compito che il Signore gli ha assegnato, quando lo ha chiamato ad essere suo strumento per manifestare al mondo la grazia e la sua misericordia.
Possiamo dire anche che l’aumento delle forze spirituali avviene in misura proporzionata alla perdita e al disfacimento delle forze fisiche.
Più il nostro corpo si consuma per predicare il Vangelo, più c’è il disfacimento della nostra carne sotto il peso della missione e più si diventa spiritualmente forti per non scoraggiarci e per andare sempre avanti fino al termine dei nostri giorni.
Se da un lato c’è la morte fisica che ogni giorno si fa sempre più sentire, anche come desiderio di andare nel cielo, dall’altro c’è la crescita dell’uomo spirituale, dell’uomo interiore che assolve con più grande intensità la missione ricevuta. È in ragione di questa forza e di questa fede che non c’è alcuno scoraggiamento in colui che il Signore ha scelto e costituito strumento della sua grazia e del suo amore in mezzo agli uomini.
[17]Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria,
Paolo vive ogni momento in funzione dell’eternità, del Paradiso, della gloria che il Signore gli darà dopo aver portato a termine la sua corsa.
Sappiamo che la sua vita è stata tutta una persecuzione, una tribolazione, un martirio. Tutto questo dolore egli però lo valuta secondo una prospettiva eterna.
Da un lato c’è la gloria eterna, che mai finirà, che sarà pienezza di vita e di benedizione, comunione con Dio con un’anima e un corpo rivestiti di luce divina. Dall’altro c’è una sofferenza che bisogna vivere per entrare nel regno dei cieli. La sofferenza non è eterna, non dura per sempre, non è poi così insopportabile e così dura se la si confronta con la pienezza di gioia e di durata dell’eternità.
Abbiamo la sofferenza momentanea e il suo peso leggero, ma come frutto di tutto questo abbiamo una quantità smisurata ed eterna di gloria.
Il confronto non regge, il paragone si smorza. Non ci può essere relazione tra l’eternità e il tempo, la gioia del cielo e la sofferenza della terra.
Anche se la sofferenza dovesse durare per miliardi di anni, anche in questo caso varrebbe la pena sopportare ogni cosa in ragione del frutto eterno di gioia che tale tribolazione produce.
Tutto questo esige però una forte fede, una carità grande, una speranza contro ogni speranza. Il cristiano deve fare delle virtù teologali l’essenza della sua vita spirituale, se vuole vincere le tentazioni, se vuole superare gli ostacoli che vengono posti sul suo cammino, al fine di farlo retrocedere e di renderlo schiavo delle passioni e del mondo, schiavo del tempo e delle tenebre veritative che avvolgono la sua anima, quando questa non è illuminata, fortificata, sostenuta dalla pienezza delle virtù teologali che abbelliscono il suo spirito.
Una cosa deve essere certa per tutti: se il pensiero non è stabile e fisso nell’eternità nessuno potrà superare la tribolazione, specie quando questa si fa tenace, forte e persistente.
Solo con lo sguardo fisso in Cristo e nella sua gloria possiamo resistere, superare e vincere la tentazione che sparge sul nostro cammino la sofferenza e il dolore perché noi ci stanchiamo e retrocediamo dalla via del bene intrapresa.
Cristo Gesù ci insegna inoltre che non è sufficiente tenere lo sguardo fisso nel cielo. Bisogna tenerlo fisso, pregando con insistenza, senza mai stancarsi.
Lui stesso ci ha lasciato l’esempio. Egli nell’orto degli Ulivi pregò così intensamente il Padre affinché lo sostenesse nell’ora della passione e dell’agonia sulla croce, che il suo sudore divenne e si trasformò in gocce di sangue.
Questo deve insegnarci che via sicura per abbracciare la sofferenza e offrirla in riscatto per il perdono dei peccati del mondo è la preghiera innalzata a Dio con intensità di amore e con vero spirito di pietà.
Questo è l’esempio che Cristo ci ha lasciato; è anche la via da percorrere sempre. La preghiera assieme alla fede, la carità e la speranza fisse nel cuore ci ottengono la grazia di proseguire il nostro cammino e raggiungere attraverso la sofferenza e la croce quella quantità smisurata ed eterna di gloria che già ci attende da cielo, come frutto e dono di Dio per le nostre fatiche.
[18]perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne.
Le cose visibili si fissano con l’occhio di carne. Quelle invisibili invece con l’occhio dello Spirito Santo che abita e dimora dentro di noi.
Quelle visibili sono ingannevoli, passeggere, senza valore. Quelle invisibili sono vere, eterne, dal valore incommensurabile.
Il cristiano è chiamato a fare una scelta: o le cose invisibili, o quelle visibili. Non può scegliere le une e le altre. La scelta delle une esclude la scelta delle altre.
Le due cose sono inconciliabili, come è inconciliabile poter servire a due padroni, secondo l’insegnamento di Cristo Gesù.
Il problema vero è uno solo: come possiamo fissare lo sguardo sulle cose invisibili, dal momento che queste non si vedono?
La soluzione c’è ed è in verità assai semplice. Per fissare lo sguardo sulle cose invisibili occorre percorrere due vie: la via della fede e l’altra della speranza.
La via della fede ci insegna le realtà invisibili. Queste realtà bisogna insegnarle, a queste realtà bisogna educare i cristiani.
La formazione nella retta fede è obbligo della Chiesa. Uno dei mali di oggi è l’assoluta mancanza di formazione nella retta fede.
C’è molta predicazione moraleggiante, ma non c’è vera ed autentica formazione nella fede, per cui nessuno più pensa alle realtà del cielo.
Non solo. C’è anche disinformazione sulle realtà invisibili, in quanto per molti queste sono già acquisite di per sé, senza alcun bisogno di passare attraverso la tribolazione che nasce dalla testimonianza resa a Cristo Gesù e alla sua verità.
O la Chiesa riprende la retta predicazione, fondata sulla parola storica di Cristo Gesù, conformemente alla Tradizione e a quanto il Magistero ci insegna con autorità e autorevolezza sulle ultime realtà, oppure noi rischiamo di rendere e di ridurre il cristianesimo ad un umanesimo più o meno sano, più o meno buono, più o meno dal volto umano.
Sulla necessità di riprendere il cammino della formazione sulla retta fede che nasce dalla conoscenza della parola storica di Cristo Gesù ognuno dovrebbe convincersi, anzi dovrebbe credere con fede ferma, sicura, stabile, capace di tradursi in opera, qui ed ora, subito.
L’altra via è quella della speranza. La speranza dice cammino senza mai stancarsi, dice costante verifica del cammino.
Anche sulla speranza oggi le lacune sono molte, tanto che si può parlare della totale perdita della speranza in seno al popolo di Dio. È come se la nostra religione avesse perso i legami con il cielo e si fosse tutta orientata per i beni di questo mondo, vissuti secondo una certa moralità, ma non si va oltre.
È proprio del cristiano invece il cammino verso il regno dei cieli. Al cielo egli è chiamato, nel cielo si conclude il suo viaggio, nell’eternità terminano le sue fatiche pastorali e apostoliche.
Questo cammino deve essere illuminato da una forte fede e da una verità sicura, certa. Poiché il cristiano oggi è senza verità di fede non può in nessun caso iniziare il viaggio della speranza.
Come si può camminare verso qualcosa che non si conosce, che è confusa ai nostri occhi, che spesso è contraffatta e falsificata?
Come si può avanzare verso qualcosa che non è da raggiungere, ma che è già raggiunta per il semplice fatto che Cristo è morto per tutti e quindi tutti sono nel cielo assisi alla destra di Dio?
Non è facile uscire da questa stasi e da questo non cammino. Occorre che lo Spirito Santo susciti in qualche cuore un desiderio e un anelito ardente verso le cose invisibili, tanto ardente da trasformarsi in un trascinatore di molti altri cuori verso il cielo e le sue realtà invisibili.
La Chiesa trasforma la storia non con la fede, non con la carità, ma con la speranza. La fede e la carità devono sostenere la speranza, spingere la speranza, realizzare la speranza.
La speranza libera l’uomo dalla terra perché lo innalza verso il cielo. Innalzando l’uomo verso il cielo, innalza anche la storia e così la libera dalla sua schiavitù al peccato e da ogni tirannia del male su di essa.
È questo il segreto dei santi. Loro sono riusciti a trasformare la storia perché l’hanno innalzata verso il cielo, hanno messo nel suo seno quel germe di speranza che l’ha fatto sussultare e le ha dato una nuova dimensione: della verità e della carità.
Chi vuole aiutare veramente l’uomo a risorgere, a cambiare, a trasformarsi, a vivere nella giustizia e nella pace, deve farlo infondendo nel suo cuore il principio della speranza cristiana. Deve metterlo in cammino verso il cielo che è il compimento di ogni sua aspirazione.
Se non farà questo, non avrà fatto nulla per l’uomo, perché lo avrà lasciato così come esso è.
È grande la nostra responsabilità. Per noi il mondo si innalza presso Dio se lo facciamo respirare di speranza; oppure si inabissa in satana e nella sua falsità e menzogna, se lo priviamo di questo principio essenziale che è la risurrezione gloriosa di Cristo Gesù e la sua ascensione alla destra del Padre, nel regno della sua gloria, dal quale ci attende per essere in eterno con Lui e in Lui per lodare, benedire, ringraziare ed esaltare in eterno il Padre suo.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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