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COMMENTO DELLA LETTERA AGLI EBREI

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2019 14:01
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11/01/2012 12:52
 
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CAPITOLO TERZO

CRISTO È SUPERIORE A MOSÈ
[1]Perciò, fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo,
I “fratelli santi” sono i cristiani. Sono santi, perché santificati dal sangue di Cristo, purificati nelle acque del Battesimo e rigenerati dallo Spirito Santo.
Sono santi perché sono stati resi partecipi della santità di Dio. Questa la loro altissima dignità.
Di questa dignità ogni cristiano deve prendere coscienza. Di questa dignità è sommamente responsabile. Questa sua nuova dignità deve attestare dinanzi al mondo intero con una condotta santa di vita.
I cristiani sono santi per dono di grazia, devono essere santi in ogni singolo atto della loro vita, la quale, in ogni più piccola sua manifestazione o espressione, deve attestare questa nuova dignità, ricevuta per grazia, non certo per merito.
I cristiani sono partecipi “di una vocazione celeste”. Qual è questa vocazione celeste? Anche se l’Autore non lo dice in questo contesto con parole esplicite, essa si può facilmente desumere.
La vocazione celeste del cristiano è quella di essere figlio di Dio per adozione e quindi di essere erede del Cielo.
Il cristiano è chiamato al Cielo, al Paradiso, alla vita eterna, alla comunione con Dio, ad essere suo figlio di adozione e ad abitare per sempre nella sua casa.
La vocazione celeste è anche quella di essere “corpo di Cristo”, “tempio dello Spirito Santo”, “casa di Dio” sulla terra.
La vocazione celeste è la sua elevazione alla “divinizzazione”: “Voi siete dei”, “Dei” per generazione spirituale da Dio, per partecipazione della sua divina natura.
Questa è la più alta vocazione concessa mai ad una creatura: essere resa partecipe della divina natura.
Di questa vocazione il cristiano deve prendere coscienza, deve essere responsabile, deve produrre ogni frutto di santità, di grazia, di verità, di giustizia e di pace secondo questa sua nuova vocazione e anche nuova natura, perché in Cristo realmente ha ricevuto una nuova natura, realmente è stato rigenerato, realmente è nato a nuova vita, è stato fatto figlio di Dio, è stato reso partecipe della natura divina.
Dopo aver richiamato il cristiano a considerare la sua nuova, altissima dignità, la sua nuova, altissima vocazione, l’Autore lo invita a fissare bene lo sguardo su Gesù.
Il cristiano si comprende se guarda Cristo, se fissa lo sguardo su di Lui. Deve fissare lo sguardo di Gesù per conoscerlo, per sapere chi Lui è secondo pienezza di verità.
Ogni errore su Cristo immancabilmente, irrimediabilmente diviene un errore sul cristiano e in modo più generale sull’uomo.
L’uomo si comprende da Cristo, si conosce da Lui. Si sa chi è l’uomo guardando e fissando lo sguardo su Gesù.
Chi non guarda Cristo non sa chi lui è, non sa neanche chi è l’uomo, perché esiste, qual è la sua vocazione, quale il suo futuro.
Tutto è da Cristo. Niente è senza di Cristo, fuori di Cristo, lontano da Lui.
Per questo motivo è necessario conoscere Cristo e conoscerlo secondo pienezza di verità, di dottrina, di scienza, di sapienza, di intelligenza, di ogni altro genere di conoscenza.
Questa conoscenza non può avvenire se non nello Spirito Santo. Ma lo Spirito Santo agisce nella preghiera del cristiano, nella sua applicazione di meditazione e di riflessione, nella sua crescita in santità.
La vera conoscenza di Cristo è dono dello Spirito Santo e lavoro ininterrotto da parte dello stesso cristiano. Questi cresce nella conoscenza vera di Cristo, se cresce in grazia. Se non cresce in grazia, neanche può crescere in conoscenza.
La grazia aiuta la conoscenza; la conoscenza aiuta la grazia.
Chi è Cristo, su cui bisogna fissare bene lo sguardo? In questo primo versetto viene definito “l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo”.
Gesù è colui che dona la vera fede. Gesù è colui che serve la vera fede. La dona e la serve. La dice e la insegna. L’annunzia e la spiega.
È apostolo perché inviato dal Padre. L’apostolo non è da sé. Se fosse da sé non sarebbe apostolo.
L’apostolo è da “altri”. Gesù è dal Padre, da Dio.
Viene manifestata la missione celeste di Cristo. Egli è apostolo della nostra fede non per sua volontà, ma per volontà di Colui che lo ha inviato, che lo ha chiamato, che lo ha costituito.
Così dicasi anche dell’altra espressione: “sommo sacerdote”. Anche il “sacerdote” non è da sé, è da Dio. È Dio che sceglie e che costituisce; è Dio che chiama e che consacra; è Dio che suscita e che eleva.
Dicendo l’Autore che Gesù è “l’apostolo e il sommo sacerdote della fede che noi professiamo”, dice una verità assai gravida di responsabilità: la fede che noi professiamo non viene dalla terra, viene dal Cielo, viene da Dio.
Viene da Dio perché Cristo Gesù viene da Dio, è da Dio. L’origine di Cristo è da Dio. Se è da Dio, dobbiamo chiederci perché Dio ha voluto così, ma prima ancora: se crediamo in Dio dobbiamo accogliere colui che Dio ci ha inviato per manifestarci la sua volontà.
Il problema cristologico si fa immediatamente teologico. La risposta su Cristo la si trova in Dio, non in Cristo.
Cristo è dalla volontà del Padre, dal volere di Dio. Cristo è in mezzo a noi perché così Dio ha deciso, voluto, stabilito, attuato.
Spostando il problema da Cristo a Dio si entra nel mistero insondabile della libertà di Dio.
La volontà di Dio si può accogliere, si può rifiutare. Chi l’accoglie, accoglie la vita; chi la rifiuta, percorre vie di morte.
Da puntualizzare che uno dei compiti, anzi il compito per eccellenza del Sacerdote era quello dell’insegnamento della Legge. Prima che un offerente il Sacerdote era un insegnante, uno che dava, spiegava, insegnava, applicava al popolo la Legge del Dio Altissimo.
Due citazioni bastano da sole a confermare questa verità (cfr. Lev. 10,8-11
“Il Signore parlò ad Aronne: Non bevete vino o bevanda inebriante né tu né i tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, perché non moriate; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; questo perché possiate distinguere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è immondo da ciò che è mondo e possiate insegnare agli Israeliti tutte le leggi che il Signore ha date loro per mezzo di Mosè” (Lev. 10.8-11).
In Osea è mostrato tutto il disastro spirituale del popolo, perché carente dell’insegnamento del Sacerdote. È bene leggere tutto il capitolo 4.
“Ascoltate la parola del Signore, o Israeliti, poiché il Signore ha un processo con gli abitanti del paese. Non c'è infatti sincerità né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa strage e si versa sangue su sangue.
Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno. Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l'accusa. Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e fai perire tua madre. Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e io dimenticherò i tuoi figli.
Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in vituperio. Essi si nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità. Il popolo e il sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro condotta, e li retribuirò dei loro misfatti. Mangeranno, ma non si sazieranno, si prostituiranno, ma non avranno prole, perché hanno abbandonato il Signore per darsi alla prostituzione. Il vino e il mosto tolgono il senno.
Il mio popolo consulta il suo pezzo di legno e il suo bastone gli dà  il responso, poiché uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio. Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano incensi sotto la quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è la loro ombra. Perciò si prostituiscono le vostre figlie e le vostre nuore commettono adulterio. Non punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e con le prostitute sacre offrono sacrifici; un popolo, che non comprende, va a precipizio. Se ti prostituisci tu, Israele, non si renda colpevole Giuda. Non andate a Gàlgala, non salite a Bet-Avèn, non giurate per il Signore vivente. E poiché come giovenca ribelle si ribella Israele, forse potrà pascolarlo il Signore come agnello in luoghi aperti? Si è alleato agli idoli Efraim, si accompagna ai beoni; si son dati alla prostituzione, han preferito il disonore alla loro gloria. Un vento li travolgerà con le sue ali e si vergogneranno dei loro sacrifici”.
[2]il quale è fedele a colui che l'ha costituito, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa.
Gesù è l’inviato di Dio. La domanda giusta che ognuno potrebbe farsi è questa: Gesù è stato fedele a Dio, a colui che lo ha costituito “apostolo e sommo sacerdote della fede”?
La risposta è affermativa, senza ombra di dubbio: Gesù è stato fede al pari di Mosè.
Come Mosè fu costituito a capo della casa di Dio, cioè del suo popolo, e fu trovato fedele, così anche Cristo Gesù, costituito da Dio a capo della sua casa, del suo popolo, è stato trovato fedele in tutto.
Di questo fatto si parla nel Libro dei Numeri. Leggendo il capitolo 12 si ha una chiara comprensione di chi è stato veramente Mosè per il Signore:
“Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della donna etiope che aveva sposata; infatti aveva sposato una Etiope. Dissero: Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro? Il Signore udì. Ora Mosè era molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra.
Il Signore disse subito a Mosè, ad Aronne e a Maria: Uscite tutti e tre e andate alla tenda del convegno. Uscirono tutti e tre. Il Signore allora scese in una colonna di nube, si fermò all'ingresso della tenda e chiamò Aronne e Maria. I due si fecero avanti. Il Signore disse: Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli guarda l'immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo Mosè?
L'ira del Signore si accese contro di loro ed Egli se ne andò; la nuvola si ritirò di sopra alla tenda ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aronne guardò Maria ed ecco era lebbrosa. Aronne disse a Mosè: Signor mio, non addossarci la pena del peccato che abbiamo stoltamente commesso, essa non sia come il bambino nato morto, la cui carne è già mezzo consumata quando esce dal seno della madre. Mosè gridò al Signore: Guariscila, Dio! Il Signore rispose a Mosè: Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe essa vergogna per sette giorni? Stia dunque isolata fuori dell'accampamento sette giorni; poi vi sarà di nuovo ammessa. Maria dunque rimase isolata, fuori dell'accampamento sette giorni; il popolo non riprese il cammino, finché Maria non fu riammessa nell'accampamento. Poi il popolo partì da Caserot e si accampò nel deserto di Paran”.
In questo versetto si afferma la prima fondamentale verità su Cristo: Egli è stato fedele a Dio al pari di Mosè. Ma anche: Egli, al pari di Mosè, è stato costituito da Dio uomo di fiducia sulla sua casa.
Se la fedeltà è uguale, le persone non sono uguali. Cristo e Mosè non sono uguali. Qual è dunque la differenza che fa distinguere Cristo da Mosè e Mosè da Cristo?
[3]Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta maggior gloria, quanto l'onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa.
La differenza è detta attraverso una similitudine che merita tutta la nostra attenzione, ma soprattutto la nostra intelligenza per comprenderla nel suo vero significato di rivelazione.
La casa è per l’uomo, non l’uomo per la casa. Mosè è per la casa. La casa è di Dio. La casa è per il Signore. Mosè è per il Signore, perché Lui è per la casa del Signore.
La casa è di Dio e Mosè in questa casa è l’uomo di fiducia di Dio. La casa non è di Mosè.
Mosè non è né il padrone, né il signore della casa. Lui è il servitore della casa.
Affiora e si manifesta la prima differenza tra Mosè e Cristo. La gloria di Mosè è quella di essere stato servitore della casa di Dio.
La gloria di Cristo è molto più grande. La sua è la stessa gloria del Padrone, del Signore della casa.
Gesù è il costruttore della casa, Mosè è il servo. La casa è di Cristo, Mosè è servo di Cristo.
Mosè è per Cristo, è in funzione di Cristo, è a servizio di Cristo.
Se fu grande la gloria di Mosè, più grande, divinamente più grande dovrà essere la gloria di Gesù.
Se la gloria di Mosè era reputata più grande della gloria degli Angeli, quale non sarà mai la gloria di Cristo, Creatore e Signore degli stessi Angeli?
Mosè, al pari degli Angeli, è una creatura di Dio, anche se investita di una missione particolare, singolare, unica.
Cristo non è solo creatura, perché vero uomo, è anche Creatore, perché vero Dio. Questa differenza non può essere nascosta, taciuta, sminuita, contraffatta, alterata. Questa differenza deve essere evidenziata in tutta chiarezza di verità e di dottrina. Lo esige la fede, di cui Gesù è apostolo e sommo sacerdote; lo esige la verità che Lui è venuto ad annunziare al mondo intero; lo richiede il Vangelo che Lui è venuto a proclamare ad ogni uomo.
[4]Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio.
Viene ribadita la verità già evidenziata.
Ogni casa viene costruita da qualcuno. Mosè non è il costruttore della casa di Dio. Mosè è solo il custode fedele.
Costruttore della casa è Dio. Anzi qui Dio viene detto “costruttore di tutto”.
Dicendo che Dio è costruttore di tutto si vuole affermare una verità che va oltre ogni attesa.
Prima di tutto si mette la coscienza del cristiano dinanzi a Dio, alla sua volontà, alla sua opera.
La coscienza del cristiano non deve relazionarsi con Cristo. Cristo non è da sé. Se fosse da sé, sarebbe giusto che ci relazionassimo con Lui.
Ma Cristo non è da sé, è da Dio e quindi è giusto che ci relazioniamo con Dio.
Qual è la verità che supera ogni attesa? È proprio questa: lo spostamento dell’asse di coscienza da Cristo a Dio.
L’autore afferma la verità delle verità: Cristo è “costruito da Dio”, dal momento che “costruttore di tutto è Dio”.
Se Cristo è stato “costruito da Dio”, è giusto che ci chiediamo perché Dio lo ha costruito?
La coscienza che si pone davanti a Dio riguardo a Cristo, deve porsi anche davanti a Dio nei confronti di Mosè.
Mosè è costruito da Dio. Cristo è costruito anche da Dio. Perché Dio ha costruito Mosè? Perché ha costruito Cristo?
Se accettiamo Mosè, perché non dovremmo accettare Cristo, dal momento che Autore di entrambi è Dio?
È possibile accogliere Mosè e rifiutare Cristo, o rifiutare Cristo in nome di Mosè, dal momento che il punto di riferimento della coscienza non è né Mosè, né Cristo, ma Dio?
Questa metodologia per spostamento dell’asse della coscienza non vale solo per rapporto a Cristo e a Mosè, vale per ogni altro intervento di Dio sulla nostra terra.
Se è Dio che costruisce tutto, che ha costruito tutto, la prima domanda che dobbiamo porre al nostro spirito è questa: ciò che è dinanzi ai nostri occhi è vera costruzione di Dio?
Se cogliamo dalla Scrittura che è vera costruzione di Dio, l’asse si sposta ancora una volta e va dalla nostra intelligenza alla sapienza eterna di Dio e alla sua volontà che è imperscrutabile.
Noi abbiamo il dovere di cogliere la verità di un’opera di Dio, partendo dalla Scrittura, non abbiamo il potere di conoscerne il perché. Questo non ci è dovuto, come non è dovuto al servo sapere il perché di una costruzione del Padrone, o perché il Padrone usa quella forma anziché quell’altra, oppure quelle persone, anziché altre.
Verità e mistero, volontà e intelligenza non sono la stessa cosa. La volontà è del Signore. L’opera è del Signore. Le persone sono del Signore.
A noi appartiene cogliere la verità. Il resto non ci è dato, perché non è nostro. È di Dio e lo è in modo assoluto.
[5]In verità Mosè fu fedele in tutta la sua casa come servitore, per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi;
In questo versetto vengono annunciate due verità: chi è Mosè, qual è stata la missione di Mosè.
Mosè è il servitore in tutta la casa di Dio. Nel suo servizio fu trovato fedele.
La sua missione però non finiva in se stessa, nella sua persona.
Il suo servizio era finalizzato a preparare le cose future, ciò che il Signore avrebbe annunziato più tardi.
Così definita e compresa la missione di Mosè, è un servizio e una missione che preparano a Cristo.
Mosè è in funzione di Cristo. Mosè è servo di Cristo, servo cioè della sua missione, che egli in qualche modo deve preparare, anche se remotamente, in tempi assai lontani.
Che la missione non finisce in Mosè, non finisce con Mosè lo attesta la stessa promessa fatta da Dio allo stesso Mosè. Leggiamo infatti nel Deuteronomio, al capitolo 18, 15-19:
“Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia. Il Signore mi rispose: Quello che hanno detto, va bene; io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”.
Mosè stesso guarda molto in avanti, in un futuro assai lontano dai suoi occhi di carne. Ciò vuol dire una cosa sola: non è lui la salvezza definitiva del popolo di Dio; non è in Lui che questa salvezza si compie.
Tuttavia c’è da dire una verità: l’Autore può affermare questo perché sa leggere la Storia della Salvezza in tutto il suo arco di preparazione. Il fondamento di quanto egli sta dicendo di Mosè lo si trova nella Scrittura, in tutta la Scrittura.
Nessuno pensi che lui faccia il ragionamento opposto: che parta cioè dalla storia di Gesù, dalla sua missione, per affermare l’incompiutezza dell’opera di Mosè o la sua finalizzazione a Cristo Signore.
Se avesse fatto questo, la sua sarebbe interpretazione, rivelazione e non dimostrazione.
Invece l’Autore ha un solo fine nella sua trattazione: dimostrare attraverso la Scrittura – e per Scrittura intende e si deve intendere l’Antico Testamento e solo Esso – che quanti hanno preceduto Cristo, dal più piccolo al più grande, passando per Abramo, Mosè, Davide, i Profeti, i Giusti e i Saggi della storia di Israele, tutti costoro hanno guardato assai lontano dai loro occhi.
Tutta la Scrittura Antica guarda verso Colui che deve venire e chi deve venire è solo il Messia di Dio, che non è nessuno tra tutti coloro che lo annunziano ed essi stessi lo attendono.
Anche Mosè guardava lontano, assai lontano, allo stesso modo di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di ogni altro uomo di Dio.
Questa è verità constatabile, verificabile, evidente. È sufficiente aprire la Scrittura Antica ed ogni sua pagina invita a guardare oltre se stessa.
[6]Cristo, invece, lo fu come figlio costituito sopra la sua propria casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.
Dalla stessa Scrittura Antica sappiamo, dobbiamo pervenire alla vera conoscenza di Cristo Gesù.
La prima verità su Cristo è questa: Egli non è nella casa di Dio come servitore. Non così lo ha costituito il Signore.
Gesù è stato costituito figlio e la casa è anche sua. È figlio nella sua propria casa.
La prima differenza con Mosè è nella figliolanza. Cristo è vero Figlio di Dio, figlio generato, figlio che è da Lui, che è della sua stessa natura.
Questa identità naturale, per generazione, è solo di Gesù e di nessun altro uomo, né prima Mosè, né dopo Mosè, e nemmeno dopo lo stesso Cristo. Gesù è il solo, è l’unico, è eternamente così. Prima della stessa creazione del cielo e della terra Lui è figlio del Padre.
La seconda differenza è la stessa relazione con la casa di Dio. La casa di Dio è casa di Cristo; è propria di Dio, come è propria di Cristo.
È propria di Cristo, perché Lui è il Figlio del Padre ed essendo Figlio del Padre è suo tutto ciò che è del Padre.
Non dimentichiamoci che l’Autore ha iniziato la sua trattazione su Cristo dicendo che Lui è stato costituito da Dio suo erede universale. Tutto ciò che è del Padre è suo. Sua è anche la casa da salvare, il popolo da redimere, l’umanità da condurre alla salvezza.
Viene anche precisato chi è “la casa di Dio”, la “sua propria casa”. Questa casa sono tutti coloro che hanno creduto, credono e crederanno in Cristo Gesù.
Si diviene casa di Dio per la fede in Cristo e rinascendo da acqua e da Spirito Santo. Ma il divenire casa, non significa rimanere per sempre casa di Dio, casa di Cristo.
Rimane casa di Dio e di Cristo chi conserva la libertà e la speranza che ha ricevuto il giorno in cui è divenuto credente e di cui si vanta.
La libertà del cristiano è la sua verità. La sua verità è Cristo Gesù. Anche la speranza del cristiano è Cristo. È la vittoria sulla morte che lo avvolgerà nell’ultimo giorno, ma prima ancora è la certezza di abitare già fin dal momento della morte nel Cielo, presso Dio, in comunione con gli Angeli e con i Santi.
La speranza è il frutto della libertà, mentre la libertà è frutto della verità. La verità è il frutto della conoscenza santa della Parola di Cristo.
Chi si distacca dalla Parola di Cristo, si distacca da Cristo, perde la Parola, la verità, la libertà, la speranza, ritorna nella sua vecchia schiavitù del peccato, delle tenebre, dell’errore, del vizio, del male.
È questo il motivo per cui bisogna conservare la libertà e la speranza di Cristo, perché sono questi i beni che Gesù è venuto a creare in noi, ma li crea non separatamente da Lui, dalla sua Parola, dal Suo Vangelo. Li crea invece in Lui, attraverso la Sua Parola, che si fa verità in noi, libertà, speranza.
Anche in questo vi è una grandissima differenza con Mosè. La Parola di Mosè era Parola di Dio, non era parola sua. Quella di Cristo è insieme Parola di Dio e Parola di Cristo. È una sola Parola: di Cristo e di Dio.
È questa Parola la fonte della libertà e della speranza, perché Cristo è la fonte di questi beni divini.
Tutto questo è per l’Autore desumibile dalla Scrittura Antica ed in verità è proprio così.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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