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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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31/01/2012 22:32
 
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FORZA E DEBOLEZZA DEGLI APOSTOLI

[7]Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi.
Paolo è consapevole di due verità: la straordinaria grandezza del dono di Dio, del ministero che il Signore gli ha affidato; a fragilità della sua umanità, che è chiamata a dare al dono di cui il Signore lo ha arricchito il suo più sviluppo e la sua maggiore fruttificazione.
È un tesoro però posto in una vaso di creta. Il vaso potrebbe sempre rompersi, il tesoro potrebbe andare perduto.
Ma non è questo in verità il pensiero di Paolo. Dicendo che il tesoro è in un vaso di creta non vuole egli indicarci la possibilità che il tesoro vada perduto nel momento in cui si rompe il vaso - il vaso è sempre possibile che si rompa -.
Egli invece è certo che il vaso non si rompe; che la creta non si sgretola, che il vaso potrà sempre contenere il tesoro che il Signore vi ha posto dentro.
Paolo vuole significare che tra la creta e il tesoro non vi è alcun paragone possibile; il tesoro è troppo nobile e la creta troppo misera. La creta è uno strumento nelle mani di Dio. La creta è questo strumento perché sia manifestata nel mondo la potenza straordinaria di Dio che salva e converte, rigenera e rinnova, conduce nel regno della verità e della grazia.
È Dio che opera tutto in tutti, ma Dio ha bisogno della nostra creta per dare agli uomini il suo tesoro di salvezza e di redenzione. Se il tesoro non viene dato, non viene dato non perché la creta sia incapace di contenerlo, ma perché l’uomo rifiuta la sua collaborazione con Dio.
Se invece l’uomo collabora con Dio, da lui si lascia “usare”, a lui si consegna come un vaso di creta si consegna nelle mani di chi se ne serve, la grazia e la verità di Cristo Gesù possono veramente, realmente trasformare il mondo, non lo possono in ragione dell’uomo, che è vaso di creta, ma in ragione del tesoro che il vaso di creta contiene e porta.
È necessario che ci convinciamo di questa unità che deve sempre regnare tra il tesoro e il vaso di creta. Vanno insieme; il vaso porta il tesoro e il tesoro per essere dato deve essere portato dal vaso.
Oggi c’è questa scissione tra vaso e tesoro. Il vaso è senza il tesoro e pensa di poter dare il dono di Dio. Il dono di Dio è senza il vaso e l’uomo pretende che sia Dio a doverlo donare direttamente.
Questo non può essere mai affermato; chi dovesse affermarlo ignora, non conosce, ma anche trasforma e corrompe il mistero stesso dell’Incarnazione di Cristo Gesù, il quale ha portato il tesoro di Dio nella sua umanità e attraverso l’umanità, come terreno fertile e buono, l’ha fatto fruttificare il cento per uno, anzi più del cento per uno, l’ha fatto fruttificare all’infinito.
Questa verità deve essere oggi affermata con fermezza di Spirito Santo, poiché è da questa unità che l’opera di Cristo potrà produrre nel mondo frutti di vita eterna per ogni uomo.
Ricomporre questa unità deve essere dovere di giustizia di ogni cristiano. Deve essere obbligo di chiunque in qualche modo è responsabile della salvezza dei fratelli.
[8]Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati;
Paolo passa ora a mostrare un poco della fragilità della sua creta, della sua umanità.
L’apostolo è avvolto dalla tribolazione da parte del mondo. Il mondo non tollera che l’apostolo posso svelare la sua tenebra, la sua falsità, il suo peccato e per questo, come ha fatto con Cristo, si scaglia contro l’apostolo del Signore e lo tormenta con ogni sorta di sofferenza sia fisica che spirituale.
Conosciamo le tribolazioni di Paolo; di queste lui ce ne parlerà con dovizia di particolari nei capitoli che seguiranno.
Ora a lui interessa affermare non il fatto della tribolazione in sé, quanto una certezza di fede.
Colui che cammina con Cristo, chi serve il Signore della gloria, chi si lascia guidare dallo Spirito del Signore, può anche essere immerso nella più grande tribolazione del mondo, ma questa non potrà mai schiacciarlo.
Colui che è tribolato avrà sempre la sua risurrezione; risurrezione spirituale in questo tempo, risurrezione fisica alla fine della storia quando il Signore farà i cieli nuovi e la terra nuova, quando ci farà risorgere con Cristo nell’ultimo giorno.
Il male non può schiacciare colui che crede in Cristo Gesù e lo serve con amore libero, disinteressato, amore di salvezza e di redenzione per ogni uomo.
La tribolazione non può schiacciare il discepolo di Gesù, ma neanche sull’apostolo del Signore può abbattersi la disperazione. Lui sarà sicuramente sconvolto dall’agire dell’uomo, ma nel suo cuore c’è sempre un principio solido di fede: chi cammina con Dio, chi serve Cristo Gesù, chi si lascia guidare dallo Spirito Santo, chi vuole dare a questo mondo il volto della verità, della giustizia e della misericordia del Padre, in nessun caso potrà pensare di essere vinto dalla storia; egli in Cristo è più che vincitore.
Poiché ha questa speranza nel cuore, lui si lascerà anche sconvolgere, ma questo sconvolgimento del mondo non uccide in lui la speranza della vittoria di Cristo e di Dio nella sua vita.
La disperazione nasce solo dalla mancanza di fede nel cuore, o da una fede non formata, non corretta, non conforme alla divina rivelazione consegnata da Dio nelle Scritture Sante.
Quando si possiede nel cuore una fede forte, robusta, una fede fondata sulla verità rivelata, non su un pensiero della nostra mente, allora possiamo essere certi: nel cuore regnerà sempre la speranza che ci aprirà sentieri inaspettati.
Chi cammina con la speranza nel cuore non si lascia sconvolgere; egli è sufficientemente forte per progredire sul sentiero della verità e della giustizia; è nella condizione ideale per compiere il ministero che il Signore gli ha affidato.
[9]perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi,
In questo versetto viene messa in rilievo una verità fondamentale della nostra fede.
C’è la persecuzione del mondo, ma questa non ha potere sul discepolo del Signore; la persecuzione nella verità evangelica ha solo uno scopo: quello di provare la nostra fedeltà al Signore; prova anche il nostro desiderio di salvezza e per questo, a volte, la persecuzione viene per farci spostare da un luogo all’altro, al fine di predicare il Vangelo anche in questo luogo.
La persecuzione è una realtà, è la realtà della nostra fede. Paolo subito aggiunge che Dio non abbandona i suoi figli.
Questi verranno e sono perseguitati, ma Dio è con loro per proteggerli, per dare forza, sostegno, aiuto, luce ed ogni altra virtù, perché possano sempre e comunque svolgere il mandato di testimonianza al Vangelo della verità.
Dio non abbandona mai un uomo che gli consegna il suo spirito. Superata la prova di fedeltà, subito il Signore interviene, dona gloria eterna e aumenta la grazia santificante che irrobustisce ancora di più l’anima e la rende forte e vittoriosa nel male.
Con questa certezza l’apostolo del Signore cammina, va per le vie del mondo. Egli sa che ci sono le persecuzioni, ma sa anche che il Signore è con lui e dopo che lui gli ha manifestato tutto il suo amore e ha lasciato che la persecuzione si abbattesse su di lui, il Signore interviene e lo libera da ogni male, lo custodisce come la pupilla dei suoi occhi, finché non sarà un altro tempo, un’altra ora, in cui nuovamente bisogna rendere testimonianza al Padre dei cieli.
La persecuzione non si limita solamente a delle parole di ingiuria o di grave offesa; essa passa anche alle mani. La persecuzione a volte non si dona pace finché non abbia ucciso l’apostolo del Signore. Anche in questo caso Paolo ci rassicura. Con Dio si può essere colpiti, ma non uccisi. Si è uccisi quando verrà la nostra ora, quando anche per noi è giunto il momento di passare da questo mondo al Padre.
Questo deve infondere coraggio, forza, certezza all’apostolo del Signore; deve rendere il suo spirito audace, pieno di coraggio. Deve sapere che il male potrà anche abbattersi su di lui, ma non lo potrà mai schiacciare, perché la vita del discepolo e dell’apostolo del Signore appartiene al Signore.
D’altronde il Vangelo rivela tutte le persecuzioni che si abbatterono su Gesù; queste non lo vinsero finché non venne la sua ora. Così è per ogni discepolo di Gesù.
Il mondo avrà la vittoria su di lui, lo ucciderà, solo quando sarà venuta la sua ora di rendere gloria a Dio e di dare testimonianza a Cristo Gesù. Questa è la verità. Per questo il discepolo del Signore non deve darsi pensiero, non si deve preoccupare su cosa gli succederà oggi o domani. Egli deve sapere solo una cosa: il mondo non lo schiaccerà, non lo ucciderà, non lo vincerà, non andrà egli in disperazione, perché il Signore sarà al suo fianco e lo sosterrà per il compimento dell’opera che gli ha comandato di fare.
[10]portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
Il paragone con la vita di Gesù qui si fa ancora più esplicito. Attraverso una quotidiana persecuzione l’apostolo del Signore compie la morte di Gesù nel suo corpo.
Egli a poco a poco muore fisicamente a se stesso e non solo spiritualmente, perché tutto l’uomo nuovo cresca e maturi frutti di vita eterna.
La morte è del corpo, non è dei pensieri, o della volontà che si consegnano interamente a Cristo e a Dio per il compimento e l’osservanza della sua santa legge. Questo versetto ci rivela tutta la sofferenza fisica di Paolo, il suo dolore sofferto nel suo corpo al fine di far risuonare nel mondo il glorioso Vangelo del Figlio di Dio.
D’altronde non ci può essere configurazione a Cristo senza la sofferenza e il dolore, dal momento che Cristo Gesù è il Crocifisso, Colui che è stato appeso al palo, inchiodato nelle mani e nei piedi e trapassato nel suo costato con una lancia.
Ciò che è avvenuto in Cristo deve compiersi in ogni suo discepolo; questi deve compiere nel suo corpo la stessa morte di Cristo. È una necessità di configurazione, di similitudine, di somiglianza con Cristo.
Nel corpo di Cristo vige una sola legge, un solo principio operativo del Vangelo. Questo principio è la consegna della nostra vita a Dio perché attraverso la persecuzione del mondo che si abbatte su di noi, noi diveniamo pienamente conformi a Cristo Gesù, non solo nello spirito, ma anche nel fisico, nel corpo. Anche nel corpo portiamo la sua morte che per noi è quotidiana. Camminiamo di morte in morte attraverso la via della persecuzione e del dolore che si abbatte su di noi a causa della nostra fede in Cristo Gesù e della missione di predicare il Vangelo che esercitiamo con serenità, pace e gioia nello Spirito.
La morte è solo un aspetto, è l’aspetto distruttivo del peccato e del male, della concupiscenza e della superbia che si annida in noi.
Con la nostra quotidiana morte noi diamo a Dio il nostro corpo; gli appartiene e noi glielo consegniamo liberandolo da tutti i moti di superbia, di concupiscenza, di desideri mondani, da ogni altra venialità.
Con la continua morte noi sappiamo che il nostro corpo appartiene al Signore e glielo diamo interamente, ma per darglielo dobbiamo purificarlo, santificarlo, mondarlo e liberarlo dal male.
Attraverso la persecuzione noi ci purifichiamo, e Dio può servirsi del nostro corpo per compiere la sua opera di salvezza a favore di tutto il genere umano.
C’è anche l’altra parte, quella costruttiva. Il cristiano non solo deve vincere il peccato, il male, la disobbedienza nel suo corpo; deve costruire tutta la vita di Cristo, che è donazione della volontà, della mente, dello spirito e dell’anima a Dio perché ne faccia una sua stabile dimora, perché abiti con la sua potenza di grazia e di misericordia in mezzo a noi.
Quello che il cristiano deve fare è sì la morte al peccato e al male, ma è anche la vita alla grazia e alla verità, in un costante crescendo che deve condurlo a manifestare nella sua vita la potenza della risurrezione di Gesù.
La persecuzione ha un duplice scopo: creare in noi la morte di Cristo nel nostro corpo, ma anche formare la nuova vita di Cristo in noi. Morte e risurrezione sono stati un unico mistero in Cristo Gesù, morte e risurrezione devono essere un solo mistero nel cristiano.
Non si può però consumare in noi il mistero della risurrezione se non si consuma il mistero della sua morte e nella misura in cui lo si consuma.
Letta così, la persecuzione la si vede come una grazia che il Signore ci concede perché noi possiamo divenire in tutto simili a Cristo nella vita e nella morte.
Ma se è così, se è una grazia, perché non ce ne accorgiamo nel momento in cui la subiamo? Perché in quel momento non ringraziamo il Signore a causa della sofferenza che ci rende in tutto simili al nostro Maestro e Signore?
La risposta è una sola: manchiamo di crescita nella fede, nella speranza e nella carità. Manchiamo di visione soprannaturale nella nostra vita, soprattutto manchiamo di quella saggezza e sapienza di Spirito Santo che ci fa vedere Dio dietro ogni sofferenza con la sua forza e il suo sostegno per vincerla e superarla.
[11]Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale.
Viene ripreso il concetto, or ora esposto, però sotto altra luce, da altra angolazione. Prima di tutto c’è l’affermazione che l’esposizione allÿÿmorte non è un fatto isolato, di un ÿÿlo gÿÿÿÿo, di unÿÿpaenÿÿ. C’è una perennità, una contiÿÿità che non dona respiro all’anima. Paolo dice: sempre. Lui è sempre esposto alla morte a causa di Cristo Gesù.
Quando si parla e si dice: a causa di Cristo Gesù, s’intende una cosa sola: la causa di Cristo Gesù è la predicazione del Vangelo della salvezza, è l’annunzio dell’ultima parola definitiva di Dio che vuole che ogni uomo lo adori, lo riconosca, lo confessi come il solo ed unico Signore dell’universo.
Altra verità qui affermata è che la persecuzione, l’esposizione alla morte avviene solo in questo tempo presente: una volta che saremo con Dio, lì ci sarà la vita o la morte eterna. Le anime del purgatorio ancora compiono la morte di Cristo dentro di loro, morte che non hanno realizzato e compiuto appieno durante la loro vita terrena, a causa delle infinite tentazioni che si sono abbattuti su di loro.
Questa morte ha un solo scopo e una sola finalità: quella di rendere particolarmente idoneo il nostro corpo a manifestare tutta la vita di Cristo in noi.
La vita di Cristo si manifesta in noi attraverso il compimento della sua Parola. Quando un suo fedele discepolo mette in pratica tutta la parola del Vangelo, e per questo deve iniziare la morte di Cristo in lui, la vita di Cristo in lui rifulge nella sua verità e nella potenza di grazia che essa contiene, esprime e manifesta.
Come si può constatare Paolo dona un significato teologico a tutto ciò che avviene attorno a lui. Noi non possiamo sapere per quale ragione soffre un cristiano, se per motivi di fede, di religiosità, oppure per cause tipicamente umane, di peccato, di incomprensione o altro di simile.
Quando però la sofferenza è motivata dalla nostra obbedienza al Vangelo e perché vogliamo vivere il Vangelo, in questo caso noi compiamo la morte di Cristo in noi. Anche attraverso di noi e in noi si compie il mistero della sua vita nel nostro corpo.
Dobbiamo sempre trasformare la nostra sofferenza in sacrificio, se non in ragione della sua causa – quando nasce dalla nostra obbedienza a Dio – almeno in ragione della sua offerta – presentata a Dio per la nostra conversione e salvezza e per la conversione del mondo intero - .
La sofferenza è sempre una morte in noi; è però dovere del cristiano trasformarla in vita e la si trasforma in vita, se la si vive per compiere in noi la purificazione da ogni peccato e la liberazione da ogni imperfezione.
[12]Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita.
In questo versetto Paolo ha sicuramente dinanzi agli occhi Cristo Gesù. La sofferenza di Cristo è la fonte, il principio, l’origine della nostra vita.
È dalle sue piaghe che noi siamo stati guariti. La sua morte offerta come sacrificio vicario in espiazione dei nostri peccati, ci ha liberati dalla morte e ci ha introdotto nella vita.
Paolo sa che solo attraverso l’offerta della sua vita, e quindi nella sua morte quotidiana, è possibile generare altra vita nel mondo, è possibile convertire i cuori e attrarli al Signore. La morte in lui non è completa, è una morte quotidiana, una sofferenza perenne, un continuo morire.
Lui lo dice con una sua frase: quotidianamente muoio. Muoio a me stesso, muoio ad una vita che mi potrebbe appartenere, perché ho consegnato tutta la mia vita al Signore nella morte per la vostra vita.
D’altronde non potrebbe essere diversamente. Se la fonte della vita per noi è stata la morte di Cristo, come potrebbe essere diverso per un cristiano, per un discepolo di Gesù?
Se lui vuole donare vita in questo mondo, lo può, ma alla condizione che lui muoia interamente, che faccia della sua vita un’offerta al Signore.
È necessario che tutto il suo corpo sia consegnato alla morte perché la vita nasca sulla terra e si diffonda.
È questo un principio che sovente viene ignorato dagli stessi cristiani, i quali non sanno che la loro vita è scaturita dal corpo morto di Cristo, dalla sua passione e morte. Chiunque vuole dare vita in questo mondo deve passare attraverso la stessa via che fu di Cristo Gesù; deve passare attraverso una continua e diuturna morte fatta di obbedienza al Padre, fatta del compimento della sua volontà.
Il Vangelo non ha altra strada per la sua diffusione nel mondo. I cuori mai potranno essere attratti a Cristo, se non attraverso il sacrificio che il cristiano offre di sé perché il mondo si converta e creda.
Dalla morte nasce la vita; vale per Cristo, vale per ogni suo discepolo. Questa è la legge della vita.
Uno pertanto può sempre sapere se lui genera vita o morte attorno a sé. Se cerca la vita, genera morte, non dona vita; se invece vive nel suo corpo la morte di Cristo egli genera la vita di Cristo in se stesso e negli altri.
Chi vuole generare la vita deve scegliere di passare attraverso la morte di Cristo. Questo avviene nel compimento perfetto della volontà del Padre. L’annunzio del Vangelo è compimento della volontà del Padre; ma l’annunzio del Vangelo richiede la nostra continua morte.
Morte ai nostri desideri, ai nostri pensieri, alla nostra volontà, al nostro cuore e anche ai nostri sentimenti.
È morte perché la predicazione del Vangelo richiede l’annientamento di noi stessi per essere a sua totale disposizione, sempre al comando di Dio per portare nel mondo la lieta notizia che siamo stati redenti e giustificati in Cristo Gesù.
Paolo è in una continua morte, non solamente per la rinunzia che lui ha operato, per aver cioè consegnato interamente la sua vita a Dio e messa a totale disposizione del Vangelo. Egli muore quotidianamente, perché sommerso dalla persecuzione del mondo.
Il mondo ogni giorno è come se volesse toglierlo di mezzo e per questo si avventa contro di lui con ogni genere di persecuzioni e di maltrattamenti. Dalla storia sappiamo quanto veramente gli costasse ogni giorno a lui la predicazione del Vangelo, quanta sofferenza, quanti dolori, quante umiliazioni.
Paolo ha una certezza nel cuore: questa continua morte genera nel mondo una continua vita. È da questa certezza di fede che lui trae sempre nuovo vigore per andare avanti, per continuare nell’offerta della sua vita al Padre a favore della predicazione del Vangelo, sempre, in ogni circostanza, in ogni persecuzione e sofferenza, sia fisica che spirituale.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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