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COMMENTO ALLA TERZA LETTERA DI S.GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2012 12:32
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09/01/2012 12:23
 
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I forestieri, accolti da Gaio e serviti con squisita carità, rendono testimonianza davanti alla Chiesa. Dicono alla Chiesa il bene ricevuto e chi lo ha fatto.
È obbligo di chi fa il bene il silenzio sul bene fatto. Anche questo insegna Cristo Gesù: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,1-4).
È obbligo di chi riceve il bene, manifestarlo perché sia imitato e soprattutto perché si renda gloria al Signore.
Il presbitero in questa Lettera addita Gaio come modello di carità, perché sia imitato in tutte le altre comunità cristiane.
I forestieri che hanno ricevuto il bene da Gaio lo testimoniano davanti alla Chiesa, perché si glorifichi il Signore.
La testimonianza del bene che si riceve aiuta la Chiesa a crescere nella carità e nella fede. La testimonianza infatti altro non è che l’annunzio che è possibile vivere in pienezza di fede.
Ciò che è possibile per uno è possibile anche per gli altri. Ciò che uno con la grazia di Dio riesce a fare, anche gli altri lo possono compiere.
Così la testimonianza diviene evangelizzazione, catechesi, predica, omelia. Tutto ciò però avviene e diviene non con le parole della fede, ma con le opere della carità.
Altra verità espressa in questo versetto è: “E farai bene a provvederli nel viaggio in modo degno di Dio”.
La carità è perfetta, quando risolve ogni necessità dei nostri fratelli.
Una carità che si limitasse al solo nutrimento, di certo non è la carità che Cristo Gesù ci ha insegnato ed anche mostrato con il dono di tutta la sua vita.
Il presbitero esorta Gaio a provvedere i fratelli stranieri per tutto ciò che essi hanno bisogno nel viaggio. Deve provvederli in modo degno di Dio.
Gaio non si può limitare ad una elemosina di comodo, o al minimo indispensabile. Deve invece provvedere con ogni magnanimità, abbondanza.
Tutto ciò che è loro necessario, lui deve offrirlo loro. Questo significa in modo degno di Dio: senza risparmiarsi in nulla.
Lui è invitato a dare a larghe mani, con misura pigiata e scossa, traboccante. Con la stessa magnanimità con la quale Dio tratta noi.
Solo un modo è degno di Dio: è il modo di chi tratta l’altro come se stesso, anzi come se fosse Dio in persona.
Se fosse Dio ad avere bisogno di qualcosa cosa farei? Ciò che farei con il Signore devo farlo con i miei fratelli forestieri.
D’altronde Cristo Gesù non si è forse identificato con il mondo del bisogno, della povertà, della nudità, della miseria, della fame, della sete, di coloro che sono stati privati della salute, della libertà, di ogni altro bene?
Il bene noi non lo facciamo agli uomini. Lo facciamo a Cristo Gesù, lo facciamo a Dio. Per questo è giusto chiederci sempre: cosa farei al Signore se fosse Lui stesso a chiedermi qualcosa? Come lo tratterei? Come tratterei Lui devo trattare ogni mio fratello più piccolo, nella misura delle mie possibilità. Solo non facendo alcuna differenza tra il bisognoso e Dio, si provvede all’altro in modo degno di Dio.
Fatta così la carità, ha veramente un sapore di cielo, un gusto divino, un profumo di paradiso.
Chi fa così la carità attesta di avere una fede grande, una grande visione soprannaturale della vita.
[7]perché sono partiti per amore del nome di Cristo, senza accettare nulla dai pagani.
Quando chiediamo la carità per noi stessi e per gli altri dobbiamo dare anche il motivo di giustizia per cui ricorriamo alla generosità dei fratelli.
Sarebbe un vero furto, una grave ingiustizia ricorrere alla carità dei fratelli senza un reale motivo di giustizia che rende la nostra richiesta esigenza della carità e non una richiesta arbitraria, peccaminosa.
Questo perché ognuno ha il dovere di guadagnarsi il pane con il sudore della fronte.
Tra il dare ed il ricevere deve sempre esserci la più stretta giustizia. Il nostro ricevere deve essere un salario per le nostre opere di giustizia e di verità fatte al Signore a beneficio della sua opera di salvezza.
Quando la carità salta l’osservanza della giustizia, essa non è più carità. È opera ingiusta e sovente anche iniqua. Di questa carità Dio non si compiace.
Tre esempi bastano a chiarire questo principio di santa e retta giustizia da osservare sempre, sempre, sempre:
Vangelo secondo Luca - cap. 10,1-11: “Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”.
Seconda lettera ai Tessalonicesi - cap. 3,6-15: “Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi. Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello”.
Prima lettera a Timoteo - cap. 5,3-21: “Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; ma se una vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, poiché è gradito a Dio. Quella poi veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario quella che si dà  ai piaceri, anche se vive, è già morta. Proprio questo raccomanda, perché siano irreprensibili. Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele. Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia andata sposa una sola volta, abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non accettarle perché, non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo e si attirano così un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede. Inoltre, trovandosi senza far niente, imparano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene. Desidero quindi che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa, per non dare all'avversario nessun motivo di biasimo. Già alcune purtroppo si sono sviate dietro a satana. Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro e non ricada il peso sulla Chiesa, perché questa possa così venire incontro a quelle che sono veramente vedove. I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia e: Il lavoratore ha diritto al suo salario. Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni. Quelli poi che risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore. Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non far mai nulla per favoritismo”.
Questi “forestieri” hanno lasciato la loro città, la loro comunità, sono venuti da loro, si recano in altre parti, per amore del nome di Cristo.
Il loro fine è l’evangelizzazione, la proclamazione del Vangelo. Il loro scopo è anche recare conforto, sostegno, aiuto a tutti coloro che sono discepoli del Signore. Annunziare e ricordare il Vangelo è opera prettamente missionaria ed è per questo motivo che è giusto sostenerli nelle loro necessità materiali.
Inoltre questi “forestieri” hanno evitato di ricorrere ai pagani. Da loro non hanno accettato nulla. Lo hanno fatto sempre per amore del nome di Cristo Gesù.
La chiesa delle origini era gelosa di Cristo, del suo nome, della sua verità, del suo Vangelo, della sua Parola.
Essa custodiva questo Tesoro prezioso con somma cura. Evitava tutto ciò che in qualche modo avrebbe potuto costituire un pericolo e quindi compromettere la santità di beni così grandi.
Il principio che regolava la loro azione è semplice da individuare: non si ricorre all’aiuto di coloro che rifiutano Cristo per diffondere Cristo nel mondo.
Chi rifiuta Cristo deve sapere che ha rifiutato la vita e non può essere mezzo, strumento di vita per altri.
Questo però non come disprezzo dei pagani, piuttosto come norma e regola di evangelizzazione anche per loro. Così agendo i pagani avrebbero sempre potuto sapere che erano fuori della vera vita.
Ogni gesto che il cristiano compie lo deve compiere sempre a favore del Vangelo, della verità, della Parola, di Cristo.
Ogni gesto del cristiano mai potrà essere direttamente contro l’uomo. Deve essere sempre per l’uomo.
È per l’uomo se lo aiuta a riflettere, a meditare, a pensare, a decidersi, a scegliere, a convertirsi, ad aprirsi alla fede al Vangelo.
È per l’uomo se perennemente lo mette in condizione di fare la distinzione tra fede e non fede, Parola e non–parola, Vita e non–vita, Santità e peccato, Luce e tenebre, Verità e menzogna, Vero Dio e falsi dei, Vera Profezia e falsa; Vera Religione e tutte le forme di idolatria che sono nel mondo.
L’altro deve sempre sapere, per le azioni del cristiano, che lui non è nella verità, non è nella vita, non è nella santità.
L’altro deve sapere che tra lui e il cristiano c’è l’abisso di Cristo che li separa.
Se questo non avviene, il cristiano con la sua azione omologa il peccato, la falsità, l’idolatria, l’errore, la menzogna, la tenebra, la falsa adorazione di Dio.
È questo il più grande errore, o equivoco, o ambiguità in cui tutti noi possiamo cadere: la non presa di posizione netta, inequivocabile, precisa, puntuale, di assoluta verità tra la nostra fede e la non fede di chi rifiuta Cristo Gesù, o non lo accoglie come suo Signore, Salvatore, Dio.
Perché questa presa di posizione possa essere sempre attuata è giusto che la comunità cristiana, che è una nella sua essenza, perché uno è il Corpo di Cristo, venga in soccorso per tutte quelle necessità sia di ordine spirituale che materiale di tutti i suoi figli indistintamente.
Questo può avvenire se la fede nell’unità del corpo di Cristo è forte, irresistibile in ogni membro della comunità. Se questa fede è debole, incerta, inesistente, vacilla, diviene assai difficile vedere l’altro come corpo di Cristo, nostro corpo, da aiutare, sostenere, incoraggiare, favorire in ogni cosa per il nome di Cristo Gesù.
Il presbitero vede ogni cosa nella verità e santità della fede. Dalla fede vera e santa dona quella luce di saggezza divina perché la comunità possa svolgere in piena conformità con la Volontà di Dio la sua missione evangelizzatrice in questo mondo.
[8]Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone per cooperare alla diffusione della verità.
Quanto detto in modo velato nel versetto precedente, è ora proferito con ogni chiarezza. Nel nome di Cristo Gesù significa per il presbitero nel nome della missione evangelizzatrice.
Tutti sono cooperatori, collaboratori del Vangelo.
Nel Nuovo Testamento questa verità è chiara, ben chiara. Nessuno deve sentirsi escluso dalla responsabilità di propagandare il glorioso messaggio di Cristo Signore.
Alcuni esempi lo attestano con divina chiarezza:
“Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa” (Rm 16,3).
“Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi” (Rm 16,9).
“Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone, Sosìpatro, miei parenti” (Rm 16,21).
“Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio” (1Cor 3,9).
“Siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro” (1Cor 16,16).
“Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi” (2Cor 1,24).
“E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio” (2Cor 6,1).
“Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?” (2Cor 6,15).
“Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo” (2Cor 8,23).
“Dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef 4,16).
“E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (Fil 4,3).
“E Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione” (Col 4,11).
“E abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede” (1Ts 3,2).
“Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timòteo al nostro caro collaboratore Filèmone” (Flm 1,1).
“Con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori”(Flm 1,24).
Leggendo per intero due capitoli di Paolo – Seconda Corinzi 1 e Filippesi 1 – si può constatare come Paolo sviluppi il concetto di collaborazione, o cooperazione in modo vasto, esaustivo.
Questi due capitoli e quanto è stato riportato immediatamente prima ci possono aiutare a comprendere qual è il giusto significato nella collaborazione e cooperazione in ordine alla diffusione del Vangelo nel mondo.
Seconda lettera ai Corinzi - cap. 1,1-24: “Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.
Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.
La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione. Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita.
Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora, grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.
Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da Dio. Non vi scriviamo in maniera diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che comprenderete sino alla fine, come ci avete già compresi in parte, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro Gesù.
Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia, e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea. Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo sì, sì e no, no,? Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.
E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori. Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto. Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi”.
Lettera ai Filippesi - cap. 1,1-30: “Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi. Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.
E` giusto, del resto, che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del vangelo. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno.
Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene.
So infatti che tutto questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.
Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra voi. Soltanto però comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo”.
Cosa è nella sua più vera essenza la cooperazione, o collaborazione nella missione che Cristo Gesù ha affidato alla sua Chiesa?
La collaborazione, o cooperazione, è la realizzazione di un’unica opera – la diffusione del Vangelo, l’edificazione della comunità cristiana, il compimento della missione di salvezza a favore di tutti gli uomini – fatta da ogni credente, mettendo ognuno i suoi particolari doni di grazia, di verità, di santità, di ministero.
L’idea più perfetta della cooperazione, o collaborazione è quella espressa da Paolo nella Lettera agli Efesini.
Lettera agli Efesini - cap. 4.11-16: “E` lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.
Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità”.
L’altra grande verità sulla collaborazione, o cooperazione è quella espressa nella Prima Lettera ai Corinzi:
Prima lettera ai Corinzi - cap. 12,1-31: “Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento. Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: Gesù è anàtema, così nessuno può dire: Gesù è Signore, se non sotto l'azione dello Spirito Santo.
Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre.
Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte”.
La verità espressa da Paolo nelle sue Lettere parla da sé. Essa non ha alcun bisogno di ulteriori illuminazioni teologiche.
Tuttavia una verità bisogna affermarla con chiarezza, con forza di Spirito Santo: la collaborazione, o cooperazione non è fare ciò che l’altro vuole che sia fatto, o ciò che le esigenze della comunità vorrebbero che venisse fatto.
La collaborazione evangelica è mettere nella storia, nella comunità nel corpo di Cristo, per il corpo di Cristo, con il corpo di Cristo, la potenza di grazia che il Signore ha concesso a ciascun membro del corpo.
La collaborazione evangelica è vivere ogni dono di grazia, di verità, di ministero, di santità, di scienza, di coscienza, di dottrina, nella comunione dell’unico corpo di Cristo Gesù.
Non c’è collaborazione, cooperazione quando non si mette il proprio dono a beneficio dell’unico corpo di Cristo.
Neanche c’è cooperazione, collaborazione, quando non si accetta il dono di grazia dell’altro.
Chi viola la santità del dono di grazia proprio o dei fratelli, mai potrà collaborare e cooperare all’edificazione del corpo di Cristo nella storia.
Il presbitero invita Gaio e tutte le comunità cristiane a volere accogliere i missionari del Vangelo.
Si accolgono come missionari. Si aiutano come missionari. Si sostengono come missionari, elargendo loro quei sussidi necessari perché la loro opera non soffra alcun impedimento.
Una comunità che non accoglie, non sostiene, non aiuta i missionari del Vangelo è una comunità che non collabora alla diffusione del Vangelo. È una comunità morta in se stessa.
Quando questa visione di fede sarà di ogni discepolo di Cristo Gesù, la Chiesa di Dio brillerà di luce divina. Il mondo vedrà questa luce e glorificherà il Signore.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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