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RAZIONALITA’ E RAGIONI DELLA FEDE

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2018 11:53
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26/02/2010 22:16
 
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Capitolo nono: LE RAGIONI DELLA FEDE: J. B. METZ E H. URS VON BALTHASAR (pagg. 157-176)

Il modello della teologia politica di J. B. Metz

Contro la tendenza della teologia a privatizzare il fatto cristiano, a seguire filosofie personalistiche ed esistenzialistiche, Metz afferma tutta la portata politico-sociale del cristianesimo, la necessità di evitare il pericolo della privatizzazione, ed è una questione anche di credibilità della chiesa di fronte al mondo moderno.
La chiesa può far proprie le speranze di libertà e di emancipazione dell’uomo moderno, centrale è la prassi della fede che è una sequela mistica e politica del Cristo, la religione cristiana non può essere religione borghese.
Metz contesta una psicologizzazione del cristianesimo e le chiusure dei movimenti stile-carismatici.
L’interesse per la pratica, per la ragione pratica non mette a tema la questione della verità in senso teoretico, rimandando sempre alla prassi di liberazione ci si limita a ritenere rilevante il dato cristiano e perciò vero, ma in chiave teologico fondamentale, quindi apologetico non ci si può fermare alla prassi.

Il modello estetico di H. U. von Balthasar

Si era creduto nel passato di rendere ragione della fede collocando il cristianesimo sullo sfondo cosmologico come datore di senso della realtà creata e fede nel Dio creatore (via cosmologica dei Padri della chiesa), si è poi cercato anche di vedere nella fede nel cristianesimo il compimento dell’uomo, la sua necessaria realizzazione cui tende continuamente (via antropologica).
Secondo von Balthasar queste sono entrambe riduzioni, debitrici di una visione cosmologica sacrale e di una necessità di comprensione dell’uomo, ne va dunque dell’assoluta gratuità del cristianesimo, qui non più preservata.
Per evitare questi debiti, von Balthasar propone la sua via estetica.
Di fronte alla grandezza-bellezza di un’opera d’arte o di una meraviglia naturale si ha l’esperienza estetica, simile ad essa è l’esperienza autentica dell’amore, qui la cosa che provoca è davanti, è altro e non può essere mai ricondotta a chi guarda (è la critica di Feuerbach alla via antropologica dove Dio era l’aspirazione dell’uomo).
La “forma” che si pone di fronte all’uomo e ne provoca l’atteggiamento religioso è Cristo Gesù nel suo amore sconfinato che si offre nella croce che manifesta la gloria del Figlio di Dio.
L’uomo percepisce (esperienza estetica) questa realtà di amore-bellezza-gloria presente in Gesù e ne sperimenta il “rapimento”.
La fede nasce da questo incontro in cui l’uomo è soggiogato da Cristo, lui è la rivelazione storica di Dio in una singolarità assoluta e in una evidenza oggettiva che viene da Gesù stesso e così si giustifica.
Non si parte cioè dai bisogni dell’uomo, Cristo non è tale perché risponde ad essi, non si elaborano così le ragioni della fede. Cristo è tale perché così si manifesta.
Comunque anche per von Balthasar sono necessarie delle disposizioni nell’uomo per cogliere la figura-Cristo, ma esse non possono mai ridurre a sé l’alterità di Cristo (rischio invece insito nel modello antropologico).
Se Rahner partiva dall’uomo per elaborare le condizioni umane di possibilità della fede, dell’accoglienza della rivelazione, von Balthasar sposta l’attenzione all’oggetto della fede, a Cristo Gesù.
In von Balthasar l’estetica è il primo passaggio (è il bello, il manifestarsi di Dio), il secondo è quello della drammatica cioè del dramma che porta alla riconciliazione tra Dio e l’uomo in Gesù (tema della bontà di Dio) il terzo è la logica che prende in considerazione l’amore divino che incontra la storia dell’uomo (tema della verità).

Capitolo decimo: UNA CONOSCENZA PER CONNATURALITA’ (pagg. 177-199)

Tra fideismo e razionalismo

Né il volontarismo fideistico che nega qualsiasi ragione per credere affidandosi totalmente a Dio, né il razionalismo che pretende di dimostrare la fede, che allora non è più fede, oppure riduce la fede a ciò che la ragione può comprendere e allora la riduce.
Per ovviare a tali posizioni inaccettabili la teologia fondamentale ha elaborato una sua analysis fidei.

Le due teorie della genesi della fede

La via moderna (dal XVII sec.) dalla possibilità di dimostrare storicamente l’esistenza di Cristo il che costituisce un preambula fidei.
Ad essa si aggiungono i segni di credibilità , i miracoli e le profezie avveratesi che fanno da sicuro appoggio all’affidarsi a Dio che si rivela proprio del credente.
La teoria antica (dal XIII sec.) parte dall’illuminazione della grazia e relativizza il tema della credibilità, dato che solo Dio può attirare a sé (Gv 6, 44: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”).

Teoria moderna e teoria antica dell’atto di fede

Nella teoria moderna l’uso di ragione conduce all’evidenza del fatto della rivelazione, solo in tal modo la fede può davvero essere ragionevole, il fatto della rivelazione si dimostra (ricerche storiche su Gesù, miracoli, profezie), mentre il contenuto (perdono, Regno di Dio…) si crede.
La teoria antica preferisce fermarsi ad una certezza morale, non oggettiva del fatto della rivelazione, tale certezza è garantita dall’illuminazione della grazia.
Il rischio della prima via è quello dell’intellettualismo che distingue tra fatto e contenuto della rivelazione, così nello studio della genesi della fede i contenuti non vengono presi in considerazione.
Si argomenta solo in base a fatti esterni al contenuto, quindi alla fede stessa, gli elementi soggettivi dell’atto di fede non sono presi in considerazione, c’è una specie di positivismo che prova.

Un modello di conoscenza: la connaturalità

Ardusso segue la via antica che propone una conoscenza non di ragione o razionale, e tuttavia non irrazionale.
Si tratta di una conoscenza che parte dalla fiducia per cui si è certi di una persona, delle sue parole, nasce per Dio una conoscenza affettiva di connaturalità.
Vi è connaturalità tra l’uomo e Dio, vi è come un vibrare comune, una specie di esperienza mistica che orienta la comprensione delle cose, Dio che si partecipa all’uomo garantisce tale connaturalità.
La connaturalità va alimentata nel vivere l’amore e ciò che consegue.
La certezza della verità si pone qui ad un livello non sempre esprimibile, si tratta di un qualcosa di ineffabile che fa capo ad un linguaggio simbolico.
Essa necessita di un controllo.
Dunque noi siamo in un rapporto di connaturalità con Gesù Cristo, in un secondo momento vengono le cose dette e fatte, tale rapporto essenziale è frutto di uno stare insieme garantito dallo Spirito.
Gli stessi discepoli vissero la connaturalità con Gesù.

L’illuminazione divina nell’atto di fede

Per la fede non bastano tutti i motivi di credibilità, a monte ci deve essere il dono della grazia, fede come grazia e non come conquista, dato anche che la certezza della fede si motiva con la rivelazione di Dio.
Dunque l’illuminazione della grazia si integra con i dati della credibilità.
Il giudizio di credibilità e l’atto di fede non si precedono, ma vanno insieme, il credente sa cogliere anche i piccoli indizi quali continua testimonianza della verità del suo atto, il vangelo loda chi crede anche senza aver visto prodigi straordinari.
Si tratta qui di una questione d’amore: l’amore per Dio fa’ sì che ci sia una decisione per lui (la fede), la quale a sua volta rende possibile la conoscenza, tale decisione è naturalmente libera nell’uomo anche se resa possibile dalla grazia.
Cuore e intelligenza (o anche: volontà e ragione) vengono così entrambe valorizzate senza che una umili l’altra.

John Henry Newman

L’assenso reale per Newman coinvolge l’uomo in tutte le sue dimensioni, ragione e cuore, mentre l’assenso nozionale si ferma alle capacità intellettuali.
In teologia deve valere l’assenso nozionale, ma per l’atto di fede vale l’assenso reale (che comprende ed integra il nozionale).
L’illative sense (senso illativo) consente all’uomo di interpretare il cumulo di probabilità che coglie nell’atto di esercitare l’assenso reale, così esso interpreta globalmente una serie di atti isolati, non si tratta qui di una dimostrazione, eppure si ha lo stesso la certezza della verità.

Pierre Rousselot

Per una pedagogia della fede

Si tenga conto delle questioni del cuore, dell’aspetto affettivo della conoscenza con la collaborazione di ragione e volontà.
Non bastano i buoni ragionamenti per portare alla fede, essi devono essere preceduti dall’esperienza dell’incontro con Cristo, mediata attraverso i testimoni-annunciatori.
E ci vuole poi la disposizione del soggetto, ovvero l’atteggiamento fattivo di ricerca e di conversione.


CONCLUSIONE (pagg. 201-203)

“Quella della fede è una certezza a un tempo presente e ferita” (pag. 201)
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