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COMMENTO ALLA TERZA LETTERA DI S.GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2012 12:32
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09/01/2012 12:29
 
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Chi parla ha l’obbligo di operare un sano e santo discernimento perché non si carichi di pesi inutili né i singoli, né le comunità.
Chi ascolta ha l’obbligo di una obbedienza piena, senza tentennamenti, senza ritardi, senza rinvii, senza tergiversazione, ma anche senza il discernimento sull’opportunità o meno di fare ciò che gli è stato detto. Più sollecita e pronta sarà l’obbedienza, e più efficace sarà l’opera di salvezza che si realizzerà per mezzo del suo ascolto.
La vita della comunità è dalla sintonia perfetta tra discernimento ed obbedienza.
Un cattivo discernimento crea delusione, scoraggiamento, sgretolamento dello stesso principio di obbedienza che è sempre insito nella verità cristiana.
Una cattiva, o mancata obbedienza, provoca, in chi rivela e parla, tristezza, che alla fine potrebbe anche rivelarsi come abbandono di ogni discernimento, stanchezza nell’operare altri discernimenti.
Alla fine ogni responsabilità ricade su colui che deve parlare, che è chiamato a parlare, che è tenuto a parlare.
Costui deve imitare in tutto il suo Maestro e Signore. Deve essere capace per l’affermazione della verità di andare fin sulla croce, perché la croce la vera cattedra dalla quale si proclama, si annunzia, si ricorda la verità della salvezza.
Da Cristo Gesù ognuno che governa la comunità deve imparare che non c’è salvezza se non dalla croce e la croce è il dono della nostra vita perché ogni cuore ascolti la Parola che lo salva.
[15]La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici ad uno ad uno.
L’augurio è il desiderio più grande che è nel nostro cuore.
L’augurio è la manifestazione del nostro cuore al fratello nella sua volontà di sommo bene per lui.
L’augurio rivela la profondità del nostro cuore. Svela tutto il bene che noi vogliamo per l’altro.
Non essendoci però corrispondenza tra cuore e bocca, nell’ipocrisia e nella malvagità, la bocca potrebbe proferire solo parole di adulazione, parole ingannatrici, parole che manifestano un cuore che non esiste al fine di mentire al fratello.
Le parole del Salmo sono chiare di una chiarezza divina:
Salmi - cap. 54,1-24: “Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Maskil. Di Davide. Porgi l'orecchio, Dio, alla mia preghiera, non respingere la mia supplica; dammi ascolto e rispondimi, mi agito nel mio lamento e sono sconvolto al grido del nemico, al clamore dell'empio. Contro di me riversano sventura, mi perseguitano con furore.
Dentro di me freme il mio cuore, piombano su di me terrori di morte. Timore e spavento mi invadono e lo sgomento mi opprime. Dico: Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo? Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto. Riposerei in un luogo di riparo dalla furia del vento e dell'uragano.
Disperdili, Signore, confondi le loro lingue: ho visto nella città violenza e contese. Giorno e notte si aggirano sulle sue mura, all'interno iniquità, travaglio e insidie e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno. Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa.
Piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi; perché il male è nelle loro case, e nel loro cuore. Io invoco Dio e il Signore mi salva. Di sera, al mattino, a mezzogiorno mi lamento e sospiro ed egli ascolta la mia voce; mi salva, mi dà pace da coloro che mi combattono: sono tanti i miei avversari. Dio mi ascolta e li umilia, egli che domina da sempre. Per essi non c'è conversione e non temono Dio. Ognuno ha steso la mano contro i suoi amici, ha violato la sua alleanza. Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell'olio le sue parole, ma sono spade sguainate.
Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno, mai permetterà che il giusto vacilli. Tu, Dio, li sprofonderai nella tomba gli uomini sanguinari e fraudolenti: essi non giungeranno alla metà dei loro giorni. Ma io, Signore, in te confido”.
Il cuore del presbitero è pieno di Dio. In lui c’è questa perfetta corrispondenza tra il suo essere e il suo dire.
Lui è pieno di pace. Lui è operatore di pace. Lui è figlio della pace. Lui sa cosa è la pace di Cristo.
La pace di Cristo è il ritorno dell’uomo nella sua verità di origine, verità di creazione, ma molto di più verità di redenzione, di giustificazione, di santificazione, di partecipazione della divina natura.
Questa pace lui augura a Gaio. Questa pace vuole che dimori nel cuore di Gaio. Questa pace vuole che inondi Gaio e lo trasformi in una nuova creatura.
Chi conosce cosa è veramente la pace di Cristo, altro non desidera, altro non può desiderare, bramare, se non di possedere questa pace; altro non può augurare ai fratelli se non di essere nella pace e la pace di essere in loro.
Il saluto fa così accoglienza dell’altro nella propria comunione di vita. L’altro, nel saluto, è parte di noi.
Ogni comunità è parte di ogni altra comunità. Ogni comunità saluta le altre comunità, le riconosce parte di sé, le accoglie come parte di sé.
La comunità è fatta di una moltitudine di persone. Queste non sempre sono in comunione gli uni con gli altri.
Dovrebbero esserlo, ma spesso non lo sono. Forse per questo il presbitero dice a Gaio: Gli amici ti salutano; ed anche: Saluta gli amici ad uno ad uno.
Sappiamo per esempio che Diotrefe non è amico di Gaio. Non è neanche amico di molti altri fratelli.
Non è amico dei fratelli perché non è amico di Cristo Gesù.
Cosa è in verità l’amicizia secondo il Nuovo Testamento? Quali indicazioni esso ci dona perché possiamo identificare bene la nozione, o il concetto, o la verità che sottostà alla parola “amicizia”, o “amico”. Gesù stesso come la concepisce nei suoi discorsi, specie in quelli tenuti nell’Ultima Cena, prima della sua passione e morte? Fin da ora si può dire che seguendo passo passo tutto il Nuovo Testamento, è possibile cogliere il concetto ed avere una nozione assai chiara su questa realtà, fondamentale nelle relazioni degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro.
“E` venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere” (Mt 11,19).
“Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?” (Mt 20,13).
“Gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì” (Mt 22,12).
“E Gesù gli disse: Amico, per questo sei qui! Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono” (Mt 26,50).
“Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto” (Lc 7,6).
“E` venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Lc 7,34).
“Poi aggiunse: Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani” (Lc 11,5).
“Perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti” (Lc 11,6).
“Vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza” (Lc 11,8).
“A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla” (Lc 12,4).
“Invece quando sei invitato, va’ a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali” (Lc 14,10).
“Disse poi a colui che l'aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio” (Lc 14,12).
“Va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta” (Lc 15,6).
“E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta” (Lc 15,9).
“Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15,29).
“Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).
“Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi” (Lc 21,16).
“In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro” (Lc 23,12).
“Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta” (Gv 3,19).
“Le sorelle mandarono dunque a dirgli: Signore, ecco, il tuo amico è malato” (GV 11,3).
“Così parlò e poi soggiunse loro: Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo” (GV 11,11).
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
“Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Gv 15,14).
“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
“Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare” (Gv 19,12).
“Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli ed aveva invitato i congiunti e gli amici intimi” (At 10.24).
“Anche alcuni dei capi della provincia, che gli erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro” (At 19,31).
“E ordinò al centurione di tenere Paolo sotto custodia, concedendogli però una certa libertà e senza impedire a nessuno dei suoi amici di dargli assistenza” (At 24,23).
“Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure” (At 27,3).
“Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso” (Flm 1.17)-
“E si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio”. (Gc 2,23).
“La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici ad uno ad uno”(3Gv 1,15).
Come si può constatare l’amicizia implica comunione di cuore, di volontà, di pensiero, della stessa anima. Nell’amicizia è come se si divenisse una cosa sola con l’altro. Cuore, pensiero, volontà, anima, desiderio devono essere una cosa sola, altrimenti non può esistere alcuna amicizia. Senza e fuori di questa comunione, non ci sono amici. Quanto più questa comunione è piena e perfetta, tanto più è piena e perfetta l’amicizia. La carenza di uno di questi elementi, rende l’amicizia instabile, o addirittura inesistente.
Con Cristo l’amicizia è vera se il cuore di Cristo, i suoi pensieri, la sua volontà, i suoi desideri, la sua stessa anima diventano nostri.
Siamo amici di Cristo se pensiamo con i suoi pensieri, vogliamo con la sua volontà, amiamo con il suo cuore, desideriamo secondo il suo Santo Spirito, operiamo la nostra santità con la sua anima santissima.
Con Cristo chi determina “le regole” dell’amicizia è Lui, non siamo noi. In questo caso, con Cristo l’amicizia si fonda sulla nostra perfetta obbedienza alla sua Parola. Con Cristo l’amicizia nasce dall’obbedienza, dall’ascolto, dalla messa in pratica di ogni sua Parola.
Se l’obbedienza è inesistente, inesistente sarà anche l’amicizia.
Diotrefe non ascolta Cristo Gesù. Non compie la sua volontà. Non ama come Cristo ha amato. Non pensa secondo i pensieri di Cristo. Non vive con l’anima di Cristo nel suo cuore.
Diotrefe non è amico del presbitero, né di Gaio, né di altri. Lui è nemico di Cristo, nemico della comunità, nemico di Dio e degli uomini.
Diotrefe cerca solo se stesso, ama solo se stesso, pensa solo a se stesso.
Diotrefe è un distruttore dell’opera di Cristo Gesù. Per questo non è suo amico.
Quanti amano Cristo Gesù salutano Gaio. Gaio deve salutare quanti amano Cristo Gesù. Deve salutarli ad uno ad uno.
Da tutti riceve l’amore di Cristo, la loro amicizia in Cristo Gesù. A tutti gli amici di Cristo deve manifestare il suo amore, la sua amicizia in Cristo Gesù.
La comunità si edifica anche sulla manifestazione di questo amore.
Quest’amore manifestato, offerto, donato è la forza che spinge la comunità a compiere il suo ministero sino alla fine.
Quest’amore è aiuto prezioso perché esso rende tutta la comunità una cosa sola con Cristo Gesù e chi è una cosa sola in Cristo, chi sa di essere una cosa in Cristo, chi manifesta questo suo essere una cosa sola in Cristo agli altri, altro non fa che rinsaldare i legami con Cristo e con la sua invincibilità.
Chi è una cosa sola con Cristo vince il mondo, perché Cristo ha vinto il mondo.
Chi sostiene l’altro nel suo essere una cosa sola con Cristo, aiuta l’altro a vincere il mondo come Cristo Gesù ha vinto il mondo.
Se siamo una cosa sola in Cristo, non possiamo essere gli uni contro gli altri. Se siamo gli uni contro gli altri è perché non siamo una cosa sola in Cristo Gesù.
È proprio degli amici di Cristo Gesù essere una cosa sola in Cristo Gesù, con Lui e per Lui. Salutarsi è riconoscersi amici di Cristo Gesù e in Cristo Gesù. Salutarsi è desiderio di attestare agli altri il nostro amore per Cristo e di ricevere dagli altri il loro amore per Cristo Gesù.
È nell’amore di Cristo che si consuma la vita del discepolo del Signore. È in questo amore che lui compie ogni cosa, anche la più semplice, che è quella di salutare e di accogliere il saluto.
Il saluto nella Scrittura non è una pura e semplice convenienza. È la manifestazione del proprio cuore, della propria anima, del proprio spirito.
Due saluti meritano di essere da noi altamente considerati. In questi due saluti è il rinnovamento dell’umanità intera.
Vangelo secondo Luca - cap. 1,26-33: “Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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