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COMMENTO ALLA TERZA LETTERA DI S.GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2012 12:32
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09/01/2012 12:27
 
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“Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno” (Mt 13,38).
“Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché mi tentate?” (Mt 22,18).
“Costoro lo interrogarono: Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. E` lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare? Conoscendo la loro malizia, disse: Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?. Risposero: Di Cesare. Ed egli disse: Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero. (Lc 20,21-26).
“Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno” (Gv 17,15).
“O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore?” (At 13,10).
“Colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori” (Rm 1,29).
“Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1Cor 5,8).
“Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi” (1Cor 14,20).
“Temo però che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo” (2Cor 11,3).
“Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità” (Ef 4,31).
“Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno” (Ef 6,16).
“Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca” (Col 3,8).
“Ma il Signore è fedele; egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno” (2Ts 3,3).
“Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime” (Gc 1,21).
“Deposta dunque ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza” (1Pt 2,1).
“Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio” (1Pt 2,16).
“Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno” (1Gv 2,13).
“Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre. Ho scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno” (1Gv 2,14).
“Non come Caino, che era dal maligno e uccise il suo fratello. E per qual motivo l'uccise? Perché le opere sue erano malvagie, mentre quelle di suo fratello eran giuste” (1Gv 3,12).
“Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca” (1Gv 5,18).
“Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19).
“Per questo, se verrò, gli rinfaccerò le cose che va facendo, sparlando contro di noi con voci maligne. Non contento di questo, non riceve personalmente i fratelli e impedisce di farlo a quelli che lo vorrebbero e li scaccia dalla Chiesa” (3Gv 1,10).
Con le sue voci maligne Diòtrefe infanga la persona del presbitero. Lo dipinge agli occhi della comunità come un nemico della verità, del bene. Lo distrugge nel loro cuore, in modo che possa mettere al suo posto se stesso.
È questa vera tattica diabolica. Chi opera questo è vero nemico di Dio, un idolatra, uno che distrugge il regno di Dio, anziché edificarlo sulla terra.
Al maligno non interessa il Vangelo, la sua diffusione tra gli uomini e neanche l’edificazione della comunità cristiana. Al maligno interessa solo se stesso. Perché lui sia celebrato, esaltato, adorato, magnificato, messo al posto di Dio nella comunità, è capace di qualsiasi cosa.
Quando un cuore è governato dalla malignità, tutto è capace di fare perché raggiunga lo scopo prefissato: anche la morte fisica di quanti pongono ostacolo sul suo cammino di stoltezza e di insipienza.
Dalla malignità dei sommi sacerdoti, degli scribi e dei farisei Cristo Gesù fu messo a morte, fu da loro condannato come bestemmiatore.
Diòtrefe, nella sua insana mira di ottenere il primo posto nella comunità, non solo infanga la persona del presbitero perché non venga più né amato, né rispettato, né riverito come “naturale” capo della comunità, quanto anche mette in moto un’altra astuta macchina da guerra contro la verità e contro il bene.
Lui fa di tutto per creare il vuoto attorno alla comunità nella quale vive.
Se una comunità viene chiusa in se stessa, è facile governarla con la bugia, la menzogna, la falsità, la malignità, l’astuzia, l’inganno, l’ambiguità, ogni altro ritrovato delle tenebre e dell’errore.
È come se in una casa si chiudessero tutte le porte e le finestre. Il buio sarebbe eterno. La luce mai potrebbe illuminare questa casa.
Diòtrefe chiude porte e finestre ad ogni possibile luce di verità e di santità proveniente dalle altre comunità.
Se un cristiano, un fedele, uno che ama la verità e la luce viene da un’altra comunità e vede le tenebre nelle quali questi discepoli di Cristo sono rinchiusi, prigionieri, schiavi, con una sua parola potrebbe far ritornare la luce nei loro cuori, la verità nelle loro menti.
Come fare perché questo non avvenga? Si chiudono le porte e le finestre della comunità a quanti vengono dalle altre comunità, nelle quali si respira aria di verità, di carità, di amore, di rispetto, di sincerità, di santità.
Diòtrefe personalmente si rifiuta di accogliere i fratelli. Personalmente pone un muro di bronzo, una porta di acciaio invalicabile a quanti vengono da fuori.
Non contento di questo e temendo che altri possono aprire le porte del loro cuore e della loro casa ai fratelli delle altre comunità, impedisce di farlo a quelli che vorrebbero farlo.
Se la frase ultima: “li scaccia dalla Chiesa”, si riferisce a quelli che vorrebbero accogliere i fratelli, siamo veramente al sommo della cattiveria, della malignità, della malvagità.
Scacciare dalla Chiesa quanti vorrebbero accogliere i fratelli, è opera di distruzione della comunità cristiana.
Ma è anche volontà satanica di schiavizzare, tenendoli legati con corde indistruttibili di falsità, tutti i membri della comunità cristiana.
Il peso del peccato è anche questo. Nessuna comunità cristiana può ritenersi esente da uomini come Diòtrefe.
La domanda giusta da porsi è questa: ci si può liberare da siffatti uomini? La risposta giusta è una sola: ci si può liberare ad una sola condizione: che si scelga il martirio pur di non lasciarsi schiavizzare dalla malignità di questi uomini.
Il presbitero manifesta a Gaio l’intenzione di riprendere a viso aperto Diòtrefe per rinfacciargli le cose che sta facendo.
La sola parola del presbitero non è sufficiente, se non viene sostenuta dalla presa di posizione di tutta la comunità cristiana.
Ci sono momenti nella vita del popolo di Dio in cui la via della verità e della salvezza passa per il presbitero, per le sue scelte, per le sue prese di posizioni.
Se lui tace, subisce, si lascia imprigionare nell’errore e nella falsità, è la sua fine e di tutta la comunità.
Il male si vince con la scelta del bene sempre. Per scegliere il bene bisogna avere la forza nello Spirito Santo di andare fino in fondo nella scelta della verità, della carità, della fede, della speranza. Il “fino in fondo” del bene è la croce. Solo dalla croce si sceglie e si difende il bene.
Diòtrefe è l’attestazione che anche nella comunità cristiana si può insediare il male. Neanche essa è esente dalla malizia, dalla perversità, dalla malignità.
Diòtrefe insegna a tutti noi che buon grano e zizzania sono cresciuti, crescono e cresceranno sempre insieme. Solo alla fine del mondo, verranno gli Angeli di Dio e separeranno i buoni dai cattivi.
Fino a quel giorno chi vuole perseverare sino alla fine, lo deve fare solo sul proprio sangue, sul proprio martirio, sul sacrificio dell’offerta di se stesso al Padre.
Il mistero dell’iniquità si potrà sempre nella comunità impadronire di chiunque. Ognuno pertanto è chiamato a vigilare perché rimanga sempre nella verità. Ognuno è invitato a stare attento a non lasciarsi tentare dal mistero dell’iniquità.
La comunione con il mistero dell’iniquità ci rende responsabili di tutti i misfatti che il mistero dell’iniquità commette.
[11]Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio.
Gaio è invitato dal presbitero a non imitare il male. Gli chiede di fare sempre il bene.
Il male non si fa solo per imitazione di coloro che lo fanno. Il male si fa anche prestando collaborazione a coloro che fanno il male.
Il male si fa anche non denunciandolo apertamente; giustificando coloro che lo fanno; non prendendo posizione netta contro il male.
Il cristiano, se vuole evitare di fare il male, deve scegliere la verità di Dio e per questa verità non conoscere nessuno sulla terra.
La verità obbliga a stare dalla parte della verità sempre, con ogni mezzo, ogni modo, con tutte le persone.
La connivenza, l’omertà, il silenzio, il chiudere un occhio, il far finta di non sentire, ogni altra azione attiva e passiva, che in qualche modo viene percepita dall’altro, da chiunque altro, come sintonia, comunione, partecipazione al male dell’altro, ci rende responsabile del male che l’altro compie.
Essere cristiani è veramente difficile. Non è difficile per la scelta di Cristo Gesù che bisogna operare sempre. È difficile per la scelta di non cooperare mai, in nessun modo, in nessuna circostanza, con coloro che fanno il male.
È difficile perché dobbiamo sempre e comunque fare professione di bene, di verità, di giustizia, di santità, contro ogni forma di male, anche la più piccola ed insignificante ai nostri occhi.
È difficile perché dobbiamo rimanere nella più grande saggezza, sapienza, intelligenza di Spirito Santo per non essere coinvolti nella rete del male che l’altro tende sui nostri passi.
Cristo Gesù non ebbe mai nessun contatto con quanti nel suo tempo erano operatori di iniquità.
Il presbitero dona la ragione per cui Gaio deve stare e rimanere sempre nel bene. Chi fa il bene è da Dio. Chi fa il male non ha veduto Dio.
La ragione è teologica, prima che morale. E sempre la ragione deve essere teologica per essere morale.
Se una ragione non trova nella teologia la sua verità, essa mai potrà dirsi morale, anche se la si vuole far passare come tale.
Anche in questo caso gli errori sono molteplici, sono tanti. Molte motivazioni morali sono fondate sulla ragione umana. Questa è capace di giustificare ogni peccato, ogni misfatto, ogni delitto, ogni iniquità, ogni nefandezza.
Dinanzi alla ragione umana tutto alla fine può divenire “norma morale”, “norma etica”, “norma di comportamento”.
L’odierna società si fonda proprio su questo equivoco. Essa pretende di porre a fondamento della sua moralità la ragione dell’uomo.
La ragione non ha in sé né la forza, né la luce, né la volontà di fondare ciò che è morale secondo Dio.
D’altronde, se la ragione della moralità di un atto è in Dio, questa ragione non potrà mai essere nell’uomo.
Se è in Dio, essa potrà solo essere teologica, mai antropologica.
Chi fa il bene è da Dio, perché è innestato in Dio, è divenuto partecipe della sua divina natura.
Chi è da Dio, è da Dio perché è in Dio ed è con Dio. Se è in Dio, con Dio, da Dio non può produrre se non ciò che opera Dio e Dio opera solo il bene.
Chi fa il male si è distaccato da Dio e quindi opera in conformità alla sua natura che è natura corrotta dal peccato, intrisa di concupiscenza, immersa nei vizi, priva di verità, avvolta dalle tenebre.
Queste due piccole affermazioni del presbitero: “Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio”, dovrebbe condurre tutti noi ad un cambio radicale di mentalità in seno al popolo di Dio.
Il cambiamento è questo: noi cristiani che siamo i portatori di Dio nel mondo, ci stiamo trasformando in assertori di una moralità a favore dell’uomo, ma senza Dio.
Ci potrà mai essere una moralità vera senza essere da Dio? Ci potrà mai essere senza Dio la capacità in un uomo di fare il bene, tutto il bene secondo Dio?
Se questo fosse possibile, noi tutti non avremmo più bisogno di Cristo Salvatore e Redentore dell’uomo. Noi tutti non avremmo bisogno della fede in Cristo per essere uomini secondo Dio.
Cristo Gesù è la via per essere di Dio, in Dio, con Dio, da Dio. Cristo Gesù è la via perché ogni uomo possa compiere le opere di Dio. Non solo è la via, è anche la verità delle opere di Dio, assieme alla vita che ci consente di poter operare sempre il bene secondo Dio.
L’affermazione del presbitero ci insegna due verità. La prima è questa: ognuno di noi può proclamarsi da Dio. Ognuno può dire di essere vero cristiano, cristiano santo, cristiano secondo il cuore di Dio.
Ognuno di noi però può sempre sapere se ciò che lui dice di sé è vero, oppure è falso. È vero se fa il bene. È vero cristiano chi fa il bene. È falso cristiano chi fa il male. È falso perché chi fa il male non ha veduto Dio. Chi fa il male non conosce Dio.
La seconda verità è questa: se noi vogliamo che una persona faccia il bene secondo Dio, dobbiamo far sì che questa persona sia da Dio ed è da Dio in un solo modo: divenendo da Cristo, facendo con Cristo un solo corpo.
Chi non è da Cristo, mai potrà essere da Dio. Se dice di essere da Dio, senza essere da Cristo, la sua affermazione è falsa.
Gesù lo dice con chiarezza: “senza di me non potete fare nulla”. È Lui la via che ci conduce al Padre, è Lui la carne, il corpo attraverso il quale noi siamo da Dio.
È da Dio chiunque è in Cristo Gesù. È in Cristo Gesù chi è nella sua Parola. È nella sua Parola chi è nel suo corpo. È nel suo corpo chi si è lasciato battezzare e quindi è nato da acqua e da Spirito Santo.
L’opera della Chiesa sarà opera antropologica, se diviene opera teologica. Se la Chiesa smette di compiere l’opera teologica, essa mai potrà compiere una sola opera antropologica.
Non può, perché il bene lo compie chi è da Dio. Chi non è da Dio, perché lasciato nella sua vecchia natura, mai potrà compiere le opere di Dio.
L’opera teologica consente di fare bene ogni opera antropologica. L’opera antropologica da sola mai potrà divenire opera teologica.
Lo potrà divenire in un solo caso: quando essa è vera opera antropologica, perché compiuta dall’opera teologica ed è compiuta solo come segno della verità che è in noi.
Chi è da Dio, deve vivere sempre secondo la verità di Dio, la sua volontà. Questa vita secondo la verità e la volontà di Dio per gli altri deve essere segno della potenza di santità che è in tutti coloro che sono da Dio.
L’opera antropologica vera la compie solo il cristiano nei riguardi del mondo intero. Compiendola, deve dire al mondo intero perché solo lui può e gli altri non possono. Così facendo, egli annunzia il Vangelo secondo verità, perché tutti coloro che vogliono, si convertano e credano per avere la vita, per essere da Dio, per compiere le opere di Dio.
Predicare all’uomo che deve fare le opere di Dio senza essere da Dio, senza indicare come si diviene da Dio, come si nasce da Lui, qual è la via per nascere ed essere da Dio, è tradimento che l’uomo di Dio fa della sua verità, della sua missione, del suo mandato specifico ricevuto da parte di Cristo Gesù. Sul tradimento di Cristo non si può costruire l’uomo nuovo. Sul rinnegamento della propria missione mai potrà sorgere opera antropologicamente buona, perfetta, santa.
Chi vuole le cose di Dio, deve essere da Dio. Se rifiuta di essere da Dio, non potrà fare le cose di Dio.
In questo errore è la confusione che regna oggi in molti cristiani nella Chiesa.
In questo errore è il fallimento di tutta la nostra pastorale.
In questo errore è il fallimento della nostra missione di evangelizzatori di Cristo Gesù.
[12]Quanto a Demetrio, tutti gli rendono testimonianza, anche la stessa verità; anche noi ne diamo testimonianza e tu sai che la nostra testimonianza è veritiera.
Chi sia Demetrio e cosa faccia è assai difficile da potersi determinare. Compare infatti nel Nuovo Testamento solo in questo versetto.
Negli Atti degli Apostoli si parla di un altro Demetrio, ma quello è un pagano, un costruttore di immagini di divinità pagane.
“Un tale, chiamato Demetrio, argentiere, che fabbricava tempietti di Artèmide in argento e procurava in tal modo non poco guadagno agli artigiani” (At 19,24).
“Perciò se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, ci sono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l'un l'altro” (At 19,38).
Da quanto il versetto insegna, sicuramente Demetrio è un personaggio di spicco nella comunità, un lavoratore attento e scrupoloso nella vigna del Signore.
Tutti infatti riconoscono la sua fedeltà al Vangelo, alla Parola. C’è un consenso unanime che si esprime favorevolmente su di lui e sulle sue opere.
Non solo le persone con le quali lui viene a contatto attestano che in lui non vi è difformità alcuna tra la fede e la vita, anche la verità gli rende testimonianza.
È grande questa affermazione del presbitero. Dire che la verità rende testimonianza ad una persona equivale a dire che la Parola, il Vangelo, la fede, lo Spirito Santo attestano per lui.
Il comportamento di Demetrio è così limpido, chiaro, trasparente, nitido da far apparire all’istante la perfetta conformazione con la Parola del Vangelo.
Chi legge il Vangelo e osserva la vita di Demetrio deve constatare che non vi è alcuna difformità.
Questa testimonianza della verità dovrebbe possedere ogni discepolo di Cristo Gesù. È in questa testimonianza la sua vera essenza cristiana. Se questa testimonianza non avviene, è segno che qualcosa ancora non è del tutto in conformità con il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
Il presbitero si premura a far conoscere a tutta la comunità che in questa testimonianza si inserisce anche lui. Anche lui conosce questa perfetta conformazione della vita di Demetrio con il Vangelo e lo attesta, lo annunzia, lo manifesta.
La sua è una testimonianza particolare, differente da ogni altra testimonianza. La sua – cioè quella del presbitero – è la testimonianza di chi nella comunità ha il posto di Cristo, di chi ha le chiavi della scienza del regno dei cieli per discernere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso, ciò che è Vangelo da ciò che Vangelo non è nella vita di una persona.
La testimonianza del presbitero è veritiera, ma su un livello superiore. È veritiera per autorità di presbitero. È veritiera perché sancisce in modo autorevole la conformità di una vita con il Vangelo.
Il suo è un vero discernimento, un discernimento autorevole, cioè fatto da chi ha l’autorità di separare, o di dichiarare vero il vero e falso il falso.
Il suo è il discernimento di chi ha ricevuto da Cristo Gesù il potere di legare e di sciogliere, di legare alla verità, di sciogliere dall’errore, dalla falsità, dalla menzogna, dalle tenebre, dal buio.
In tal senso la sua testimonianza è differente da qualsiasi altra resa dai molti. È differente perché gli altri sanciscono una verità di ordine storico. Lui invece afferma e ribadisce una verità di ordine teologico.
Oggi è proprio questa testimonianza autorevole che manca a molti cristiani. Oserei dire che manca proprio questa testimonianza in sé.
Manca o perché si ha paura di pronunciarla, o perché non si è in grado di poterla pronunciare. Manca perché in molti cuori non c’è una verità oggettiva. Manca perché c’è un soggettivismo così diffuso che non si ha più neanche il concetto, la nozione di verità fuori di noi.
Eppure la forza della comunità cristiana è in questo discernimento di autorità. È ispirata – e solo per ispirazione il presbitero avrebbe potuto dirlo – l’aggiunta: e tu sai che la nostra testimonianza è veritiera. Tu sai cioè che noi non seguiamo i nostri pensieri, non andiamo dietro i nostri sentimenti, non corriamo dietro le nostre idee, non ci pronunciamo per ciò che sentiamo dire dalla gente.
Tu invece sai che seguiamo una cosa sola: la verità che nasce dalla Parola, che è tutta nella Parola, che è fuori di noi e alla quale noi abbiamo dato il nostro assenso di fede. È secondo questa Parola colta nella sua più pura oggettività che noi rendiamo testimonianza.
Oggettività e verità devono essere una cosa sola in chi vuole rendere testimonianza. Quando nella verità entra il soggettivismo è la morte della verità ed è la falsità della testimonianza.
L’oggettività della verità richiede ad ognuno di noi la più grande, la più perfetta, la più santa povertà in spirito, che consiste proprio in questo: spogliarci di ogni nostro pensiero, desiderio, volontà, perché solo il pensiero, il desiderio, la volontà di Dio governi il nostro spirito ed inondi il nostro cuore.
Questo significa che solo il santo può abbracciare la verità oggettiva ed è santo proprio perché si è voluto e si è lasciato liberare il cuore da ogni forma di soggettivismo nella verità e nella fede. È santo perché ha scelto il rinnegamento di se stesso come unica e sola norma del suo essere all’interno della verità e della fede.
Poiché il presbitero ha rinnegato se stesso, è povero in spirito, è guidata dalla verità che è fuori di lui, lui veramente può rendere testimonianza alla verità. La sua testimonianza è veritiera.
[13]Molte cose avrei da scriverti, ma non voglio farlo con inchiostro e penna.
Ci sono delle cose pubbliche e delle cose private, ciò che si può scrivere, esponendo alla pubblica lettura e solo ciò che il cuore può ascoltare e nessun altro.
L’apostolo di Cristo Gesù deve essere l’uomo del sano, giusto, perfetto discernimento per ogni occasione, circostanza, persona, tempo, luogo.
Chi manca di questo sano discernimento, di sicuro arrecherà molti danni spirituali – e non solo – all’interno della comunità cristiana.
Sapere ciò che si può dire per iscritto e ciò che invece bisogna confidare alla segretezza del cuore è scienza di Spirito Santo, è quella sapienza che è suo dono e che consiste nell’esercizio delle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
Non tutto infatti si può scrivere, non tutto si può affidare alla carta.
Ci sono delle cose che appartengono alla coscienza, al cuore, all’intelligenza del singolo.
Ciò che appartiene al singolo, al singolo bisogna affidarlo, perché lo custodisca gelosamente nel cuore.
Ognuno che ha responsabilità in seno alla comunità, deve sempre sapere ciò che deve essere detto a voce, ciò che può essere messo per iscritto; ciò che deve essere predicato a tutti, ciò che deve essere rivelato al cuore.
Chi non possiede questa scienza, di sicuro provocherà grandi danni in seno alla comunità di Cristo Gesù.
Verità e carità in seno alla comunità cristiana devono essere una sola regola, o norma di relazionarsi.
Né la carità, senza la verità, ma neanche la verità senza la carità. Esse sono in Cristo una cosa sola. Devono rimanere una cosa sola in tutti i suoi discepoli.
La carità senza la verità non è vera carità. La carità è il dono della salvezza totale ad ogni cuore.
La verità senza la carità non è verità. La verità è l’amore attraverso il quale Cristo Gesù ci ama e ci attrae alla sua Parola che è Parola di vita eterna.
Verità e carità sono un unico mistero di salvezza. Nella vita e nell’annunzio deve sempre rimanere un solo mistero.
Verità e carità, insieme, fanno l’uomo nuovo, perché lo fanno vero discepolo di Cristo Gesù. La verità da sola non fa discepoli di Cristo. Neanche la carità da sola li fa. Verità e carità insieme sono la completezza, la perfezione, la pienezza del dono di salvezza di Cristo Gesù.
Sono una cosa sola perché la nostra verità è Cristo Crocifisso per amore.
La verità cristiana si predica dalla croce, cioè dall’oblazione di se stessi per tutti coloro che devono essere condotti nel Vangelo della grazia.
[14]Spero però di vederti presto e parleremo a viva voce.
Per parlare a viva voce con qualcuno, bisogna che ci si incontri. Per incontrarsi bisogna che ci si sposti.
Può muoversi colui che vuole parlare. Ma anche può spostarsi colui che deve ascoltare.
Il presbitero non specifica in questo contesto chi deve muoversi. Manifesta invece il suo desiderio di vedere presto Gaio per poter conversare con lui a viva voce.
C’è una verità che bisogna puntualizzare. Deve muoversi chi può farlo con minore disagi. Ma anche deve muoversi chi può farlo per primo.
L’urgenza delle cose da dire determina anche l’urgenza dell’andare, o del venire.
Ci sono delle cose che non possono attendere. Riguardano il bene dell’anima, la sua salvezza. In questo caso più grave è il pericolo che l’anima possa smarrirsi dietro la falsità, più impellente è l’obbligo di chiarire ogni cosa.
Se invece si tratta di cose che possono attendere, di cose generali che riguardano l’andamento futuro e presente sia della singola persona che dell’intera comunità, in questo caso non c’è una urgenza particolare.
L’urgenza non la può mai determinare colui che deve ascoltare. Deve determinarla solo chi deve parlare.
Per chi deve ascoltare alcune cose potrebbero sembrare cose da nulla, insignificanti, inutili, addirittura vane.
Per chi deve comunicare invece sono assai importanti, necessarie, indispensabili.
Chi ascolta, se chi parla è il responsabile della comunità, deve prestare la più alta attenzione. Deve accogliere ogni parola con tutta la serietà possibile, donando un posto importante nel proprio cuore.
Non sempre chi ascolta è in grado di cogliere l’urgenza di una parola, di una proposta, di una decisione, di un comportamento da assumere.
Non spetta a chi ascolta operare il discernimento. A chi ascolta deve importare una cosa sola: vivere quanto ascoltato, realizzare ogni via che gli è stata suggerita, compiere quanto gli viene imposto.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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