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COMMENTO DELLA LETTERA AI GALATI

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2018 14:56
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21/12/2011 22:20
 
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Il vangelo di Paolo non è secondo il gusto degli uomini, ma secondo la Scrittura
(3,1-6,10)

Nella grande sezione 1,13-2,21 l’apostolo ha potuto fornire la prova che egli non ha ricevuto il suo vangelo per la mediazione di uomini. Ma ora sembra che un altro grave rimprovero dei suoi avversari sia questo: il suo vangelo è "secondo il gusto degli uomini"; evidentemente una vita libera dalla legge non potrebbe essere che estremamente gradita agli uomini! L’apostolo risponde che il suo vangelo, e quindi la via della salvezza della fede "senza le opere della legge", è secondo la Scrittura. Se così è, allora un opporsi al vangelo libero dalla legge, o un sospettare di esso, è disobbedienza contro la volontà salvifica di Dio, già da lungo tempo rivelata dalla Scrittura.

Secondo la Scrittura la vera e propria via di salvezza è quella della fede e non quella delle opere della legge.

a) Un appello all’esperienza cristiana dei Galati (3,1-5)

1O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? 2Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? 3Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? 4Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! 5Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?

I Galati stanno per fare esattamente il contrario di quello che l’apostolo vorrebbe: essi aboliscono l’ordinamento della grazia di Dio, cercando la giustificazione "mediante la legge". La tecnica particolare dell’interrogazione dell’apostolo ha in sé qualcosa di provocante. Queste domande vogliono essere un richiamo all’esperienza cristiana dei Galati.

vv. 1-2. Se i Galati sono apostrofati come anòetoi, insensati, con ciò viene loro attribuita non una scarsa intelligenza, ma una mancanza di discernimento per ciò che concerne l’essenza del vangelo e quindi del cristianesimo."Chi vi ha stregati?" Ciò che induce i Galati a deviare verso il giudaismo è, secondo Paolo, causato da qualche cosa che supera un’arte di persuasione umana, da una potenza demoniaca che l’apostolo lascia indeterminata.

Per l’apostolo l’intento dei Galati è così incomprensibile, che gli fa l’effetto di un incantesimo demoniaco. Egli vuole sapere da essi solo questo: in base a che cosa i Galati hanno ricevuto lo Spirito? In virtù delle opere della legge oppure per l’accettazione obbediente della predicazione della fede? Essi hanno ricevuto lo Spirito per l’accettazione obbediente della predicazione della fede. Nella chiesa primitiva il ricevimento dello Spirito andava congiunto con effetti carismatici e prodigi. Che i Galati possiedano questa esperienza dello Spirito, l’apostolo lo fa supporre nella seconda domanda rivolta loro.

v. 3. La parola "carne" indica il comportamento autosufficiente dell’uomo, il quale si fida delle proprie capacità e di ciò che ha a disposizione. Questa errata fiducia si acquista nel compiere le opere della legge che possono istigare a far valere la propria giustizia, mentre per il cristiano la vera giustizia, la giustizia di Dio, è un puro dono della grazia, proveniente dalla fede. Paolo invita gli insensati Galati perché abbandonino la via delle opere della legge per tornare a quella dello Spirito.

v. 4. Le grandi cose che i Galati hanno sperimentato sono il dono dello Spirito e i prodigi ad esso connessi. Ma non può essere che si ricevano invano cose così grandi? Paolo spera che i Galati non abbiano ricevuto inutilmente il dono dello Spirito e che i suoi inviti contenuti nelle domande raggiungano ancora il loro scopo presso di loro.

v. 5. Paolo esprime di nuovo il suo pensiero con una domanda: Dio vi ha consegnato lo Spirito con tutti i suoi doni in base alle opere della legge o in virtù dell’ascolto obbediente del messaggio della fede? La risposta c’è. E questa volta non è quella dei Galati e neppure quella di Paolo, ma quella della Scrittura.

b) L’affermazione della Scrittura (3,6-18)

6Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia. 7Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. 8E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: In te saranno benedette tutte le genti. 9Di conseguenza, quelli che hanno la fede vengono benedetti insieme ad Abramo che credette. 10Quelli invece che si richiamano alle opere della legge, stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle. 11E che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che il giusto vivrà in virtù della fede. 12Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario dice che chi praticherà queste cose, vivrà per esse. 13Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, 14perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede. 15Fratelli, ecco, vi faccio un esempio comune: un testamento legittimo, pur essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche cosa. 16Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furon fatte le promesse. Non dice la Scrittura: «e ai tuoi discendenti», come se si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo. 17Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo una legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo, annullando così la promessa. 18Se infatti l’eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa.

Paolo è nato giudeo ed è stato istruito nel rabbinismo. Perciò conosce l’autorità divina della Scrittura e ha una buona padronanza delle regole dell’esegesi dei rabbini, soprattutto di quelle che essi applicavano per combinare tra loro i passi della Scrittura, così da ottenere una prova scritturistica. Egli vede tracciata nella Scrittura la via di Dio, specialmente le sue promesse di salvezza per il futuro messianico. Tutta la Scrittura punta sul Messia che, in base alla convinzione di fede di Paolo, è Gesù Cristo. Da questo punto di arrivo, che è Cristo, egli comprende il senso delle dichiarazioni e delle promesse dell’Antico Testamento. Paolo prende l’esempio di Abramo, che gli sta tanto a cuore, e mediante tale esempio egli fonda la sua teologia della giustificazione partendo dalla Scrittura e dimostra che, secondo la Scrittura, la giustificazione proviene dalla fede e non dalle opere della legge. In questo modo viene stabilito anche il collegamento con quanto è stato detto in precedenza. "Abramo" è la parola caratteristica che dà coesione all’intera pericope. In questa sezione essa ricorre sette volte e fa da inclusione di tutto il brano. Abramo è il primo ebreo e padre di tutti gli ebrei. Perciò, se l’apostolo riesce a dimostrare dalla Scrittura che Abramo è padre di tutti i credenti (Rm 4,11) egli può proporre un fondamento scritturistico convincente per la sua teologia della fede. Inoltre già all’interno dell’Antico Testamento Abramo viene designato anche come "il grande padre di molti popoli" (Sir 44,19).

v. 6. Paolo dice ai Galati: quanto alla situazione della vostra salvezza, le cose stanno come ad Abramo: egli credette a Dio; e quindi voi venite giustificati dalla fede perché secondo la Scrittura fu così anche per Abramo, come afferma Gen 15,6. Nel racconto della Genesi la fede di Abramo è un atto di fiducia, un acconsentire ai piani di Dio nella storia, un lasciar mano libera al potere di Dio. Ma che cosa significa l’espressione "gli fu computato come giustizia"? Il termine ebraico corrispondente a "computare, ascrivere" è hashàb ed è espressione di un atto mentale, di giudizio. Se dunque Dio computa a giustizia ad Abramo la sua fede, egli - secondo Gen 15,6 - emette su di lui il giudizio: Abramo è giusto, si trova nel debito rapporto di comunione con me. Egli viene dichiarato giusto al cospetto di Jahvè. Non è l’adempimento di precetti, ma la fede, e soltanto la fede, che viene computata ad Abramo come giustizia, che cioè lo fa dichiarare un uomo giusto. Questo "dichiarare giusto" è un giudizio di Dio su Abramo, che la Scrittura constata. Tale constatazione della Scrittura è per Paolo estremamente importante; con Gen 15,6 egli ottiene un principio teologico basilare di prim’ordine. Come Abramo - secondo Gen 15,6 - fu giustificato "per la fede", così anche i Galati; anch’essi ricevettero lo Spirito per la loro obbedienza di fede e non in base alle opere della legge.

v. 7. Quindi i Galati devono trarre una conclusione da questo giudizio della Scrittura. Quelli della fede sono figli di Abramo e non quelli della legge; sono quelli della fede la discendenza innumerevole che Dio promise ad Abramo e non quelli nati dalla sua carne. Secondo Rm 4,17 questa fede di Abramo è una fede nel Dio che risuscita i morti e chiama ad esistere ciò che non è, e di conseguenza una fede nella potenza creatrice di Dio che infrange e supera ogni misura naturale. È la fede nel Dio del miracolo! Secondo Paolo tale è anche la fede del cristiano; questi infatti crede nel Dio che ha risuscitato dai morti Cristo e che, benché siamo peccatori, risuscita dai morti assieme a Cristo anche noi. Questa è la fede nel Dio di una nuova creazione, e si basa proprio sulla sua parola. Nel caso di Abramo si tratta di una precisa parola di promessa; per i cristiani è il vangelo, che viene loro annunciato. Quelli che credono alla maniera di Abramo sono figli di Abramo.

v. 8. La promessa di Dio che consiste nel dono dello Spirito (v. 2) viene data da Dio anche ai pagani: "In te saranno benedetti tutti i popoli". La Scrittura ha previsto che Dio giustifica i pagani per mezzo della fede. La previsione della Scrittura equivale a una decisione divina anticipata, che adesso raggiunge il suo scopo.

v. 9. Tutti i popoli della terra sono benedetti insieme ad Abramo. È ben difficile che un ebreo possa accettare la "logica" di Paolo. Perché soltanto la via della fede dovrebbe condurre alla giustificazione e non le opere della legge disposte da Dio? Nei vv. seguenti Paolo risponde a questa domanda. Sennonché il concatenamento dei suoi pensieri è un po’ sconnesso, e ciò provoca delle difficoltà nell’esegesi.

v. 10. Tutti gli uomini che vivono di fede sono benedetti da Dio, mentre tutti gli uomini che vivono delle opere della legge sottostanno a una maledizione. Ma l’apostolo non procede con argomenti logici convincenti, ma deduce la prova della sua affermazione dalla Scrittura: "Infatti sta scritto: Maledetto chiunque non si attiene a tutto ciò che sta scritto nel libro della legge per adempierlo" (Dt 27,26). Per Paolo è incontestabile che tutti coloro che edificano la loro esistenza religiosa sulle opere della legge "sottostanno alla maledizione" perché nessuno era ed è in grado (Rm 3,19-20) di adempiere realmente le rigorose prescrizioni della legge. "Paolo considera il non adempimento della legge nella sua totalità come un dato di fatto e perciò collega senza esitazioni legge e maledizione, come sopra ha collegato fede e benedizione" (Berger). Perciò Dio nella sua bontà ha aperto un’altra via di salvezza per tutti, lasciando però che la maledizione diventi del tutto efficiente, ma non su tutti gli uomini, ma su uno solo: Gesù Cristo, "che per noi è diventato maledizione" (v.13). Paolo è convinto che nessuno ha la capacità di compiere realmente le opere della legge. E per questo motivo bisogna cercare un altro principio di salvezza che è anche conforme alla Scrittura: il principio della fede.

v. 11. Infatti nella Scrittura si legge: "Il giusto vivrà di fede" (Ab 2,4). Paolo introduce nella citazione di Abacuc le sue convinzioni di fede cristiana: per lui la fede è soprattutto fede in Cristo, ingresso nella comunione con Cristo, addirittura un "essere in Cristo". Perciò l’ebreo non accetterà da lui la sua esegesi. Anche nell’esegesi di Qumran il "giusto" di Ab 2,4 è "l’esecutore della legge" e la sua fedeltà riguarda la fedeltà verso Jahvè. Ma per Paolo Ab 2,4 rientra senza dubbio nelle prove scritturistiche più importanti della sua teologia della fede (Rm 1,17) e per lui è un fatto evidente "che per mezzo della legge nessuno viene giustificato presso Dio". Dicendo questo, Paolo non pensa semplicemente ai giudei, ma all’umanità intera. La giustificazione si ottiene, come insegna la Scrittura, soltanto in virtù della fede. Il principio della fede però non ha nulla a vedere col principio della legge, come spiega il seguente v.12.

v. 12. Infatti la legge si basa sul principio del fare, dell’adempimento. La Scrittura stessa dice: "Colui che segue le mie leggi e i miei comandi, ha per essi la vita" (Lv 18,5). Ciò rimane convinzione ovvia di tutto il giudaismo (Ez 20,11.13.15. 21; Sir 17,11; Bar 4,1; Ab 6,7; ecc.). E secondo l’Antico Testamento ovviamente Dio si aspetta che i suoi precetti e regolamenti siano osservati in Israele: dall’obbedienza ad essi dipende la stabilità dell’alleanza: i comandi e le prescrizioni di Dio erano ritenuti facilmente eseguibili. "Se soltanto lo vuoi, tu puoi osservare i comandamenti" (Sir 15,15). Ma Paolo, come i profeti dell’Antico Testamento, conosce il fallimento di Israele e di tutti gli uomini di fronte alle esigenze del Dio santo. Ma poiché l’apostolo sa che l’uomo non adempie le prescrizioni della legge, vale ugualmente per lui l’altra massima della Scrittura, secondo cui tutti sono stati e sono sotto la maledizione fatale della legge, tanto i giudei quanto i pagani. E da ciò nasce il pressante interrogativo circa la salvezza: chi può liberare l’uomo da questa maledizione mortale? Lui stesso con uno sforzo personale o un altro, che subentri al suo posto? A questa domanda Paolo risponde nel v. seguente.

v. 13. La risposta dell’apostolo è: "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge", che comportava la nostra morte. Egli lo fece, diventando lui stesso maledizione al nostro posto. Con la sua morte espiatrice Cristo, prendendo sostitutivamente su di sé la maledizione mortale della legge che gravava su di noi, divenne una maledizione, cioè un maledetto, come attesta la Scrittura: "Maledetto chiunque è appeso al legno" (Dt 21,23). Per Paolo, Cristo è colui che fu appeso al legno senza colpa e al posto di altri. Ma a che scopo Cristo divenne per noi maledizione?

v. 14. L’azione redentrice vicaria di Cristo ha un fine salvifico universale. Perciò l’opera redentrice di Cristo può avere solo questo fine: che i pagani ricevano il dono promesso dalla benedizione "mediante la fede". E adesso finalmente ci si può anche rendere conto di ciò che fu accennato in 3,2, cioè che la promessa di benedizione, fatta ad Abramo per i popoli pagani, consiste di fatto nel dono dello Spirito. Questo Spirito era già stato promesso dai profeti per il futuro tempo della salvezza tanto per il Messia (Is 11,2-3) quanto per Israele (Is 32,15; 44, 3; 59,21; Ez 11,19; 36, 26-27; 39,29) e anche per i pagani (Gl 3,1-2). Anzi il dono dello Spirito è la "primizia" (Rm 8,23) o la "caparra" (2 Cor 1,22; 5,5; Ef 1,14) della futura salvezza totale. Usando i due termini "Spirito" e "fede" nel v. 14, Paolo collega le riflessioni teologiche immediatamente precedenti con la tematica fondamentale avviata in 3,1-5 nel suo appello all’esperienza cristiana dei Galati: essi, che provengono dai popoli pagani, a suo tempo hanno ricevuto lo Spirito promesso perché hanno accettato l’annuncio della fede, in conformità alla promessa di salvezza fatta da Dio.

v. 15. L’interesse è rivolto all’eredità escatologica, in virtù della quale i Galati - a causa della loro obbedienza al messaggio della fede - hanno già ricevuto lo Spirito promesso (3, 2.14). La promessa della Scrittura, che è connessa alla fede, non può essere invalidata dalla legge. Paolo si riferisce a una istituzione vigente nel diritto ebraico per confermare con essa quanto dice la Scrittura. "Perfino il testamento di un uomo, redatto con validità giuridica, nessuno lo invalida o vi aggiunge qualcosa" (v.15). A maggior ragione "un testamento autenticato da Dio, non può essere invalidato dalla legge, che ebbe origine 430 anni dopo" (v. 17).

v. 16. Il testamento di Dio (le sue promesse di benedizione per tutte le famiglie dei popoli) fu fatto ad Abramo e alla sua discendenza. Il discendente vero e proprio di Abramo è il Cristo nel quale la promessa per Abramo diventò realtà per le genti (v.14). Per Paolo e i cristiani Cristo è il detentore escatologico della promessa di benedizione. Nella visuale cristiana il Cristo crocifisso è il vero Isacco (Rm 8, 32), e quindi il seme di Abramo per antonomasia, che diventò il portatore escatologico della promessa di benedizione per le genti.

v. 17. Paolo afferma che la legge del Sinai non invalida il testamento della promessa di Dio. Ma non sarebbe conforme al pensiero di Paolo il vedere per questo nella legge una potenza contraria a Dio. In Rm 7,12 l’apostolo scrive: "La legge di per sé è santa e il comandamento è santo, giusto e buono". Ciò che Paolo vuol dire è che la legislazione del Sinai non è un codicillo integrativo alla promessa e tanto meno il suo annullamento. Ma poiché egli, da cristiano credente nella Bibbia, sa che pure la legge proviene da Dio esattamente come la promessa, deve anche guardarsi da un pericoloso dualismo; e ci riesce, precisando in modo nuovo nei, vv. 19 ss., la mutua relazione tra legge e promessa. In questo versetto Paolo sottolinea che la promessa è stata ratificata prima della legge. Ciò è inteso in senso temporale (430 anni prima); ma poiché nella concezione rabbinica priorità equivale a superiorità, la promessa fatta in precedenza è superiore alla legge data in seguito. Per questo la legge non può annullare la promessa.

v. 18. L’eredità è in concreto la benedizione che Abramo ha ricevuto da Dio per sé e per i suoi discendenti (3,8): secondo il v.14 questa consiste nello Spirito e, secondo 4,5-7 nella "adozione a figli" connessa alla recezione dello Spirito che Cristo, vero seme-discendente di Abramo, comunica mediante la fede ai credenti, veri figli di Abramo. Ma ora si pone in modo tanto più urgente il problema della vera funzione salvifica della legge. Se questa non è un elemento aggiunto alla promessa e neppure una sorta di "disposizione esecutiva" di essa, che cosa è allora? Paolo risponde continuando il suo discorso sulla linea della Scrittura.

c) La vera funzione salvifica della legge (3,19-4,7)

19Perché allora la legge? Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. 20Ora non si dà mediatore per una sola persona e Dio è uno solo. 21La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; 22la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. 23Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. 24Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. 25Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. 26Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, 27poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 28Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo

1Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; 2ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. 3Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. 4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. 6E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

Da 3,17 sembrerebbe quasi che si possa dedurre che la legge sia una rivale della "promessa". Ma Paolo dovrebbe rinnegare l’autorità divina della Scrittura se vedesse nella legge una potenza ostile a Dio. Per lui la legge non è né una potenza antidivina, né una concorrente della promessa. In 3,19 ss. Paolo espone dettagliatamente il suo punto di vista circa la legge e la sua vera funzione nella storia della salvezza. La promessa e la legge sono due opere dell’unico Dio.

v. 19. "Perché dunque fu aggiunta la legge?". La legge fu aggiunta a motivo delle trasgressioni; essa ha una funzione rivelatrice: doveva manifestare il peccato come peccato e come trasgressione di un precetto. La legge rende il peccato una trasgressione consapevole (Rm 5,13). Inoltre questa funzione della legge era temporalmente limitata: "fino a che venisse il seme (Cristo) al quale fu fatta la promessa". A questo proposito però il giudeo pensava diversamente: per lui la legge aveva una durata eterna.

"La legge fu promulgata per mezzo di angeli". L’opinione di Paolo è che la legge non fu data a Mosè direttamente da Dio, ma per mezzo di angeli. Questa credenza ricorre anche in At 7,53 (discorso di Stefano): "Voi avete ricevuto la legge per disposizione di angeli, ma non l’avete osservata", e in At 7,38: "Mosè fu mediatore fra l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri". La troviamo anche in Eb 2,2: "Se infatti la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda...". Anche Flavio Giuseppe scrive in Ant. 15,5,3 par. 136: "Il meglio delle nostre dottrine e ciò che vi è di più santo nelle nostre leggi noi lo abbiamo appreso per mezzo degli angeli di Dio". In Gal 3,19 Paolo si appropria di tali concezioni per affermare con sicurezza l’inferiorità della legge nei confronti della promessa. "Per mano di un mediatore". In base al contesto (430 anni dopo; cfr. At 7,38), con "mediatore" si intende Mosè e non Cristo come hanno inteso per es. Crisostomo, Girolamo, Tommaso d’Aquino, Lutero, ecc. Perché nell’argomentazione Paolo si serva del concetto di "mediatore" è chiarito dal v. seguente.

v. 20. Questo versetto presenta particolari difficoltà all’esegesi; esso costituisce veramente una crux interpretum. Quando Dio fece la promessa ad Abramo non si servì di un mediatore, ma si mise in rapporto con Abramo direttamente, da persona a persona, come riferisce la Genesi. Gli angeli invece, poiché erano molti, nel trasmettere la legge, non poterono mettersi in rapporto diretto con il partner (il popolo di Israele), ma ebbero bisogno di un mediatore, cioè di Mosè. Quindi la legge, che di fatto fu disposta con l’aiuto di un mediatore, non è superiore alla promessa, ma inferiore ad essa. Nei vv. 19-20 Paolo risolve il problema dimostrando l’inferiorità della legge rispetto alla promessa. Con ciò tuttavia continua a non essere del tutto chiaro se la legge non sia una concorrente o addirittura una controistanza rispetto alla promessa. Paolo se ne avvede, come lascia intendere la domanda formulata con il v. seguente.

v. 21. "Dunque la legge è contro la promessa di Dio?". Paolo risponde: "Assolutamente no!". La legge non può essere una concorrente della promessa perché non è in grado di recare la salvezza. Dio ha dato una legge ed essa doveva veramente procurare la vita a coloro che l’avessero osservata (v.12). Ma in realtà non fu in grado di farlo, non fu capace di dare la vita. Se avesse potuto farlo, "la giustizia proverrebbe davvero dalla legge", e con la giustizia la salvezza escatologica. Tuttavia accadde il contrario, come assicura subito il v. successivo.

v. 22. La legge non poteva dare la vita. "La Scrittura racchiuse tutto sotto il peccato" esprime il giudizio emesso dalla Scrittura: tutti senza eccezione sono peccatori, sia giudei che pagani. In Rm 11,32 l’enunciato è ancora più preciso: ciò che qui è attestato dalla Scrittura, lì è detto di Dio: "Dio ha racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!". In questo versetto la Scrittura non si identifica con la legge. La Scrittura è il documento che accerta che le sacre esigenze di Dio, come sono codificate dalla legge, sono state trasgredite da tutti, e così essa constata che tutti sono caduti nel peccato. "Non c’è un giusto, neppure uno; non ce n’é uno che sia saggio, nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti assieme sono diventati inetti. Non ce n’é uno che faccia il bene, nemmeno uno solo" (Sal 14,1-3). Questa rovina generale, messa in luce dalla Scrittura, è per l’apostolo la prova che la legge effettivamente non era in grado di arrecare la vita (v.12). Tutto ciò vale anche per i Galati. Anche il loro dedicarsi alle opere della legge non procura ad essi la vita. Tuttavia questa constatazione negativa, costernante e totalmente disilludente della Scrittura sulla terribile situazione di rovina dell’umanità serve in definitiva a uno scopo di salvezza: "affinché ai credenti la promessa fosse data dalla fede in Gesù Cristo". Con ciò il problema "promessa-legge" che già da 2,16 ha movimentato i ragionamenti dell’apostolo potrebbe dirsi chiuso. Ma Paolo non è ancora soddisfatto. Nel seguito vuole approfondire ancor più la relazione fra legge e adempimento della promessa in Cristo. In quale rapporto stanno reciprocamente la legge e il tempo della fede, già cominciato in Cristo, che comporta l’adempimento della promessa?

vv. 23-25. Paolo parla del "venire" della fede, come nel v. 19 ha parlato del "venire" del discendente di Abramo, Gesù Cristo. "Si tratta del medesimo evento" (Bonnard). Il tempo, apportatore di salvezza del Messia viene qualificato come tempo della fede, che segue il tempo della legge, anzi ne rappresenta l’antitesi. La fede di cui si parla qui è quella in Gesù Cristo, che porta con sé la salvezza e che trasmette ai credenti la benedizione della promessa. "La legge è stata il nostro pedagogo finché non venne Cristo". Nel sistema educativo dell’antichità c’era il pedagogo, cioè uno schiavo che veniva assegnato al bambino, perché lo accompagnasse quando andava per la strada e a scuola, per proteggerlo dai pericoli, insegnargli come doveva comportarsi nelle varie circostanze ed essere di aiuto. Non era suo compito specifico quello di ammaestrare il bambino. Quando il ragazzo diventava maggiorenne, questa attività cessava. Dunque la funzione del pedagogo non consisteva in una vera e propria educazione del bimbo, ma nella sorveglianza e protezione. Per Paolo anche la legge è stata un pedagogo di questo tipo. La fede però non è frutto della legge, ma della rivelazione: essa è determinata dall’operato storico-salvifico di Dio in Cristo, mentre la legge è caratterizzata dalle opere, che non sono in grado di dare la vita. Possiamo parafrasare così il v. 24: "La legge è stata il nostro pedagogo fino alla venuta del Messia e nulla più, affinché noi ottenessimo la giustificazione non dalle opere della legge, ma dalla fede". In Rm 3,31 Paolo scrive: "Ma allora con la fede noi annulliamo la legge? Anzi, confermiamo la legge", ossia le diamo la sua vera validità e importanza nell’ambito della storia della salvezza.

"Affinché fossimo giustificati dalla fede". Il verbo significa essere dichiarato giusto, possedere la giustizia (3,6), la vita (3,21). Quindi la giustificazione non è puramente assoluzione dal peccato, ma nuova creazione dell’uomo, vita di Dio ricevuta per grazia. Il giusto è passato dallo stato di morte a quello di vita. Questa salvezza e trasformazione è già presente nell’uomo e consiste nell’adozione a figli di Dio (v.26). La funzione del pedagogo della legge cessò quando venne la fede in Cristo Gesù (v. 25). Dunque ora i credenti non sono più sotto la legge, ma sotto la grazia (Rm 6,14). Quali conseguenze etiche ne derivino, sarà dettagliatamente esposto da Paolo a partire da 5,13. È l’etica dell’amore e della libertà.

v. 26. Questo v. indica il motivo vero e proprio per cui nel tempo della fede: "non siamo più alle dipendenze di un pedagogo": perché siamo diventati figli di Dio. Paolo lo dice direttamente ai Galati perché stanno per sottomettersi di nuovo alla potestà del "pedagogo". Qui Paolo usa chiaramente il termine "figli" nel senso di figli adulti e liberi, non più sotto la tutela del pedagogo.

v. 27. La figliolanza divina dei credenti ha la base del suo essere "in Cristo Gesù" : perché tutti i battezzati in Cristo si sono rivestiti di Cristo. Con l’espressione "battezzare in Cristo" non si vuole indicare una formula battesimale, ma primariamente l’evento salvifico che si ha nel battesimo: entrare in Cristo salvatore significa essere salvati. In che cosa più esattamente consista questo avvenimento di salvezza collegato a Cristo, in occasione del battesimo, viene spiegato meglio in Rm 6,3 ss. In Gal 3,27 egli indica solo brevemente questo evento salvifico come un "indossare Cristo". Il Cristo risorto è diventato spirito datore di vita nel quale il battezzato è immerso e vive, è per così dire il suo nuovo abito unico e come tale rende insussistenti i segni di differenza dell’esistenza precedente, come spiega il v. seguente. Cristo è il modello unico e definitivo dell’esistenza umana.

v. 28. Poiché Cristo per il battezzato è la realtà nuova che tutto determina, non ci sono più tra i battezzati le differenze e i contrasti di prima. L’esistenza dei credenti in Cristo, che tutti i battezzati hanno indossato, trascende completamente tutte le differenze e le opposizioni. Davanti a Dio le realtà diverse dell’essere giudeo o greco, schiavo o libero, maschio o femmina, hanno perso ogni importanza per la salvezza. Nel contesto della situazione della lettera ciò significa che per i Galati non ha più senso né scopo il rivolgersi al modo giudaico di vivere la religione. Essendo essi battezzati in Cristo, vivono una realtà del tutto nuova che è Cristo, mediante il quale la legge giudaica è decaduta. La loro dedizione al "giudaismo" sarebbe un ritorno a un passato totalmente superato da Cristo. La forza unificatrice del battesimo viene motivata così: "Perché voi tutti siete uno solo in Cristo Gesù". Poiché tutti nel battesimo hanno "indossato" il medesimo Cristo, per mezzo del battesimo sono tutti diventati "uno solo". Il termine eis (uno solo) è l’uomo unitario escatologico, il cristiano. In Ef 2,15 Paolo scrive: "Egli fece diventare i due (il giudeo e il greco) in se stesso un unico uomo nuovo". I credenti sono compresi in una sfera di salvezza che è Cristo e così formano un’unità tra di loro. Gesù costituisce l’ambito in cui tutti i credenti sono "un unico": cioè l’uomo unitario escatologico vivente in Cristo, che ha superato tutte le differenze menzionate in questo versetto. Eis (uno solo) è ciò che si oppone alla serie elencata (giudeo, greco, schiavo, libero, maschio, femmina). Dunque se l’espressione: "voi tutti siete uno solo in Gesù Cristo" non comporta un’identità di Cristo e dei credenti in lui, essa però fa chiaramente capire il carattere "ontico" dell’unione dei battezzati in Cristo.

v. 29. Il v. conclude il tema che già aveva avuto inizio con 3,7. Ivi gli uomini della fede erano stati dichiarati i veri figli di Abramo. Poi si era constatato che Cristo era quel "seme" escatologico di Abramo mediante il quale e nel quale la promessa di Dio ad Abramo divenne realtà per i popoli. Il tramite, mediante il quale i popoli giungono a un reale collegamento con lui, è la via della fede e del battesimo. Chi in tal modo appartiene a Cristo, è il vero seme di Abramo e perciò anche erede della promessa di benedizione. Con il battesimo i Galati sono diventati proprietà di Cristo, appartengono onticamente a Cristo e quindi sono, in Cristo, seme di Abramo al quale si riferisce la promessa. Ecco perché una conversione dei Galati al giudaismo è superflua, anzi del tutto contraria alla promessa fatta da Dio stesso, e manifesta una comprensione totalmente errata della legge. Infatti la legge non può portare la salvezza, che dipende invece dalla benedizione; è puro dono di grazia ed è apparsa in Cristo.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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