CAPITOLO PRIMO
[1]Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti quelli che hanno conosciuto la verità,
Chi scrive la Lettera è il Presbitero. Il Presbitero è stato identificato nella tradizione come l’Apostolo Giovanni.
Chi è, in verità, il presbitero in seno alla comunità?
Esaminando le due parole: “presbitero” e “anziano”, dal Nuovo Testamento attingiamo queste brevi e semplici notizie.
“Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri” (1Tm 4,14).
“I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento” (1Tm 5,17).
“Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni. (1Tm 5,19).
“Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato” (Tt 1,5).
“Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore” (Gc 5,14).
“Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti quelli che hanno conosciuto la verità” (2Gv 1,1).
“Io, il presbitero, al carissimo Gaio, che amo nella verità. (3Gv 1,1).
“Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno” (Mt 16,21).
“Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?” (Mt 21,23).
“Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa” (Mt 26,3).
“Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo” (Mt 26,47).
“Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani” (Mt 26,57).
“Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire” (Mt 27,1).
“Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani” (Mt 27,3).
“E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla” (Mt 27,12).
“Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù” (Mt 27, 20).
“Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano” (Mt 27,41).
“Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati” (Mt 28,12).
“E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8,31).
“Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani” (Mc 11,27).
“E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani” (Mc 14,43).
“Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi” (Mc 14, 53).
“Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato” (Mc 15,1).
“Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo” (Lc 7,3).
“Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9,22).
“Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunziava la parola di Dio, si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui” (Lc “20,1).
“Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?” (Lc 22,52).
“Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio” (Lc 22,66).
“Il giorno dopo si radunarono in Gerusalemme i capi, gli anziani e gli scribi” (At 4,5).
“Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani” (At 4,8).
“Appena rimessi in libertà, andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani” (At 4,23).
“Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare. Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d'Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione” (At 5,21).
“E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio” (At 6,12).
“Questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saulo” (At 11,30).
“Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23).
“Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione” (At 15,2).
“Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro” (At 15,4).
“Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema” (At 15,6).
“Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli” (At 15,22).
“E consegnarono loro la seguente lettera: Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute!” (At 15,23).
“Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero” (At 16,4).
“Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa” (At 20,17).
“L'indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c'erano anche tutti gli anziani” (At 21,18).
“Come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti” (At 22,5).
“Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo” (At 23,14).
“Cinque giorni dopo arrivò il sommo sacerdote Anania insieme con alcuni anziani e a un avvocato di nome Tertullo e si presentarono al governatore per accusare Paolo” (At 24,1).
“Durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono con accuse i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei per reclamarne la condanna” (At 25,15).
“Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1Pt 5,1) In greco è così espresso: “Presbutšrouj oân ™n Øm‹n parakalî Ð sumpresbÚteroj kaˆ m£rtuj tîn toà Cristoà paqhm£twn, Ð kaˆ tÁj melloÚshj ¢pokalÚptesqai dÒxhj koinwnÒs: poim£nate tÕ ™n Øm‹n po…mnion toà qeoà, (™piskopoàntes) m¾ ¢nagkastîj ¢ll¦ ˜kous…wj kat¦ qeÒn, mhd a„scrokerdîj ¢ll¦ proqÚmwj, mhd' æj katakurieÚontej tîn kl»rwn ¢ll¦ tÚpoi ginÒmenoi toà poimn…ou: kaˆ fanerwqšntoj toà ¢rcipo…menoj komie‹sqe tÕn ¢mar£ntinon tÁj dÒxhj stšfanon” (1Pt 5,1-4).
Il presbitero – e l’anziano – è persona rivestita di autorità in seno alla comunità.
Una cosa che appare con chiara evidenza è questa: il presbitero partecipa alle decisioni più gravi in seno alla comunità e queste decisioni sono tutte inerenti alla verità rivelata.
Il presbitero – e l’anziano – ha come suo particolare ministero quello di vigilare perché la comunità rimanga sempre nella Parola di Cristo Gesù.
È un ministero delicatissimo il suo, perché per suo mezzo la comunità deve rimanere sempre nella luce purissima che promana dalla Parola di Dio, dalla verità, dalla perfetta giustizia.
Poiché la comunità cristiana vive non solo di Parola, ma anche del Corpo e del Sangue di Cristo, il presbitero e l’anziano avevano anche il ministero di “fare il corpo e il sangue del Signore” nel sacramento della Cena.
Era questo un potere apostolico che veniva loro conferito per l’imposizione delle mani.
Il presbitero ha cura della comunità cristiana e per questo scrive a tutti i suoi figli, perché non solo rimangano nella verità, ma anche affinché nella verità crescano e producano frutti di ogni bene.
La comunità viene qui chiamata con un nome particolare: Signora eletta. Signora eletta è la Chiesa particolare.
La Chiesa non vive senza uno stuolo di figli, che ella genera per mezzo della Parola e nutre mediante i sacramenti della salvezza.
“Signora” è un titolo di riverenza, di rispetto, di onore, di fede. Questa Signora non si è fatta da sé. Essa è stata fatta da Dio. È Dio che l’ha eletta, l’ha costituita.
Questa “Signora” non è sola. Vive assieme ad una moltitudine di figli. La “Signora” è anche Madre.
La Chiesa è Madre perché genera tanti figli a Dio. È Madre perché custodisce, nutre, alleva i figli che ha generato al Signore mediante la Parola della fede.
Questo titolo di Signora compare solo in questa Lettera e in nessun altro luogo nel Nuovo Testamento.
Sul concetto di Chiesa come Madre c’è una frase di San Paolo che merita ogni nostra attenzione: “Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature” (1Ts 2,7).
La Chiesa è Madre perché partorisce figli a Dio. È Madre perché ama i figli partoriti di un amore più grande di qualsiasi madre terrena.
È questa l’essenza della Chiesa: generare figli a Dio, amarli dello stesso amore con il quale Cristo ha amato lei.
Quando la Chiesa compie questa missione, ella ha fatto tutto quanto doveva fare.
Il presbitero, che è custode della verità della Chiesa, che ha come suo particolare ministero quello di conservare la comunità nella verità e nella grazia di Cristo Gesù, può svolgere questo suo altissimo ministero, se lui per primo ama la verità; se lui per primo, poiché ama la verità, ama anche la Chiesa e i suoi figli nella verità.
Ma che significa amare la Chiesa e i suoi figli nella verità?
Significa amarli secondo il comandamento di Cristo, la Sua Parola, il suo Vangelo.
Significa amarli come Cristo ha amato la Chiesa e i suoi figli.
Ama nella verità chi per la verità si lascia crocifiggere, va incontro al martirio, consuma tutto se stesso, non si risparmia in niente nell’amore, si spende e si consuma per mostrare al mondo intero come si ama sul modello di Cristo Gesù.
Chi vuole sapere come si ama nella verità, lo può scoprire leggendo due brani tratti uno dagli Atti degli Apostoli e l’altro dalla Lettera ai Colossesi. L’uno e l’altro riguardano l’amore nella verità di Paolo per la Chiesa e per tutti i suoi figli.
Atti degli Apostoli - cap. 20,16-38: “Paolo aveva deciso di passare al largo di Efeso per evitare di subire ritardi nella provincia d'Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste. Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa.
Quando essi giunsero disse loro: Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù.
Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio. Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio.
Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi.
Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati. Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere! Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave”
Lettera agli Efesini - cap. 5,1-33: Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolàtri avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.
Per questo sta scritto: Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà. Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.
E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.
Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito”.
Amare nella verità significa liberarsi da ogni sentimento, volontà, pensiero, proposito che scaturiscono dal nostro cuore, dal nostro essere, che vengono da noi.
Amare nella verità è decidere di amare sempre restando nella volontà più pura e più santa di Dio che è la Parola di Gesù
Ama nella verità chi ama secondo il Vangelo, vivendo però tutto il Vangelo.
Ama nella verità solo chi si libera da se stesso per far vivere in lui solo e tutto Cristo Gesù secondo la pienezza della sua verità e del suo amore.
Ama nella verità chi ama in Dio e secondo Dio, in Cristo e secondo Cristo, nello Spirito Santo e secondo lo Spirito Santo.
Nessuno può amare secondo verità, se non si trasforma lui stesso in verità.
La verità è fuori di noi, non in noi. Da fuori di noi dobbiamo sempre attingerla. È fuori di noi perché è tutta nel Vangelo della grazia.
Chi vuole amare nella verità quotidianamente deve trasformarsi in Parola di Vangelo, perché la Parola del Vangelo deve annunziare, ma vivendo tutto il Vangelo che annunzia.
Tutti i mali che sono sorti, sorgono e sorgeranno in seno alla comunità cristiana scaturiscono tutti dal non voler amare secondo verità, dalla sostituzione della verità che è fuori di noi con il sentimento che è in noi e che promana dal nostro cuore.
Mai nessuno potrà amare secondo verità, se non avrà decisamente scelto di separare il suo pensiero, i suoi desideri, la sua volontà dal pensiero, dai desideri, dalla volontà di Dio.
In questa separazione sta l’amore nella verità. Mentre nell’identificazione ci sarà sempre un amore nella falsità, nell’ambiguità, nella confusione, nell’errore.
Quando un cristiano, chiunque esso sia, si fonde e si confonde con la verità che è fuori di lui, è la fine della verità e dell’amore.
È la fine perché il pensiero della terra fagocita ed ingoia il pensiero del Cielo e quanto si annunzia, si proclama come verità altro non è che misero sentimento e volontà dell’uomo.
Il presbitero si premura di dire alla Signora eletta che non solo lui ama nella verità, ma tutti quelli che hanno conosciuto la verità, amano di un amore di verità.
Chi non ama nella verità attesta di non aver conosciuto la verità. Ora il cristiano ha conosciuto la verità.
La verità del cristiano è Cristo Gesù. “Io sono la via, la verità, la vita”.
Amare nella verità è amare in Cristo, per Cristo, con Cristo, cioè: amare nella Parola di Cristo, per la Parola di Cristo, con la Parola di Cristo.
[2]a causa della verità che dimora in noi e dimorerà con noi in eterno:
Quando il cristiano può amare secondo verità?
La risposta del Presbitero è inequivocabile, precisa, puntuale, chiara.
Chi vuole amare nella verità, deve essere lui tutto nella verità.
La verità deve dimorare in lui per sempre, in eterno.
Il momento in cui lui esce dalla verità, non può più amare secondo verità.
Quando lui uscirà dalla verità, potrà amare, ma secondo il suo sentimento che non è la verità di Dio.
Oggi è questo l’equivoco cristiano. Si ama, si dice di amare, si afferma di saper amare, di voler amare, si chiede anche agli altri di amare, ma non più nella verità, bensì secondo il sentimento umano.
Quando si cade nel sentimento umano?
Sempre, ogni qualvolta si esce dai Comandamenti, o non si vuole progredire nelle Beatitudini.
Non può amare secondo verità chi trasgredisce i Comandamenti della Legge.
Oggi molti cristiani sono fuori dei Comandamenti, dal primo al decimo.
Non si può amare secondo verità, restando fuori delle Beatitudini.
Oggi molti cristiani ignorano l’esistenza stessa non solo delle Beatitudini, ma di tutto il Vangelo.
Oggi stiamo assistendo alla formazione di un cristianesimo senza Vangelo. Questo ci fa concludere che stiamo assistendo ad un amore verso Dio e verso gli uomini che prescinde dall’osservanza della Volontà di Dio manifestata, rivelata, comunicata nella sua pienezza.
Molti cristiani non camminano nella verità tutta intera verso cui conduce lo Spirito del Signore.
Questo deve essere per noi un segnale che ci rivela come siamo divenuti incapaci di amare secondo Dio, in conformità alla sua divina volontà.
Chi vuole amare secondo verità si deve appropriare della Parola, di tutta la Parola, del Vangelo, di tutto il Vangelo.
Chi vuole amare secondo verità deve camminare nella verità tutta intera cui conduce lo Spirito Santo.
Lo ripetiamo: l’inizio dell’amore secondo verità sono i Comandamenti. La perfezione di questo amore sono le beatitudini. La verità tutta intera dell’amore è data dallo Spirito Santo, che dona all’amore la sua eterna sapienza soprannaturale.
La verità ci è stata data dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
La si riceve da Loro, la si dona al mondo intero. La si può donare in un solo modo: divenendo essa stessa nostra vita, nostra volontà, nostro pensiero, nostro sentimento.
La verità si accoglie e si dona. La si dona nella misura in cui la si accoglie. Chi non l’accoglie neanche la può donare.
Tutti i mali cristiani nascono da questo equivoco: pretendere di donare la verità senza prima averla accolta.
Noi siamo dalla verità, siamo nella verità, siamo per la verità, siamo con la verità. È questo il nostro statuto perenne.
[3]grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell'amore.
Il “presbitero e tutti quelli che hanno conosciuto la verità” non vedono “la Signora eletta e i suoi figli” come una “cosa” che è separata da loro. La vedono invece unita a loro, che forma con loro una sola cosa, una sola realtà.
A differenza di ogni altra forma di saluto e di augurio che è rivolto da “uno” ad un “altro”, o una comunità, o più comunità, in questo caso l’augurio, il saluto è rivolto dalla comunità alla comunità, è rivolto al “noi”, che è l’essenza stessa della comunità cristiana.
Il “noi” della comunità saluta il “noi” della comunità e in questo “noi” c’è la comunità che invia e quella che riceve, ma non come due comunità distinte e separate, bensì come una sola comunità.
È questa l’espressione vera del corpo di Cristo. In esso tutto è in comune, tutto è da tutti, tutti sono nel tutto.
La comunità si augura grazia, misericordia, pace.
La grazia è tutto per la comunità cristiana. Tutto è grazia e tutto è dalla grazia e per grazia.
La grazia è prima di tutto la vita soprannaturale che riveste l’anima, liberandola dal peccato, innalzandola fino a renderla partecipe della natura divina.
Grazia è ogni altro aiuto soprannaturale perché ogni uomo possa raggiungere la perfetta santità.
La grazia è creata ed increata. Grazia Increata è Dio che si dona all’anima cristiana. Grazia creata è ogni altro dono che il Signore porta all’anima, portando se stesso.
È grazia il seme soprannaturale della nuova vita e ogni fruttificazione del seme. Grazia è la conversione, il perdono, la salvezza, la giustificazione.
Grazia è la perseveranza sino alla fine.
Grazia è la comunione e il cammino nella verità da parte dell’anima che ha accolto Cristo Gesù come suo Redentore, Salvatore, Messia e Dio.
La grazia si chiede, si accoglie, si sviluppa, si porta a perfetta maturazione. Ma tutto questo processo è anch’esso grazia di Dio e a Lui si chiede con preghiera costante, incessante, senza interruzione, con fede convinta.
Grazia è ogni virtù. Grazia sono i sette doni dello Spirito Santo. Grazia sono la fede, la speranza, la carità.
Per grazia tutto da Dio discende. Per grazia tutto a lui ritorna, come frutto di santità maturato in noi.
La misericordia è il cuore grande di Dio rivolto sempre verso l’uomo per inondarlo del suo amore.
L’uomo inondato dall’amore di misericordia del suo Dio con questo stesso amore inonda il mondo intero.
Chi si è lasciato ricolmare della misericordia del Padre, che è perdono, riconciliazione, dono di ogni grazia, deve vivere secondo la pienezza del dono ricevuto.
Chi non vive di misericordia, chi non avvolge il mondo della misericordia con la quale il Signore lo ha avvolto, attesta di essere dal cuore di pietra, mostra al mondo di essere ingrato e irriconoscente verso un così grande dono che il Signore gli ha dato.
Una comunità senza misericordia non è comunità di Cristo Gesù. Cristo Crocifisso è la misericordia del Padre verso l’umanità intera.
Il cristiano che si lascia crocifiggere per amare i fratelli è l’immagine viva della misericordia di Dio nel mondo.
La misericordia è relazione di santità con ogni uomo. Chi non vive di misericordia non è cristiano, perché senza relazione di santità con il mondo intero, nessuno di noi potrà chiamarsi cristiano.
La grazia di Dio accolta che non si trasforma in noi in misericordia, è una grazia morta, persa, dilapidata, sciupata.
Di ogni grazia non trasformata in misericordia siamo responsabili dinanzi a Dio.
La misericordia è la giusta fruttificazione in noi della grazia di Dio.
La pace è il ritorno dell’uomo nel suo ordine naturale e soprannaturale. Nella pace Dio è Dio, l’uomo è uomo, le cose sono cose, le creature sono creature, il Creatore è Creatore.
Nella pace Dio è il Signore e la sua Volontà l’unica Legge della nostra vita.
Nella pace l’uomo è nostro fratello da amare, servire, perdonare, sostenere, aiutare, condurre nel regno di Dio anche attraverso l’offerta della nostra vita.
Nella pace le cose sono cose. Esse non sono il fine dell’uomo. Sono un mezzo, uno strumento per amare sempre e di più.
Nella pace neanche l’uomo è il fine dell’uomo. L’uomo è colui al quale devo donare tutto l’amore che Dio mi ha donato.
Nella pace solo Dio è il fine dell’uomo. Solo la sua Volontà è la nostra Legge. Solo la vita eterna è il bene prezioso per conquistare il quale vale la pena perdere il mondo intero.
La comunità è cristiana se cammina sempre nella verità e nell’amore.
Cammina nella verità se osserva la Parola del Vangelo, lasciandosi illuminare quotidianamente dallo Spirito Santo.
Cammina nell’amore se accoglie quotidianamente l’amore di Cristo Crocifisso nel suo seno e lo riversa nel mondo per la sua conversione e salvezza eterna.
Verità e amore o sussistono insieme, o non sussistono. O insieme crescono, o insieme muoiono.
Chi cresce nella verità cresce anche nell’amore; chi non cresce nella verità, deperisce anche nell’amore.
Quando una comunità smarrisce la via della verità, subito in essa l’amore si eclissa, viene meno.
Chi vuole riportare l’amore, quello vero, in seno alla comunità, deve portare in essa la verità di Cristo Gesù.
Da parte di Dio Padre: Dio è la fonte della santità, della grazia, della misericordia, del perdono, della pace, della verità e dell’amore.
Non c’è dono soprannaturale e naturale che non sia da Dio Padre. Niente è dall’uomo, niente è dalla creazione. L’uomo e la creazione sono da Dio sempre.
Da parte di Gesù Cristo, figlio del Padre: il dono di Dio all’uomo è Cristo Gesù. Ma anche Cristo Gesù si è fatto dono di Dio per l’uomo, per ogni uomo.
Il Padre lo ha donato e Lui si è lasciato donare. Il Padre è il Dono che dona, il Dono donante, il Figlio è il Dono che si lascia donare, il Dono donato.
Cristo Gesù è il dono di Dio nel quale è racchiuso ogni altro dono.
Chi vuole il dono di Dio deve riceverlo da Cristo Gesù, deve ricevere Cristo Gesù che è il dono di Dio.
Ma sempre secondo l’ordine soprannaturale. È Dio Padre che ci dona Cristo sempre. È Cristo Gesù che si lascia donare da Dio sempre. Padre e Figlio sono un unico dono, ma sono anche due Soggetti che donano e si donano.
Il Padre dona il Figlio donandosi in Lui a noi, nello Spirito Santo.
Il Figlio si dona a noi, lasciandosi donare dal Padre e donandoci il Padre nello Spirito Santo.
Chi rompe questa relazione non ha il dono. Non ha né il Padre, né il Figlio, poiché non c’è dono senza il Padre e non c’è dono senza il Figlio.
Il Figlio è il dono del Padre. Il Padre è il dono del Figlio. Nello Spirito Santo vengono a noi Padre e Figlio. Con il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo, è data a noi ogni grazia, si riversa su di noi la divina misericordia.
Il presbitero possiede una visione perfetta dell’unità che regna, che deve sempre regnare nel cuore credente tra il Padre e il Figlio.
Chi rompe questa unità non è più nella verità né del Padre, né del Figlio. Chi rompe questa unità è ritornato nelle tenebre e nell’idolatria di un tempo.
[4]Mi sono molto rallegrato di aver trovato alcuni tuoi figli che camminano nella verità, secondo il comandamento che abbiamo ricevuto dal Padre.
Il presbitero in seno alla comunità non ha solo il mandato da parte di Cristo di amministrare i misteri di Dio, che sono misteri di grazia e di verità.
Il presbitero non è solo un amministratore scrupoloso dei doni soprannaturali di cui il Signore lo ha reso dispensatore in mezzo agli uomini, per la loro conversione, giustificazione, salvezza eterna.
Il presbitero è anche uno che vigila, che osserva, che scruta, che discerne, che vaglia, che opera una separazione netta tra la verità e la falsità, tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male, tra il pensiero di Dio e il pensiero del mondo, tra la Parola di Dio e la parola degli uomini.
Il presbitero è chiamato a snidare la falsità dei cuori, a metterla al bando, a dichiararla nemica della croce di Cristo.
Il presbitero è chiamato a incrementare la verità nei cuori, a rimetterla se è stata perduta, a coltivarla perché produca frutti di più grande giustizia.
Il presbitero è il vero portatore della luce di Cristo in seno alla comunità cristiana e per mezzo di essa nel mondo intero.
Il presbitero deve avere tanta sapienza, tanta saggezza, tanta intelligenza nello Spirito Santo, tanta luce di Cristo in lui da scorgere anche la più piccola ombra di tenebre che si annida in un cuore.
Il presbitero deve essere l’uomo della luce di Cristo che vede l’errore che si annida nei cuori, anche del più semplice pensiero del mondo, e lo rivela perché lo si abbandoni.
Se il presbitero non distingue la luce dalla tenebra, l’errore dalla verità, la parola degli uomini dalla Parola di Dio, tutta la comunità affidata alle sue cure pastorali andrà miseramente in rovina. Non c’è speranza di salvezza per una comunità nella quale il presbitero non opera il sano e giusto, opportuno discernimento sulla verità di Cristo Gesù.
Il presbitero vede che alcuni figli della Signora eletta camminano nella verità, sono fedeli alla Parola, seguono lo Spirito Santo, lo Spirito di verità che sempre accompagna il cammino della Parola nella storia, lungo tutto il corso dei secoli.
Il presbitero specifica che c’è cammino nella verità quando si osserva il comandamento che abbiamo ricevuto dal Padre.
Ma qual è questo comandamento che il Padre ci ha donato e che noi abbiamo ricevuto?
Questo comandamento è Cristo Gesù, che è dal Padre, che è il dono del Padre, che è la Parola del Padre, che è la vita eterna del Padre.
Alcuni figli della Signora eletta sono rimasti fedeli a Cristo Gesù. Vivono la retta fede in Lui.
Senza la retta fede in Cristo Gesù non c’è cammino nella verità. Semplicemente non c’è verità, perché Cristo Gesù è la verità del Padre.
Del cammino nella verità lui si rallegra. Il suo cuore è nella gioia e sempre deve nascere la gioia in un cuore quando i cristiani camminano nella verità di Cristo, camminano in Cristo verità di Dio.
[5]E ora prego te, Signora, non per darti un comandamento nuovo, ma quello che abbiamo avuto fin dal principio, che ci amiamo gli uni gli altri.
È ministero del presbitero anche l’esortazione, che è una parola di sprone, di incoraggiamento, al fine di ravvivare la verità, l’amore, la giustizia, la pace.
L’esortazione è una parola che deve riaccendere nei cuori la verità ricevuta perché splenda e risplenda con fiamma sempre più viva e più grande.
Il presbitero esorta la Signora sotto forma di preghiera. È questa vera delicatezza di amore, di compassione, di misericordia, di pietà.
Si vuole il bene dell’altro e lo si prega perché lo voglia accogliere tutto nel suo cuore.
La forma della preghiera è delicatezza perché non si vuole entrare con violenza, prepotenza, arroganza, superbia, orgoglio spirituale di chi già cammina nella verità.
È delicatezza perché ci si presenta all’altro con tutta l’umiltà di Cristo Gesù e si dona la parola di esortazione non come imposizione, ma come vera preghiera, vera esortazione, vero incitamento, vero sprone.
Il presbitero non è colui che impone, è colui che dona, propone, consiglia, annunzia, predica, proclama, indica, testimonia.
Il presbitero è l’uomo ricco di amore per tutti e tutto opera lasciandosi governare dall’amore crocifisso di Cristo Gesù.
La forma della preghiera è come se uno bussasse alla porta del cuore dell’altro chiedendogli di farlo entrare perché deve mettere in esso ogni dono di Dio, di cui è carente.
Questa forma è la forma di Dio, che lascia libera la volontà dell’uomo, perché solo nella volontà libera vi può essere l’amore vero, puro, santo. Dove non c’è volontà libera, lì non c’è amore, perché l’imposizione non è amore e neanche la costrizione.
Il presbitero non dona un comandamento nuovo. Perché non ci sono più comandamenti nuovi da donare. Il presbitero ricorda, ravviva, riaccende il comandamento ricevuto fin dal principio.
Questo comandamento è quello che Gesù ha donato ai suoi discepoli, e in loro e per mezzo di loro, ad ogni uomo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi.
L’amore è l’essenza stessa della nuova vita che Gesù è venuto a portare sulla nostra terra.
Dove non c’è amore, semplicemente non c’è la nuova vita.
Ma che cosa è l’amore con il quale ci dobbiamo amare? È quello stesso che Gesù ci ha lasciato in dono.
L’amore è Cristo stesso. È Cristo crocifisso. È Cristo che si è fatto dono d’amore per noi.
Noi accogliamo Cristo e accogliendo Lui ci facciamo in Lui dono d’amore per i fratelli, per tutti i fratelli, nessuno escluso.
Ama chi dona la vita in Cristo per la salvezza del mondo. Poiché la vita bisogna darla per ogni uomo, nel darla concretamente per gli altri, per tutti, la si dona anche per coloro che sono discepoli del Signore.
E così amandoci vicendevolmente, amandoci gli uni gli altri, ognuno dona e riceve la vita dell’altro.
Questo processo di amore vicendevole non sarà mai possibile, se il cristiano non diviene una cosa sola con Cristo Gesù.
Divenendo ogni giorno una cosa sola con Cristo, lui in Cristo diviene un dono d’amore per i suoi fratelli.
La volontà di amare come Cristo deve essere sempre vivificata nel cristiano. Questa volontà è facile che si spenga, che si affievolisca, che muoia del tutto.
Quotidianamente la dobbiamo accendere in noi, dobbiamo accenderla anche nei fratelli.
Il presbitero ha questa missione: riaccendere sempre e sempre questa volontà nel cuore di ogni discepolo del Signore.
Se lui svolge quest’opera con carità, semplicità, rispetto, delicatezza, esortazione, incoraggiamento, sprone, l’altro a poco a poco si lascerà conquistare dalla verità di Cristo e la farà divenire fiamma che incendia il suo cuore e lo consuma d’amore per i fratelli.
In questo il presbitero ha una grande responsabilità. Per lui la fiamma dell’amore si riaccende nei cuori, a morivo della sua saggezza e sapienza. Ma anche per lui si può affievolire, può anche morire del tutto, se svolge il suo ministero in modo non del tutto conforme alla via e alla sostanza che gli ha lasciato in dono Cristo Gesù: “Vi ho lasciato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate tutti voi”.
Il presbitero mai si deve distaccare dalla forma e dalla sostanza di Cristo Gesù: sostanza e forma che sono la sua morte in croce per amare l’uomo sino alla fine.
Sostanza e forma che sono l’istituzione dell’Eucaristia: Cristo Gesù si fa nostro cibo di vita eterna perché noi possiamo sempre amare come Lui ha amato noi.
Cristo Gesù ha fatto l’Eucaristia facendosi Eucaristia. Farsi Eucaristia vuol dire farsi sacrificio di vita eterna, farsi Croce e morte di Croce per il mondo intero.
L’Eucaristia è la forma e la sostanza dell’amore di Cristo che ognuno di noi deve fare sua, facendosi Eucaristia per il mondo intero.
[6]E in questo sta l'amore: nel camminare secondo i suoi comandamenti. Questo è il comandamento che avete appreso fin dal principio; camminate in esso.
Lo si è già detto. È giusto, opportuno che lo si ricordi.
Non si può separare Cristo dal Padre, né il Padre da Cristo.
Non si può separare la Parola del Padre dalla Parola di Cristo, né la Parola di Cristo dalla Parola del Padre.
Padre e Figlio sono una sola salvezza. Parola del Padre e Parola del Figlio una sola Parola.
La salvezza del Padre è Cristo Gesù.
La Parola del Padre è la Parola di Cristo Gesù.
Il comandamento del Padre è il comandamento di Cristo Gesù.
Il Padre parla per mezzo del Figlio, ama per mezzo del Figlio, salva per mezzo del Figlio, ci fa suoi figli nel Figlio suo Gesù Cristo.
Il Figlio è il dono del Padre, dono perfetto, definitivo, totale, pieno.
Il Figlio è il comandamento del Padre, ma è anche la forma perfetta di questo comandamento, forma insostituibile, forma verso cui devono guardare tutti coloro che vogliono amare secondo pienezza di verità.
Il presbitero dice con parole semplici che: “l’amore sta nel camminare secondo i suoi comandamenti”.
I comandamenti del Padre sono le Parole di Cristo Gesù. Il Comandamento del Padre non è la Parola del Padre, è invece la Parola di Cristo Gesù, nella forma e nella sostanza di Cristo Gesù.
Cristo è il comandamento del Padre, perché Cristo è la volontà del Padre, la Legge del Padre, la via che deve condurre al Padre, la luce che illumina il cammino verso il Padre.
Non c’è un altro Cristo. Cristo è uno solo. Cristo è dato però dal presbitero. Ma anche il presbitero deve porre ogni attenzione affinché dia sempre l’unico e solo Cristo: quello che ci è stato dato fin dal principio.
Chi dona un Cristo diverso da quello donato fin dal principio, non dona il vero Cristo, ne dona uno falso. Il falso Cristo non dona salvezza, perché la salvezza viene solo dal vero ed unico Cristo: quello che è stato dato fin dal principio. Questa verità è semplice da annunziare, difficile da accogliere, a motivo della tentazione che vuole sempre separare la verità da Cristo e Cristo dalla verità.
Cristo e Parola di Dio sono un solo comandamento. Chi vuole camminare in Cristo deve camminare nella Parola di Cristo, la Parola che ci è stata data fin dal principio.
Il presbitero ha questa grande responsabilità: ancorare la comunità cristiana al principio di essa e il principio è uno solo: Cristo e la Parola dell’inizio, Cristo e la Parola che è risuonata nel mondo con Cristo stesso.
Tutti i problemi passati, presenti e futuri della Chiesa risiedono in quest’unica verità: ancorare la fede al principio di essa.
Scardinare la fede dal suo principio, significa scardinarla dalla sua verità, dalla verità che la fa rimanere sempre via di salvezza e di redenzione per il mondo intero.
Questo principio lo troviamo quasi in ogni Lettera di San Paolo e in tutti gli Scritti del Nuovo testamento. Questi hanno una sola finalità: ancora la fede e la verità a Cristo Signore, il vero, unico principio della verità, della carità, della speranza.