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COMMENTO DELLA LETTERA AGLI EBREI

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2019 14:01
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11/01/2012 12:56
 
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LA PAROLA DI DIO
[11]Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
Se è vero – ed è vero – quanto l’Autore ha dimostrato, argomentando con l’Antica Scrittura, o Antico Testamento, nasce una urgenza per ogni coscienza.
La verità obbliga per se stessa. Una volta attestata, dimostrata, desunta, argomentata, essa necessariamente deve essere accolta. Lo esige la natura razionale dell’uomo.
Se non accetta la verità, non è più questione di razionalità, bensì di volontà. Non è più per incapacità di comprendere, ma per cattiva volontà che non si abbraccia la verità, non la si accoglie.
Nasce l’appello alla volontà. È per volontà che l’uomo può affrettarsi ad entrare nel riposo che Dio gli offre, gli dona in Cristo Gesù.
Se la volontà si sottrae, non c’è alcuna argomentazione che possa valere. Ogni parola risulterà inutile, vana, inefficace.
La volontà può soffocare la verità e la soffoca quando è nell’ingiustizia, nel peccato, nella chiusura della mente e del cuore.
San Paolo ha una bellissima argomentazione su questa tematica della relazione tra verità, volontà, ingiustizia, soffocamento della verità. La troviamo nella Lettera ai Romani (c. 1):
“Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome; e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo. A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi, chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi. Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io.
Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi ma finora ne sono stato impedito per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra gli altri Gentili. Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma. Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. E` in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa.
Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”.
L’Autore è esplicito, formalmente esplicito nella sua affermazione. Alla Parola di Dio si risponde con l’ascolto, con l’obbedienza totale.
L’obbedienza è cambiamento di vita secondo la Parola ascoltata, allo stesso modo che era cambiamento di cammino la Parola ascoltata durante l’Esodo, o il viaggio nel deserto. Se non si cambia vita – e il cambiamento di vita è uno solo: il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dall’Antica Parola di Dio alla Nuova Parola di Dio – ci si mette nella disobbedienza e questa ha un solo risultato: il non raggiungimento del riposo eterno di Dio.
Affrettarsi vuol dire non tergiversare, non rimandare, non ritardare e soprattutto non giocare con il Signore, o peggio con il proprio peccato, la propria ingiustizia.
Chi non crede nella Nuova Parola di Dio e non si affretta difficilmente compirà l’attraversamento del deserto della vita. Morirà nella sua ingiustizia, nella sua idolatria, nella sua empietà.
[12]Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.
Ancora una volta l’Autore rinvia alla Parola. Non alla Parola del Vangelo. Alla Parola dell’Antico Testamento.
Quanto dice della Parola dell’Antico Testamento si applica per contenuto anche a quella del Nuovo.
Ma lui non parte dalla Parola del Nuovo per dimostrare la verità della Parola del Vecchio. Fa il ragionamento contrario: parte dalla Parola del Vecchio per attestare che Essa non si esaurisce in se stessa. La forza della Parola dell’Antico Testamento è proprio quella di condurre a quella del Nuovo.
Se non conduce a quella del Nuovo, è una Parola già morta, inutile per tutti coloro che si affidano ad essa.
La salvezza non è in essa. La salvezza è altrove. È altrove che noi dobbiamo cercarla. L’altrove dell’Antico Testamento è Cristo Signore, è la sua grazia, è la sua verità.
I Versetti 12 e 13 sono un inno alla Parola, un canto alla sua verità.
È giusto che ogni affermazione sulla Parola venga compresa per se stessa. Le molteplici comprensioni, singolarmente offerte, nell’insieme ci riveleranno tutta la fede dell’Autore nella Parola di Dio.
Ecco l’esame dettagliato:
Infatti la parola di Dio è viva: La prima nota, o caratteristica della Parola di Dio è l’affermazione che essa è viva. È viva perché Dio è vivo e la ricolma della sua vita. È viva perché ha la forza in sé di rigenerarsi, di togliere da sé ciò che è vecchio, ciò che era di ieri, e aggiungere ciò che è di oggi, che appartiene all’ora presente della storia. È viva perché in essa opera lo Spirito Santo che la ricolma con la vita della sua verità tutta intera. È viva perché ha la forza di rendere vecchio ogni sistema teologico, ogni comprensione di Dio, ogni forma di relazionarsi a Lui, ogni religione, ogni idea, ogni pensiero. Tutto rende antiquato la Parola di Dio.
Per questo motivo è giusto, anzi doveroso non solo annunziare ogni giorno la Parola di Dio, quanto anche ogni giorno insegnarla spiegandola, donando il suo significato, quello che lo Spirito Santo detta alla mente e allo spirito di colui che si piega sulla Scrittura per trarre ogni verità di salvezza, di redenzione, di giustificazione, di vita eterna.
Lo Spirito Santo è nella Parola e solo in Essa. Ogni altra verità bisogna comprenderla partendo dalla Parola, lasciandosi giudicare da Essa.
È questo l’unico metodo e il solo, se si vuole portare verità e salvezza in questo mondo.
Gesù diede come comando ai suoi Apostoli di andare per il mondo e di annunziare la Sua Parola. Annunziando, spiegandola, facendola comprendere nella sua verità sempre più piena verso cui conduce lo Spirito del Signore, essi donano ad ogni uomo la possibilità di essere salvati.
Efficace: Poiché è viva, essa produce salvezza. È questa l’efficacia della Parola. Quando essa viene accolta in un cuore, lo smuove, lo rimuove, lo libera dal peccato, lo apre alla grazia, lo spinge verso la santità.
È efficace perché essa opera sempre un giudizio di approvazione o di condanna di ogni azione dell’uomo.
Qual è, però, l’efficacia che è nella Parola? Essa non è efficacia sacramentale. Questo genere di efficacia produce gli effetti, al di là della santità di chi amministra il sacramento.
L’efficacia della Parola è subordinata alla santità di chi l’annunzia e alla fede di chi l’ascolta.
Nella santità di chi l’annunzia dimora lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è nella Parola annunziata perché è nel cuore di chi l’annunzia. Con la Parola annunziata scende nel cuore di chi l’accoglie con fede e lo apre a Cristo, al suo mistero, alla sua verità, alla sua grazia, alla sua santità.
In un cuore pieno di peccato, la Parola non abita nella sua vita e non se non vive in noi, neanche può essere efficace. È una parola morta quella che si dona.
Va da sé che una parola morta donata non può mai generare vita. Da qui la sua inefficacia, la sua vanità, la sua inefficienza, il suo nulla.
Tutti i fallimenti della pastorale risiedono in questa parola morta in noi che si dona agli altri. È morta in noi, perché il nostro cuore è morto alla verità e alla grazia di Cristo Gesù.
La parola morta è anche senza contenuti di verità. Essa è priva di ogni forza vitale. Con essa il mondo resta quello che è: nel suo peccato e nella sua falsità.
In ordine all’argomento della Lettera, queste due prime note della Parola si rivestono di un significato ben preciso, che possiamo così sintetizzare:
Come ogni organismo che vive, vive pienamente compiuto nel presente, ma anche la compiutezza nel presente è incompiutezza per rapporto al futuro. La Parola di Dio che è viva, si deve cogliere nella vita del giorno. Oggi per oggi, domani per domani. Mosè parlò ai figli di Israele nel deserto. I Profeti parlano ai figli di Israele nella Terra Promessa. Cristo Gesù parlò alle pecore perdute della casa di Israele. Gli Apostoli dovranno parlare ogni giorno al mondo intero. Oggi Dio parla per mezzo degli Apostoli. Sono oggi loro che ci danno la Parola di Dio, quella vera. Oggi per oggi. Domani per domani.
L’efficacia della Parola, oggi, non è quella di Mosè, non è quella dei Profeti, neanche è quella proferita da Gesù Signore. L’efficacia, oggi è data da Colui che la Parola proferisce. Se proferisce la Parola di Dio, questa diviene efficace. Se non proferisce la Parola di Dio, la parola dell’uomo non ha alcuna efficacia. L’efficacia è della Parola di Dio viva ed è viva la Parola di Dio detta oggi dagli Apostoli e questa Parola è efficace.
Nasce per tutti l’obbligo di stringersi in comunione di verità e di fede con gli Apostoli, perché sono loro i portatori nel mondo della Parola viva ed efficace del Dio vivente.
La Parola è viva in loro, se è vivo lo Spirito di Cristo in loro. Per questo in loro deve essere grande la santità.
E più tagliente di ogni spada a doppio taglio: la spada serve a separare. La Parola di Dio separa bene e male, giusto ed ingiusto, sacro e profano, santità e peccato, bontà e cattiveria, pensiero di Dio e pensiero dell’uomo, vie di Dio e vie dell’uomo.
Chi vuole sapere cosa è bene e cosa è male, giusto ed ingiusto, opportuno e non opportuno, conveniente e non conveniente, non può desumerlo dai suoi pensieri; deve attingerlo nella Parola di Dio.
Questa verità obbliga ognuno che parla in nome di Dio a dire la Parola di Dio e solo quella. Per questo deve offrire all’altro la più alta garanzia che ciò che dice non è suo pensiero, sua volontà, sua decisione, suo desiderio, ma è solo Parola di Dio.
Anche la più semplice delle deduzioni o argomentazioni, tratte dalla Parola, devono essere perennemente verificate dalla Parola, se si vuole tagliare netto bene e male, vie di Dio e vie degli uomini.
A questo non ci siamo. C’è una sostituzione capillare della volontà di Dio facendo infiltrare in essa i nostri pensieri e ogni desiderio del nostro cuore.
Quando ognuno di noi avrà tanta onesta, tanta cura, tanta attenzione di non aggiungere e di non togliere niente alla Parola di Dio, solo allora sarà un buon amministratore nella sua casa.
È cosa disonesta aggiungere, o togliere alla Parola e dire che il risultato è Parola di Dio, o Volontà di Dio, o Desiderio di Dio. L’attenzione in questo non sarà mai sufficiente, mai troppa, mai abbastanza.
Tutta la pastorale è inficiata dalla sostituzione della Volontà di Dio con i nostri desideri o le nostre vie.
Essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla:
Quando la Parola viene annunziata, proclamata, proferita, detta, predicata, insegnata, essa non lascia il cuore indifferente. Tutto l’uomo viene penetrato dalla Parola e messo in questione, in discussione.
Dinanzi alla Parola di Dio non esiste indifferenza. O la si accoglie, o la si rifiuta. Se la si accoglie essa produce un frutto di vita; se la si rifiuta genera un frutto di morte. Ognuno deve rendere conto a Dio del perché ha rifiutato la Parola ascoltata.
Non può dire: non sapevo che era tua Parola, oppure non l’ho riconosciuta come tua Parola.
La Parola di Dio si fa riconoscere per se stessa, basta pronunciarla, proclamarla. È questa la sua forza, questa la sua vita, questa la sua efficacia.
Perché allora molti non la riconoscono come Parola di Dio? Perché quella che ascoltano spesso non è Parola di Dio. È un miscuglio di parole umane, imbevute o intrise di qualche Parola di Dio, ma non è Parola di Dio.
La Parola di Dio, per essere Parola di Dio, deve essere libera da qualsiasi parola umana, o pensiero umano, o desiderio umano.
Questa totalità esige la Parola, questa totalità dobbiamo darle. La Parola di Dio è santa e non può essere inquinata da nessuna parola umana.
Detta e proferita nella sua santità, la Parola penetra nel cuore, nella mente, arriva fino alle giunture e alle midolla. Tutto l’uomo, anche nelle sue parti più inaccessibili, viene compenetrato di Parola del Signore.
E scruta i sentimenti e i pensieri del cuore: Anche i sentimenti e i pensieri del cuore vengono scrutati dalla Parola di Dio, per appurare la loro verità, la loro falsità, la loro confusione, la loro tenebra, la loro luce.
Niente che è nell’uomo rimane estraneo dinanzi alla forza della Parola e alla potenza della sua luce che penetra in lui.
Questo accade, però, se quella che diciamo è Parola di Dio. Se non è Parola di Dio nulla accade. Il cuore rimane freddo e l’anima nel suo sonno spirituale.
[13]Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui: Quanto finora detto non vale solo per un uomo. Vale per tutti gli uomini indistintamente, di ogni razza, popolo, lingua, tempo, luogo.
Fino alla consumazione dei secoli, finché ci sarà un solo uomo sulla terra, se posto dinanzi alla verità e alla santità della Parola non potrà restare insensibile.
La Parola che penetra nel suo intimo lo scuote, lo muove, lo attira a sé, lo salva.
Perché allora tanto scetticismo dinanzi al parola annunziata? Perché spesso quella che diciamo non è la Parola di Dio, quella che doniamo non è la verità di Dio. Sono o parole, o sistemi di pensiero, o vie che Dio non ha scelto, non ha voluto, non ci ha comandato né di dire, né di fare.
Questo implica che c’è un dovere costante in noi, chiamati a dare la vera Parola di Dio: quello di liberarci da ogni pensiero umano, ma anche da ogni forma e da ogni struttura nella quale abbiamo calato la Parola di Dio.
La Parola di Dio può assumere ogni forma, ma senza identificarsi con nessuna di esse. Può assumere anche ogni pensiero, ma restando sempre fuori di esso.
Dio è tutto in ogni cosa, ma è sempre fuori di ogni cosa. Ha una sua identità Personale, anzi tripersonale, essendo Lui Padre, Figlio e Spirito Santo nell’unità di una sola natura, o sostanza divina.
Così deve essere detto della sua Parola: è in ogni pensiero, ma deve essere fuori di ogni pensiero; è in ogni forma, ma deve essere fuori di ogni forma.
Essa deve verificare ogni pensiero, ogni forma, ogni via, ogni struttura, ogni rito, ogni culto, sempre, in ogni tempo, in ogni luogo.
ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi: La Parola di Dio è luce eterna, divina che brilla nelle nostre tenebre con chiarore più splendente di mille miriadi di soli, di stelle, di galassie.
Tutto essa porta alla luce. Nulla rimane nascosto dinanzi ad essa.
Sorge una considerazione: se questa è la potenza della Parola, perché ci arrabattiamo a dire parole umane? Non sarebbe più saggio, più intelligente, più sapiente dire solamente Parole di Dio?
A questa considerazione ci risponde Cristo Gesù: la bocca parla della pienezza del cuore. Se Dio è nel cuore, la bocca parla Parole di Dio. Se c’è il peccato, la bocca dice parole di peccato, di tenebra, di buio, di menzogna (cfr. Mt 12,22-37):
“In quel tempo gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva. E tutta la folla era sbalordita e diceva: Non è forse costui il figlio di Davide? Ma i farisei, udendo questo, presero a dire: Costui scaccia i demòni in nome di Beelzebùl, principe dei demòni. Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno?
E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. Come potrebbe uno penetrare nella casa dell'uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.
Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro. Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato”.
Chi vuole parlare Parole di Dio deve avere il cuore pieno di Dio. Questa verità però ne dice un’altra: poiché è facile perdere Dio dal cuore, è anche facile perdere la Parola di Dio dalle nostre labbra. Se non c’è la stabilità nella grazia: oggi si parla di Dio e domani del diavolo; oggi si invita al bene e domani al male; oggi si risponde alla tentazione e domani la si accoglie.
E a lui noi dobbiamo rendere conto: Dobbiamo rendere conto di ogni Parola di Dio ascoltata e di come essa è stata messa a frutto.
La Parola di Dio è come il talento della Parabola. Chi la riceve deve farla fruttificare. Essa è un dono divino e non può restare infruttuosa.
Anche questa verità è insegnata da Gesù con divina chiarezza. Leggiamo in due passi distinti:
Vangelo secondo Matteo cap. 11,16-24: “Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. E` venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E` venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere. Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!”.

Vangelo secondo Matteo cap. 25, 14-30: “Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
Deve rendere conto a Dio chi è stato incaricato di annunziare la Parola e non lo ha fatto, come anche colui al quale la Parola è stata annunziata e non l’ha fatta fruttificare.
Il vero credente nella Parola di Dio è Giona. Lui si rifiuta di recarsi a Ninive perché sapeva che se avesse proferito la Parola di Dio nella città, questa si sarebbe convertita e per questo fugge lontano dal Signore.
Giona cc. 3 e 4: “Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò. Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta. I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo? Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece”.
“Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore: Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere! Ma il Signore gli rispose: Ti sembra giusto essere sdegnato così? Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì un riparo di frasche e vi si mise all'ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città.
Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. Ma il giorno dopo, allo spuntar dell'alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: Meglio per me morire che vivere. Dio disse a Giona: Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino? Egli rispose: Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte! Ma il Signore gli rispose: Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?”.
È questo il conto che dobbiamo rendere a Dio. È un conto eterno: di vita, o di morte, di Paradiso, o di inferno.
[14]Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede.
Con questo versetto si entra nel vivo della Lettera e della sua argomentazione. Ora viene annunciato Cristo, la Sua Persona, la Sua Opera, il Suo Sacrificio, i Frutti di esso. Il tutto ci viene offerto nella sua distinzione e differenza con quanto di analogo avveniva nell’Antico Testamento.
Chi è Cristo Gesù? La prima risposta è: un grande sommo sacerdote.
Ma chi era il sommo sacerdote? Era colui che compiva il grande rito di espiazione per il popolo. Ecco come ce lo presenta il Libro del Levitico (cfr. Lev. 16,1-34).
“Il Signore parlò a Mosè dopo che i due figli di Aronne erano morti mentre presentavano un'offerta davanti al Signore. Il Signore disse a Mosè: Parla ad Aronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualunque tempo nel santuario, oltre il velo, davanti al coperchio che è sull'arca; altrimenti potrebbe morire, quando io apparirò nella nuvola sul coperchio. Aronne entrerà nel santuario in questo modo: prenderà un giovenco per il sacrificio espiatorio e un ariete per l'olocausto. Si metterà la tunica sacra di lino, indosserà sul corpo i calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino e si metterà in capo il turbante di lino. Sono queste le vesti sacre che indosserà dopo essersi lavato la persona con l'acqua.
Dalla comunità degli Israeliti prenderà due capri per un sacrificio espiatorio e un ariete per un olocausto. Aronne offrirà il proprio giovenco in sacrificio espiatorio e compirà l'espiazione per sé e per la sua casa. Poi prenderà i due capri e li farà stare davanti al Signore all'ingresso della tenda del convegno e getterà le sorti per vedere quale dei due debba essere del Signore e quale di Azazel. Farà quindi avvicinare il capro che è toccato in sorte al Signore e l'offrirà in sacrificio espiatorio; invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti al Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e sia mandato poi ad Azazel nel deserto. Aronne offrirà dunque il proprio giovenco in sacrificio espiatorio per sé e, fatta l'espiazione per sé e per la sua casa, immolerà il giovenco del sacrificio espiatorio per sé.
Poi prenderà l'incensiere pieno di brace tolta dall'altare davanti al Signore e due manciate di incenso odoroso polverizzato; porterà ogni cosa oltre il velo. Metterà l'incenso sul fuoco davanti al Signore, perché la nube dell'incenso copra il coperchio che è sull'arca e così non muoia. Poi prenderà un po’ di sangue del giovenco e ne aspergerà con il dito il coperchio dal lato d'oriente e farà sette volte l'aspersione del sangue con il dito, davanti al coperchio.
Poi immolerà il capro del sacrificio espiatorio, quello per il popolo, e ne porterà il sangue oltre il velo; farà con questo sangue quello che ha fatto con il sangue del giovenco: lo aspergerà sul coperchio e davanti al coperchio. Così farà l'espiazione sul santuario per l'impurità degli Israeliti, per le loro trasgressioni e per tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda del convegno che si trova fra di loro, in mezzo alle loro impurità.
Nella tenda del convegno non dovrà esserci alcuno, da quando egli entrerà nel santuario per farvi il rito espiatorio, finché egli non sia uscito e non abbia compiuto il rito espiatorio per sé, per la sua casa e per tutta la comunità d'Israele. Uscito dunque verso l'altare, che è davanti al Signore, compirà il rito espiatorio per esso, prendendo il sangue del giovenco e il sangue del capro e bagnandone intorno i corni dell'altare. Farà per sette volte l'aspersione del sangue con il dito sopra l'altare; così lo purificherà e lo santificherà dalle impurità degli Israeliti. Quando avrà finito l'aspersione per il santuario, per la tenda del convegno e per l'altare, farà accostare il capro vivo.
Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto. Quel capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione solitaria, sarà lasciato andare nel deserto. Poi Aronne entrerà nella tenda del convegno, si toglierà le vesti di lino che aveva indossate per entrare nel santuario e le deporrà in quel luogo. Laverà la sua persona nell'acqua in luogo santo, indosserà le sue vesti e uscirà ad offrire il suo olocausto e l'olocausto del popolo e a compiere il rito espiatorio per sé e per il popolo. E farà ardere sull'altare le parti grasse del sacrificio espiatorio.
Colui che avrà lasciato andare il capro destinato ad Azazel si laverà le vesti, laverà il suo corpo nell'acqua; dopo, rientrerà nel campo. Si porterà fuori del campo il giovenco del sacrificio espiatorio e il capro del sacrificio, il cui sangue è stato introdotto nel santuario per compiere il rito espiatorio, se ne bruceranno nel fuoco la pelle, la carne e gli escrementi. Poi colui che li avrà bruciati dovrà lavarsi le vesti e bagnarsi il corpo nell'acqua; dopo, rientrerà nel campo. Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, nel decimo giorno del mese, vi umilierete, vi asterrete da qualsiasi lavoro, sia colui che è nativo del paese, sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi. Poiché in quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore. Sarà per voi un sabato di riposo assoluto e voi vi umilierete; è una legge perenne. Il sacerdote che ha ricevuto l'unzione ed è rivestito del sacerdozio al posto di suo padre, compirà il rito espiatorio; si vestirà delle vesti di lino, delle vesti sacre. Farà l'espiazione per il santuario, per la tenda del convegno e per l'altare; farà l'espiazione per i sacerdoti e per tutto il popolo della comunità. Questa sarà per voi legge perenne: una volta all'anno, per gli Israeliti, si farà l'espiazione di tutti i loro peccati. E si fece come il Signore aveva ordinato a Mosè”.
La prima differenza che qui viene affermata è questa: Gesù grande sommo sacerdote non entra nella tenda del convegno, né nel tempio costruito dall’uomo, anche se luogo della presenza di Dio.
Gesù entra nel cieli, li attraversa. Il Cielo è il luogo della dimora di Dio. Gesù va direttamente presso Dio, non sulla terra, ma nel Cielo. Lui entra nel Santuario del Cielo.
Perché entra nel Santuario del Cielo? Per compiere il sacrificio di espiazione per i peccati del popolo. Ma non di un popolo. Di ogni uomo.
La “liturgia” con Gesù si sposta dalla terra al cielo, dal tempio costruito da mani d’uomo, ad un tempio eterno, dimora eterna di Dio.
Cristo entra nel cielo. Accede direttamente al trono della gloria eterna di Dio. A Lui direttamente offre il sacrificio per il perdono dei peccati.
Ora interessa affermare questa prima differenza, che non è solo accidentale, è sostanziale. Gesù è Colui che può accedere al trono eterno di Dio nel Cielo. È Colui che può vedere Dio faccia a faccia e faccia a faccia può pregarlo, invocarlo, come un uomo fa con un altro uomo.
Mosè non vide mai la faccia di Dio. Né mai è salito al Cielo. Mosè ha incontrato il Signore sul monte e gli parlava dalla nube.
Anche questa è differenza sostanziale tra Cristo e Mosè. Se è sostanziale la differenza, sostanziale è anche la differenza con la Persona sia di Mosè che del sommo sacerdote.
Questa differenza è già stata presentata dall’Autore: tutti gli altri sono servi, ministri, strumenti. Gesù è il Figlio di Dio. Per questo può entrare nei Cieli, li può attraversare. Entra come Figlio. Li attraversa come Figlio. Si presenta al Padre come Figlio. Figlio non creato, ma generato, della stessa sostanza del Padre e questa generazione è eterna, prima della creazione del mondo.
Questa verità esige che noi manteniamo ferma la professione della nostra fede.
Qual è questa professione di fede? Quella accolta al momento in cui si è divenuti credenti?
Quale era allora questa professione di fede? Quella annunziata da Pietro negli Atti: “Non c’è altro nome nel quale è stabilito che possiamo essere salvati se non nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”.
Gesù è l’unico Salvatore, il solo Redentore. Perché? Perché è l’unico sommo sacerdote che ha attraversato i Cieli per compiere per noi presso il Padre l’espiazione dei nostri peccati.
Chi non mantiene fede a questa professione di fede, ritornerà nella ritualità di un tempo, ai sommi sacerdoti di un tempo. Ma questi non danno salvezza, non offrono redenzione. Chi cade della fede, ritorna semplicemente nell’idolatria ed è idolatria ogni parola antica di Dio che non conduce alla nuova Parola di Dio, detta a noi in Cristo Gesù, compiuta per noi da Lui e in Lui.
[15]Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.
In questo versetto viene affermata la vera umanità di Gesù. Egli è Figlio di Dio, ma anche Figlio dell’uomo, vero Dio e vero uomo.
Come vero uomo egli è stato provato in ogni cosa, a somiglianza di noi. L’unica cosa che Lui non ha conosciuto della nostra umanità è il peccato.
Egli è rimasto sempre nella Volontà di Dio, sempre nella Legge del Padre, in ogni cosa.
Lui sa cosa è la tentazione, sa cosa è la fame, la nudità, la povertà, il dolore, la persecuzione, ogni genere di sofferenza fisica e spirituale, del corpo e dell’anima.
In ogni prova egli è rimasto fedele a Dio. In ogni prova però ha sperimentato l’infermità della natura umana. Lui sa per esperienza personale di che cosa è fatto l’uomo, anche se lo sa attraverso una natura non concepita nel peccato originale. La sua è vera esperienza, come vera è la sua umanità.
Essendo Lui vero uomo al pari di noi, egli può venire in nostro soccorso. Ci può compatire, sa compatirci, proprio a motivo delle prove che egli ha subito per rimanere fedele a Dio.
Compatire le nostre infermità, o saper compatire le nostre infermità non deve significare “giustificare il nostro peccato”.
Il peccato non si giustifica, si scusa, si perdona, si espia, mai però si giustifica. Giustificare il peccato è dare ad esso il diritto di essere commesso come cosa buona, giusta, santa.
Mentre il peccato rimane sempre peccato, atto ingiusto dinanzi a Dio e agli uomini, azione di male, opera che è contro Dio e contro l’uomo, che distrugge la natura dell’uomo e la conduce nella morte.
Compatire le nostre infermità deve avere un solo significato: Gesù ci compatisce espiando per noi, ma anche donandoci la sua stessa forza perché noi non pecchiamo più.
Il compatimento diviene allora soffrire al posto nostro, espiare in vece nostra, ma per entrare noi nella grazia, nella verità, nella forza divina per crescere come Lui in grazia e in verità sino alla fine dei nostri giorni.
Lui è vero uomo. Conosce le difficoltà della nostra infermità. Anche Lui ha sperimentato la debolezza della carne. Anche Lui ha chiesto che si pregasse un poco insieme a Lui nell’orto degli ulivi.
Sapendo questo, egli soffre per noi, in vece nostra; ci dona la sua forza, la sua grazia, il suo Santo Spirito per renderci impeccabili, come Lui, dinanzi a Dio e agli uomini. A causa della sua compassione, per quello che Lui ha fatto per noi, la nostra natura, se lo vuole, può divenire impeccabile, può veramente vivere tutta e sempre nella Legge santa di Dio. Questa è la vera compassione di Cristo Gesù; questo il suo vero amore per noi, per tutti noi, per ogni uomo di ogni tempo e di ogni luogo.
La sua è una compassione che deve condurci all’impeccabilità, alla più alta santità. Altre interpretazioni non sono consentite. Verrebbero a contraddire intrinsecamente la compassione di Cristo, o la sua morte subita per noi, al posto nostro.
[16]Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.
La compassione di Cristo diviene e si specifica come un trono di grazia. Ancora l’Autore non ci ha detto come tutto ciò sia avvenuto. Ci dice però il frutto del sacrificio di Cristo, o se si preferisce – per restare nel suo linguaggio, o più semplicemente in quello che ci ha insegnato fino a questo momento – qual è il frutto che l’azione di Cristo, che penetra nei cieli quale grande sommo sacerdote, ha prodotto per noi.
Entrando nei cieli, quale grande sommo sacerdote, Gesù è come se si fosse seduto sopra un trono di grazia. Presso di Lui ognuno può ricorrere per ricevere misericordia, per ottenere grazia, per essere aiutato al momento opportuno.
A questo trono di grazia però bisogna accostarsi, recarsi, andare, rivolgersi.
Come ci si reca e come ci si rivolge? Le vie sono due: con la fede in Cristo grande sommo sacerdote. Con la preghiera fiduciosa, che penetra nel cielo e muove il cuore di Cristo Gesù a compassione e a pietà.
A questo punto è giusto precisare due verità, che stanno molto a cuore all’Autore.
La grazia bisogna attingerla sempre, attimo per attimo, in ogni momento. Non c’è autonomia del cristiano da Cristo. Chi pensasse diversamente, si troverebbe fuori del cammino della salvezza.
La grazia si attinge perseverando nella fede, mai venendo meno in essa. Si accosta a questo trono della grazia chi ha fede; chi cade dalla fede non può accostarsi.
Come si può constatare, riappare sempre, anche se non in modo esplicito, il tema centrale della Lettera: Salva la fede in Cristo. Cristo è la nostra fede. Da questa fede non si può retrocedere, pena il fallimento della nostra esistenza terrena e la morte eterna.
Questa fede bisogna che ogni giorno venga rinsaldata nel cuore, nella mente, nello spirito, nell’anima, nello stesso corpo.
Questa fede bisogna respirare come l’aria. Anzi, più che l’aria. Questa fede deve crescere, maturare, fruttificare, raggiungere la sua più alta maturità ed espressività.
Questa fede deve trasformare tutta la nostra vita, fino a farla divenire ad immagine di essa. Poiché questa fede è Cristo ed è in Cristo, essa matura se la nostra vita diviene tutta simile a quella di Gesù Signore. È questa la vera maturità della nostra fede: divenire noi in tutto simili a Cristo, nella vita, nella morte, nella gloria, sulla terra, nel cielo.
Tutto però discende come grazia, misericordia, aiuto da Cristo, perché tutto è in Cristo non fuori di Lui.
A Lui allora bisogna accostarsi con piena fiducia, nella certezza di amore che Lui non potrà deluderci in niente. Il suo amore sarà sempre più grande del nostro e saprà venire incontro ad ogni nostra richiesta di un amore più grande, di un amore in noi simile al suo.
La ragione ultima della fiducia non è in noi, è in Cristo. È nel suo amore che si fa sacrificio per noi, senza che nessuno di noi lo chiedesse.
La fiducia trova la sua sorgente di verità nella carità del Padre che previene ogni nostra richiesta di salvezza e nell’amore di Cristo che si dona al Padre per la nostra redenzione eterna.
È questa la grandezza divina della fiducia del cristiano: l’amore di Dio che non delude perché è stato riversato tutto nei nostri cuori.
Dio ci ha dato tutto donandoci il Figlio. Il Figlio ci ha dato tutto, donandosi. Al Padre che dona il Figlio e al Figlio che dona se stesso non si può andare se non con fiducia. È il suo amore il trono della grazia, cui ci dobbiamo accostare con fiducia.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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