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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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19/01/2012 22:43
 
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CONFORTO NELLE AFFLIZIONI

[3]Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione,
Dopo aver salutato i Corinzi e tutti i santi dell’Acaia, dopo aver augurato la grazia e la pace, Paolo eleva il suo spirito in Dio, la sua anima nel cielo.
Nel cielo contempla Dio, lo vede in ciò che egli ha fatto per lui, anzi in ciò che sta facendo per lui.
Paolo ci insegna che sempre dobbiamo innalzare gli occhi al cielo, dal cielo contemplare la nostra vita, dal cielo vedere l’opera di Dio per noi.
Paolo guarda la sua vita con gli occhi della fede e dell’amore e la vede tutta ricolma dell’amore del Signore e di ogni altro beneficio.
A Dio che ci ricolma di beni celesti e divini Paolo eleva il suo inno di benedizione, di amore, di lode, di ringraziamento. Tutto egli ha ricevuto da Dio, tutto egli riceve. Lui lo sa, glielo attesta la sua storia, quella storia che egli vede con gli occhi dello Spirito Santo e che analizza ed esamina alla luce della sua sapienza nella quale non c’è ombra di falsità.
Il Dio che Paolo benedice è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. È questa la relazione tra Dio e Cristo. Dio è il Padre, Cristo è il Figlio. Dio è Padre non in senso spirituale, morale, per adozione, o per qualche altra manifestazione del suo amore.
Dio è Padre per generazione eterna. È Padre perché nell’eternità e dall’eternità ha generato il Figlio, l’unico Figlio, il Figlio unigenito che si è fatto carne nel seno della Vergine Maria.
Il Figlio è figlio perché generato dal Padre, perché è Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero.
Dio è il Padre che ci dona il Figlio, ce lo dona per compiere l’espiazione dei peccati del mondo, per ottenerci una redenzione eterna, per liberarci per sempre dalla schiavitù del principe di questo mondo.
Ce lo dona immolato sulla croce, risorto al terzo giorno, asceso al cielo che siede alla sua destra. Ce lo ha dato ieri, quando era sul legno della croce, ce lo dona oggi che è assiso alla sua destra.
Ce lo dona come nostro Signore, nostro Redentore, nostro Avvocato, nostro Giudice, nostro Salvatore, nostro Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Ce lo dona perché ci aiuti a compiere il cammino della fede, della speranza, della carità. Ce lo dona perché in lui, con lui e per lui possiamo raggiungere la terra promessa, il regno dei cieli. Ce lo dona perché ci risusciti in tutto simile a lui nell’ultimo giorno.
Questo è l’amore del Padre verso di noi.
È Cristo la misericordia del Padre, è Lui la nostra consolazione, la nostra speranza, la nostra vita.
Niente fa il Padre verso di noi, se non per Cristo, con Cristo e in Cristo. In Cristo ci consola, in Cristo ci ama, in Cristo viene dentro il nostro cuore e vi infonde speranza. In Cristo ci ama e ci attende, in Cristo ci chiama e ci spinge; in Cristo compie in noi le opere del suo amore e della sua carità; in Cristo infonde la gioia necessaria per vincere le tristezze della vita.
La consolazione del Padre è Cristo Gesù, perché Cristo Gesù del Padre è la vita, la gioia, il conforto, la speranza, l’amore, la carità, la luce. Tutto è Cristo per il Padre e tutto il Padre ci dona in Cristo e attraverso di Lui, per la sua passione, morte e risurrezione, per la sua intercessione oggi nel cielo.
Cristo è il dono di Dio all’umanità; in Cristo è Dio che si dona all’umanità e si dona per la sua salvezza.
Cristo è la consolazione di Dio per l’umanità intera, perché in Cristo Dio ci ha liberati dalla morte eterna e ci libera ogni giorno da tutte le afflizioni che turbano il nostro cammino verso di lui e verso i fratelli, da condurre nella misericordia e nella consolazione di Dio.
[4]il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.
In questo versetto Paolo afferma due verità.
Con la prima verità ci insegna che Dio ogni giorno è al nostro fianco per consolarci. Lui è presente in ogni nostra tribolazione.
Non c’è tribolazione nella nostra carne, nel nostro spirito, nella nostra anima che non sia avvolta dalla consolazione divina.
In ogni tribolazione egli interviene nella nostra vita con la sua consolazione. La consolazione non è solo ed esclusivamente liberazione dall’afflizione. È grazia e forza che ci consente di superarla, di offrirla, di viverla pienamente, come ha fatto Gesù sul legno del patibolo.
La consolazione è pertanto forza interiore, sostegno spirituale e morale, aiuto e sollievo, coraggio e tenacia.
La consolazione è in fondo la presenza di Dio in noi nel momento della sofferenza e della tribolazione perché noi possiamo risultare vittoriosi, perché la tristezza non ci vinca, il dolore non ci stanchi, la sofferenza non ci abbatta, la mortificazione non ci faccia retrocedere dalla missione, le percosse e ogni altro genere di turbamento non ci facciano allontanare da Cristo Gesù e dalla missione che egli ci ha affidato.
Noi che siamo stati consolati da Dio, noi che veniamo consolati dal Signore – ed è questa la secondo verità – dobbiamo essere strumenti di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo, per portare la consolazione ai nostri fratelli che come noi sono nella sofferenza, nel dolore, in ogni altro genere di afflizioni.
Quello che è assai significativo – ed è per questo che è verità – è che noi non dobbiamo consolare gli altri con una consolazione umana, con una nostra particolare consolazione, anche stupenda, bellissima.
Noi dobbiamo consolare gli altri con la stessa consolazione di Dio. Poiché Dio ha consolato noi, attraverso il dono di se stesso, il dono della sua grazia, della sua pace, della sua verità, del suo amore, noi dobbiamo consolare gli altri donando Dio, portandolo nei cuori, donandolo alle loro anime, imprimendolo nel loro spirito.
Dobbiamo dare Dio che ha consolato noi perché egli consoli loro. È Dio la consolazione di ogni uomo, è Dio che consola in ogni tribolazione ed afflizione; l’uomo non è fonte di consolazione, non potrebbe. L’uomo è strumento di consolazione ed è strumento vero, santo, autentico se infonde Dio nei cuori, nelle anime, nei pensieri e nei desideri.
È l’uomo strumento della consolazione di Dio se mette ogni attenzione a formare Cristo nei cuori.
La consolazione diviene pertanto opera missionaria, evangelizzatrice; non è un conforto umano, o una gioia terrena. È invece il dono della fede, della speranza e della carità; è il dono di Cristo e della sua grazia; è la luce dello Spirito Santo e della sua saggezza; è il conforto e la consolazione che vengono dalla Madre della Redenzione, che avvolge con il suo manto di misericordia tutti coloro che si affidano al suo cuore di Madre.
La consolazione di Dio non è un’opera psicologica, pedagogica, psichiatrica, o altro del genere, di quanto cioè conoscono gli uomini per lasciare l’uomo così come esso è. La consolazione di Dio è nuova creazione, è operazione di Dio nel cuore dell’uomo che lo rinnova, lo rigenera, lo conforta, lo salva, lo aiuta, lo sostiene, lo spinge infondendo in lui tutta quella forza celeste che deve farlo avanzare verso il regno dei cieli.
[5]Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.
Paolo è nella grande tribolazione e sofferenza. La sua è sofferenza di Cristo, tribolazione nel suo corpo e del suo corpo; sofferenza subita a causa del Vangelo.
La sofferenza non gli lascia tregua. Avvolge interamente la sua vita. L’abbondanza in lui è anche completezza, poiché ogni genere di sofferenza si è abbattuta su di lui.
La sofferenza di Cristo in lui, nei cristiani, diventa e si trasforma in consolazione di Cristo verso di loro, verso di lui.
Per ogni consolazione una sofferenza e per ogni sofferenza una consolazione; per ogni croce la sua risurrezione, e per ogni morte una nuova vita.
Poiché la consolazione di Dio è risurrezione, man mano che passa attraverso la tribolazione, l’uomo cresce nella risurrezione. Più perfetta è la configurazione a Cristo nella morte, più perfetta è e sarà la conformazione a Cristo nella risurrezione.
La consolazione di Dio è nuova vita, nuova grazia, nuova forza, nuova santità che egli immette nel cuore; è nuova luce divina con la quale avvolge l’anima perché possa rispondere con fortezza, prudenza e giustizia al compimento della missione ricevuta.
Ogni consolazione di Dio è in seguito ad una sofferenza patita per il suo nome. Se il cristiano riesce a leggere nella fede la sofferenza che si abbatte su di lui, egli sa anche il grado della sua crescita spirituale, della sua risurrezione, della vita nuova che Dio ha versato e versa in lui.
La sofferenza, la tribolazione, la persecuzione per il cristiano diviene così la via attraverso la quale il Signore Dio riversa nei nostri cuori la sua vita eterna, che è poi la nostra vera consolazione, e noi progrediamo di grazia in grazia e di vita in vita, fino al completamento del nostro cammino nella risurrezione di Cristo nella gloria del cielo.
[6]Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.
Il pensiero di Paolo, che è verità secondo Dio, verità attinta nello Spirito del Signore è chiaro.
In ogni tribolazione che si abbatte su di lui, nel suo corpo o nel suo spirito, matura un frutto di consolazione e di salvezza per tutti i discepoli del Signore.
Prima di tutto perché colui che è consolato dal Signore, diviene uno strumento nelle mani del Signore per confortare e consolare i fratelli che sono nella sofferenza e nella tribolazione.
In secondo luogo ogni tribolazione sofferta per Cristo conferisce un aumento di vita e di risurrezione nell’anima e nello spirito di colui che la subisce.
Questo aumento di vita e di risurrezione diventa un frutto di grazia che va a beneficio dell’intero corpo del Signore.
Il corpo di Cristo cresce in grazia, in verità, in santità, se un solo membro subisce una tribolazione per causa del Vangelo e riceve a causa di essa un aumento di vita e di santità.
C’è una consolazione, cioè un dono di vita che ricopre tutto il corpo a causa di colui che ha subito la sofferenza e che l’ha offerta al Signore.
Infine c’è il buon esempio che diviene stimolo, sprone, incitamento, a sopportare le medesime sofferenze.
Un cristiano che vede l’apostolo del Signore subire la sofferenza per Cristo nella santità e nella verità, diviene a sua volta capace di offrire anche lui la sofferenza, dopo averla subita e questo non può che essere di grande giovamento per tutta la comunità cristiana, la quale sempre dall’esempio dei più forti viene aiutata a vivere nella verità e nella santità ogni patimento che si riversa su di essa a causa del nome di Cristo Gesù.
C’è una comunione di grazia, di verità, di vita nuova, di risurrezione e di esemplarità che si vive ogni volta che un membro della comunità subisce una sofferenza per il nome di Cristo Gesù.
Così, anziché impoverire la comunità, la sofferenza, la tribolazione, le persecuzioni e i patimenti per il nome di Cristo Gesù altro non fanno che elevare di tono la santità della comunità, aumentandone la grazia ed ogni altro dono celeste che servono perché ognuno possa rendere testimonianza a Cristo Gesù e al Vangelo della salvezza.
[7] La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.
Paolo in questo versetto manifesta qual è la sua speranza. Egli vive di una sola certezza, che è poi essenza e sostanza della verità evangelica.
In questa speranza egli è ben saldo. Guai se non lo fosse. L’uomo di Dio ha bisogno delle certezze di fede, se queste vengono a mancare tutta la vita di fede scade, a poco a poco si perde, scompare.
Sovente purtroppo si hanno poche certezze e molti dubbi, si possiedono poche verità e troppi errori. Questo altro non fa che indebolire la forza del cristiano nel progredire lui stesso verso il regno dei cieli, ma così facendo, indebolisce anche il cammino dei suoi fratelli.
Una sola incertezza che dimora e persiste in un cristiano, diviene incertezza che si travasa in tutti i cuori fino a contaminarli tutti.
La certezza di Paolo, che è speranza nella quale egli è ben saldo è questa: chi diviene partecipe della sofferenza di Cristo, diviene anche partecipe della sua consolazione. Poiché la sofferenza di Cristo è la morte, la consolazione di Cristo è la risurrezione gloriosa.
Abbiamo già considerato che la consolazione di Cristo è immissione in noi di nuova vita, nuova grazia, nuova santità. Nel momento in cui noi, in qualche modo, ci rendiamo partecipi della sofferenza di Cristo Gesù, in questo stesso istante noi diveniamo partecipi della vita nuova che è tutta in Cristo Gesù. Questa vita nuova si manifesta in noi come un’abbondanza di grazia e di verità, di fortezza e di santità che si abbatte su di noi e ci trasforma, ci configura sempre più perfettamente a Cristo Signore.
Questa certezza è la forza del cristiano; più egli si fortifica in questa verità, più il suo cuore diviene saldo e stabile, più nel momento della prova egli saprà innalzare gli occhi al cielo e chiedere al Signore che voglia aiutarlo e sostenerlo con la sua forza a vincere la prova. Questo lo fa, perché sa che subito dopo scenderanno nel suo cuore le consolazioni di Dio che saranno il dono di una vita più santa, più vera, più giusta; saranno l’aumento dei doni di grazia e di Spirito Santo che vanno ad aumentare il grado di santità nel suo cuore e quindi di più forza e di più costanza nel proseguire il cammino travagliato verso il regno dei cieli, verso la testimonianza da rendere a Cristo Gesù, se è necessario, anche attraverso il dono della nostra vita fisica, oltre che del nostro spirito, del nostro cuore e della nostra anima.
[8] Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita.
Paolo parla ora di una tribolazione particolare, specifica, che egli ha vissuto in Asia. Questa tribolazione è stata veramente grande per lui, addirittura al di là delle sue forze. Questa tribolazione è stata talmente grande che egli ha dubitato di poter rimanere ancora in vita.
Perché Paolo rivela, manifesta, svela ciò che gli è capitato in Asia? Perché comunica loro questa sua grande esperienza?
Il motivo è uno solo. Si vuole incoraggiare i Corinzi e tutti quelli che sono in Acaia che il percorso da fare è lungo, le difficoltà sono tante, le insidie e i pericoli sempre in agguato.
Mai il cristiano può stare sicuro, tranquillo; può pensare di aver finito con le prove. Le prove sono sempre sui nostri passi, ci seguono come un’ombra cammina con un corpo.
A volte sono assai forti e violente queste tribolazioni, tanto forti e violente che noi pensiamo di non poter sopravvivere ad esse, pensiamo che per noi sia giunta propria la fine.
Possiamo dubitare di noi stessi, delle nostre forze, delle nostre capacità, ma non della presenza di Dio nella nostra vita.
La presenza di Dio ha un solo scopo: far sì che noi vinciamo le tribolazioni in modo che egli possa aumentare in noi il dono della sua grazia e della sua verità, dei suoi doni nello Spirito Santo.
Supereremo anche le insidie più grandi, se ancora la nostra vita serve al Signore per il ministero del Vangelo, per portare cioè il conforto della Parola di Dio ad ogni uomo. In questo caso anche le persecuzioni più violente si risolvono in risparmio della vita per noi.
La vita serve a Dio e finché gli serve, egli farà sì che la tribolazione non ci vinca, anche se umanamente sembra invincibile e noi siamo lì, lì per soccombere ed uscire una volta per tutte dalla scena di questo mondo.
Dubitare di se stessi, pensare che la tribolazione sia al di là delle nostre forze è cosa buona, se aggiungiamo a tutto questo una forte fede e una sicura speranza, che deve essere in noi, certezza invincibile, che tutto ciò che non possiamo vincere noi, lo vincerà il Signore e tutto ciò che sembra vincerci dal Signore è vinto, perché noi ancora siamo a lui necessari per il ministero del Vangelo, o per un qualsiasi altro ministero utile e necessario per la salvezza dei nostri fratelli secondo Adamo e non ancora in Cristo, perché non lo conoscono e non fanno pubblica professione di fede in Lui e nel mistero della sua grazia.
La consapevolezza della nostra debolezza deve avere il suo punto fermo in una grande fede nella presenza liberante e vittoriosa di Dio nostro Padre che interviene in nostro favore e ci libera dallo scendere nella fossa anzitempo.
Senza una forte fede nella presenza di Dio, anche le più piccole tribolazioni sono assai forti per noi e ci faranno soccombere; non resisteremo perché manca in noi la convinzione di fede che tutto è permesso da Dio per un bene più grande in nostro favore e a favore dell’umanità intera.
[9] Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti.
Per Paolo questa grande tribolazione ha dato una svolta radicale alla sua vita.
C’è sempre nell’uomo una qualche convinzione che si è capaci da soli di fare un qualche cosa per il Signore.
C’è quel pensiero che in qualche modo ci pone di fronte a Dio, a tu per tu con lui, ma ci pone quasi in alternativa, non in sudditanza completa; oppure se ci pone in sudditanza, si tratta di una sudditanza parziale e non assoluta.
Si riceve tutto da Dio ma si è anche convinti che qualcosa siamo anche noi capaci di farla. Per questo ci dispensiamo dal ricorrere al Signore per chiedere che in ogni momento della nostra vita sia presente per dare significato ad essa, ricolmandola di grazia e di verità.
Quando un cristiano pensa che ci siano delle cose per cui non valga proprio la pena ricorrere al Signore, perché possono essere risolte direttamente da lui, egli si è già incamminato su una strada che non lo porterà lontano; è una strada che prima o poi finirà in se stesso e in un allontanamento totale dal Signore.
Paolo è forte, saggio, intelligente, pieno d’amore, di verità, di speranza, di santità; è intrepido, fiero, capace, volitivo, resistente. Egli è stato fatto da Dio come un prodigio. Tutta questa santità di cielo abita però in un corpo ereditato da Adamo e dove c’è l’eredità secondo Adamo c’è anche la superbia e la concupiscenza, anche se sono assopite, quasi morte, ma sono sempre nel nostro corpo e attendono di risvegliarsi al momento opportuno per mordere morsi di morte e di peccato.
In Asia Paolo riceve una sentenza di morte; viene lapidato, coperto di pietre. Creduto morto. Per un attimo è come se Paolo fosse stato veramente nella morte.
Il Signore ha pietà di lui, lo libera, gli risparmia ancora la vita. Lo risuscita e lo ridona alla sua Chiesa, alle comunità cristiane, al mondo intero.
Paolo dona a questo evento che gli è capitato in terra di Asia un significato del tutto particolare. Dio voleva spogliarlo di tutto ciò che ancora gli era rimasto di umano dopo la conversione sulla via di Damasco.
Lo spoglia di ogni pensiero terreno, lo libera da ogni residuo di superbia, di vanagloria, di esaltazione di sé.
Lo mette nelle braccia della morte per un istante perché lui da questo momento sappia che è solo del Signore e che solo il Signore lo potrà liberare, perché la sua vita è una vita condannata alla morte, non solo in Asia, ma in ogni parte dove lui si recherà per annunziare il Vangelo di Dio. Ora Paolo sa, dopo questa esperienza, che nulla gli appartiene, nulla gli deve appartenere, neanche un pensiero, una idea, una certezza fondata su se stesso. Tutto egli deve fondare in Dio, tutto da Lui sperare, tutto a Lui chiedere, tutto a Lui ridare nella preghiera di ringraziamento, di lode e di benedizione.
È questa la libertà che il Signore vuole, la libertà da noi stessi, dai nostri pensieri, dalle nostre capacità, dai nostri studi, dalla nostra intelligenza, dalla nostra sapienza e accortezza. La libertà deve essere sempre e per sempre; deve manifestarsi in ogni azione, opera, pensiero, desiderio, moto del cuore e della volontà.
Tutto, ma veramente tutto, deve essere affidato al Signore perché sia Lui a ricolmarlo della sua verità e della sua grazia.
Come un uomo non si può liberare dalla morte, così non si potrà liberare da nessuna altra condizione umana nella quale vive. Solo Dio è il liberatore e solo in Lui dobbiamo confidare, solo Lui invocare che ci liberi, solo a Lui chiedere che venga presto in nostro aiuto.
A questa verità Dio vuole che arrivi ogni suo figlio, ogni discepolo di Cristo Gesù. Paolo è arrivato in Asia dopo aver ricevuto la sentenza di morte, essere stato lapidato e sepolto sotto le pietre, creduto morto dalla gente. Dio però lo ha voluto ancora una volta vivo e per questo lo ha salvato dalla morte che ormai era certa per lui.
[10] Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora,
In questo versetto egli fa professione di fede nel Dio liberatore, ma anche professione di speranza.
Paolo è certo non solo che il Signore lo ha liberato ieri, è convinto, saldamente ancorato a questa convinzione, che il Signore lo libererà ancora.
D’altronde è questa la sua fede; egli crede nella liberazione che ha operato Cristo in seno all’umanità intera; crede nella liberazione che Cristo Gesù quotidianamente opera a favore di tutti i suoi discepoli che si rivolgono a lui e lo invocano perché scenda a liberarli dalla morte subita e patita per il suo santissimo nome.
Quando si raggiunge questa speranza e questa certezza di fede, tutta la vita viene posta nelle mani di Dio, perché sia Lui a governarla secondo il nostro più grande bene spirituale, ma anche secondo le esigenze dei fratelli che hanno bisogno del dono del Vangelo per essere liberati e portati nella salvezza.
La speranza si riveste in Paolo di una certezza: il Signore è presente nella sua vita; il Signore guida la sua vita e attraverso le prove che sparge sul suo cammino, a poco a poco la apre al dono totale di sé per il compimento della missione che gli è stata affidata.
Questa certezza e speranza di Paolo deve essere di ogni cristiano. È per questo motivo che egli comunica ai Corinzi questa esperienza di morte vissuta in Asia perché anche essi inizino un cammino veramente nuovo con il Signore. Il cammino non potrà essere che uno solo: consegnare tutta la loro vita al Signore perché sia Lui a dirigerla, a governarla, a ricolmarla della sua grazia e della sua consolazione, anche se dovrà farla passare attraverso vie di sofferenza che solo Lui conosce.
Dopo questa esperienza Paolo si è spogliato di sé, si è rinnegato in tutto, niente più gli appartiene; neanche la vita fisica; essa è del Signore che gliel’ha salvata; può farne l’uso che vuole.
A questa stessa conclusione di fede e di speranza Paolo vuole che giungano i Corinzi. Il suo esempio dovrà trascinarli in una nuova relazione con il loro Dio e Signore.
[11] grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.
In questo versetto Paolo rivela la sua visione soprannaturale con la quale legge ogni cosa e ogni cosa riferisce a Dio.
Lui è nella tribolazione, tutti pregano perché il Signore lo liberi. C’è una cooperazione nella preghiera per lui che investe tutte le comunità, quanti vengono a conoscenza del momento particolare che Paolo sta vivendo.
Il Signore, per questa preghiera, o meglio, per questa cooperazione nella preghiera, libera Paolo.
Dopo la liberazione, si realizza una cooperazione di preghiera per ringraziare il Signore, lodarlo e benedirlo per il favore concesso a Paolo.
C’è un grazie che sale verso Dio da molti cuori, da tutti quei cuori che hanno pregato per ottenere la sua liberazione.
Qual è il frutto di una tribolazione? La spinta alla preghiera che investe tutti. Prima diviene preghiera di impetrazione, poi si fa preghiera di ringraziamento e di benedizione.
A causa di questa tribolazione molti cuori, molte menti si innalzano in Dio, vivono un momento di intensa comunione con lui, manifestano con più tenacia la loro fede, corroborano il loro spirito nella certezza che il Signore non può non esaudire una preghiera che sale a lui da ogni cuore e da ogni mente.
Così una sola tribolazione può dare vita spirituale intensa a tutta la comunità. In verità è Paolo che è nella tribolazione, però è tutta la comunità che durante e dopo vive e manifesta la sua fede nella preghiera, vive e manifesta la sua fede nell’Onnipotenza di Dio, vive e manifesta la sua fede che è certezza di esaudimento.
Per dare ad una tribolazione un frutto così bello e così vero occorre un animo che sia sempre e costantemente immerso in Dio, che è nel cielo e dal cielo vede tutto ciò che avviene sulla terra come un momento particolare concesso da Dio perché una più grande gloria salga a Lui e una più intensa manifestazione della sua verità si espanda sulla terra.
Occorre anche la saggezza e l’intelligenza dello Spirito Santo che ci fa andare sempre oltre il visibile e dietro il muro della facciata delle cose si veda Colui che ogni cosa permette perché la sua gloria si manifesti e la verità del Vangelo venga acclamata da tutti, da tutti accolta, da tutti vissuta.
Chi vive secondo queste caratteristiche sa trasformare ogni cosa che succede in lui e attorno a lui in un movimento di santità, di grazia, di verità, di conversione, di fede.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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