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RAZIONALITA’ E RAGIONI DELLA FEDE

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2018 11:53
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26/02/2010 22:13
 
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IMPARARE A CREDERE

Le ragioni della fede cristiana, Edizioni Paoline, 1992


In un tempo in cui la fede non è più qualcosa di ovvio e di scontato è oggi necessario imparare a credere che in una prospettiva di teologia fondamentale significa prima di tutto motivare le ragioni della propria fede, dimostrandone la credibilità, il suo essere atto pienamente umano di cuor e di ragione.

La fede come “atto intellettualmente onesto e moralmente responsabile” (pag. 8).

Si tratta anche di difendere la fede dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’indifferentismo, da una generica e irenica tolleranza nel rapporto con le altre religioni.

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26/02/2010 22:14
 
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Capitolo primo: TRA INDIFFERENZA RELIGIOSA E RITORNO DELLA RELIGIONE (pagg. 11-21)

La problematica della fede nel contesto culturale odierno

Bobbio: la fede è un qualcosa di illusorio che nasce da una ferrea volontà di credere, non dall’intelletto, la volontà di credere offusca l’intelletto e, proprio per questo, crea intolleranza e fanatismo.
Severino: la fede è volontà di credere che imprigiona l’intelletto, la fede è violenza.
A monte torna continuamente la questione del rapporto fede/ragione in cui le due, a partire dalla modernità ripresa radicalmente dall’illuminismo, si sono prima contrapposte e poi scomunicate (per cui chi ha ragione non può aver fede).
Da qui il passo ai grandi sistemi ateistici è breve.
Oggi però il problema della fede si pone in maniera diversa, non l’ateismo, ma l’indifferentismo è il grande problema, benché oggi si cominci a parlare di ritorno alla religione.
Ma tale ritorno è problematico per la fede cristiana in quanto spesso prende le vie ambigue delle sette, o perché si caratterizza per una multireligiosità tollerante.
Dunque ritorno alla religione non significa necessariamente ritorno alla fede cristiana neppure qui da noi.
Sentimento, istinto, intuizione, emozione sembrano essere dimensioni-guida di una nuova religiosità che non considera la dimensione intellettuale e non chiarisce il rapporto con una rivelazione.
Metz: oggi si direbbe religione sì, Dio no!, religione dionisiaca, dunque (profeta: Nietzsche!), cioè religione che dà felicità, piacere, soddisfazione immediata ed eviti il dolore, preveda la reincarnazione, una possibilità ulteriore etc.
Queste derive moderne della religiosità rendono ancora più profondo il solco tra ragione e fede restando nell’ambito della emozione.
In tal modo si priva però la fede di quella base ragionevole che non le è accessoria, ma fondamentale.
Proprio questa razionalità consentiva a Pietro di fare l’invito ai cristiani di motiva re le proprie scelte davanti al mondo pagano: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1Pt 3, 15).

Alla ricerca della ragionevolezza della fede

Il credente cristiano sa perciò che la ragione entra legittimamente in gioco nella professione di fede.
Non si tratta di dimostrare la fede (nel qual caso non sarebbe fede), ma di mostrare la sua piena ragionevolezza all’uomo d’oggi, è questo uno dei compiti fondamentali della teologia fondamentale che viene eseguito oggi andando al centro della questione, intrinsecamente al cuore della fede che il credere in Cristo Gesù (un tempo con i preambula fidei la giustificazione del credere veniva fatta a partire da fatti esterni, estrinseci, come i miracoli o l’avverarsi delle profezie).
Sapere umano e fede nella distinzione degli ambiti possono collaborare fruttuosamente, la storia, la filosofia le scienze umane sono settori preziosi ed imprescindibili per una matura professione dei fede del credente cristiano.
Perciò la ragione può lavorare sull’interpretazione storica dell’evento Gesù di Nazaret, e sulla risposta che la religione cristiana dà all’istanza umana di ricerca di assoluto e di senso.

Capitolo secondo: CHE COSA SIGNIFICA CREDERE (pagg. 23-38)

Credere: molteplicità di senso di un’esperienza umana originaria

Credere in senso debole indica un’opinione non sicura, un’ipotesi comunque probabile o almeno possibile.
Questo significato non può essere applicato alla fede cristiana.
In senso forte credere indica tutta la convinzione sulla verità di un concetto, di una persona, di una testimonianza, si crede a qualcosa e a qualcuno.
Il cristiano crede a Gesù Cristo, a quanto ha detto, alla testimonianza che gli apostoli hanno dato e che la chiesa lungo i secoli ha fedelmente conservato e tramandato.
Questo credere è un fidarsi di la certezza di ciò che si crede non sta in ma, me sta in un altro di cui mi fido.
In questo senso la fede è una dimensione connaturata all’uomo il che, dal punto di vista antropologico, legittima l’esistenza di ogni fede, dunque anche della fede cristiana.
L’uomo si interroga a partire dalle proprie esperienze e va alla ricerca dell’originario (del bello, del buono, del giusto, del senso…), nasce come pienamente legittima l’ipotesi Dio quale forma elementare del credere assolutamente universale (dunque naturale?).
Se la fede originaria ci rimanda al mistero assoluto, quella cristiana chiama quel mistero con nome e cognome: Gesù Cristo, il Dio rivelatoci da Gesù Cristo.

La fede nella Bibbia

Il vocabolo ebraico emunah indica fede nel senso di abbandono totale e filiale dell’uomo a Dio, fiducia e confidenza in lui.
Il vocabolo greco pistis si riferisce più ai contenuto oggettivi della fede.
Buber caratterizza la fede ebraica come emunah e quella cristiana come pistis mettendole in contrapposizione.
In realtà il cristiano sa bene come la sua fede sia anche fiducia e abbandono e l’ebreo riconosce i contenuti oggettivi del suo credo.
Si può dire comunque che ci sia una differenza di accenti, l’Antico Testamento sull’aspetto della fiducia, il Nuovo Testamento su quello dei contenuti del messaggio, ma un accento non esclude mai l’altro.
Biblicamente fede significa “fiducia nella parola divina, sottomissione obbediente, dedizione personale di sé da parte dell’uomo a Dio che si rivela” (pag. 31) sempre a partire da un evento di rivelazione al cui vertice sta l’evento-Cristo.
Nell’Antico Testamento i vari termini che esprimono la fede hanno come comune radice aman che significa abbandono fiducioso e appoggio sicuro, Dio è la roccia su cui si può costruire, l’esempio classico è Abramo che si fida di Dio e parte per la terra indicatagli.
A partire dal credere l’uomo interpreta se stesso in modo nuovo, si scopre amato da Dio, sa di dover vivere secondo la sua legge, sperimenta il rifiuto del peccato e le conseguenze.
Nel Nuovo Testamento pistis indica la fiducia, il sapere di non poter contare su di sé, ma sull’onnipotenza di Dio (nei sinottici è l’atteggiamento di chi chiede fiducioso a Gesù le guarigioni), essa indica, più approfonditamente, il sì a Cristo morto e risorto e al valore salvifico di quegli avvenimenti (soprattutto Paolo), solo in Cristo vi è salvezza (Atti 4,13).
A partire da ciò il Nuovo Testamento (in quanto si fonda sull’evento Cristo, qualcosa di più vicino, di più oggettivabile) mette anche a tema il contenuto oggettivo della fede, ciò in cui si crede che ci viene trasmesso dall’annuncio (fides ex auditu Rm 10,17) e non è frutto del ragionare dell’uomo (questa è la filosofia).
La fede in Cristo comporta anche la convinzione di una solidarietà dell’uomo con lui e la convinzione di poter condividerne il destino di gloria come dono d’amore e mai come conquista-merito (polemica paolina con la legge ebraica).
Giovanni associa credere con conoscere quando ci si riferisce a Cristo, perciò la conoscenza comporta sempre un coinvolgimento vitale del credente.

Capitolo terzo: FEDE COME FIDUCIA E COME CONOSCENZA (pagg. 39-50)

La fede secondo i protestanti e i cattolici

Le due dimensioni della fede, l’abbandono a Dio e il contenuto oggettivo, sono state accentuate dal mondo protestante, la prima e cattolico, la seconda al punto da essere causa di divisione.
Per Lutero fede significa fiducia totale e assoluta nella misericordia di Dio che salva, tutto il resto è secondario, non contano per la salvezza le conoscenze religiose intellettuali (reazione all’intellettualismo della dogmatica), conta il mio rapporto con Cristo, non la verità del suo essere.
Si veda questa attenzione in Schleiermacher dove la cristologia è l’esperienza dell’autocoscienza religiosa di Cristo (non la sua verità ontologica), nella teologia liberale e poi in Bultmann.
Barth reagisce a queste cose e recupera la dimensione contenutistica della fede.
Il luterano Pannenberg recupera anch’esso il dato conoscitivo oltre una semplice fede fiduciale.
Contro il soggettivismo della fede fiduciale, il cattolicesimo della controriforma sottolineò l’oggettivismo dei contenuti della fede e diede perciò largo spazio al tema dell’ortodossia e del magistero, il garante dell’unica fede (vertice al Vaticano I).
Qui il rischio era la riduzione della fede a conoscenza di verità.
Queste due posizioni in realtà oggi vanno verso una loro conciliazione, la filosofia personalistica ha aiutato il cattolicesimo a recuperare meglio la dimensione della fede come di un rapporto con il Tu di Dio.
In DV 5 si definisce la fede come un abbandono al Dio che si rivela, dunque, prima di tutto, ad un Tu, non a delle verità teoretiche.

Struttura dell’atto di fede

Il dare fiducia e l’abbandonarsi è questione umana quotidiana in ogni ambito, la fede in qualcosa o in qualcuno è dunque un atto pienamente umano.
Lo stesso vale per l’esperienza cristiana, il nocciolo della fede consiste infatti nell’abbandono fiducioso in Cristo Gesù, il poter dire: Io credo in te !
Questo comporta anche accettare quanto Gesù ha detto, fatto, e ciò che Gesù è, accettare il suo rivelarsi a noi (come per l’Antico Testamento si trattava di accettare gli eventi liberatori di Jahvè).
Dunque la fede è un credere in (fides qua creditur) e un credere che (fides quae creditur), nel Credo si dice credo in Dio Padre onnipotente, ma anche credo che Dio è il creatore del cielo e della terra…
In altre parole credere è credere Deum (elemento contenutistico) e credere Deo (abbandonarsi a Dio).
I contenuti concreti e la dimensione personale vanno entrambi mantenuti per una matura professione di fede, ma tra i due prevale l’aspetto interpersonale, il credere in.
La vita di fede mantiene sempre poi la sua dimensione ecclesiale, la chiesa conserva e trasmette e il singolo nell’atto di fede comprende l’appartenenza alla chiesa voluta e fondata da Cristo Gesù.
Infine la fede è un atto che monopolizza tutta la vita del credente, ma che chiede anche di essere continuamente approfondita e motivata, anche in una logica tutta umana di peccato e conversione.
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26/02/2010 22:15
 
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Capitolo quarto: IL CONTENUTO CENTRALE DELLA FEDE O L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO (pagg. 51-73)

Il nucleo centrale della fede cristiana

Dopo aver parlato della struttura dell’atto di fede, si tratta ora di passare ai suoi contenuti.
Il vasto campo della dogmatica i tanti ambiti che essa tocca può far perdere il riferimento centrale essenziale che nel cristianesimo è Cristo Gesù morto e risorto, tutto ruota attorno a questa verità, ed ogni affermazione dogmatica è ad essa collegata in forma più o meno forte (da qui la gerarchia delle verità di UR 11).

La narrazione biblica

La Bibbia ci descrive la fede degli ebrei come derivata da una esperienza via via più chiara del Dio liberatore, di Jahvè, il Dio dell’alleanza che, fedele, misericordioso e giusto, guida e protegge il suo popolo: è questo il semplice nucleo centrale della fede degli ebrei.
Per i cristiani, per il Nuovo Testamento, tutto ruota attorno a Gesù e all’annuncio del Regno che è venuto a portare e a realizzare, le professioni di fede del Nuovo Testamento hanno proprio come oggetto Gesù risorto (Gesù è il Cristo, Gesù è il Signore, Gesù è il Figlio di Dio…, Dio lo ha resuscitato dai morti…).

Alla ricerca dell’essenza del cristianesimo

È evidente che l’essenza del cristianesimo è Cristo Gesù, la sua persona e il suo messaggio, dunque il vangelo.
Ma nella storia vi sono state visioni riduttive di Gesù, la prima fu quella dello gnosticismo per il quale Gesù era il maestro di sapienza che portava agli eletti la conoscenza che poteva salvare rendendoli consapevoli della propria origine divina.
In tal modo la salvezza è atto proprio, personale di ciascuno, dopo aver ricevuto la rivelazione della propria condizione.
Qui la morte di croce non serve e in effetti lo spirito divino operante nell’uomo Gesù di Nazaret dal momento del battesimo lo abbandona prima della morte.
Questa visione auto-redentiva dell’uomo è propria della religiosità della modernità ed è anche sostenuta da certa psicologia (p. es. Jung), Gesù consente all’uomo così di prendere coscienza di sé, di liberarsi dagli affanni e dai condizionamenti etc.
Ma Gesù non è solo un uomo illuminato, egli è molto di più, siamo qui di fronte ad una inaccettabile riduzione di Gesù e del cristianesimo!
Altra riduzione è propria di chi vede in Gesù solo il modello di comportamento e nel cristianesimo solo una etica straordinaria (deismo inglese e illuminismo in genere).
Qui non c’è spazio per la divinità di Cristo ridotto a solo uomo, l’interesse è poi rivolto solo al messaggio e tutti i misteri del cristianesimo sono ricompresi alla luce della ragione ed eventualmente rifiutati come mito.
La religione va infatti finalmente ricondotta nei limiti della pura ragione (Kant, messaggio morale, universalità di una religione così ricompresa).
Gesù mette poi in pratica un modello etico che in realtà è proprio di ogni uomo essendo esso razionale.
Gesù essendo uomo della storia non può pretendere nessuno criterio di universalità (problema di Lessing e di tutto l’illuminismo e il razionalismo), ma in realtà è proprio questo aspetto lo scandalo della fede (Kierkegaard).
Una esegesi e una teologia segnata da questi pregiudizi non può che proporre una visione riduttiva di Gesù come accadde nell’episodio della Leben-Jesu-Forschung (ricerca sulla vita di Gesù: Reimarus, Renan) per la quale Gesù era maestro di dottrine morali, ma non aveva niente di divino.
Un’altra riduzione è quella di vedere nel cristianesimo semplicemente il codificarsi di una esperienza religiosa che nasce nel singolo a motivo del sentimenti di dipendenza assoluta (Schleiermacher).
Per Schleiermacher il cristianesimo era semplicemente la forma migliore di religione.
Tutta la teologia liberale protestante del XIX secolo è segnata da questa impostazione e riduce l’annuncio del Regno ad un generico ideale universale di morale e di pace.
L’essenza del cristianesimo non è Gesù, ma la figura del Padre (opera di A. von Harnack) Gesù è l’uomo religioso perfetto che ha fatto una esperienza perfetta di rapporto con Dio, ma non conta lui, conta solo il suo messaggio e la sua testimonianza.
Contro questa riduzione di Dio arriverà poi la teologia dialettica di Barth che con Bonhoeffer esalterà a tal punto la divinità, l’assoluta lontananza, la non disponibilità di Dio all’uomo, da negare al cristianesimo lo statuto di religione (da lui intesa negativamente come riti e culti finalizzati a raggiungere un Dio indisponibile, quindi fallimentari e sacrileghi) per dire che esso è solo fede.

L’inscindibilità del messaggio di Gesù Cristo dalla sua persona

Non si possono scindere messaggio e persona, per il cristiano essi sono un tutt’uno in Gesù di Nazaret.
I primi cristiani dopo la morte di Gesù non annunciavano una dottrina (il Regno di Dio), ma una persona, Cristo Gesù morto e risorto, il resto viene dopo come conseguenza.
S. Paolo annuncio solo Cristo e Cristo crocifisso (1Cor 1,22-24; 2,2) e Cristo risorto, perché senza resurrezione vana sarebbe la fede (1Cor 15, 14-19).

Capitolo quinto: IL CRISTIANESIMO E’ UNA FEDE

Il cristianesimo è anzitutto una fede

Se è una fede, allora il cristianesimo è un dono gratuito che l’uomo deve solo accogliere, non è frutto di una conquista, ma è frutto di un annuncio, di un vangelo che co è stato trasmesso.
La fede, infatti, nasce dall’ascolto: fides ex auditu (Rm 10,9) che a sua volta nasce dalla rivelazione voluta da Dio stesso.
La fede cristiana deve naturalmente esprimersi in forme religiose (cioè culto, norme morali, teologia etc.) e si deve considerare superata la contrapposizione tra fede e religione che fu di Barth e di Bonhoeffer.
La religione ora diventa l’atteggiamento di risposta dell’uomo a Dio che si rivela, non semplicemente il frutto di una ricerca solo umana di Dio (questo era la religione condannata da Barth come idolatria!).
Questa fede mantiene per definizione un dato di insicurezza che deriva dal fatto che ancora noi non siamo in visione, e che essa non è la conclusione di un ragionamento logico, da qui l’inquietudine sempre tipica del credente.

Il cristianesimo è la nuova alleanza

Questa alleanza consiste nella figliolanza, il dono di poter diventare ed essere figli nel Figlio.
I titoli cristologici presenti nel vangeli e nelle lettere ci segnalano la comprensione che di lui ebbero i primi cristiani, così per loro Gesù era uomo, ma anche era Dio (miracoli, resurrezione…), dunque era autenticamente il liberatore, prima di tutto liberatore dal peccato e dalla morte, poteva giustificare, poteva divinizzare, rendeva possibile la comunione con il Dio-Trinità.
In Gesù abbiamo come davanti il modello di una umanità compiuta, pienamente realizzata.
Così Gesù rende possibile tutto ciò, da qui il cristianesimo che trasmette tale possibilità nei secoli, questa comunione ora possibile è un entrare, un partecipare al mistero d’amore che lega Padre-Figlio-Spirito Santo.

Il cristianesimo attende nella speranza la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà

È questa la speranza cristiana e nessun uomo può vivere senza una speranza, essa si basa non su una riflessione o su una ideologia, bensì sulla persona di Gesù di Nazaret e sulla sua vicenda di morte e resurrezione, in lui vediamo annunciato e realizzato quello che sarà anche il nostro futuro.
In questo senso la fine dei tempi non fa paura, non vi è nella fede cristiana il mito dell’eterno ritorno, né quello della re-incarnazione, se così fosse si svilirebbe la fondamentale centralità degli eventi storici di Gesù di Nazaret e la necessità, qui ed ora, della testimonianza e della risposta.

Il cristianesimo è sequela mistica, profetica e politica di Gesù Cristo

Prima della legge viene la sequela di Cristo quale legge del cristiano, tale sequela ha in sé prima di tutto una dimensione mistica che sta ad indicare il rapporto di amore-preghiera per Dio che non ci immerge in Dio nel senso della religiosità orientale e neppure ci allontana dall’impegno concreto per i fratelli.
Mistica è la consapevolezza di essere in Cristo grazie all’opera dello Spirito (battesimo etc…), Paolo usa espressioni del tipo essere in Cristo vivere per Cristo, innestati in Cristo etc. e così anche Giovanni: vite e tralci (Gv 15).
Da notare che questa comunione non è mai semplice frutto dell’ascesi umana, ma è possibile solo per grazia, per la discesa di Dio in Cristo.
Paolo contesta la mistica dei corinti richiamando la croce.
Accanto alla mistica di deve essere la politica, la carità, nella logica dell’incarnazione che si appropria della realtà, non si allontana da essa, il cristiano non cerca il distacco dal mondo, dal dolore dalla sofferenza, ma assume in sé queste cose andando verso una loro sublimazione perché comunque questo mondo è di passaggio (Ardusso: mistica degli occhi aperti, non mistica degli occhi chiusi, pag. 89).

Il cristianesimo esiste come chiesa

Io credo-noi crediamo, dimensione individuale e assieme comunitaria della fede cristiana, la fede è un dato condiviso continuamente da trasmettere, il battesimo ci inserisce pienamente nella chiesa, il cristianesimo è bene lontano dal confinamento della religione nel privato tipica di certa religiosità post-moderna.
Gesù ha voluto la chiesa, ci salva comunitariamente, nonostante i limiti umani dell’istituzione, la fede cristiana non è dunque illuminazione personale e non può cadere in un soggettivismo illusorio, costruito, in quanto essa è così offerta, non raggiunta, essa deriva dalla testimonianza dell’annuncio mediato dalla chiesa che lo protegge e lo garantisce nella sua autenticità.
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Capitolo sesto: LA FEDE CRISTIANA E LE SUE RAGIONI (pagg. 95-104)

“Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15)

Ragioni della fede e motivo della fede

Il fondamento della fede è Dio che si rivela, non il ragionare dell’uomo, tuttavia vi è una ragionevolezza umana nell’atto di fede, una autentica onestà intellettuale.

La fede è un’adesione a Dio conforme a ragione

“Nessuno può venire a me –dice Gesù- se non gli è dato dal Padre” (Gv 6,65) perciò le ragioni della fede non possono produrre la fede, ma solo giustificarla, la fede non è dimostrabile, ma non è un fatto irrazionale, perché non sarebbe umana, essa è, invece, un atto autenticamente umano.
Anche per questo essa non è un fatto soggettivistico, non è razionalismo, né fideismo, una fede degna dell’uomo è una fede ragionevole.
Il tema della ragionevolezza della fede si trova trattato nella Dei Filius del Vaticano I.
· La fede non si basa sui contenuti, ma sull’autorità di Dio che si rivela (DS 3008).
· Non è frutto della ragione, ma non è irrazionale, dunque non ex ratione, ma neppure sine ratione (DS 3009).
· La credibilità della fede e i preambula fidei che riguardano il sapere, non il credere e che pure giustificano (non provano) la fede.
· Tema dei segni esterni di credibilità come i miracoli e le profezie avveratesi.
· Sul rapporto fede ragione si dice che attraverso la ragione si può arrivare a credere nell’esistenza di Dio, anche se non si può parlare di dimostrazione in senso stretto (commenta Ardusso pag. 100), di certezza morale.
· Però l’uomo che ricerca con la ragione non è l’uomo naturale (che non esiste), bensì sempre l’uomo creatura di Dio, al quale Dio offre aiuto nella ricerca (DS 3009).
Così il no al fideismo e al razionalismo si ottiene combinando le due esigenze, l’uso di ragione, la libertà di credere, la grazia, si tratta del rapporto fede/ragione che ancora è dibattuto in teologia fondamentale.

Le ragioni della fede nel cattolicesimo e nel protestantesimo

La teologia protestante non si interessa particolarmente del ruolo della ragione nell’atto di fede, data la sua visione dell’uomo e del tema della grazia, e sconfina a tratti nel fideismo.
Il cattolicesimo ha invece fatta propria una apologetica della fede di fronte all’uomo moderno, al non cattolico, al non cristiano, al non credente.

Capitolo settimo: LE RAGIONI DELLA FEDE (I) (pagg. 105-132)

Una via negativa di approccio alla fede cristiana

Anche l’incredulità è qualcosa di incerto, più la scienza ci dice di sapere, più noi ci accorgiamo di non sapere.
Così la stessa scienza potrebbe aprirsi alla religione per trovare le risposte ultime, la consapevolezza delle non risposte porta alla scoperta di colui che è la risposta.

Il modello del testimone autorevole

È la via classica dell’apologetica, si parte dal fatto della rivelazione, Dio si è storicamente rivelato in Gesù Cristo!
I suoi miracoli, la sua resurrezione ci sono raccontati dai testimoni e sono la prova della potenza di Cristo, della sua divinità.
Le profezie avevano parlato del messia e si sono puntualmente avverate in Gesù, perciò Gesù è il testimone autorevole di Dio, ci si può fidare.
I miracoli vengono qui trattati semplicemente come prova della divinità di Cristo, sono staccati dal loro contesto e perdono i significati contenutistici presenti nel testo sacro (annuncio del Regno…).
La Dei filius risente di questa impostazione (DS 3009), ha un impianto “dimostrativo” a causa della sua opposizione al razionalismo, ma riduce il cristianesimo a verità e dottrine cui credere in quanto si dimostra la credibilità del testimone (Gesù Cristo).
Si tratta di una impostazione giuridica.
È modello positivo perché mette al centro Gesù Cristo e si interessa della sua storia, pecca di dottrinalismo.
La centralità di Cristo è poi ribadita nel Vaticano II alla DV 4.
Eppure c’è solo Gesù Cristo, a partire dal testimone si giustifica il tutto della fede, si tratta allora di una apologetica estrinsecistica che cioè non si cura del contenuto, ma si limita a segnalare la credibilità dell’annunciatore.
Contro questo estrinsecismo il tentativo di Blondel (1861-1948) fu quello di studiare la dinamica umana del vivere come un continuo trascendere e quindi giustificare così la dimensione religiosa dell’essere (apologetica dell’immanenza, che parte dall’uomo e non è estrinsecista rispetto ad esso può essere detta anche apologetica integrale), il soprannaturale richiesto dal naturale e tuttavia non conquistato, bensì donato.
Blondel recupera così il lato soggettivo dell’atto credente evitando il rischio razionalistico-oggettivo, spazio importante viene qui lasciato alla psicologia.

Modello antropologico

Si parte dall’uomo per giungere a giustificare il cristianesimo come la possibilità del compimento e della realizzazione della persona, cristianesimo come datore di senso autentico all’esistenza, come risposta.
Esponente chiave è stato Karl Rahner che coglie nell’uomo la struttura esistenziale che lo fa aperto alla rivelazione, alla fede.
Rahner elabora così una antropologia trascendentale che ponga il soprannaturale come sbocco necessario.
Il cristianesimo si esplicita qui come la categorizzazione di tale soprannaturalità.
L’uomo e aperto, è tutto un trascendere, nella conoscenza, nei desideri, nelle possibilità, ciò nasconde l’apertura fondamentale che sta alla base che è l’apertura all’infinito.
Così l’uomo aspetta la rivelazione, la sente come necessaria, è un uditore della parola.
Che l’uomo sia destinato alla grazia deriva dalla presenza in lui dell’esistenziale soprannaturale, ad esso l’uomo risponde attraverso l’espressione religiosa (dimensione categoriale della trascendentalità), la cui forma più alta, l’unica autentica e vera, è il cristianesimo perché Gesù Cristo è la parola da udire.
Se allora Cristo completa l’uomo ne deriva che l’antropologia è una cristologia incompleta e la cristologia una antropologia portata alle ultime conseguenze.

Anche Bernhard Welte trova nell’uomo una struttura di accoglienza della fede, una fiducia originaria che rende possibile il farsi della vita.
Prima ancora della rivelazione vi è una fede originaria nella vita, nella felicità, nella verità etc.
La fede cristiana tutto riassume e racchiude.

L’impianto antropologico per motivare le ragioni della fede è quello della Gaudium et Spes del Vaticano II, scia connessa è quella del senso ultimo della vita, il rilevare il fallimento dei sistemi solo umani e delle ideologie e false illusioni.
Per Kasper oggi il luogo della fede è la questione del senso, proprio perché l’uomo è uomo che si interroga, che cerca.
È un modello che va recepito criticamente, in esso è affrettato il rapporto domande dell’uomo e risposte della fede.
Eppure la risposta religiosa alla domanda del senso è ancora l’unica percorribile, da qui il ritorno alla religione dopo i fallimenti delle filosofie razionali.
Ma autenticamente percorribile sarà la proposta cristiana perché essa ha origine da un intervento di Dio che si è rivelato piuttosto che da un ricercare solo umano.

Capitolo ottavo: LE RAGIONI DELLA FEDE (II) (pagg. 133-156)

Crisi del modello antropologico

Sembra essere riduttivo pensare alla fede semplicemente come risposta alle domande dell’uomo, la fede è sempre un qualcosa di più, di inaspettato (si pensi alla croce! Alla debolezza di Dio).
Il Dio che dà risposte alle esigenze umane rischia di ridursi ad un idolo.
Contro il modello antropologico si è battuto von Balthasar: l’antropologia non può essere il punto di partenza nella trattazione della fede perché si deve assolutamente preservare l’assoluta trascendenza e l’assoluta gratuità del fatto cristiano.
Per Balthasar la fede nasce da una reazione estetica a Dio che manifesta la sua gloria, il suo amore in Cristo crocifisso, Gesù Cristo attira e affascina nel suo mistero di amore e di donazione.
Balthasar è in polemica con l’esegesi contemporanea che ha sezionato la figura di Cristo in tutti i modi finendo per farne perdere il fascino e la bellezza al punto che ora egli non attrae più.
Ma è in polemica anche con la teologia (Rahner) che non prende in considerazione il caso serio di Gesù Cristo e si affida all’uomo, alle scienze umane.

In effetti si è spesso perseguita un’apologetica del senso dove Dio garantisce contro l’assurdità del vivere e si fa garante di un ordine e di una logica, di una società oppure, più soggettivamente, come colui che garantisce l’autorealizzazione del singolo.
Qui, nel secondo caso, la religione è però ridotta a benessere e salute, evita le nevrosi perché dà un senso (movimenti religiosi nuovi), qui la fede è ridotta alla risposta ai bisogni umani e ad essa si può obiettare ancora oggi con Feuerbach, Marx e Freud (Dio è la proiezione di un desiderio umano).
Naturalmente la fede è anche questo, ma solo secondariamente, non è questo il punto principale, Dio non si lascia strumentalizzare, non ci si accosta a Dio, non si cerca Dio per soddisfare i bisogni umani, ma per amore, per godere della sua gratuità.
Non un Dio che risponde ad un bisogno (con una soluzione immediata come il mangiare per la fame), bensì un Dio che risponde al desiderio (mi abbandono e mi fido).
Dio risponde anche al bisogno, certo, ma secondariamente, e non lo si deve ridurre a colui che soddisfa i bisogni (sarebbe idolo).

Inoltre l’uomo post-moderno vive una situazione di degrado, di sfiducia, di frantumazione, di dubbio, di narcisismo, di chiusura individuale, senza valori ed ideali, nonb c’è più la visione della totalità, ma del frammento.
Nietzsche aveva affermato la morte di Dio e con essa la morte di tutti i valori e di tutte le certezze.
In questo contesto l’interesse per Dio è crollato, non voi è ateismo, ma indifferenza alla questione religiosa, oppure è rinato nella forma utilitaristica, salutare dei movimenti religiosi senza storia o tradizione.
È l’epoca del pensiero debole, qui non si può calare la fede, la fede come risposta, proprio perché ormai manca la domanda.
Su questo uomo non è possibile, questa antropologia non sbocca nella fede, siamo alla crisi del modello antropologico.
Il problema è attuale anche perché nella pastorale la chiesa offre una risposta senza che ci sia stata la domanda!

Ricerca di alternative al modello antropologico

Un’alternativa è quella del modello kerigmatico che si basa semplicemente sull’annuncio della Parola di Dio senza curarsi del destinatario e di sue eventuali strutture di accoglienza.
La Parola di Dio ha infatti una sua forza travolgente, si deve annunciare con coraggio e fiducia l’essenza del cristianesimo.
Per I. Mancini si deve recuperare la categoria del senso oltre il pensiero negativo.
Ancor oggi il senso può essere rilanciato come luogo della fede (Ardusso pag. 147) perché esso riemerge continuamente nelle vicende chiave della vita come notano gli psicologi.
Per Antiseri la crisi della ragione apre invece le strade della fede, sulla linea della riflessione kantiana, la ragione ammette che il senso ultimo da lei esigito lo può dare solo la fede.
Tuttavia vale qui sempre il richiamo di Barth a non impostare una apologetica che fondi la fede al di fuori della rivelazione, non si parte dalle attese, ma dal fatto Gesù Cristo che si scopre poi essere l’unica risposta possibile alle effettive attese dell’uomo.
La prospettiva dell’atto di fede dovrà allora essere discendente, non ascendente.
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Capitolo nono: LE RAGIONI DELLA FEDE: J. B. METZ E H. URS VON BALTHASAR (pagg. 157-176)

Il modello della teologia politica di J. B. Metz

Contro la tendenza della teologia a privatizzare il fatto cristiano, a seguire filosofie personalistiche ed esistenzialistiche, Metz afferma tutta la portata politico-sociale del cristianesimo, la necessità di evitare il pericolo della privatizzazione, ed è una questione anche di credibilità della chiesa di fronte al mondo moderno.
La chiesa può far proprie le speranze di libertà e di emancipazione dell’uomo moderno, centrale è la prassi della fede che è una sequela mistica e politica del Cristo, la religione cristiana non può essere religione borghese.
Metz contesta una psicologizzazione del cristianesimo e le chiusure dei movimenti stile-carismatici.
L’interesse per la pratica, per la ragione pratica non mette a tema la questione della verità in senso teoretico, rimandando sempre alla prassi di liberazione ci si limita a ritenere rilevante il dato cristiano e perciò vero, ma in chiave teologico fondamentale, quindi apologetico non ci si può fermare alla prassi.

Il modello estetico di H. U. von Balthasar

Si era creduto nel passato di rendere ragione della fede collocando il cristianesimo sullo sfondo cosmologico come datore di senso della realtà creata e fede nel Dio creatore (via cosmologica dei Padri della chiesa), si è poi cercato anche di vedere nella fede nel cristianesimo il compimento dell’uomo, la sua necessaria realizzazione cui tende continuamente (via antropologica).
Secondo von Balthasar queste sono entrambe riduzioni, debitrici di una visione cosmologica sacrale e di una necessità di comprensione dell’uomo, ne va dunque dell’assoluta gratuità del cristianesimo, qui non più preservata.
Per evitare questi debiti, von Balthasar propone la sua via estetica.
Di fronte alla grandezza-bellezza di un’opera d’arte o di una meraviglia naturale si ha l’esperienza estetica, simile ad essa è l’esperienza autentica dell’amore, qui la cosa che provoca è davanti, è altro e non può essere mai ricondotta a chi guarda (è la critica di Feuerbach alla via antropologica dove Dio era l’aspirazione dell’uomo).
La “forma” che si pone di fronte all’uomo e ne provoca l’atteggiamento religioso è Cristo Gesù nel suo amore sconfinato che si offre nella croce che manifesta la gloria del Figlio di Dio.
L’uomo percepisce (esperienza estetica) questa realtà di amore-bellezza-gloria presente in Gesù e ne sperimenta il “rapimento”.
La fede nasce da questo incontro in cui l’uomo è soggiogato da Cristo, lui è la rivelazione storica di Dio in una singolarità assoluta e in una evidenza oggettiva che viene da Gesù stesso e così si giustifica.
Non si parte cioè dai bisogni dell’uomo, Cristo non è tale perché risponde ad essi, non si elaborano così le ragioni della fede. Cristo è tale perché così si manifesta.
Comunque anche per von Balthasar sono necessarie delle disposizioni nell’uomo per cogliere la figura-Cristo, ma esse non possono mai ridurre a sé l’alterità di Cristo (rischio invece insito nel modello antropologico).
Se Rahner partiva dall’uomo per elaborare le condizioni umane di possibilità della fede, dell’accoglienza della rivelazione, von Balthasar sposta l’attenzione all’oggetto della fede, a Cristo Gesù.
In von Balthasar l’estetica è il primo passaggio (è il bello, il manifestarsi di Dio), il secondo è quello della drammatica cioè del dramma che porta alla riconciliazione tra Dio e l’uomo in Gesù (tema della bontà di Dio) il terzo è la logica che prende in considerazione l’amore divino che incontra la storia dell’uomo (tema della verità).

Capitolo decimo: UNA CONOSCENZA PER CONNATURALITA’ (pagg. 177-199)

Tra fideismo e razionalismo

Né il volontarismo fideistico che nega qualsiasi ragione per credere affidandosi totalmente a Dio, né il razionalismo che pretende di dimostrare la fede, che allora non è più fede, oppure riduce la fede a ciò che la ragione può comprendere e allora la riduce.
Per ovviare a tali posizioni inaccettabili la teologia fondamentale ha elaborato una sua analysis fidei.

Le due teorie della genesi della fede

La via moderna (dal XVII sec.) dalla possibilità di dimostrare storicamente l’esistenza di Cristo il che costituisce un preambula fidei.
Ad essa si aggiungono i segni di credibilità , i miracoli e le profezie avveratesi che fanno da sicuro appoggio all’affidarsi a Dio che si rivela proprio del credente.
La teoria antica (dal XIII sec.) parte dall’illuminazione della grazia e relativizza il tema della credibilità, dato che solo Dio può attirare a sé (Gv 6, 44: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”).

Teoria moderna e teoria antica dell’atto di fede

Nella teoria moderna l’uso di ragione conduce all’evidenza del fatto della rivelazione, solo in tal modo la fede può davvero essere ragionevole, il fatto della rivelazione si dimostra (ricerche storiche su Gesù, miracoli, profezie), mentre il contenuto (perdono, Regno di Dio…) si crede.
La teoria antica preferisce fermarsi ad una certezza morale, non oggettiva del fatto della rivelazione, tale certezza è garantita dall’illuminazione della grazia.
Il rischio della prima via è quello dell’intellettualismo che distingue tra fatto e contenuto della rivelazione, così nello studio della genesi della fede i contenuti non vengono presi in considerazione.
Si argomenta solo in base a fatti esterni al contenuto, quindi alla fede stessa, gli elementi soggettivi dell’atto di fede non sono presi in considerazione, c’è una specie di positivismo che prova.

Un modello di conoscenza: la connaturalità

Ardusso segue la via antica che propone una conoscenza non di ragione o razionale, e tuttavia non irrazionale.
Si tratta di una conoscenza che parte dalla fiducia per cui si è certi di una persona, delle sue parole, nasce per Dio una conoscenza affettiva di connaturalità.
Vi è connaturalità tra l’uomo e Dio, vi è come un vibrare comune, una specie di esperienza mistica che orienta la comprensione delle cose, Dio che si partecipa all’uomo garantisce tale connaturalità.
La connaturalità va alimentata nel vivere l’amore e ciò che consegue.
La certezza della verità si pone qui ad un livello non sempre esprimibile, si tratta di un qualcosa di ineffabile che fa capo ad un linguaggio simbolico.
Essa necessita di un controllo.
Dunque noi siamo in un rapporto di connaturalità con Gesù Cristo, in un secondo momento vengono le cose dette e fatte, tale rapporto essenziale è frutto di uno stare insieme garantito dallo Spirito.
Gli stessi discepoli vissero la connaturalità con Gesù.

L’illuminazione divina nell’atto di fede

Per la fede non bastano tutti i motivi di credibilità, a monte ci deve essere il dono della grazia, fede come grazia e non come conquista, dato anche che la certezza della fede si motiva con la rivelazione di Dio.
Dunque l’illuminazione della grazia si integra con i dati della credibilità.
Il giudizio di credibilità e l’atto di fede non si precedono, ma vanno insieme, il credente sa cogliere anche i piccoli indizi quali continua testimonianza della verità del suo atto, il vangelo loda chi crede anche senza aver visto prodigi straordinari.
Si tratta qui di una questione d’amore: l’amore per Dio fa’ sì che ci sia una decisione per lui (la fede), la quale a sua volta rende possibile la conoscenza, tale decisione è naturalmente libera nell’uomo anche se resa possibile dalla grazia.
Cuore e intelligenza (o anche: volontà e ragione) vengono così entrambe valorizzate senza che una umili l’altra.

John Henry Newman

L’assenso reale per Newman coinvolge l’uomo in tutte le sue dimensioni, ragione e cuore, mentre l’assenso nozionale si ferma alle capacità intellettuali.
In teologia deve valere l’assenso nozionale, ma per l’atto di fede vale l’assenso reale (che comprende ed integra il nozionale).
L’illative sense (senso illativo) consente all’uomo di interpretare il cumulo di probabilità che coglie nell’atto di esercitare l’assenso reale, così esso interpreta globalmente una serie di atti isolati, non si tratta qui di una dimostrazione, eppure si ha lo stesso la certezza della verità.

Pierre Rousselot

Per una pedagogia della fede

Si tenga conto delle questioni del cuore, dell’aspetto affettivo della conoscenza con la collaborazione di ragione e volontà.
Non bastano i buoni ragionamenti per portare alla fede, essi devono essere preceduti dall’esperienza dell’incontro con Cristo, mediata attraverso i testimoni-annunciatori.
E ci vuole poi la disposizione del soggetto, ovvero l’atteggiamento fattivo di ricerca e di conversione.


CONCLUSIONE (pagg. 201-203)

“Quella della fede è una certezza a un tempo presente e ferita” (pag. 201)
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08/12/2011 19:06
 
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Parte prima: METAMORFOSI DELLA RAGIONE


Capitolo 1: SCIENZA SENZA CERTEZZA


Tutta la storia della filosofia è il tentativo di fondare le proprie convinzioni sull’autorità di un fondamento che garantisca la verità (Dio, intelletto, sensazioni, etc).

I vari sistemi hanno via via sostituito tale fondamento restando sempre convinti della possibilità di un pensiero forte.

Eppure è oggi per esempio illusorio cercare fondamenti certi nella scienza dove vale il principio popperiano di falsificabilità.

Niente è mai certo, si può presentare prima o poi un caso che rovini la teoria (dato che basta anche un solo caso per rovinare milioni di conferme), dunque nessuna teoria può essere presentata come assolutamente vera.

La continua scoperta di errori è del resto il motore della scienza.

Dunque non esiste nemmeno un criterio assolutamente certo che ci consenta di verificare la verità di una teoria, tanto più che se anche abbiamo una teoria vera, noi non possiamo saperlo (dato che possiamo pensare ad un possibile caso in cui nel futuro la teoria sballi).

Gli stessi fatti su cui si basa la scienza sono sempre discutibili e mutano (p. es. mutazione dei modelli di atomo), per Popper neppure la base empirica delle scienze sperimentali ha in sé qualcosa di assoluto.

Su questa linea è la tesi di Thomas Kuhn sui mutamenti di paradigma (ogni mutamento di paradigma porta ad una rivoluzione scientifica), Paul K. Feyerabend nega validità assoluta anche al metodo scientifico, non vi può essere un metodo fisso ed obiettivo.

Così nel campo della scienza l’esercizio della razionalità non è di chi propone una teoria scientifica, quanto di chi la confuta!

“Il processo razionale della ricerca scientifica è costruzione senza fine” (27).

Tutto questo discorso è valido anche per le scienze umanistiche, si pensi all’opera di interpretazione che lo storico fa dei documenti.



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08/12/2011 19:07
 
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Capitolo 2: LA RAGIONE TRA ETICA E POLITICA


E’ in grado la ragione di enunciare e poi fondare valori etici universalmente validi?

È questa la pretesa del giusnaturalismo che qui crede in una ragione forte, è la posizione di chi pensa ad un diritto naturale.

Eppure gli stessi concetti di bene e di male sono stati diversamente compresi lungo i secoli, ne consegue che valori e norme sono proposte e l’etica è senza verità.

La scienza inoltre non può produrre un’etica, dei valori, non ha niente da dirci sui problemi più scottanti dell’uomo (Husserl).

Non è possibile fissare razionalmente alcun sistema di norme etiche, le scelte etiche si basano su delle norme di fondo che o si accettano o si rifiutano e che non sono assiomi autoevidenti.

Al tempo stesso è irrazionale la pretesa di fondare razionalmente un potere politico, non se ne può trovare una giustificazione assoluta, benché nella storia si sia spesso inteso fondare così i sistemi di potere.

La ragione non dovrebbe intervenire qui sul chi debba comandare, ma sul come si debba comandare.

Poiché non esistono valori assoluti si scende ad un relativismo democratico evitando le imposizioni di potere nella proposta di una libera concorrenza.

Anche la proposta di Utopia e di tutte le utopie è proposta totalitaria e quindi irrazionale, l’isola di Utopia è un sogno lontano dal reale.

Responsabile è invece la posizione del riformista che affronta i problemi cercando soluzioni via via sempre migliori.

No quindi al razionalismo illuministico che pretende di poter costruire (costruttivismo) e pianificare tutte le istituzioni e gli eventi e attaccare come cospiratori tutti quelli che si oppongono a tale precisione (teoria cospiratoria della società).

D’altro canto la maggior parte delle istituzioni non sono frutto di una pianificazione, ma piuttosto sono risultato non premeditato di azioni umane, non frutto intenzionale, ma spesso prodotto spontaneo dell’evoluzione sociale, dunque conseguenza inintenzionale.

Così so deve dire che le azioni umane hanno conseguenze inintenzionali il che mina alla base qualsiasi impostazione razionalistica.

Dunque la ragione deve capire i limiti di se stessa.



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08/12/2011 19:08
 
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Capitolo 3: METAFISICHE CRITICABILI


1. Non c’è certezza nella scienza.

2. La ragione in etica può fare molto, ma non può fondare i valori ultimi.

3. Non esiste la legittimazione assoluta di una teoria politica, la società è aperta e non perfetta.

4. Ogni azione porta con sé conseguenze inintenzionali, dunque il futuro non può essere progettato.

La storia della filosofia è la storia di affermazioni e teorie ritenute vere, come verificare ciò? Esse sono estranee alla verifica dei fatti delle teorie scientifiche.

Ma spesso sono le idee metafisiche (realismo, l’ordine, comprensibilità del mondo, atomismo, meccanicismo, evoluzionismo etc.) a guidare la ricerca scientifica.

Queste idee sono nell’ambito del possibilmente vero che non coincide con il fattualmente controllabile, l’anti-metafisicità del neopositivismo è ormai scomparsa.

Queste teorie metafisiche ci informano sulla realtà pur non essendo teorie scientifiche, ma come verificarle?

Se non c’è una verifica dei fatti le teorie metafisiche sono infalsificabili (sono non scientifiche e quindi non falsificabili) e sono comunque teorie razionali, perciò la razionalità non si esaurisce con le teorie scientifiche.

Mentre allora la razionalità delle teorie scientifiche consiste nella loro confutabilità fattuale, la razionalità delle teorie metafisiche consiste nella loro criticabilità.

Ogni teoria mira a risolvere dei problemi così si verifica come una teoria metafisica lo faccia (Popper), da qui una necessaria e continua criticità: pancriticismo (Bartley).

Per esempio il marxismo (con il suo impianto del materialismo storico e materialismo dialettico) è una teoria razionale perché è possibile criticarla, se sia valida o no lo stabilisce la forza delle critiche, così è per il giusnaturalismo, per l’idealismo, per lo storicismo che pretendeva di aver colto le regole dello sviluppo della storia umana.

Perciò “dobbiamo tentare di dissentire su ogni teoria scientifica e filosofica e proporre alternative, giacché nella scienza e nella filosofia nessuno è infallibile e nulla vi è di infallibile” (64).

Inoltre vi possono essere teorie metafisiche indecidibili a partire da determinati presupposi.

Per esempio partendo dalla convinzione kantiana che il principio dei causalità valga solo per i fenomeni, per l’immanenza, si conclude che l’esistenza di Dio non è possibile in questo modo, dato che Dio è trascendente, allo stesso modo anche l’ateismo, come appunto il teismo, è una teoria metafisica razionalmente indecidibile.

Questa situazione apre lo spazio della fede, Kant afferma nella prefazione alla seconda ed. della Critica alla ragion pura di aver qui soppresso il sapere per sostituirlo con la fede.


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08/12/2011 19:10
 
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Parte seconda: LA FEDE TRA RAGIONE DEBOLE E RAGIONE FORTE: OSSIA LA GRANDE CONTROVERSIA TRA P.D. HUET E L.A. MURATORI


Capitolo 4: PIERRE-DANIEL HUET: LA TEORIZZAZIONE DIA UNA RAGIONE DEBOLE A SERVIZIO DELLA FEDE


Huet, (Trattato filosofico sulla debolezza dello spirito umano, 1724) vescovo d’Avranches: “bisogna confessare che l’uomo non può conoscere la verità con perfetta certezza”, è certo solo ciò che Dio ci ha rivelato.

I sensi sono infedeli, le opinioni sono diverse, l’essenza delle cose è inaccessibile, ogni spiegazione ne chiede un’altra, le cose conosciute e l’uomo che conosce sono mutevoli e non c’è una regola sicura che ci permetta di distinguere il vero dal falso.

Cartesio non ha spinto fino in fondo la regola del dubbio, così la ragione è debole.

Le essenze le conosce solo Dio, il saggio sa solo di non sapere.

Chi crede di poter trovare una verità certa è così un irrazionale, mentre razionale è solo chi dubita.

Ma questo non comporta che l’intelletto sia sempre in errore, non si può vedere il sole, ma si può vedere la luna, non abbiamo la verità, ma abbiamo le verisimilitudini, le probabilità, le opinioni, e diciamo: questo mi pare così lo studio delle scienze e delle arti porta a questo risultato che è comunque positivo e da ricercare come impegno perché è di fatto il massimo che possiamo raggiungere con le sole forze della ragione.

Questa ragione debole prepara lo spirito alla fede unica a poter aiutare in modo decisivo la ragione (incapace da sola) per conoscere la verità sul mondo, su Dio, sull’origine delle cose etc.


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08/12/2011 19:11
 
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Capitolo 5: LODOVICO ANTONIO MURATORI: LA TEORIZZAZIONE DI UNA RAGIONE FORTE A SERVIZIO DELLA FEDE


Lodovico Antonio Muratori: Delle forze dell’intelletto umano o sia il pirronismo confutato, 1745, testo scritto espressamente per confutare le tesi dell’opera perniciosissima, pestilente di mons. Houet, maligno scrittore.

La tesi è qui che se l’uomo dubita di tutto, alla fine dubiterà anche della fede.

Dunque la ragione non è debole, essa è forte.

Il raziocinio supplisce al difetto dei sensi, l’evidenza (gratificata dall’esperienza) è il criterio della verità come due più due e che il tutto è maggiore della parte.

Nei limiti dei sensi e della ragione, noi possiamo avere conoscenza certe

I pirronisti distruggono scienza, filosofia e fede cristiana, così se la ragione debole prepara la fede, non si sa a quale fede, non certa quella in Cristo Gesù, e poi si dubita dell’esistenza di Dio, di una morale, finendo per corrompere i costumi, dove mancano i principi della religione e della moralità, manca tutto.

La ragione è necessaria alla fede, essa ci aiuta a capire che vale più la fede in Cristo delle altre religioni, la ragione ci dice che c’è Dio, ci fa cogliere i motivi di credibilità della fede, da qui un progetto di apologetica razionale che parte dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio.

Distruggendo la ragione si distruggono così anche le ragioni che portano ad abbracciare la fede.

Espressamente Muratori dice che la ragione prova l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima ed anche la verità della religione cristiana diffusa da dei poveri ignoranti, testimoniata dai martiri, ma tale da convertire la massa dei gentili.

Alla verità della religione cristiana segue quella della chiesa cattolica, colonna e fermento della Verità.


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08/12/2011 19:11
 
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Capitolo 6: LA FEDE E IL DUBBIO


Ancora Muratori: se eventualmente non si dovesse provare con la ragione che Dio esiste (così i pirronisti), allora, allo stesso modo, non si può neppure dimostrare che Dio non esiste.

Essendo nel dubbio è prudente affermare Dio piuttosto che negarlo (argomento di Pascal).

La ragione forte del Muratori mira a difendere la chiesa e la sua verità dai rischi del protestantesimo, la ragione di Houet non è apologetica.

La ragione forte del Muratori mira a difendere la chiesa e la sua verità dai rischi del protestantesimo, mentre la ragione debole di Houet non è apologetica.

La ragione forte, con tutte le sue dimostrazioni, toglie il dubbio dalla fede, ma ciò è possibile?

Vi può essere una fede senza il dubbio?

La fede è fede di un uomo razionale, perciò vive nel dubbio (non è empiricamente controllabile).

Dal dubbio può poi scaturire la fede perché, con Pascal, il sì a Dio è la risposta più ragionevole e prudente alla grande questione, così con Pascal il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è una infinità di cose che la sorpassano.



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08/12/2011 19:12
 
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Parte terza: COME E PERCHE’ LA CULTURA CATTOLICA HA RIFIUTATO LA FILOSOFIA DI Kant


Capitolo 7: TRE ENCICLICHE CONTRO Kant


La Critica della Ragion pura è all’indice nel 1827, l’Aeterni Patris è del 1879, con S. Tommaso si pensa ad una filosofia che sia trincea della fede.

Nel 1899 papa Leone XIII in via una enciclica ai vescovi di Francia contro la filosofia di Kant vista come la sorgente delle ree dottrine che portano allo scetticismo e alla irreligione negando la possibilità del sapere.

La Pascendi poi condanna ogni tentativo di conciliazione tra kantismo e cattolicesimo.

Eppure i kantiani francesi avevano un intento apologetico nel cercare di staccare la fede da un sistema filosofico, quello della scolastica, ritenuto ormai morto.

Per Pio X la base del modernismo era l’agnosticismo di chi negava la possibilità della ragione di uscire dal fenomeno e conoscere le verità eterne.


Capitolo 8: GUIDO MATTIUSSI E IL VELENO KANTIANO


G. Mattiussi, Il veleno Kantiano, Roma, 1913: la filosofia di Kant è “veleno del quale basta una goccia per dar la morte alla scienza e all’intelletto”.

Per Kant da ragione teoretica non può provare l’esistenza di Dio, in tal modo egli ha riaperto la strada allo scetticismo.

Salta l’intera apologetica se si nega il principio di causalità al di fuori dei fenomeni, è necessario rilanciare la Scolastica, unica sicura filosofia per il credente.

La morale kantiano non dimostra propria nulla, essa si fonda sull’uomo e all’uomo deve rendere conto, i postulati della ragion pratica non sono necessari.


Capitolo 9: AGOSTINO GEMELLI: Kant NON VA RESPINTO, MA RIVALUTATO, CIOE’ ASSIMILATO


Si può rivalutare Kant se lo si legge nella sua globalità, anche in lui scorre la linfa di una filosofia perenne perché l’impulso della trascendenza è l’anima della sua filosofia.

Vi è in Kant la consapevolezza che lo spirito è più dell’intelletto legato ai fenomeni e va oltre verso un ordine superiore delle cose.

Gemelli rifiuta le barriere kantiane all’intelletto, ma riconosce che anche Kant credeva ad un mondo oltre i sensi la cui esistenza la ragione stessa deve ammettere (anche se non lo può conoscere).

Così in Kant la ragione teorica spinge l’uomo oltre l’immanente verso l’assoluto.

Kant non ha distrutto la metafisica, ha cercato di rifondarla proponendo una metafisica volontaristica, ma qui egli ha sbagliato perché la morale non può fondare una metafisica, casomai è l’opposto.

In definitiva Kant è teso verso ciò che la Scolastica dimostra, e in ciò c’è un valore prezioso da recuperare, dunque Kant pur tra tanti errori mostra in fondo la perenne verità della scolastica.

In questo senso Kant può essere assimilato dalla scolastica che è la vera filosofia, e non è un veleno.


Parte quarta: M. REUSS, J. WEBER, A. METZ, S. MUTSCHELLE: UNA APOLOGETICA CATTOLICA SU BASE KANTIANA


Capitolo 10: MATERN REUSS: IL CATTOLICESIMO HA TUTTO DA GUADAGNARE DALLA FILOSOFIA DI Kant


M. Reuss, benedettino, professore di filosofia all’università di Wurzburg, Soll man auf katholischen Universitaten Kants Philosophie erklaren?, 1789 (Si deve insegnare la filosofia di Kant nelle università cattoliche?).

Fu un divulgatore del pensiero di Kant e della sua conciliabilità con il cristianesimo.

La metafisica è la scienza dei limiti della ragione umana, distrugge le false opinioni che gonfiano l’intelletto, i limiti della conoscenza sono legati alle sensazioni.

È la ragione stessa che riflettendo sulla moralità coglie la necessità realissima dell’esistenza di Dio e questa è una via più sicura, e apologeticamente più efficace, di quella proposta dalla ragione forte che Kant contesta.


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08/12/2011 19:13
 
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Capitolo 11: CATTOLICI ANTI-KANTIANI CONTRO CATTOLICI KANTIANI: COME Kant DIVISE IL MONDO CATTOLICO TEDESCO


E’ vero che la Critica della ragion pura nega la possibilità di una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, ma è anche vero che essa nega che si possa dimostrare la sua non esistenza.

Dunque quel testo può essere usato contro l’ateismo e le pretese razionali dei negatori della fede.

Nel 1788 era uscito l’Anti-Kant del gesuita Benedikt Stattler che liquida Kant come distruttore della fede, pasticcione ciarlatano e pericolo per la fede.

Peter Miotti, Uber Falschheit und Gottlosigkeit des kantischen Systems, Vienna, 1801: il sistema di Kant è un astuto tessuto di falsi principi, è un dogmatico perché costruisce il suo sapere su presupposti che ritiene veri a priori (forme dell’intelletto, categorie etc.) e che invece sono campati in aria e annientano la religione.

Joseph Weber, sacerdote cattolico, matematico e fisico Versuch die harten Urtheile uber die kantische Philosophie zu mildern, Wurzburg, 1793, scritto in favore di Kant la cui filosofia non contiene tutti quei pericolosi principi per la fede che qualcuno aveva creduto di trovare.

Così per Weber il pensiero di Kant è il miglior supporto e difesa della verità religiosa e della moralità.

L’impianto kantiano meglio di tutto fa vedere come la fede sia esigita dalla ragione e sia soggettivamente necessaria.

Weber finì però condannato e dovette rinnegare Kant.

Andreas Metz, cattolico, Kurze und deutliche Darstellung des kantidchen Systems, Bamberg, 1795, scritto in favore di Kant, la sua filosofia costituisce la migliore difesa della fede cristiana.

Sebastian Mutschelle, gesuita, professore di teologia morale a Monaco, Philosophische Gedanken und Abhandlungen, meist moralischen Inhalts, auch mit Rucksicht auf Kritische Philosophie, Pest, 1791-1792. Scritto in favore di Kant e sottolineatura della uguaglianza dell’insegnamento evangelico dell’amore del prossimo e di quello dell’imperativo categorico.

Nel complesso l’attacco contro i filokantiani cattolici tedeschi fu però tale che la loro posizione risulta dimenticata nelle storie della filosofia.

Nel nostro secolo una ripresa kantiani si ebbe con E. Przywara, B. Lotz e J. Marechal.


Capitolo 12: IL PROGRAMMA DI MATERN Reuss e dei cattolici kantiani tedeschi: una eredita’ di cui vergognarsi o un tesoro da riscoprire ?


Il senso di una ripresa oggi della questione è fondamentale nel rapporto tra fede e ragione.

La ragione forte che dimostra i fondamenti della fede, garantisce la fede ?

la ripresa di un Kant liberato dagli eccessi, propone una ragione debole che però no rigetta la razionalità della fede basata non su una prova certo, ma sull’esigenza della fede per una vita sensata, che eviti l’assurdo, che risponda all’esigenza di assoluto.

Si deve stabilire se la scelta prioritaria della scolastica contro Kant abbia senso ancor oggi, se la fede debba essere legata ad una filosofia particolare.

La ripresa di Kant oggi riterrebbe conquista l’aver posto dei limiti alla ragione e valida la via della morale per cogliere l’esistenza di Dio.

Limitando la ragione si costruisce uno spazio per la fede, si distruggono le pretese razionali dell’ateismo e del materialismo, si propone la riflessione morale come preminente sulla riflessione teorica, qui inconcludente in quanto limitata dai sensi.

La soluzione è che “dobbiamo postulare Dio se non volgiamo che la vita dei singoli, l’intera storia umana e lo stesso universo fisico piombino nell’assurdo” (192).

La critica a Kant al soggettivismo, per Antiseri, non regge dopo che la ragione ha rinunciato ad una teoria metafisica certa, visto che le teorie sono razionali se sono criticabili.

Il Kant mal compreso e il dopo-Kant (metafisiche idealistiche che praticano l’abuso sistematico della ragione) non si possono accettare.

E allora la fede ha bisogno della ragione forte, essa si fonda su Aristotele o su Cristo?

Davvero il cristianesimo è una favola se prima non si è dimostrata l’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima?

Non è difendibile apologeticamente senza questi supporti?


Parte quinta: DOMANDA METAFISICA E RISPOSTE RELIGIOSE: COME LA RAGIONE APRE ALLA FEDE


Capitolo 13: MAURICE CLAVEL E LA VIA REGALE DI Kant


Il compito oggi razionale e possibile di una filosofia è quello di prepararci ed essere disponibili all’apparizione di Dio, la filosofia ci porta al bivio oltre il quale si sceglie: o con Dio o contro Dio, la ragione non può essere ambasciatrice dell’al di là, e neppure della sua negazione, queste sono questioni di fede.

Clavel: la fede non è sapere, esclude il sapere metafisico, possiamo conoscere Dio solo attraverso Dio, la rivelazione esclude una filosofia cristiana.

Così per Clavel la filosofia deve liberare gli uomini da tutti gli errori della cultura, e ciò fece mirabilmente Kant (Kierkegaard: la via regale di Kant) che non parlò di uno Sconosciuto, ma di un Inconoscibile per la ragione e comprensibile per altra via (la fede).

Dunque bisogna passare per il fideismo, come fece Abramo, la fede per essere tale necessita di un salto, di un salto assoluto.

Il problema di Lessing è la questione del rapporto tra un fatto storico-contingente ed un qualcosa di assoluto, tra tempo ed eternità, per cui una verità storica non può essere prova di una verità eterna.

Il cristianesimo è paradosso perché fa il salto tra le due dimensioni nell’incarnazione (Kierkegaard), il problema di Lessing si risolve solo nella fede (la fede in un Dio incarnato in un uomo, Dio in un fatto storico), davanti a Dio, al momento della scelta siamo tutti uguali, tutti ignoranti.

“La scienza che vuol provare Dio è ipocrita e la scienza che lo vuol negare si illude” (207).

Ha fallito chi, come Hegel ha cercato di adattare il cristianesimo alla filosofia.

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08/12/2011 19:14
 
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Capitolo 14: NORBERTO BOBBIO: PERCHE’ L’UOMO RIMANE UN ESSERE RELIGIOSO


La filosofia è quella forma di sapere che si risolve sempre e alla fine nel sapere di non sapere (Bobbio).

Le risposte globali della filosofia del passato (tutto è materia, è spirito, è storia etc.) non reggono più, ora si sviluppa un pensiero negativo che ha le sue radici nell’ultimo grande filosofo: Heidegger.

Non ci sono più i grandi filosofi, ci sono invece i grandi scienziati, così dopo il crollo delle metafisiche la domanda filosofica non è più domanda di verità, ma domanda di senso, una richiesta di senso.

La domanda riguarda il senso generale dell’universo all’interno del quale si collocano gli accadimenti, la stessa possibilità teorica di una autodistruzione che toglierebbe senso a tutta la storia rischia di far precipitare tutto nell’assurdo.

La risposta non può più essere filosofica, le soluzioni del caso e della necessità sono impossibilitate a dare un senso ai fatti (dunque non hanno senso).

L’unica risposta è credere in una Provvidenza, dunque supponiamo Dio per dare un senso alla nostra vita, è un postulato della ragion pratica.

La filosofia pone le grandi domande ma non può dare le grandi risposte, essa però veglia contro chi non crede a niente e contro chi ha una fede cieca.


Capitolo 15: LUIGI GIUSSANI: L’OPZIONE DELLA FEDE TRA RAGIONE CHIUSA E RAGIONE APERTA


La ragione può intervenire anche per custodire il senso religioso per dirci che Dio non è comprensibile alla ragione, la quale ci dice che siamo di fronte ad un mistero.

“L’uomo che ammette la possibilità di una rivelazione divina è più razionale di coloro che questa possibilità negano” (221-222).

L’uomo è un essere religioso perché vi è una sete dei assoluto cui l’uomo razionale non può rispondere.

L’ingresso del divino nella storia dà la possibilità di una libera scelta.

Così quella dell’uomo è una ragione aperta alla possibilità di un senso donato grazie all’irruzione dell’eterno nel tempo in Cristo Gesù.

Dunque una ragione aperta alla fede è per l’uomo il massimo della razionalità e il razionale non si può identificare con il dimostrabile (come dimostrare il perché delle cose ?).

La risposta alla domanda ultima non può venire dall’uomo che è limitato, essa può venire solo da Dio.

La ragione non può così dimostrare Dio, ma ci aiuta, ci apre al mistero, ci preserva il senso religioso, ci accompagna verso di esso.

Ma alla fin fine l’opzione è decisiva.


Camillo Ruini, PICCOLA RISPOSTA TEOLOGICO-FILOSOFICA AL PROFESSOR DARIO ANTISERI


Capitolo 1: RIVELAZIONE, FEDE E RAGIONE, LIBERTA’


Non è corretto parlare di una ragione forte che, p. es., dimostra l’esistenza di Dio, come di una ragione in grado di fondare la fede, dato che la fede cristiana non si basa sulla ragione, bensì sulla rivelazione.

Non è la stessa cosa, cioè, affermare di poter dimostrare l’esistenza di Dio e fondare la fede cristiana sulla ragione.

Inoltre la fede a cui Kant fa riferimento è quella della ragion pratica “non la fede nella rivelazione divina che Kant respinge in nome dell’autonomia religiosa del soggetto umano” (240).

Poiché dunque la fede è risposta alla rivelazione essa non può che essere dono di Dio e risposta libera e intellettualmente onesta dell’uomo (resa possibile dalla grazia dello Spirito Santo).

Il sé della fede è un sì che coinvolge tutto l’uomo nella sua costituzione, anche nella sua dimensione razionale, dunque la ragione deve entrare in gioco (no al fideismo).

In altre parole la fede chiede la conoscenza di ciò in cui si crede e dei motivi che giustificano tale scelta.

Comprendere e volere entrano entrambi in gioco nella scelta di fede, non c’è spazio qui per una dimostrazione che sarebbe coercitiva (eliminerebbe la libertà della scelta), c’è invece uno spazio doveroso per giustificare la razionalità di tale scelta, e questo è compito della ragione la quale entra in gioco nell’atto di credere.

Antiseri vede invece nella ragione un agire previo, un ruolo esterno, che si limita ad arrendersi e fa dell’atto di fede un gesto che risponde soltanto a se stesso e non Anche alla ragione.

La certezza assoluta della fede è opera di Dio in noi, incerti possono essere i motivi di credibilità che la ragione cerca, ma l’atto di fede è atto umani, quindi ragionevole, anche se la grazia lo perfeziona e lo rende possibile (gratia supponit naturam, fides supponit et perficit rationem).

Certamente la ragione umana è storica e si deve tener conto del suo condizionamento storico, eppure essa può raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, una conoscenza sempre perfettibile, anche del mistero di Dio, per quel che può.

La questione di Lessing (verità storiche non possono diventare prove di verità eterne) non nega il dato della ragione.

L’appartenenza alla comunità credente nell’allontanarsi nel tempo dall’evento fondante fa sì che non diminuisca la comprensione, ma che anzi essa aumenti, con sempre maggior studio e grazie allo Spirito che ci guida alla verità tutta intera.

Così siamo aiutati nella scelta di fede dalla ragione pur mantenendosi la dimensione del salto, sia pure non nella radicalizzazione kierkegaardiana.


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08/12/2011 19:15
 
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Capitolo 2: INTELLIGENZA E VERITA’


E’ effettivamente impossibile affermare in positivo la possibilità di una conoscenza certa della realtà.

Si tratta allora, con Aristotele di dimostrare che negare tale possibilità (e, conseguentemente, ogni verità oggettiva) costituisce una contraddizione.

Quando infatti si afferma o si nega qualcosa, per esempio affermare il dubbio sempre, o negare la possibilità di conoscere la realtà, si pone un atto che è sempre una presa di posizione sulla realtà (è realtà il non conoscere la realtà).

Si può dire che una cosa è vero solo sotto un certo punto di vista, ma con ciò non si nega la possibilità di affermare il vero dato che è vero che una cosa è vera solo sotto certi punti di vista.

Ne consegue che affermare la verità del non poter conoscere la verità è una contraddizione, così l’affermazione kantiana che limita la conoscenza all’oggetto cade nella stessa contraddizione.

Naturalmente il condizionamento della ragione è sempre presente, ma esso non è tale da impedire l’accesso della ragione alla conoscenza certa della realtà.

Dire che una teoria scientifica deve essere falsificabile, è affermazione falsificabile?

Oggi siamo ben consapevoli dell’imperfezione della nostra conoscenza scientifica, ma ciò non significa nessuna conoscenza della realtà.

Le ragioni di Kant per negare la possibilità di provare l’esistenza di Dio (principio di causalità non applicabile alla dimensione trascendente) sono valide all’interno del suo sistema, ma questo sistema va fondato.

Le cose che esistono sono e non sono perché variano, perciò non sono da se stesse, ma hanno altrove l’origine del loro essere e non causalità ma dono è il rapporto tra la realtà della nostra esistenza e la sua sorgente ineffabile.

Oggi la scienza riconosce l’applicazione di principi metafisici anche al di fuori dell’ambito dell’esperienza (Agazzi).

Se l’intelligenza ci porta alla conoscenza di Dio, va aggiunto che ciò non può avvenire senza l’uso della libertà in quanto tale conoscenza è un qualcosa che coinvolge tutta la persona, “le vie che l’intelligenza ci propone non sono pertanto costringenti, ma richiedono l’assenso e l’impegno di tutta la persona” (258).

Dunque tra fede e conoscenza razionale di Dio c’è un rapporto e vi è un nesso umano di ragione e libertà.

Il rigore razionale di certa scolastica va dunque giustamente superato come afferma Antiseri.

Il ruolo della ragione viene sancito poi dal Vaticano I, dal Vaticano II e dal Catechismo della chiesa cattolica.

Antiseri nega l’esistenza di valori certi che indirizzino infallibilmente l’uomo e la sua morale, se però si pensa alla realtà dell’uomo come a un qualcosa di sensato le cose stanno diversamente e il concetto di dover essere è contenuto in quello di essere.

Il rifiuto di un diritto naturale è contestato dalla Veritatis Splendor.

Non si può poi fondare la libertà democratica e politica nel relativismo che farebbe cadere il tutto poi in un nuovo totalitarismo.

La democrazia va basata sul valore della persona e della sua libertà, come anche nella Centesimus annus.


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28/11/2014 15:23
 
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La delusione ci spinge lontani da Dio, non la ragione



RabbiaUna recente serie di studi, pubblicati sul “Journal of Personality and Social Psychology”ha scoperto che la principale causa per l’abbandono della fede religiosanon è basata su giustificazioni razionali, come qualche associazione di razionalisti sostiene, ma è in prevalenza la “rabbia verso Dio”. E’ un ateismo emozionale quello vissuto da milioni di persone, più sulla bocca che nel cuore.


A prima vista può essere paradossale: come possono le persone essere arrabbiate con Dio, se non credono in Dio? In realtà la loro posizione, nella maggioranza dei casi, è dettata da un sentimento negativo, da una perdita di fiducia piuttosto che da una consapevolezza matura e razionale. La rabbia verso Dio nasce come conseguenza di situazioni spiacevoli che accadono nella vita o, nei casi estremi, da disastri naturali e malattie. Oppure da delusioni percepite rispetto a attese immaginate, un po’ come si sentì Giuda nei confronti di Gesù, deluso perché il Regno dei cieli ancora non veniva. In altre parole, la rabbia verso Dio può non solo portare le persone lontane da Dio, ma dare loro anche un motivo per aggrapparsi alla loro incredulità.


«Quando invece le persone percepiscono che Dio si prende cura di loro e ha intenzioni positive, anche se non riescono a capire quali siano tali intenzioni, le persone tendono a risolvere la rabbia», ha affermato lo psicologo Julie Exline, della Case Western Reserve University. Infatti, la vita di molti non credenti o agnostici è caratterizzata spesso da numerose mutazioni di giudizio, proprio a seconda dei sentimenti in cui si trovano a vivere in quel preciso istante.


Come aiutare i nostri amici non credenti, dunque? Più volte abbiamo parlato del rapporto tra l’esistenza di Dio e l’esistenza del male. Non solo è possibile non scandalizzarsi di fronte al male e non perdere la fede, ma, anzi, l’esistenza del male è un punto di partenza per comprendere comesoltanto il cristianesimo, possa dare una risposta adeguata a quanto vive e domanda l’uomo. Ma il nostro lavoro maggiore è curare le feritedegli uomini, come ha spiegato spesso Papa Francesco, perché è a questo che si riferisce quando parla dell'”umanità ferita”. Attraverso la nostra presenza, «la cosa più importante è il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”», ha detto nella famosa intervista a “La Civiltà Cattolica”«I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuoredelle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi». Solo così saremo degni testimoni del nostro incontro con Dio.



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11/09/2015 16:53
 
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Fede e ragione nel pensiero di John Henry Newman
9 marzo 2011 alle ore 12:18
Newman vuole mostrare che è possibile dare un
assenso ragionevole alla religione cristiana la quale rivendica un’origine
soprannaturale e presenta delle verità che trascendono l’intelletto umano.
Newman analizza come spontaneamente e naturalmente l’intelletto opera dei
confronti, muovendosi da un punto ad un altro formando, in questo suo andamento,
uno dei caratteri più importanti della conoscenza.
Dato che Newman sostiene che sia possibile apprendere senza comprendere;
propone di distinguere i termini apprensione e comprensione con un esempio: è
possibile tradurre esattamente un testo di economia con una comprensione minima
delle nozioni contenute in esso e senza competenza scientifica.
Al fine del proprio ragionamento Newman sottolinea come nell’agire
quotidiano molto avvenga in virtù di una apprensione piuttosto che di una
comprensione e che l’apprensione rappresentata l’oggetto della sua riflessione.
Questa, secondo Newman, è caratterizzata da diversi gradi ed è quindi più o meno
forte a seconda che essa riguardi il campo reale o nozionale; questo perche il
concreto ha sulla mente una forza maggiore del nozionale.
L’apprensione, sia essa reale o nozionale, costituisce il presupposto
indispensabile all’assenso, perché senza conoscenza non si dà assenso. Newman
definisce l’assenso come l’atto mentale che esprime l’adesione incondizionata della
mente ad una proposizione ritenuta vera.
Come vi è un’apprensione reale e nozionale, prosegue Newman, così vi è un
assenso reale e nozionale. L’assenso reale è dato alle cose concrete: ad un fatto, ad
un individuo, ad un oggetto particolare. L’assenso nozionale invece è dato,
all’interno della mente, a nozioni astratte ed universali; tale è l’assenso, per lo più
debole e superficiale, che noi diamo alle opinioni, ai proverbi e ad alcuni dati
generali.
Mentre l’assenso nozionale rimane in un ambito puramente intellettuale ed
astratto, l’assenso reale, osserva Newman, nasce dall’incontro diretto ed immediato
dell’individuo con la realtà concreta. Dunque l’assenso reale interagisce con il
nostro quotidiano.
A questo punto egli articola il suo discorso in un primo momento applicativo
allo scopo di mostrare la differenza che riguarda l’assenso nozionale e quello reale
in materia religiosa. La conoscenza nozionale di Dio è conseguita mediante esercizi
intellettuali, sillogistici, inferenziali; in essa noi diamo un assenso a delle nozioni
cioè a delle verità astratte. Ora al dogma, centro del fatto cristiano, la nostra mente
può assentire, in quanto proposizione che esprime una nozione, o che esprime una
realtà. Secondo Newman “con l’assenso reale al dogma compiamo un atto religioso,
con l’assenso nozionale compiamo un atto teologico.”
Prendiamo l’esempio del dogma dell’Immacolata Concezione, sei io aderisco
all’idea dell’Immacolata Concezione in quanto “principio” sancito dalla Chiesa
compio un atto teologico se invece aderisco ad esso perché il mio assenso
immaginativo mi ha fatto aderire alla sua materialità compio un atto religioso.
Non a caso ho parlato in questo contesto di assenso immaginativo. Newman
nella prima parte della grammatica utilizzerà il termine immaginazione più di 200
volte mentre ometterà di utilizzarlo nella seconda. Il ruolo dell’immaginazione
nell’assenso di fede verrà riproposto nei Theological Papers (che contengono le
riflessioni del Newman Cattolico sulla certezza). In tale contesto egli riconoscerà di
avere volutamente omesso il concetto di immaginazione – trasformandola in
assenso reale – proprio perché riteneva i suoi interlocutori non pronti a intende
correttamente tale termine.
Nella prima parte della Grammatica, infatti, Newman assocerà
l’immaginazione alla apprensione parlando appunto di apprensione immaginativa,
l’assenso immaginativo ne sarebbe stata l’evoluzione scontata. Per Newman dare
un assenso nozionale alla proposizione “un unico Dio” è semplice, è sufficiente
argomentare, come fanno i teisti, che si tratta di un Dio numericamente uno,
personale e autore di tutte le cose. Però Newman non ritiene che da solo un
assenso nozionale possa vivificare una fede autentica ed è a questo punto che
ripropone la domanda che gli sta a cuore:“... raggiungerò mai un assenso
all’esistenza di Dio più vivido di quello che è accessibile all’intelligenza nozionale?
Entrerò con personale intendimento nella cerchia delle verità di cui è fatto questo
grande pensiero? Potrò raggiungerne l’apprensione immaginativa, come l’ho
chiamata? Credo così come se vedessi? Poiché un così alto assenso esige
l’esperienza attuale o il ricordo di un dato fatto, si direbbe che la risposta può
essere solo negativa: posso assentire come se vedessi, se non vedo né ho veduto?
E nessuno quaggiù vede Iddio. Eppure io ritengo possibile un assenso reale; e dirò
come.”
È quello che alcuni studiosi di Newman hanno anche definito come
coinvolgimento immaginativo del sé.
Preliminare a tale dimostrazione è, secondo Newman, riconoscere un primo
principio: l’uomo, per natura, ha una coscienza. E’ proprio dal riconoscimento della
coscienza come primo principio e fatto naturale (quanto la memoria, il raziocinio,
l’immaginazione e il senso del bello) che Newman fonda in modo originale il
discorso apologetico che, abbozzato alla fine della prima parte dell’opera, verrà
ripreso e ampliato nella seconda.
Ora se la coscienza attesta l’esistenza di Dio, giudice e autore di tutte le cose
e se attraverso l’immaginazione se ne ha una immagine, tale immagine è quella che
nella Grammatica fa dire ad Agar “tu Dio mi vedi”e in quanto tale è il segno di una
partecipazione personale e intensa, è insomma quel movimento in grado
coinvolgere il cuore dell’uomo. Agar è colei che pur non avendo visto il volto di Dio
ne ha ugualmente interiorizzato la presenza come fatto religioso e non come
nozione teologica. Questo è il risultato della presa immaginativa e non
dell’immaginario.
Dunque, se nella prima parte della Grammatica Newman si era ripromesso di
dimostrare che si può credere ciò che non si può capire, potremo azzardare e dire
che questo può avvenire perché si può immaginare in virtù di quella apprensione
immaginativa che, rafforzata dai sentimenti della coscienza, afferma in modo
incondizionato che l’esistenza assoluta è una funzione della personalità unica di Dio
come Padre, Giudice e Cercatore di cuori.
Possiamo dire che lo sforzo di Newman si palesa per una analisi
estremamente complessa per la sua stessa natura, degli elementi che compongono
l’atto di fede in quanto atto personale. Questo dimostra che il problema non è
nell’oggetto di fede quanto nel soggetto che tende all’oggetto. In altre parole il
problema non è la Rivelazione ma il singolo individuo che ad essa tende. Questo è
tanto più vero se consideriamo che è nella seconda parte della Grammatica
dell’Assenso che Newman si ripropone di dimostrare che si può credere ciò che non
si può provare.
Dal mio punto di vista questo va nel segno di significare che il problema
continua ad essere l’uomo e non Dio – per dirla da filosofi nel soggetto e non
nell’Oggetto. Infatti Newman punta a fare emergere che non sono gli elementi di
tipo storico che il cristianesimo può vantare quali prove, a costituire la fede dei
credenti. L’analisi di Newman investe infatti il tema della certezza personale e il
ragionamento sulle probabilità.
Ora secondo Newman ciò che va assolutamente bandita e scardinata è
l’affermazione secondo la quale non è possibile assentire a una proposizione con
forza maggiore di quanto non lo consentano le prove che la sostengono, questo
significherebbe che l’assenso, in quanto adesione della mente ad una realtà
riconosciuta come vera, dipende dal grado delle sue prove. Di fatto l’assenso
assoluto potrebbe darsi solo come ratifica di un atto di dimostrazione o di intuizione.
Questo è quello che la filosofia di Locke aveva lasciato intendere ma per
Newman è assolutamente discutibile perché il modo concreto del ragionare
dell’uomo dimostra che egli assente e agisce a prescindere dalla fissità di una prova
di tipo matematico scientifica propria della scienza positiva. Tutto questo si esprime
nella considerazione di Newman relativa alla certezza.
La certitude indica l’aspetto soggettivo – ovvero la percezione personale della
certezza – ben distinta dalla certainty che si riferisce all’aspetto oggettivo della
conoscenza. In tutte le questioni che riguardano l’agire gli uomini usano quello che
Newman chiama senso illativo, che ha avvicinato alla phronesis aristotelica, che,
come facoltà di giudizio pratico personale nella sfera morale, trascende ogni
sistema di legge esterno. Newman ne allarga il campo e lo estende al concreto e
alla conoscenza in generale. Il suo campo di azione è inquisitio veri.
Tornando alla Grammatica dobbiamo sottolineare come Newman ci tenga a
precisare che nel caso dell’assenso non si possa parlare di gradi. Cioè non si può
assentire soltanto in parte, l’assenso presuppone un’adesione totale. O c’è o non
c’è.
La domanda che può sorgere è sulla modalità con cui si raggiunge un assenso
reale di un fatto di cui non si può dare ragione e come può questo raggiungere la
stessa intensità, la stessa forza, di un assenso che basa sulla prova scientifica la
propria validità. Al riguardo Newman utilizza una immagine che mi pare molto
rappresentativa. La prova scientifica viene sostituita dalla forza della probabilità che
trova nel senso illativo – che abbiamo poc’anzi incontrato - la propria ragione
d’essere.
Il senso illativo determina ciò che la scienza nelle questioni concrete non può
determinare, quelle probabilità – appunto – che concorrono al vero in modo analogo
al tendere verso un limite nel caso di una ratio matematica, determina cioè
quell’insieme complesso di elementi che noi, basandoci sui nostri primi principi,
giudichiamo probabili, e che, nel loro parallelo convergere verso la verità,
costituiscono nella scienza Newtoniana quel limite massimo oltre al quale non ci è
dato andare, ma grazie al quale raggiungiamo un assenso reale.
E’ dunque evidente che ad un certo punto nella conoscenza si verifica un
“cambio di stato” in virtù del quale il soggetto fa suo l’oggetto da conoscere –
potremmo dire lo interiorizza. Tale passaggio segna un cambiamento.
A questo riguardo Newman, in una lettera ad un amico, fa un paragone
illuminante: “quello che intendo può essere illustrato nel modo migliore da una
fune, che è fatta da un certo numero di singoli fili, ciascuno dei quali in sé è debole,
ma insieme sono forti come una sbarra di ferro. La sbarra di ferro rappresenta la
dimostrazione matematica o stringente, la fune la dimostrazione morale, che
consiste in un cumulo di probabilità che singolarmente non sono sufficienti a dare
certezza, ma prese assieme sono irrefutabili.”
Ecco perché la fede è una forma di conoscenza; non è certo la conoscenza
delle scienze matematiche o fisiche ma quella delle certezze che ognuno costruisce
ogni giorno in virtù delle sue inclinazioni e dei suoi desideri. Della sua fede,
Newman dirà, un uomo è responsabile così come di tutti i suoi atti. E’ per questo
che una via di mezzo non esiste perché l’assenso o c’e o non c’e; per lo stesso
motivo per cui tra cristianesimo e ateismo non c’e via di mezzo.
“Ho una coscienza, dunque Dio esiste …” afferma Newman nei Philosophical
Notebook; dunque la coscienza è prova dell’esistenza di Dio. E cosa c’è più reale di
una Voce? Nulla !!! però questo sembra non bastare a chi afferma che si esiste solo
se si dà spiegazione del proprio esistere fino al punto di affermare che se a
generare la vita è il caso questo è razionale, se è Dio no! Così per i razionalisti il
caso diviene principio primo, Dio non può esserlo!
Di fatto ha ragione Newman quando, riflettendo sullo stato morale
dell’umanità come appare dalla storia dei popoli e delle religioni, osserva come
questo non rifletta l’immagine di ordine che si attribuisce al suo creatore: “per
tentare di spiegarmi ciò, vedo solo due alternative: o Dio non c’è, o Egli ha ripudiato
le sue creature. O i segni vaghi della sua presenza nella vita dell’umanità sono solo
una nostra fantasia, o egli ci ha nascosto il suo viso perché lo abbiamo disonorato. E
la mia informatrice che non mente, la mia coscienza, mi libera subito
dall’alternativa: mi dice chiaramente che Dio esiste e altrettanto chiaramente che
Io sono caduto in disgrazia presso di Lui.”

Estratto dall'articolo di Lina Callegari – Genova 28 febbraio 2011

[Modificato da Credente 11/09/2015 16:56]
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11/09/2015 23:48
 
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Essere scienziati è compatibile con l'essere credenti

Doveroso chiarimento: ritengo opportuno chiarire qualche dubbio postomi a seguito di queste lettere che esulano dall’argomento della fede per invadere il campo della scienza, come se compito del cristiano fosse solo quello di pregare Dio alla cieca, estraniandosi dal resto del mondo. Si tratta di argomenti accessibili a tutti, e non solo prerogativa per esperti, come neppure io lo sono, argomenti che un credente di media cultura (come è ormai la maggior parte della gente) ha il dovere di affrontare, approfondire e almeno in buona parte risolvere, se non vuole cadere nelle solite trappole del nemico che vuole rendere sempre più insanabile, come detto, la spaccatura tra fede e ragione, tra Parola di Dio e parola della scienza, relegando i credenti, a forza di menzogne, nella categoria degli imbecilli.
Mio intento è solo quello di invogliare la gente a leggere almeno qualcuna delle opere evidenziate nelle note, perché, mentre parlano di scienza in modo chiaro e accessibile alla media cultura, sono aiuti formidabili per capire e gustare anche le verità della nostra fede contenute nel “Credo”, nella certezza che il Dio cristiano, Uno e Trino, non ci inganna chiedendoci di inginocchiarci davanti a Lui, piuttosto che davanti a ‘sua maestà’ Darwin, responsabile di aver eliminato il Dio vero per intronizzare ‘il caso’, cioè un assioma infondato e gratuito come unico artefice della vita. Non possiamo più accettare che cristiani impegnati per la nuova evangelizzazione, studenti, docenti, per non dire sacerdoti o Vescovi, continuino a difendere, anche se in buona fede, la teoria dell’evoluzionismo (che non è l’evoluzione) che nega la creazione, teorie che, soprattutto con le ultime scoperte del DNA e di quelle cosmologiche di cui accenneremo, hanno subìto una clamorosa sconfitta.
Io stessa, anni addietro, dopo aver letto qualcuna di queste opere e ascoltato opportune conferenze, (ricordo in particolare quelle assai incisive dei prof. Giancarlo Cavalleri e Francesco Grianti, docenti universitari di fisica generale e nucleare), ho dovuto in un certo senso riformulare con grande gioia il mio atto di fede, come una nuova, luminosa conversione, pur essendo sempre stata credente, perchè finalmente ho capito che la Parola di Dio è la stessa parola della scienza, però quella vera, e non quella strumentalizzata da falsi scienziati al fine di demolire la nostra fede cattolica. La cultura mondiale di tutti i tempi brulica di scienziati e umanisti credenti di altissimo livello, molti di essi cattolici, come ha segnalato in un libro molto interessante il prof. Francesco Agnoli: ‘Scienziati, dunque credenti!’.[1]
Ma chi ha il coraggio di citare questi illustri personaggi nelle nostre scuole, nei nostri seminari, nei nostri istituti teologici e religiosi, dove troneggia come verità assoluta l’abominevole e falsa figura dello scimmione che si alza un po’ alla volta su due piedi, come se questo fosse sufficiente per giustificare la differenza abissale che distingue l’uomo da qualunque altro essere vivente? Non solo biologica (c’è più informazione in una sola cellula umana che in tutte le cellule animali messe insieme), ma spirituale: il linguaggio, la coscienza di sé e dell’universo, lo studio, la libertà, il rapporto con il Trascendente, perché l’uomo è l’unico essere fatto a ‘immagine e somiglianza di Dio’, e destinato alla Vita Eterna.
Finchè nei Seminari e Istituti religiosi, nei vari studi teologici di tante diocesi italiane, si continua a dare spazio ai nuovi falsari, ai vari pseudo teologi alla “Vito Mancuso” che sono ascoltati e riveriti molto più del Papa, falsari che hanno trasferito al campo teologico le conseguenze assurde della teoria evoluzionista, negando il peccato originale, ci meravigliamo dei frutti che vediamo intorno a noi? Seminari e noviziati semideserti, gente che abbandona chiese e Messe, cercando aiuto presso le varie sette perché delusa dalla Chiesa cattolica, meglio detto, da certi falsari della Chiesa cattolica, falsari e traditori, che non hanno più nulla di vero e di santo da offrire, ma si barcamenano tra confusione, eresia e qualche pizzico di verità per confondere le coscienze.[2]
E come soluzione cosa propongono alcuni Vescovi? La riduzione delle Sante Messe nella speranza che almeno quelle che restano siano un po’ più frequentate, a tal punto che molti sacerdoti preferiscono celebrare solo una Santa Messa festiva, privilegiando nei giorni feriali altre attività. Massima stoltezza! È ciò che vuole la Massoneria la quale, dopo aver demolito tutti i baluardi della nostra fede: catechesi, morale, famiglia naturale, sacralità della vita, sacerdozio, ecc. adesso sta puntando i suoi cannoni contro l’ultimo baluardo che ancora regge: la Messa cattolica, nella consapevolezza che, meno Messe ci sono, più siamo esposti agli attacchi del nemico perchè meno grazie piovono dal Cielo, meno aiuti ci offre il Signore per le nostre necessità spirituali e materiali, finchè non saremo costretti ad arrenderci al loro piano diabolico che è quello di sottomettere l’umanità al Nuovo Ordine Mondiale, cioè a Satana. E sotto il dominio di Satana sono dolori acuti, qui sulla terra e, ancor peggio, nell’aldilà, perché non esiste una morale neutra, laica, che accontenta tutti in una pacifica fratellanza universale, come costoro vanno sbandierando: o si è con Gesù Cristo cioè con la Verità che è felicità, o si è con Satana, cioè con la menzogna che è disperazione.
C’è ancora tempo per reagire e per andare contro corrente con forza, in questo luminoso “Anno della Fede” voluto dal nostro amatissimo Santo Padre Benedetto XVI. Cristo ci aspetta sempre!

Le scoperte cosmologiche: il big bang

Affascinante oltre ogni immaginazione è la storia dell’universo che la scienza ci propone oggi perché l’assurdo è che proprio dalla scienza che voleva negare l’esistenza della creazione è stata invece fatta una scoperta a dir poco sensazionale che, guarda caso la coincidenza, si ravvicina in modo incredibile al concetto cristiano di creazione.
Questa scoperta, accettata da tutti per la sua evidenza, è stata denominata “big-bang”, dal fisico ateo Sir Fred Hoyle, che l’aveva così definita quasi con disprezzo perché la considerava troppo cristiana, in quanto presuppone un mondo originatosi dal nulla, quasi a coincidere con quella frase della Genesi “Fiat lux” pronunciata da Dio all’inizio della creazione, un mondo in cui moto, spazio e tempo hanno iniziato ad esistere in un momento ben preciso e potrebbero un giorno scomparire, fenomeni relativi e non assoluti, regolati da leggi fisiche ben mirate e non casuali, poste in essere da un Creatore, inteso come ‘Legislatore supremo’ o ‘divino Artefice’, conclusioni alle quali erano già pervenuti secoli addietro scienziati del livello di Copernico (1500), Keplero, e il grande Galilei (1600) e che oggi la scienza ha ulteriormente convalidato con i sofisticati strumenti di cui è in possesso.
I fisici dei nostri tempi, infatti, hanno potuto ricostruire con altissima precisione questi complicatissimi processi, soprattutto grazie alle scoperte ‘dell’estremamente piccolo’, fino all’interno delle componenti più infinitesime dell’atomo, a tal punto che uno dei più illustri docenti di astronomia e di storia della scienza della celebre università di Harvard, il prof. Owen Gingerich, considera la scoperta del cosiddetto “big-bang” uno dei tanti motivi scientifici per intravedere, dietro l’universo, un progetto divino.[3]
Per dirla qui in breve, nella speranza di suscitare abbastanza curiosità nei lettori da invogliarli ad approfondire meglio il tema attraverso i libri citati, si può dire che al momento del ‘big bang’ o grande esplosione iniziale, l’universo poteva avere la dimensione di una capocchia di spillo o anche meno, come una sfera incredibilmente compressa di materia e di energia a temperature elevatissime (mille miliardi di gradi circa) che si espandeva a una velocità di gran lunga superiore a quella della luce. Un minuto dopo il big bang, la temperatura dell’universo in espansione era scesa a circa 10 miliardi di gradi, tre minuti dopo a circa un miliardo di gradi che è la temperatura presente oggi all’interno delle stelle più calde. A tale temperatura le particelle che componevano la materia primigenia presero ad interagire fra loro e a trasformarsi negli elementi di cui è composta oggi la materia: idrogeno (77%) elio (23%) e da minute quantità di altri elementi. Ben diversa invece è la composizione di questi elementi sul nostro pianeta Terra, l’unico sul quale è possibile la vita, con buona pace dei sostenitori dell’esistenza dei marziani ai quali crederemo solo dopo averli visti e toccati con mano. [4]
Da queste premesse molti scienziati affermano che il nostro sole, dopo aver trasformato in elio tutto l’idrogeno del suo nucleo, si raffredderà e si dilaterà enormemente, inglobando tutti i pianeti ad esso più vicini, compresa la terra, per poi subire un processo inverso, dalla dilatazione alla contrazione fino a diventare una ‘nana bianca’. Sarà allora la fine del mondo? Sarà molto prima? Lo stesso Cristo non ce l’ha voluto dire nel Vangelo, ma una cosa è certa: la fine del mondo per ciascuno di noi avverrà nel momento in cui chiuderemo gli occhi a questa terra, per aprirli per sempre alla luce della Verità e dell’Amore che non avranno tramonto, per chi è stato fedele, o alla luce della punizione eterna per chi ha voluto scegliere il rifiuto di Dio per privilegiare le tenebre.
Probabilmente per alcuni da fastidio l’idea di un Dio giudice del nostro operato, perché si vorrebbe fare e disfare a piacere quel che si vuole senza il pensiero di Qualcuno che ci sovrasta, che vede tutto e che potrebbe anche punire le nostre cattiverie. Si può anche capire questa sorta di paura, che non è certo il ‘Santo Timor di Dio’, ma in tale caso, l’unico rimedio non è certo quello di rinnegare Dio, ma semmai fidarsi di Lui, del Dio cristiano che non ha solo i connotati di un Dio supremo, Creatore e giudice, perché è soprattutto Amore, e ama infinitamente le sue creature, le conosce una per una, e perdona le loro debolezze per chi si rifugia nella sua infinita misericordia.

La creazione dell’uomo.

La Bibbia narra, nel primo libro della Genesi, cioè origine, come Dio creò il mondo in sei giorni, nell’ultimo dei quali fu creata la coppia umana, Adamo ed Eva. Inoltre la Sacra Scrittura ci descrive la genealogia dalla comparsa della prima coppia ad oggi, nome per nome, attraverso patriarchi, re, profeti, uomini comuni e peccatori e perciò si calcola che in tutto siano passati non più di 10.000 anni. Questo sembra in contrasto eclatante con quello che ha sempre affermato la scienza, che fa risalire l’origine dell’universo a miliardi di anni fa, e la comparsa dell’uomo a milioni di anni fa.
A parte che quei ‘sei giorni’ della Genesi simboleggiano il succedersi dei lunghissimi tempi dell’evoluzione cosmica, come riferirono anche gli studi del grande astronomo Giuseppe Armellini 1887.1958, a parte questo, sta di fatto che studi scientifici sempre più sofisticati stanno valutando anche l’ipotesi (soprattutto attraverso lo studio dei fossili) che l’inizio dell’universo e soprattutto della Terra possa risalire a una data assai più recente, cioè che si tratti non di miliardi ma di milioni di anni fa, o forse anche meno.

Come per la comparsa del big bang, anche la data dell’inizio della vita umana sulla terra è oggi più che mai fonte di dibattiti accesi fra le stesse correnti creazioniste che si chiedono quando e in quale modo sia intervenuta l’azione di Dio nel mondo, se attraverso un intervento solo iniziale, o continuo o virtuale ecc. A tale riguardo non possono essere ignorate le ricerche di scienziati eccezionali del calibro di Mons. Pier Carlo Landucci, ad esempio, attualmente servo di Dio in concetto di santità, alle cui preziose opere rimando l’approfondimento di queste tematiche.[5]
Ma è altrettanto doveroso segnalare le scoperte sensazionali a cui sono pervenuti altri scienziati, per lo più americani e giapponesi, non credenti, di cui nessuno parla ufficialmente,a tal punto che sembra di essere tornati ai tempi delle catacombe dove bisogna vivere e diffondere la verità di nascosto, quasi in una catena di ‘passa-parola’, ‘pissi-pissi, bao-bao’, pena l’esclusione dalla lobby dei sapienti, per essere confinati in quella degli ignoranti marchiati a vita, che non avranno mai un futuro professionale. Questa è la realtà nuda e cruda, purtroppo!
Il fisico prof. Cavalleri, di cui ho parlato, si è preso la briga di raccogliere queste notizie, vagliarle e diffonderle citandone le fonti che noi qui brevemente segnaliamo. In un articolo sulla rivista ‘Le Scienze’ (n. 286 del giugno 92) i professori A.C. Wilson e R. L. Cann dell’università di Berkeley, hanno annunciato che: “I confronti genetici nello studio del DNA mitocondriale trasmesso solo per via materna, depongo a favore del fatto che tutta l’umanità attuale possa essere ricondotta per ascendenza materna a una sola donna che visse probabilmente in Africa circa 200.000 anni fa. (e non milioni di anni fa come si vorrebbe far risalire la comparsa del primo uomo). L’umanità moderna apparve in un unico luogo da una sola donna e da lì si propagò.”
Sensazionale è pure la scoperta che l’homo sapiens ha abitato per decine di migliaia di anni accanto a tipi umanoidi più arcaici (le cosiddette scimmie umanoidi, cioè i cosiddetti ominidi, che non erano uomini) senza però mescolarsi con essi, e vi sono testimonianze fossili che lo convalidano quali le scoperte effettuate nelle grotte di Qafzeh in Israele che indicano appunto che uomini di Neanderthal e uomini di tipo moderno vissero a fianco per 40.000 anni senza interscambio genetico.
Alla stessa conclusione è arrivato il paleontologo D.M. Waddle, il quale sulla rivista Natura (vol. 368 del 31.3.94) afferma che, studiando i più antichi crani di homo sapiens, il luogo di comparsa della nostra specie umana potrebbe essere o l’Africa Orientale, o il Medio Oriente, e non oltre 150.000 anni fa.
Studi e ricerche effettuate da parte di equipe di francesi del ‘Collège de France’ sul cromosoma Y che determinano l’appartenenza al sesso maschile, hanno stabilito che anche le linee di discendenza paterne riconducono a un singolo progenitore che potrebbe risalire a circa 250.000 anni fa (quindi, dentro gli errori sperimentali concessi, assai vicino alla data della prima donna).
Pure fantasie? Errori madornali? Probabilità da approfondire o da scartare come assurdità?
E’ logico che nel campo scientifico tutto è in continua ricerca ed evoluzione, ma allora perché non riportare semmai gli stessi dubbi anche alla intoccabile e quasi intramontabile teoria darwiniana che puzza ormai di logoro e di stantio? Di statico e di arcaico? Di menzogna più che di verità?
Questo confermerebbe quanto afferma la Bibbia sul peccato originale (senza del quale tutta la storia degli uomini risulterebbe incomprensibile) che non si riferisce dunque a una sorta di indefinita popolazione primigenia formata da una moltitudine di individui, come invitavano a pensare le scoperte iniziali della paleontologia e come ha proposto Karl Rahnner, ma proprio a un solo uomo e a una sola donna, come afferma la Bibbia.
Saranno poi i veri teologi a stabilire in che cosa realmente sia consistito il peccato originale, anche se la Bibbia dice chiaramente che si è tratto di superbia ‘diventerete come Dio’, che è l’eterno, intramontabile peccato di tutti i tempi e di tutti gli uomini che non accettano il dolcissimo ruolo di creature, di figli di un Padre amorosissimo e tenerissimo che ha preparato per loro le bellezze di questo nostro meraviglioso mondo che è la Terra in vista di ‘Cieli nuovi e terra nuova’ che non avranno mai fine, ma si ostinano a razzolare come galline che si beccano nel pollaio.

LE SCOPERTE BIOLOGICHE: LA CLONAZIONE.

Quale scienziato nella pretesa di negare con tanta sicurezza l’intervento di Dio nella creazione , è stato finora in grado di creare o inventare nuove galassie o per lo meno qualche piccolo pianeta? Nessuno! Perché gli scienziati non inventano nulla ma scoprono leggi fisiche o biologiche o chimiche o altro che si trovano già in natura dall’origine dell’universo, grazie all’utilizzo di strumenti sempre più sofisticati e perfetti che permettono di conoscere cose che crediamo nuove, ma che in realtà sono antiche come il mondo. Ad esempio la scoperta del DNA ad opera del premio nobel Francis Crick non è una sua invenzione o creazione, ma è una realtà esistente in natura sin dall’origine della vita e di cui si è venuti a conoscenza solo da pochi anni grazie a nuovi strumenti inventati dagli scienziati, ai quali va comunque il merito di essere riusciti a scandagliare i misteri della natura per conoscerla meglio.

D’accordo, ma come la mettiamo con l’ingegneria genetica e la clonazione? Non è giunto il momento di ammettere che finalmente gli scienziati sono riusciti, alla pari di Dio se non meglio!! a costruire l’uomo in laboratorio, addirittura prolungandone la vita in una sorta di eternità sulla terra, e scegliendo perfino i connotati su ordinazione?

La clonazione, presentata con tono trionfalistico come se si trattasse della facoltà di creare l’uomo in laboratorio, “ex nihilo”, al di là del fatto che per ottenere ciò devono comunque partire almeno da un ovulo e un nucleo e non certo dal nulla; al di là del fatto che non si conoscono le reazioni psichiche che potrebbe avere un simile robot umano per lui e per l’umanità intera; al di là del pericolo rappresentato dal delirio di onnipotenza alla Frankstein che si propone di controllare la vita umana in un chimerico e deleterio desiderio di immortalità terrena, ecc. resta sempre il fatto che… a Dio non la si fa!
Infatti, il biochimico Erwin Chargaff, pioniere nei suoi studi sul DNA, afferma che, con la clonazione, qualora si ottenessero le stesse, identiche caratteristiche fisico-biologiche del donatore, il cervello risulta essere comunque unico e irrepetibile, e inoltre diverse sarebbero gli ambienti e situazioni in cui si verrebbe a trovare il nuovo ‘malcapitato clonato’, ergo… non abbiamo affatto la stessa persona che vive una specie di nuova vita ripetibile nel tempo a volontà, ma un nuovo essere, non si sa fino a che punto umano, o para-umano, comunque un povero essere che agisce con la sua libertà e il suo cervello, con gravi rischi comportamentali, però, perché l’uomo non è solo il risultato di un composto organico ma assai di più, e far scaturire la vita dal gelo del laboratorio piuttosto che dal calore dell’amore, può avere conseguenze disastrose per tutti. I media esaltano i successi degli esperimenti ma tacciono sulle loro gravissime conseguenze, come per la pecora Dolly invecchiata precocemente nel giro di pochi mesi, sempre malata e deceduta in pochissimi anni.
E conclude nel suo libro “Il mistero impenetrabile”: “La vita e la morte bisogna lasciarle stare perché non dipendono dalla modalità di riproduzione che si vuole dare agli esseri umani. Gli orribili esperimenti di ingegneria genetica e di inseminazione artificiale mostrano che ci muoviamo su un piano spaventosamente inclinato. Perciò la scienza dovrebbe culminare in una contemplazione estatica della natura, e non in una lotta violenta contro di essa”. [6]

QUALI SCIENZIATI? Mentre per il lungo elenco di illustri scienziati credenti invitiamo alla lettura del libro del prof. Agnoli già citato, una parola speciale la vogliamo spendere per due personaggi eccezionali e ancora poco conosciuti: FERNARD CROMBETTE e NICOLO’ STENONE.

Fernard Crombette, nato in Francia nel 1880 e morto in Belgio, novantenne, nel 1970. Un vero genio che ha composto una trentina di opere nel campo della decifrazione della lingua egizia, ittita, etrusca, cretese, copta, atzeca, opere di fisica, astronomia, geografia della terra antica e moderna, geologia, studi sulla ricostruzione della storia biblica da Adamo in giù attraverso lo studio dell’onomastica e la decrittazione dei geroglifici egiziani e del copto. L’ultima sua opera è stata una lettura approfondita della Genesi traducendo il testo direttamente dall’ebraico antico. Profondamente credente, ha dato vita ad una Associazione internazionale di studiosi e scienziati cristiani (CESHE) che si propone di riconciliare scienza e fede, proprio attraverso l’approfondimento di entrambe le discipline attraverso le lingue antiche. [7]

Niccolò Stenone. Nel panorama scientifico del seicento, Niels Steensen, Niccolò Stenone, (1638-1686) è una delle personalità più affascinanti e geniali di quel secolo, peraltro già nobilitato da personaggi di alto livello quali Keplero, Newton, Galilei, Cartesio ecc. A renderlo tale non sono solamente le sue scoperte fondamentali in anatomia (il dotto salivare, detto di Stenone, ghiandole, muscoli, cervello) e in altre discipline (è considerato il fondatore delle geologia e per molti aspetti, della paleontologia e della cristallografia), ma soprattutto le sue qualità di uomo, di scienziato e di credente. [8]
Stenone nasce in Danimarca da genitori orafi, convinti luterani. La sua passione è l’anatomia, perciò si iscrive all’università di Copenaghen. È un instancabile viaggiatore, uomo versatile, minuzioso ricercatore, amico di principi e studiosi altrettanto tenaci, quali Jan Swammerdan, fondatore dell’entomologia che intende scrivere un libro sulle api per dimostrare la saggezza del Creatore. Così anche Stenone, assieme alla passione per la natura, coltiva un profondo senso religioso come fervente luterano. I suoi studi lo portano poi in Italia, precisamente a Livorno dove è attratto da amici di grande cultura e ferventi cattolici, Viviani, Redi ecc. che gli fanno cadere i pregiudizi negativi nei confronti della chiesa cattolica. Qui continua i suoi studi spaziando tra discipline scientifiche e teologiche e compone un’opera di carattere scientifico ‘De solido’ nel quale affronta anche questioni bibliche e di fede.
Un momento particolare gli tocca profondamente il cuore: la processione del Corpus Domini a Livorno, da dove nasce la sua conversione al cattolicesimo aiutata dalla figura ascetica del gesuita Paolo Segneri e da alcune nobildonne toscane profondamente credenti. Trasferitosi poi a Firenze e accolto con grande ammirazione soprattutto dai Medici, continua i suoi studi, soprattutto teologici in vista dell’Ordinazione sacerdotale che avverrà a Firenze nel 1675. Inviato poi dal Papa Innocenzo XI presso i suoi concittadini, trova molte ostilità e umiliazioni perché lo accusano di ‘resa al papismo’, a tal punto che gli viene precluso l’insegnamento all’università. Qui non solo risponde con garbo e fermezza parlando del Papa, dell’Eucaristia e della Chiesa, ma si batte anche per ridurre la pressione fiscale del suo popolo e per risollevare le famiglie povere con opportune iniziative.
Chiamato a Roma per la consacrazione episcopale, vi si reca a piedi alla stregua di un pellegrino penitente, e accetta poi di buon grado il compito di trasferirsi nella Germania del Nord per occuparsi delle piccole comunità cattoliche sparse tra i protestanti dove percorre a piedi e con molta fatica città e villaggi per incoraggiare alla fedeltà i pochi cattolici rimasti. Gli ultimi anni sono molto duri, vive in condizioni estreme, vende perfino l’anello vescovile e la croce d’argento per aiutare i poveri. Dorme poco, digiuna, lavora, prega e sogna di tornare alla sua amata Firenze, ‘exul immeritus’ come Dante.
Muore a Schwerin a soli 48 anni, e gli stessi luterani accolgono infine con devozione la sua salma nella loro chiesa, pieni di ammirazione. Cosimo III dei Medici, suo amico e protettore, farà giungere la sua salma a Firenze dove è sepolto nella basilica di San Lorenzo e dove la gente, tra cui molti studenti, lo onora e venera come santo chiedendogli grazie con centinaia di bigliettini posti sul suo sarcofago. Giovanni Paolo II lo ha beatificato nel 1988 e la sua festa liturgica cade il 5 dicembre.
Terminiamo con una sua significativa preghiera:
O Signore, tu,
senza il cui beneplacito
né un capello del capo,
né una foglia dell’albero,
né un Uccello del cielo, cade.
Né il pensiero allo spirito,
né la parola alla lingua,
né l’azione alla mano, riesce,
Tu mi hai guidato
per sentieri a me sconosciuti.
Guidami ancora in futuro
sul sentiero della grazia,
sia che io veda,
sia che io non veda. Amen

(Nicolò Stenone)
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09/02/2018 11:53
 
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L' ATEISMO È FIGLIO DELL' IRRAZIONALITÀ
(natura e ragione, naturale e soprannaturale)

Il termine "natura" richiama il termine greco physis e quello latino nascor, che significano qualcosa che è generato e procede spontaneamente, secondo determinate leggi interdipendenti tra loro. "Naturale", dunque, è ciò che accade di per sé, che si muove spontaneamente, senza che qualcuno intervenisse per modificarlo. Anche nel linguaggio comune si esprime questo significato, ad esempio quando si dice: sii naturale; è naturale (cioè spontaneo) comportarsi così ecc.
Occorre dunque distinguere tra "natura" e "ragione", ovvero tra la gran massa degli eventi irrazionali (fisici e psicologici che siano) che procedono spontaneamente e ciò che è distinto e non riducibile a questo processo: il capire, il pensare, l'ordinare ecc. Queste sono tutte realtà che interagiscono con la natura ma nello stesso tempo la trascendono. "Ogni possibile oggetto che possiamo vedere davanti a noi: le pareti, il soffitto, i mobili, il libro, le nostre mani lavate e le unghia tagliate, è tutto una testimonianza della "colonizzazione" della natura operata dalla ragione, perché nessuna di queste cose sarebbe come è ora se la natura avesse potuto agire spontaneamente, a modo suo" (C.S. Lewis). In altri termini, la natura non ha in sé stessa la "coscienza dello scopo", non ha la capacità di senso critico e in base a questo di agire e sciegliere teleologicamente. Perciò, come conseguenza logica, non si può nemmeno affermare che la ragione umana sia una emanazione della natura, un suo prodotto che scaturirebbe (non si sa come, dove è quando) in una fase del suo casuale divenire.

Diceva Nietzsche: "Come è venuta al mondo la ragione? Come è giusto che arrivasse, in modo irrazionale, attraverso il caso". Appunto, ma è propriamente questa l'evidente contraddizione logica del "naturalismo" su cui si fonda l'ateismo e le sue declinazioni, ovvero sostenere che quella ragione umana che dovrebbe stabilire ciò che è razionale oppure no, sarebbe figlia dell'irrazionalità, della non-ragione. In altre parole, si adotta un certo criterio (la razionalità) per poter giudicare l'attendibilità di qualsiasi affermazione, non accorgendosi che quello stesso criterio scredita lo "strumento" (la ragione umana) che sta giudicando. Così in questo modo l'ateismo si dà la zappa sui piedi, invalidando da solo tutto ciò che afferma. Da una parte l'ateismo non accetta come valida una singola affermazione considerata irrazionale ma nello stesso tempo accetta senza battere ciglio che la ragione nel suo insieme, dalla quale ogni singola tesi scaturisce, sia figlia dell'irrazionalità, il risultato finale di un cieco e irrazionale divenire.

Spesso si cade in un equivoco: si dice che non si crede al trascendente o al soprannaturale perché non lo vediamo o perché non si può dimostrare empiricamente, come se il soprannaturale dovesse essere una "cosa" osservabile davanti a noi, da vagliare come spettatori. Non è così. Soprannaturale è la stessa capacità di ragionare, di capire, di amare, tutte facoltà umane che interagiscono con la natura ma nello stesso tempo la trascendono. Di più, non si potrebbe neanche arrivare a dire: "il soprannaturale non esiste", se non avessimo una capacità soprannaturale e quindi razionale di vedere, valutare e considerare la realtà.

No, la ragione umana non può essere figlia dell'irrazionalità, non può essere originata dalla non-ragione, ma soltanto da un Principio razionale che trascende anch'esso la natura, da una Ragione superiore.

"Se la Ragione viene prima della materia e se la luce di quella Ragione originaria illumina le menti finite, posso capire come gli uomini siano giunti, tramite l'osservazione e la deduzione a conoscere molte cose riguardo all'universo in cui vivono. Se invece le intelligenze dipendono solo dai cervelli, e i cervelli dalla biochimica, e la biochimica (alla lunga) dal divenire insensato degli atomi, non riesco a capire come il pensiero di quelle menti abbia più significato del frusciare del vento fra gli alberi".
(C.S.Lewis)
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