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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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31/01/2012 22:31
 
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CAPITOLO QUARTO


OGGETTO DEL MINISTERO APOSTOLICO

[1]Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo;
Il ministero è uno solo, lo stesso che fu di Mosè, quello cioè di essere portatore nel mondo della gloria che rifulge tutta sul volto risorto di Cristo Gesù, quella gloria che Paolo non vive sul monte, ma su una strada, quella gloria che si manifestò a lui sotto forma di luce e che lo rese cieco per alcuni giorni.
Compreso così, il ministero apostolico si riveste di tutt’altro significato. Non consiste allora nel predicare Cristo, nel dire il suo mistero, nel dare il significato della Scrittura o nell’annunziare che ogni Parola di Dio ha il suo compimento in Cristo Gesù.
Tutto questo è senz’altro vero, utile, necessario, importante, indispensabile. Ad una condizione però: che l’apostolo sia divenuto partecipe della gloria di Cristo Gesù e che dallo Spirito Santo ogni giorno si lasci trasformare in quell’unico mistero di gloria, tanto da trasformare tutto il suo essere, che deve divenire nel mondo il segno visibile, palese della verità e della libertà che sono in Cristo Gesù.
Il ministero dell’apostolo diviene un ministero di luce, di verità, di libertà, un ministero di sacrificio e di passione, di croce e di risurrezione in tutto come lo è stato per Cristo Gesù.
L’apostolo del Signore deve manifestare la verità di Cristo. Poiché la verità di Cristo è luce eterna, gloria, splendore divino, l’apostolo del Signore si deve rivestire di questa luce, di questa gloria, di questo splendore e con esso presentarsi dinanzi al mondo perché esso venga accecato dallo splendore della verità allo stesso modo che lo è stato Paolo sulla via di Damasco.
Ciò che ha fatto Cristo per Paolo, deve farlo Paolo per il mondo intero, deve farlo ogni Apostolo del Signore, deve farlo semplicemente ogni cristiano; deve farlo secondo la misura della gloria che gli è stata accordata da Cristo Gesù e che lui deve far crescere di giorno in giorno mosso e condotto dallo Spirito del Signore Gesù.
Paolo tuttavia dice che questo ministero di gloria non è un suo frutto, un suo merito, un opera che gli è stata accreditata come giustizia. Questo ministero gli è stato assegnato per misericordia. È stato Dio nella sua infinita ed eterna misericordia a sceglierlo e a conferirgli questo ministero di gloria e di luce.
Lui non ha merito in questo. La luce di Gesù lo ha avvolto, lo ha trasformato, lo ha investito della sua stessa luce, lo ha costituito suo strumento, ministro perché tutto il mondo venisse a conoscenza del mistero di libertà e di verità che si è tutto compiuto in Cristo Signore.
Questo ministero è però difficile da espletare, da compiere. Durante il suo svolgimento ci si potrebbe perdere d’animo, scoraggiare, venire meno.
Se questo accade, non lo si vive più secondo verità e santità, perché non lo si svolge più secondo il volere di Dio e di Cristo nella mozione dello Spirito Santo, ma in un modo del tutto disordinato, senza verità e senza libertà. Lo si svolge non più da santi.
Le difficoltà che l’apostolo incontra sul suo cammino sono tante; ma tutte hanno un unico scopo: far sì che l’apostolo si perda d’animo, si scoraggi, abbandoni il lavoro, si ritiri a vita privata, oppure lo svolga a convenienza degli uomini e non più secondo le esigenze della santità di Cristo Gesù.
San Paolo ci assicura che le difficoltà sono e saranno tante per lui. Ma in tutte queste difficoltà lui non si è perso d’animo, non si perde, non si perderà. La forza dello Spirito lo spinge a compiere il ministero affidatogli con sempre più forza e vigore, con più grande verità e libertà, con tutta la santità che si attinge quotidianamente in Cristo Gesù e nel suo mistero di gloria.
[2]al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio.
In questo versetto troviamo una delle più belle regole per la pastorale di ogni tempo, per ogni luogo, valevole per ogni persona. È bene esaminare ogni regola singolarmente e distintamente.
Rifiutando le dissimulazioni vergognose. L’annunciatore del Vangelo non può che annunciare la verità in tutto il suo splendore, mettendo a totale disposizione del Vangelo la sua vita e questo fino alla morte di croce, in tutto come Cristo Gesù. Nessuna finzione, nessuna ipocrisia, nessun inganno, nessuna tergiversazione, nessuna parola che non sia la verità di Cristo Signore.
Ogni qualvolta c’è una tentazione da parte del mondo o degli stessi credenti, egli in nessun caso deve fare sconto nella verità, altrimenti non è più il Vangelo che egli annunzia, ma semplicemente una parola umana che non salva, non converte, non redime chi l’ascolta.
Le dissimulazioni sono tutti quei ritrovati umani che in qualche modo attentano alla purezza della verità e la rendono falsità. Sono vergognose perché sono fatte contro Cristo e la sua croce. Paolo è fermo nella verità; egli rifiuta con fermezza ogni intromissione umana nella Parola di Dio. Il suo comportamento è di piena fedeltà, niente che esce dalla sua bocca tradisce in un solo apice la verità di Dio. Ciò che Cristo ha detto lui lo dice; ciò che Cristo ha insegnato lui lo insegna; ciò che è male, per lui è male; ciò che è bene, per lui è bene.
Al di qua e al di là della Parola c’è la non parola. Questo è il suo comportamento, questo il suo metodo evangelico, questa la sua missione di pellegrino di Cristo nel mondo.
Senza comportarci con astuzia. L’astuzia aggiunge alle dissimulazioni vergognose la malizia del cuore e della mente. L’astuzia gira il Vangelo al proprio interesse e tornaconto. Il Vangelo nell’astuzia non viene predicato per la salvezza del mondo, viene predicato per un utile personale, per una gloria umana.
Da un lato c’è un mondo da salvare e dall’altro c’è il proprio io, la propria persona. L’astuzia fa sì che tutto venga incentrato sul proprio bene. Nell’astuzia c’è un uso del Vangelo, un uso del Sacro, un uso di Dio a fini strettamente personali.
Quando si cade nell’astuzia è la fine della verità, la fine del Vangelo, ma anche la fine della religione. L’astuzia fa sì che niente che è fuori della persona venga considerato; mentre tutto ciò che è fuori venga usato a beneficio della persona.
Questo è vero e proprio tradimento del Vangelo, tradimento di Dio, tradimento della religione. Chi cade in questo peccato smette di essere un apostolo del Signore, diviene un servitore di se stesso ma asservendo Dio e la verità a sé.
Questo è il peccato dell’astuzia ed è un peccato assai grave, perché mina alle basi la credibilità dell’evangelizzazione e della stessa parola di Dio. Quando il mondo si incontra con un missionario che vive di astuzia, mai si potrà convertire al Dio vivo e vero. I danni che provocano le dissimulazioni e l’astuzia sono gravissimi; i loro effetti attraverso i secoli e perdurano per millenni.
Né falsificando la parola di Dio. Altro impedimento a che il Vangelo venga accolto dai cuori e che si trasformi in loro principio eterno di verità e di amore è la falsificazione di esso.
Il Vangelo viene falsificato ogni qualvolta viene inserito in esso un elemento di falsità, un pensiero della terra, una filosofia umana, una teoria di quaggiù.
Il Vangelo salva e converte solo se è conservato nella sua purezza di origine, altrimenti non salva, non converte, non redime, non giustifica nessuno.
Il pericolo di sempre che si abbatte contro il Vangelo è la sua falsificazione, l’introduzione in esso di elementi della terra. È essenziale che l’apostolo del Signore lo conservi integro, puro, intatto, senza nulla aggiungere e nulla togliere; è essenziale che lo si trasmetta così come esso ci è stato tramandato.
Paolo ha una coscienza che non lascia spazi a dubbi di sorta. Egli non ha falsificato, non falsifica, non falsificherà mai la parola di Dio.
Pura e santa l’ha ricevuta, pura e santa la trasmette. Come l’ha ricevuta, così la trasmette. Se la modificasse in qualche parte, anche minima, non sarebbe più Parola di Dio, non potrebbe più operare ciò per cui essa è stata mandata sulla terra.
Su questo bisogna essere fermi. O manteniamo la parola nella sua integrità, o perdiamo tutto il tempo speso per la catechizzazione e l’evangelizzazione del mondo. Salva solo quella Parola che è detta limpida, pura, intatta; quella Parola che è modificata anche in una piccolissima parte non salva, non redime, non giustifica, perché non è più Parola di Dio.
Ma annunziando apertamente la verità. Finora ha detto ciò che non fa, non ha fatto, non ha intenzione di fare: modificare il Vangelo, servirsi del Vangelo, ingannare i fratelli presentandosi in modo differente di ciò che lui è, o con un fine diverso da quello che è proprio del Vangelo. Ora dice ciò che lui fa: annunzia apertamente la verità. L’annunzia con franchezza, senza timore; l’annunzia dinanzi al mondo intero, senza guardare in faccia a nessuno. Questo lo stile di Paolo.
La parola di Dio non si può nascondere, non si può neanche predicare in luoghi nascosti. Essa deve essere detta pubblicamente, a tutti indistintamente; deve essere predicata dai tetti in modo che tutta la città l’ascolti.
Questo Paolo lo ha sempre fatto. Egli mai si è ritirato quando era il momento di predicare la Parola, mai ha avuto paura degli uomini, mai in qualche modo ha tenuto nascosto il Vangelo per timori umani. Sempre a viso aperto ha parlato e sempre dinanzi al mondo intero.
D’altronde se la missione evangelizzatrice consiste proprio nel chiamare ogni uomo a conversione e a penitenza nella fede al Vangelo, come potrebbe accadere questo se proprio il missionario del Vangelo ha paura di predicarla apertamente e per annunziarla si ritira in luoghi deserti, solitari, nascosti, chiusi, privati?
Sarebbe un controsenso per la sua missione, anzi sarebbe la negazione stessa della sua missione.
Ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio. Paolo è un apostolo che porta scritto nel suo cuore, nella sua anima, nella sua mente e nella sua volontà il timore del Signore.
Quando egli si trova dinanzi ad un uomo, non è dinanzi ad un uomo, ma è dinanzi a Dio. È come se Dio stesso stesse ad ascoltarlo; è come se Lui annunziasse il Vangelo del Figlio Suo.
Avere Dio dinanzi ai propri occhi o avere una coscienza per Paolo è la stessa cosa, senza alcuna differenza. Lui nella coscienza dell’altro vede il Signore. La Parola che deve dare alla coscienza perché si salvi è quella di Gesù.
È questa visione di fede che permette all’apostolo di rimanere sempre nella purezza della verità, ma anche nella santità di una missione che deve essere svolta secondo principi divini, se si vuole che essa produca buoni frutti di conversione e di fede al Vangelo.
Quando dinanzi ad un uomo da evangelizzare non si vede più il Signore, il pericolo è uno solo: si potrebbe incorrere in molte leggerezze e imprudenze all’inizio veniali, ben presto si potrebbero rivelare gravi omissioni e trasgressioni nell’annunzio della parola di Dio.
La coscienza dell’altro potrebbe condizionarci a tal punto da non annunziare più il Vangelo della salvezza, oppure ad annunziarlo in maniera vaga, indistinta, senza contenuti di verità, limitandosi a quei luoghi comuni e o quegli inviti generici che non salvano una persona, perché non la mettono a contatto con la verità.
Di questi errori oggi se ne commettono tanti, fino alla negazione completa della verità rivelata a favore di principi umani, terreni che sono solo falsità belle e buone, con le quali ci si presenta dinanzi alle coscienze e si pretende di attrarle a sé, come se ciò che noi proponiamo loro, fosse la più pura delle verità. Chi vuole non cadere in questa tentazione deve ancorarsi ad un grande timore del Signore, deve vedere sempre ogni sua parola come se fosse detta a Dio e non ad un uomo, ma deve essere sempre la parola di Dio che viene detta ad una coscienza come dinanzi a Dio.
[3]E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono,
Se Paolo usa questa regola infallibile nell’annunzio, se lui non dissimula, non agisce con astuzia, non propone falsità, annunzia la verità, vive costantemente nel timore del Signore, perché il suo Vangelo rimane velato?
Perché molti, pur ascoltandolo, lo rifiutano, non riescono a penetrare lo Spirito del Vangelo, non arrivano a capire che è Cristo colui che dona la sua completezza e la sua verità al Vangelo della salvezza?
Paolo dona una risposta perentoria. Se il Vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono.
Come è possibile - è da chiedersi - che il Vangelo, che è la più pura delle verità, la più santa delle luce, la più sapiente delle parole, il più bel dono che Dio abbia mai fatto ad un uomo, rimanga velato per molti?
Dipende forse dal missionario che non lo annunzia bene? Potrebbe questo anche darsi. Però in questo versetto Paolo non parla del Vangelo in sé, parla del suo Vangelo, quindi della sua predicazione, del suo modo di essere apostolo e missionario di Gesù.
Ora sappiamo che il suo modo è santo, vero, puro, integro, fedele oltre misura. Perché allora esso rimane velato, dal momento che è stato predicato nella maniera, nella modalità più bella, più buona, più santa?
La risposta di Paolo non si fa attendere. Se il suo Vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono.
Il fatto che il Vangelo non venga accolto, nonostante brilli nella sua più grande luce, non dipende in nulla da colui che lo annunzia, dipende invece in tutto da colui che lo ascolta, che lo recepisce, che è invitato dal Vangelo ad entrare nel mistero della propria salvezza e di quella redenzione eterna che il Signore ha posto in esso.
[4]ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo che è immagine di Dio.
Viene ora rivelato in motivo per cui si perdono tutti coloro per i quali il Vangelo rimane velato. Si perdono perché il dio di questo mondo ha accecato la loro mente incredula. Questo accecamento non consente loro di vedere lo splendore del Vangelo di Cristo che è immagine di Dio.
Vengono in questo versetto puntualizzate tre cose: l’accecamento della mente incredula; lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo; Cristo Gesù immagine di Dio.
Il dio di questo mondo, o principe di questo mondo, è satana. Attraverso la sua seduzione acceca le menti, le quali divengono incredule. Le menti sono incredule e lui le acceca, o prima le acceca e poi divengono incredule? La risposta è possibile se per un istante ritorniamo alla prima tentazione che avvenne all’inizio della storia nel Giardino dell’Eden.
Se leggiamo la storia della prima tentazione il dubbio è subito chiarito. Satana può accecare solo una mente che è già incredula. Chi è forte nella fede mai potrà essere accecato da satana.
C’è un altro esempio che ci aiuta a capire questa verità. Cristo Gesù nel deserto vinse satana perché la sua mente non era incredula, ma credente. Anzi fu proprio a causa della sua fede nella parola del Signore, interpretata e compresa secondo la sua interiore verità, che lui ha potuto sconfiggere per ben tre volte satana.
Chi non ha una fede forte, infallibilmente forte, audace, pura, schietta, prudente e saggia facilmente si lascia accecare dal dio di questo mondo.
Cristo Gesù vinse per la sua fede; Eva cadde per la sua incredulità. Noi vinciamo se la nostra fede è forte; cadiamo nello stesso instante in cui veniamo meno nella fede.
Sul glorioso Vangelo di Cristo si è già parlato in abbondanza. È nel Vangelo che si manifesta tutta la gloria di Dio ed è nella vita secondo il Vangelo che la gloria viene ridata a Dio. È nel Vangelo che lui è adorato in spirito e verità.
Merita invece la terza affermazione: Cristo è immagine di Dio.
È questa una definizione cristologica che merita attenzione. L’uomo è ad immagine di Dio; Cristo è invece immagine di Dio. L’uomo non è figlio naturale di Dio, è figlio adottivo se è battezzato, oppure Dio è moralmente suo Padre perché suo Creatore e Signore.
Cristo Gesù invece è naturalmente Figlio del Padre, naturalmente immagine del Padre.
La nostra fede confessa che Dio Padre ha generato nell’eternità, da sempre e per sempre, il suo Figlio Unigenito Gesù Cristo nostro Signore. Cristo Gesù è immagine del Padre in quanto Figlio naturale, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato della stessa sostanza del Padre.
Questa verità rafforza ancora di più lo splendore del Vangelo di Cristo Gesù. In Cristo è Dio stesso che ci parla, si svela, si manifesta; rivela e manifesta la sua natura, la sua misericordia, il suo amore, la sua fedeltà.
Ma bisogna pur aggiungere che lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo altro non è che Cristo stesso. Annunziare il Vangelo e annunziare Cristo è una sola verità, un solo mistero, una sola via di salvezza, un unico principio di redenzione.
L’apostolo del Signore mai si deve dimenticare di questa verità; anzi la deve fare sua vita e suo sangue. Cristo e Vangelo sono un’unica realtà, una cosa sola. Predicare il Vangelo è predicare Cristo; annunziare il Vangelo è annunziare Cristo; chiamare al Vangelo è chiamare a Cristo.
Il pericolo oggi è uno solo: molti figli della Chiesa limitano il loro annunzio a dei principi morali, che sono certamente utili alla società, ma non è questo il fine del loro annunzio. Essi sono chiamati a predicare Cristo, a donare Cristo, ad attirare a Cristo, a far sì che Cristo regni tutto in tutti.
Se dimentichiamo questo, ci dimentichiamo anche della vocazione cristiana, la quale non è vocazione ad osservare una qualche legge morale, sia pure nobile, nobilissima, legge di vita e di salvezza eterna.
La nostra vocazione è a Cristo Gesù, è quella di divenire un solo mistero, una sola vita, un solo corpo, una sola risurrezione, una sola gloria in cielo e sulla terra, oggi e per l’eternità beata.
[5]Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù.
Si predica se stessi, quando ci si serve del Vangelo per un guadagno nostro terreno, sia esso di ordine materiale, o anche spirituale.
Per predicare se stessi bisogna in qualche modo, in poco o in molto, annullare il Vangelo, eluderlo, renderlo inefficace.
Di esso si tace la verità piena, si dicono mezze verità; si dice ciò che conviene all’uomo, si tace invece ciò che lo invita alla conversione e alla fede in Cristo Gesù.
Si predica se stessi, cercando di accattivarsi gli uomini; ma chi si accattiva gli uomini necessariamente dovrà rinnegare Cristo Gesù.
Chi predica se stesso infatti non predica Cristo, non predica la salvezza, non annunzia la redenzione, non invita alla conversione, non salva l’uomo, lo lascia nel suo peccato.
Ogni qualvolta che del Vangelo si dice una parola e le altre vengono omesse, l’uomo predica se stesso.
Paolo invece predica Cristo Gesù Signore. Predica il Vangelo così come lui lo ha ricevuto, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Lo predica in tutta la sua essenza di verità, di santità, di dottrina, di rivelazione, di manifestazione della volontà di Dio.
Predicando il Vangelo, predica Cristo, perché Cristo è il Vangelo di Dio, Cristo è la Parola di salvezza del Padre; Cristo è la Sapienza e la Verità del cielo venuta sulla terra per la nostra conversione e salvezza.
Per Paolo Gesù è Cristo e Signore. È Cristo perché è l’unico Messia di Dio, il solo, l’unico nel quale è stabilito che possiamo avere la salvezza; l’unico Nome che dobbiamo invocare se vogliamo essere salvati. Dio non ha altri Cristi, non ha altri Messia, né prima e né dopo.
Cristo Gesù è Signore perché tale è stato costituito da Dio, anche nella sua umanità e non solo in ragione della sua divinità. Cristo Gesù, Verbo incarnato del Padre, è il Signore dell’uomo; è Colui al quale la nostra vita appartiene, sia per creazione che per redenzione; sia per il presente come per il futuro.
Qual è la relazione che intercorre tra L’apostolo del Signore, nel caso specifico Paolo, e quanti ha egli portati alla fede, o dovrà portare? Qual è il rapporto tra l’Apostolo e il mondo intero? Per Paolo ci può essere un solo rapporto: quello di un servizio e del dono della propria vita per condurli e farli dimorare nel Vangelo.
Il servizio cristiano, perché rimanga sempre tale, ha bisogno di due condizioni: che sia fatto secondo la volontà di Cristo, che sia espletato per amore di Cristo.
Cristo è il Signore dell’apostolo e dell’uomo da salvare. È Cristo che comanda l’apostolo, lo invia, lo muove, lo dirige, gli indica la strada da percorrere, gli rivela al suo spirito quali sono gli uomini da salvare e da costoro dovrà recarsi per portare l’annunzio della buona novella.
Se ci si pone fuori di questa Signoria di Cristo, ci si pone anche fuori del vero, autentico apostolato cristiano. Su questo ci sarebbe tanto da dire. L’apostolo a volte si pone fuori di questo rapporto di obbedienza e vive una vita autonoma per rapporto a Cristo che è il Signore anche del suo apostolato.
Questa visione di fede è difficile da potersi vivere; è difficile perché spesso è totalmente assente nell’apostolo del Signore.
La seconda verità detta all’apostolo le modalità storiche, concrete attraverso le quali egli dovrà servire l’uomo che Cristo gli comanda di servire.
Egli dovrà vedere nell’altro Cristo da servire, da evangelizzare, da condurre nella salvezza. Dovrà amare nell’altro Cristo; dovrà essere Cristo che ama se stesso e Cristo viene così amato dall’apostolo come Signore, al quale egli obbedisce, e come uomo da salvare, al quale annunzia il Vangelo della salvezza, la parola che dovrà introdurlo nella vita eterna.
Si tratta sempre di un servizio le cui condizioni sono dettate dal Signore, che è Cristo, e mai dall’uomo. È Cristo che comanda cosa dare, quando, come e dove. Se l’apostolo saprà essere in piena obbedienza con Cristo, se Cristo sarà l’unico suo Signore, la salvezza si compie.
Di ogni apostolo Cristo vuole il dono della volontà. È questa la vera adorazione. Una volta che questo sacrificio è compiuto, tutto il resto segue. La grazia di Dio si riversa nei cuori e li attrae a sé, a causa del sacrificio della volontà che l’apostolo ha fatto a Dio in Cristo Gesù. La salvezza non è un fatto immanente, tra uomo e uomo; non è neanche una risposta alle esigenze dell’uomo. La salvezza, prima di ogni cosa, è obbedienza a Dio ed è salvezza nella misura in cui è obbedienza a Dio.
Una salvezza, senza la relazione di trascendenza e quindi di obbedienza al Signore, non sarebbe vera salvezza, anche se nelle apparenze e dinanzi agli uomini appare come salvezza.
[6]E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo.
In questo versetto Paolo fa un esplicito riferimento ai giorni della creazione, quando le tenebre avvolgevano l’universo creato da Dio.
La prima opera, dopo aver creato il cielo e la terra, fu la luce. “Sia la luce”: questo fu il grido di Dio che illuminò il mondo. Paolo è anche lui nelle tenebre. Il Dio che egli adora non è il vero Dio, è un Dio reso tenebra dalle tenebre che regnavano nel cuore degli uomini; è un Dio che non brilla nella sua misericordia e nel suo amore per l’uomo; è un Dio il cui vero volto è immerso nella confusione veritativa e morale dell’uomo.
Questo Dio, lo stesso che gridò alla luce di illuminare il mondo, grida che illumini il cuore di Paolo. La prima luce è naturale; questa che illumina il cuore di Paolo è soprannaturale; è una luce divina, è la luce di Cristo, è Cristo Gesù che illumina il suo cuore con lo splendore della sua risurrezione.
Paolo da questa luce è stato avvolto, da questa luce accecato nel suo cuore, ma reso vedente nel suo spirito; da questa luce fu trasportato tutto in Dio e nella sua luce eterna.
Questa luce ha cambiato interamente la sua esistenza, gli ha dato una nuova dimensione: la dimensione della verità, della giustizia, della santità, dell’amore.
Questa luce è divenuta in lui una grande sorgente, attraverso questa luce egli deve illuminare il mondo intero.
Allo stesso modo che il sole è sorgente di luce e di calore per l’intero universo, Paolo è sorgente di luce di Cristo per ogni uomo.
Questa luce deve essere la stessa che ha illuminato il cuore di Paolo, non può essere un’altra.
La luce di Paolo è Cristo, è la conoscenza del suo mistero, è la rivelazione del suo amore, è la manifestazione della sua gloria.
Cristo è la luce che brilla nel cuore di Paolo; Cristo, luce per Paolo, deve essere in Paolo luce che illumina ogni uomo.
Lo illumina di sé, del suo mistero, della sua verità; lo illumina della sua croce e della sua risurrezione; lo illumina nella sua relazione con Dio e con gli uomini.
La gloria divina che rifulge ora sul volto di Cristo è la sua beata risurrezione; è questa la gloria di Cristo Gesù ed è con questa gloria che egli deve illuminare ogni uomo, chiamandolo a divenire un solo mistero in questa gloria.
L’uomo è un chiamato alla risurrezione in Cristo Gesù, è chiamato a vivere da risorto insieme a Cristo, a lasciarsi avvolgere dalla luce della risurrezione di Cristo Signore.
È questa la missione che Paolo dovrà compiere andando per il mondo. Egli dovrà ogni mattina alzarsi come fa il sole e illuminare tutta la terra con la luce del mistero della risurrezione di Gesù.
Potrà fare questo se lui diventerà ogni giorno di più parte di questo mistero e se in questo mistero si inabisserà fino a consumarsi in esso, fino a divenire una cosa sola.
Cristo e l’apostolo di Cristo devono divenire un solo mistero di luce. Paolo deve far brillare attraverso la sua vita tutta la potenza del mistero che lo ha avvolto. Questo avviene e si compie nella misura in cui l’apostolo del Signore si lascia conquistare dalla Parola di Gesù e le dona compimento nella sua vita.
Come Cristo Gesù visse tutto a servizio della gloria del Padre e da questa gloria era sempre avvolto in ragione della sua perfettissima obbedienza, così è per l’apostolo del Signore. Egli deve fare dell’obbedienza la via perché tutta la gloria che rifulge sul volto di Cristo si riversi in lui e per lui illumini il mondo.
Questo deve significare una cosa sola. La luce dell’apostolo è una luce riflessa, non è una luce propria. L’apostolo non è sorgente di luce; egli deve far splendere attraverso di sé tutta la luce che riceve da Cristo Gesù.
Più lui in questa luce si immerge, più con questa luce diviene una cosa sola e più la sua potenza di luce si riversa sul mondo, lo abbaglia, lo acceca, lo illumina, lo converte e lo salva.
È questa la forza dell’apostolo del Signore: la potenza di luce che egli attinge giorno per giorno da Cristo e con la quale egli illumina il mondo. Senza Cristo l’apostolo è niente, più che niente; senza Cristo egli è tenebra e riversa nel mondo la sua tenebra, anche se sembra che egli è attivo, dinamico, operatore.
Senza Cristo è operatore non di luce, ma di iniquità.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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