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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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19/01/2012 22:44
 
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LEALTÀ

[15] Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia,
Paolo, lo sappiamo, ha nel cuore dei progetti pastorali; ha degli itinerari di evangelizzazione, o di conferma nella verità di quanti hanno già accolto il Vangelo della salvezza.
Il Signore vuole che l’uomo pensi anche il modo migliore di compiere la missione che lui gli ha affidato.
L’azione dell’uomo, però, e l’azione di Dio non sempre coincidono. Ci sono dei momenti in cui la volontà di Dio prende in mano le redini della volontà dell’uomo, che è santa e sincera, perché ancorata sempre in Dio e nello Spirito Santo, e la conduce per altri sentieri, per altre vie. La porta in altri luoghi, che non sono quelli che Paolo aveva già deciso e che in qualche modo aveva anche comunicato.
Paolo vuole fare una cosa santa, vera, sincera; ha deciso di farla dopo aver pregato e aver manifestato la sua intenzione al Signore.
Questa progettualità è cosa buona, santa, giusta, sempre da farsi, sempre da comunicarsi agli altri, perché si preparino a vivere momenti di grazia e di verità con l’Apostolo del Signore.
Non sempre questa progettualità potrà essere attuata. C’è nella vita di Paolo la volontà di Dio che imperiosamente si manifesta e gli ordina di cambiare strada, di andare per altri luoghi, di recarsi presso altri uomini.
In fondo dobbiamo comprendere che è Dio che chiama alla salvezza; è Dio che predispone i cuori alla grazia e alla verità e quando il tempo è compiuto per la loro conversione, l’Apostolo del Signore deve essere lì, presente, per conferire loro il dono di Dio, la verità e la grazia che li salva.
Paolo in un tempo della sua vita aveva deciso di ritornare a Corinto. Lo aveva deciso veramente. Lo aveva deciso secondo la santità e la sincerità che vengono da Dio.
Lo aveva deciso per portare loro una seconda grazia e questa seconda grazia è il dono della verità di Cristo, il dono del Vangelo che lui solo sa far risuonare in tutta la sua ricchezza di grazia e di salvezza.
È così che ognuno dovrebbe considerare l’incontro tra i fratelli: come un dono di grazia e la grazia è una sola: Cristo Gesù che viene dato alle anime, o confermato in tutta la sua potenza di fede, di speranza, di carità. È Cristo Gesù che viene per compiere con più forza il suo mistero di morte e di risurrezione nei cuori.
Quando i cristiani si incontrano e ognuno vede nell’altro una grazia che il Signore gli concede per addentrarsi nel mistero di Cristo Gesù, le comunità risplenderanno di tanta santità; in essi abiterà la verità e il Vangelo sarà la loro luce, la loro unica luce che li guiderà verso la vita eterna.
[16] e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea.
Paolo illustra ancora qual era il suo programma. Egli aveva nel cuore di recarsi prima a Corinto, poi raggiungere la Macedonia, di nuovo ritornare a Corinto, da Corinto partire per raggiungere la Giudea.
Come si può constatare egli aveva veramente in animo di trascorrere qualche tempo a Corinto. Riteneva questo suo passaggio necessario. I Corinzi sarebbe stati ancora una volta aiutati nella comprensione nel mistero di Cristo.
Abbiamo già visto che Paolo intendeva fare questo viaggio proprio come una nuova grazia da offrire a quella comunità.
Purtroppo il viaggio non è stato effettuato. Qualcosa che non è dipeso dalla sua volontà non ha consentito a che ciò avvenisse.
Poiché qualcuno della Comunità si è permesso di giudicare Paolo, questi si sente in dovere di rendere ragione, di spiegarsi.
Loro mai devono pensare che ci sia in Paolo un modo ambiguo di fare, che ci siano in lui indecisioni, equivoci e cose del genere.
[17] Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo «sì, sì» e «no, no, »?
Paolo non ha progettato il suo viaggio con leggerezza, con disinvoltura, con superficialità.
Di questo i Corinzi devono essere certi, anzi sicurissimi. Tutto ciò che lui progetta proviene dal profondo del suo cuore, della sua anima, del suo spirito.
Ciò che lui progetta è la sua volontà che non si risparmia in nulla pur di aiutare i fratelli a crescere nella fede in Cristo Gesù.
Paolo non ha deciso questo progetto secondo la carne, cioè da uomo non illuminato dalla luce dello Spirito Santo e dalla sua sapienza, oppure da uomo che si pone fuori della volontà di Dio.
Il Signore lo ha inviato per il mondo intero a predicare il Vangelo e gli ha lasciato la libertà di programmare e di organizzare la diffusione del Vangelo secondo scienza e intelligenza che sono proprie della natura umana.
Ma sempre per Paolo la sua scienza e la sua intelligenza venivano affidate allo Spirito Santo, perché fosse Lui a ricolmarle di verità e di sincerità attraverso una luce e una scienza superiore, che sono la luce e la scienza di Dio.
Egli pertanto non ha deciso secondo la carne, non ha deciso in modo puramente umano, né per interessi umani e neanche per accaparrarsi la benevolenza dei Corinzi, promettendo loro una cosa che in partenza sapeva che non avrebbe potuto portare a compimento.
Se la sua scienza e la sua intelligenza avessero agito in questo modo, egli certamente si sarebbe comportato da uomo carnale, cioè da uomo che pensa i suoi propri interessi e non più gli interessi di Dio, gli interessi di Cristo e dello Spirito Santo.
Sarebbe stato il suo un comportamento anti-evangelico, poiché il suo sarebbe stato un sì e un no allo stesso tempo. Sapeva che era sicuramente no e diceva sì, sapeva che era sì e diceva no.
Il viaggio pertanto non è stato programmato sconsideratamente, né è stato annunziato per tenere buoni i Corinzi, oppure per creare nei loro cuori una speranza effimera, che non si sarebbe mai potuta realizzare, perché Paolo sapeva già in partenza che mai sarebbe arrivato in Acaia e in modo particolare a Corinto.
[18] Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no".
Esclusa la leggerezza, la superficialità ed ogni altro interesse umano, mondano, della carne, interesse dell’uomo e non di Dio, Paolo ora fa appello al Signore.
Chiama Dio a testimone che la sua parola non è stata sì e no allo stesso tempo.
Dio è verità, somma verità. Chiamare Dio a testimone del proprio comportamento, significa invocarlo perché attesti che Paolo sta dicendo il vero.
Egli non mentisce ai Corinzi. La sua parola era vera, quando l’ha detta; il progetto era nel suo cuore ed era un progetto da realizzare solo per amore dei Corinzi, solo per dare loro una ulteriore grazia, una più approfondita conoscenza del mistero di Cristo Gesù.
La storia e la nostra vita non sono nelle nostre mani, sono interamente nelle mani di Dio e qualcosa ha impedito a Paolo di attuare e di realizzare quanto progettato.
Da qui ad accusarlo di superficialità, oppure di comportamento sleale e poco sincero, di atteggiamento per lo meno ambiguo, ci vuole una buona dose di malignità nel cuore. Un uomo retto, che pensa il bene, un uomo puro di cuore, si pone dinanzi alla storia con semplicità, con serenità, ma anche con tanta libertà. Se le cose avvengono, avvengono; se non avvengono, non avvengono per un perché che spesso non dipende dall’uomo; c’è una ragione superiore che noi non conosciamo secondo la quale le cose avvengono e si compiono.
[19] Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì".
Apparentemente questo versetto è strano, potrebbe essere anche di difficile interpretazione, se non si conoscesse Paolo.
Paolo ha una certezza nel suo cuore. Cristo vive interamente in lui. Nella Lettera ai Galati afferma che non è più lui a vivere, ma è Cristo che vive in lui.
Paolo si considera un perfetto imitatore di Cristo e non potrebbe essere diversamente per chiunque è stato costituito missionario del Vangelo nel mondo.
Colui che va per il mondo a predicare il Vangelo di Cristo Signore, non solo deve annunziare la verità, quanto deve presentare Cristo al vivo e deve presentarlo nella sua carne, nella sua vita, nel suo modo di pensare, di parlare, di dire e di fare.
Chi vede il missionario deve vedere Cristo che agisce e parla attraverso di lui, che progetta e realizza quanto progettato.
Cristo non fu sì e no, Cristo è stato tutto un sì a Dio e all’uomo, un sì di amore e di verità, un sì di misericordia e di perdono, un sì di giustizia e di sincerità, un sì di saggezza e di prudenza, un sì che è stato pieno e totale compimento della volontà di Dio.
Poiché in Paolo vive Cristo, Paolo vive per Cristo, vive per renderlo vivo nel mondo, egli non può agire con leggerezza.
Questo non glielo impedisce un rapporto umano e cristiano che egli ha stretto con i Corinzi, glielo impedisce il Cristo che vive in lui e che lui deve rendere presente nel mondo.
Il motivo della verità di Paolo non sta nell’uomo, non sta neanche in una esigenza di verità e di onestà nei riguardi degli altri; sta tutto nei riguardi Cristo.
Paolo è obbligato a dire il sì quando e sì e il no quando è no a motivo di Cristo. C’è in lui una ragione cristologica che supera ogni altra ragione, anzi che fa divenire tutte le altre ragioni inutili, inesistenti, vane, inopportune, di poco conto, senza importanza.
In questo Paolo è veramente uomo evangelico. Tutto quanto egli fa, non fa, opera, non opera ha in lui una ragione soprannaturale, cristologica, teologica, pneumatolgica.
Niente egli fa per motivi umani, anche se nobili, giusti, veri, santi. Quanto egli fa, lo fa per manifestare Cristo, per rendere ragione a Cristo, per impiantare Cristo nei cuori, per aiutare gli altri a crescere in Cristo, perché Cristo sia tutto in tutti in ogni luogo.
[20] E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.
Altra affermazione cristologica di grande rilievo.
Non solo Cristo è il sì di Dio all’umanità; non solo in Cristo c’è stato solo il sì per l’uomo.
In Lui, in Cristo, tutte le promesse di Dio sono divenute sì, si sono cioè realizzate, hanno trovato il loro compimento.
Niente di quanto il Signore aveva promesso è rimasto lettera morta, è rimasto incompiuto, inadempiuto, ancora da realizzare.
Ogni parola pronunziata da Dio in tutto l’arco dell’Antico Testamento ha in Cristo Gesù la sua realizzazione, il suo compimento, il suo sì definito, ultimo, perfetto, ha la sua conclusione che è di salvezza e di redenzione di tutto il genere umano.
Questa affermazione chiude per sempre un capitolo e ne apre un altro. Chiude per sempre il tempo dell’attesa e si apre il tempo del compimento.
Se tutto di Dio è divenuto sì in Cristo Gesù, inutile attendere ancora; vana è ogni aspettativa di compimento di una qualche promessa fatta da Dio ai Padri per mezzo dei profeti.
L’Antico Testamento è finito per sempre, ma non è finito per invecchiamento o perché desueto, o passato di moda. È finito perché si è compiuto.
L’Antico Testamento è simile a un chicco di grano che viene seminato in terra. Quando nasce la nuova pianta il chicco di grano scompare, finisce per sempre. Esso però è servito per dare vita alla pianta e per nutrirla nel suo primo istante di vita. Poi la pianta deve affondare le radici nel terreno se vuole la sua vitalità, altrimenti se resta legata al chicco che marcisce per darle vita, muore essa stessa.
A questo compimento in Cristo delle promesse di Dio deve corrispondere il sì dell’uomo, il suo amen, il suo riconoscimento. Tutto questo deve avvenire per rendere gloria a Dio.
C’è il sì di Dio in Cristo, e c’è il sì dell’uomo a Dio, anch’esso in Cristo. La gloria di Dio risplende nel mondo quando l’uomo dice il suo sì a Cristo, che è poi un sì a Dio e alla sua opera di redenzione in nostro favore.
Quando Dio è riconosciuto fedele in ogni sua opera, in ogni sua parola e in ogni sua promessa, egli viene glorificato nella sua fedeltà, nel suo amore e nella sua misericordia, in ogni sua opera di giustizia in favore dell’uomo.
Se invece l’uomo rifiuta il suo amen a Dio, Cristo che è il sì di Dio, diviene inutile per noi e anche Dio diviene inutile per noi. Cosa c’è di più grave, di più peccaminoso che rinnegare il compimento del sì di Dio in Cristo Gesù?
Tutti coloro che non riconoscono in Cristo il sì di Dio, non riconoscono Dio che ha compiuto la sua parola. Poiché Dio ha compiuto la sua parola, costoro non sono capaci di conoscere Dio, poiché non sanno riconoscere la sua azione nella storia degli uomini che egli ha compiuto interamente in Cristo Gesù. Costoro non possono rendere gloria a Dio, il loro culto è vano e la loro religione un modo umano di rapportarsi e di relazionarsi con Dio.
[21] E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione,
L’azione di Dio non si è fermata in Cristo Gesù. Cristo Gesù ci ha meritato con il suo sì la grazia e la verità di Dio, ci ha meritato la nuova nascita, ha effuso su di noi lo Spirito Santo.
Il Padre prima di tutto ci conferma in Cristo. Confermare in Cristo significa essenzialmente renderci partecipi della sua vita, della sua santità, della sua verità, del suo amore, della sua giustizia con la quale noi tutti siamo giustificati, fatti nuove creature. La prima conferma di Dio è la conversione, o meglio il dono della conversione e della fede in Cristo, nostro Redentore e Salvatore, nostro unico Messia e Pastore delle nostre anime.
La seconda conferma avviene nel battesimo quando in Cristo siamo fatti figli di Dio, figli adottivi di Dio. Veniamo generati quali figli di Dio da acqua e da Spirito Santo. Questa seconda conferma diviene incorporazione in Cristo. Nel battesimo infatti siamo fatti figli adottivi di Dio, ma anche corpo di Cristo, tempio dello Spirito Santo, ministri della nuova alleanza, testimoni del suo Vangelo nel mondo.
La terza conferma è l’unzione che egli ci ha donato. L’unzione nel Nuovo Testamento è una sola.
Come Cristo fu unto di Spirito Santo e consacrato Messia di Dio, Servo del Signore, così è per il cristiano. Il Padre ci ha conferito l’unzione inviando su di noi lo Spirito Santo con l’abbondanza dei suoi doni di grazia e di verità.
Questa unzione è regale, sacerdotale, profetica. Con essa veniamo resi partecipi della stessa missione di Cristo nel mondo, secondo gradi di partecipazione che differiscono per altre ulteriori unzioni e che sono gli ordini sacri del diaconato e del sacerdozio.
Per ogni cristiano l’unzione è nel Sacramento del Battesimo e della Cresima. Ognuno di questi due sacramenti conferisce una particolare unzione dello Spirito Santo.
Nel Battesimo siamo fatti figli di Dio, corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito, siamo resi fratelli gli uni degli altri, sempre grazie alla comunione dello Spirito che ci unisce in Cristo e in Cristo ci unisce ad ogni altro uomo.
Nella Cresima invece riceviamo l’unzione per essere soldati di Cristo, testimoni del suo Vangelo, pellegrini nel mondo della sua verità, costruttori del Regno di Dio sulla terra. L’unzione della cresima ci costituisce strumenti di Dio e dello Spirito perché la missione di Cristo si svolga in modo possente nel mondo in cui noi operiamo, viviamo, siamo.
[22] ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori.
Ancora il Signore ha voluto sigillare la nostra vita con il suo Santo Spirito.
Il Sigillo dice appartenenza, proprietà. Siamo proprietà di Dio, siamo interamente suoi. Non ci apparteniamo più. La nostra vita è di Dio.
Questo significa ricevere il sigillo, essere impressi con il sigillo dello Spirito Santo.
La nostra vita esce dalla profanità ed entra nella santità, esce dalla falsità e diviene verità, abbandona il peccato e si immerge nella grazia che lo Spirito porta nei nostri cuori.
Siamo “marchiati” per tutta l’eternità. Siamo proprietà di Dio. Siamo di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo, siamo della verità, della grazia, della giustizia, del Vangelo; siamo della santità di Cristo, siamo del sì di Cristo, che è sì di Dio al mondo intero.
La caparra è un contratto che segna un passaggio, che dice cambiamento di appartenenza. Noi apparteniamo ormai alla vita eterna, siamo della vita eterna.
Lo siamo perché Dio ha dato a noi la sua caparra che è lo Spirito Santo. Così ormai non abbiamo alcun dubbio. Dio ci ha riscattati, ci ha comprati, ci ha voluti per sé, ha pagato per noi il riscatto e il suo riscatto è il dono del suo Santo Spirito che ci ha fatto, per dirci che gli apparteniamo e che in eterno Lui non ci abbandonerà mai più.
Quando il cristiano si alza la mattina deve ricordarsi che lui è sigillato con lo Spirito Santo, deve avere un solo pensiero: egli è del cielo, è di Dio, è di Cristo. Il passaggio dal principe di questo mondo al regno di Dio e alla vita eterna è avvenuto lo stesso istante in cui il Signore ha effuso il suo Santo Spirito nei nostri cuori e lo ha effuso proprio come caparra, come anticipo della vita eterna che ci sarà data nel regno dei cieli se avremo fatto in modo che il sì che Dio ha detto in Cristo, diventi anche in noi sì pieno, perfetto, un sì che attesta e manifesta che tutte le promesse di Dio sull’uomo si sono compiute.
Si sono compiute in Cristo Gesù, ma si sono compiute anche nel discepolo di Gesù che è stato segnato dallo Spirito Santo ed è divenuto suo corpo.
[23] Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto.
Ancora una volta Paolo chiama Dio a testimone. Egli non è andato a Corinto per amore.
Non sappiamo i reali motivi che lo hanno trattenuto in Asia. Da questo versetto dobbiamo però dedurre che a motivi di ordine storico, si sono aggiunti motivi di ordine teologico, o spirituale.
Questo non significa che tutto sia avvenuto senza la mozione dello Spirito Santo. Questi a volte si serve di motivi storici, ambientali, comportamentali, per orientare la sua storia in noi in modo del tutto conforme alla sua volontà, o alle circostanze che sono cambiate da quando noi avevamo progettato e che ora meritano una diversa valutazione e una nuova soluzione.
Questo non esclude che Paolo per amore abbia potuto decidere di non recarsi più a Corinto.
D’altronde per amore aveva deciso di andare; per amore decide di non andare più. L’amore ha la preminenza in lui. Tutto dall’amore nasce, tutto dall’amore viene cambiato e tutto nell’amore deve finire.
La vita dell’uomo è comunque un mistero. Paolo è riuscito a far sì che essa rimanesse sempre un mistero d’amore verso Dio e verso i fratelli.
Che sia un mistero di amore lo attesta la testimonianza che egli chiede al Signore. Quando una persona chiama Dio a testimone per attestare che in lui è prevalso e ha regnato solo l’amore, sicuramente egli dice il vero e non mentisce.
Non può mentire, perché Dio è amore e verità, santità e grazia, luce e saggezza. Appellandosi a Dio egli dice il vero, ma dice anche che la sua decisione di amore non è nata esclusivamente dal suo cuore; perché solo Cristo insegna ad un cuore come si ama e solo lo Spirito Santo può illuminare una persona sul come amare concretamente in una situazione particolare.
Ogni decisione di amore che è presa senza la mozione dello Spirito Santo, non è una decisione secondo verità e quindi non si può chiamare Dio a testimone.
[24] Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi.
Paolo dona in questo versetto la più bella definizione sul ministero apostolico. L’apostolo non è padrone degli altri. Egli non può governare la fede dei fratelli.
La fede, noi ora lo sappiamo, è l’ascolto di Dio da parte di un uomo per il compimento perfetto della sua volontà.
Paolo dice che il suo ministero è quello di portare nel mondo la Parola di Cristo. Una volta che lui ha portato a Cristo, finisce la sua missione. Egli non ha più alcuna relazione di fede con i fratelli.
La relazione bisogna che venga instaurata interamente con Cristo Gesù, con lo Spirito Santo, con Dio Padre.
Dio diviene così il Signore, il Padrone dell’uomo; la sua volontà diviene la luce che deve illuminare il cuore del credente; la sapienza e la saggezza dello Spirito sono il sentiero sul quale il discepolo di Gesù deve mettere i suoi piedi al fine di raggiungere la gloria del cielo.
I Corinzi non devono ascoltare Paolo, non devono obbedire a Paolo, devono ascoltare e obbedire a Cristo Gesù nella luce dello Spirito Santo.
Cessa per questo il ministero apostolico verso coloro che si sono convertiti e che si sono inseriti in Cristo Gesù?
Niente affatto. Il ministero continua e si trasforma in collaborazione di gioia.
L’apostolo deve aiutare quanti già credono a esprimere nella loro vita tutta la gioia che scaturisce dall’avere loro abbracciato la fede in Cristo Gesù e dal compiere in tutto e per tutto la volontà del Padre.
Essere collaboratori della gioia di quanti fanno parte di una comunità significa offrire loro quell’aiuto concreto perché ogni giorno di più crescano e abbondino nell’obbedienza a Dio, in Cristo Gesù, per opera dello Spirito Santo.
Qui, forse, sono molti coloro che sbagliano tra quanti esercitano un ministero di responsabilità nella comunità cristiana.
Tanti sono coloro che si pensano padroni della vita degli altri e vorrebbero sottometterli alla loro volontà.
La volontà che deve regnare sovrana sopra di un uomo è quella di Dio. È a Dio che va ogni obbedienza, alla sua volontà da compiere.
Tutti gli altri nella comunità hanno un preciso obbligo, un dovere essenziale: porre se stessi perché l’altro possa compiere la volontà di Dio; aiutarlo concretamente attraverso il proprio ministero, affinché Dio regni nel suo cuore e nella sua vita e attraverso di lui solo la volontà del Signore venga realizzata.
Nessuno conosce la volontà di Dio su di un’altra persona. A nessuno è dato questo particolare privilegio.
Solo i profeti sono costituiti strumento di Dio per manifestare ad un uomo in particolare ciò che il Signore ha fatto di lui.
Tutti gli altri dobbiamo limitarci ad essere i collaboratori di questa gioia, ma mai i padroni della loro fede.
Questo Paolo lo sa e lo insegna. Egli non può governare i Corinzi, non può imporre su di loro la sua volontà. La volontà che deve governarli è quella di Dio. Lui però li può aiutare a trovare la forma migliore e la modalità perfetta perché la volontà di Dio si compia tutta in loro.
Infine Paolo dona una buona testimonianza di quelli di Corinto; dice che nella fede loro sono ben saldi. Conoscono la volontà di Dio, conoscono il Vangelo di Gesù Cristo; se vogliono, ma anche se si lasciano aiutare, potranno anche loro porsi nella perfetta obbedienza al Padre dei cieli.
Perché l’obbedienza sia piena, in ogni modalità e circostanza storica, Paolo è là ed è disposto a divenire collaboratore di questa loro gioia; può aiutarli a crescere nel compimento della volontà di Dio.
Lui sa come si obbedisce perfettamente a Dio ed è disposto a dare loro una mano.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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