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COMMENTO DELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/05/2019 17:13
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09/12/2011 21:41
 
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1 Corinti 10, 14-22


La carità è il centro di tutto


- Il Signore ci porta progressivamente nel desiderio di celebrare nella nostra vita il mistero della sua provvidenza. Si deve partire dal dono di Dio: quello che succede a noi e attorno a noi si può solo capire partendo dai misteri del Signore. Nelle scritture di oggi c'è una conferma preziosa di questo. Paolo parla ai suoi figli delle vicende immediate della loro vita a partire da quello che conta: la comunione col corpo di Cristo. Il miracolo dell'amore di Dio si fa pane della nostra vita perchè noi abbiamo la forza di proseguire in Lui. Chiediamo pedono per la distanza che la fragilità del nostro cuore interpone fra noi e i suoi doni. Chiediamo che il suo perdono ci restituisca alla nostra condizione di figli.


- Sembra che siano ribaditi i discorsi dei giorni scorsi: il primato della comunione, dell'amore nuziale per Dio.

- C'è un parallelo fra idolatria e fornicazione (di cui parlava al cap 6). In entrambi i casi c'è il comando di fuggire da queste situazioni. E' lo stesso tipo di ragionamento. Nella fornicazione si diventa una carne sola come nel matrimonio, e ugualmente il rapporto coi culti idolatrici porta ad una reale unione con gli idoli. Fornicazione ed idolatria vanno fuggite non perchè valgono poco, ma perchè sono una alternativa reale alla comunione col Signore.

- Sembra sia possibile essere in comunione col Signore e con i demoni, in una situazione che provoca la gelosia del Signore. Il giustificarla con la propria debolezza diventa peccato. E' una situazione pericolosa perchè l'abitudine diventa "natura". Non si può partecipare da lontano: in ogni caso il rapporto è molto forte.

- Bisogna capire come si combinano i due tipi di discorsi: 1) gli idoli non sono niente; 2) l'atto sacrificale è una realtà seria.

- Il brano inizia con "perciò" ed è quindi legato a quello di ieri, che terminava con la fedeltà di Dio. Questa è la forza per fuggire l'idolatria.

- E' bello il vs 15: ciascuno può riconoscere la verità. Il popolo di Dio viene riconosciuto abile di ricevere con sapienza e di giudicare.


- Il primo versetto ("Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria") è praticamente il titolo del brano di oggi. I Corinti saranno idolatri se mancano di carità.; questo va tenuto ben presente perchè tendiamo a sfuggire a questo concetto. La liturgia non è un insieme di simboli, ma la potenza della storia. E' l'atto creativo di Dio che ci permette di rinnovare la nostra realtà di fratelli. Il solo pane, mangiato assieme, stabilisce la nostra comunione. Il problema è che, usciti da messa, con i nostri giudizi e le nostre azioni rinneghiamo questa storia nuova. Invece non possiamo dividerci, nè dare scandalo, nè confondere il fratello. Mangiare la carne immolata agli idoli per me può essere niente, ma per chi mi sta di fronte nel pranzo può essere un problema. Se si mette in difficoltà il fratello debole, si partecipa al culto idolatra.

vs 15: intelligenti (nella vulgata usualmente tradotto con "prudenti"): vuol dire illuminati dalla fede e dalla carità. Questo termine non è usato a proposito della scienza che gonfia. La misura della nostra sapienza e della nostra fedeltà al dono di Dio è la carità. Se usciamo dalla carità nel nome della verità ("gli idoli sono nulla), usciamo dal dono di Dio. Bisogna sempre rispettare la coscienza del fratello debole, indipendentemente da quello che fa. Paolo ha scelto questo argomento degli idoli (o forse è stato a lui proposto) per spiegare che il centro di tutto è la carità. La verità non può entrare nello spazio cristaiano se distrugge la carità.


13-5-97 1 Corinti 10, 23-30; Gv 17, 24-26 (Giovanni)


Ognuno è quello che l'altro lo fa essere


- Il Signore disegna in questi giorni un cammino nel quale, ricevendo tutto dalla sua grazia, siamo chiamati a rendere grazie per tutto. Questa è una via di pace che tende ad eliminare ogni questione. Tutto è più complesso se non è ricevuto dalla mano di Dio. Nei versetti di oggi l'Apostolo ci ricorda il cuore della preghiera dei padri Ebrei ed il dono inestimabile che abbiamo ricevuto. Dobbiamo un rendimento di grazie non solo per la liturgia che ci riunisce, ma per le indicazioni che dalla liturgia riceviamo per tutta la nostra vita. Diventa da confessare, in questo momento, tutto quello che è stato afferrato, conquistato, e non ricevuto da Dio, segno di latitanza dalla condizione di figli. Chiediamo al Signore di compiere la purificazione dei nostri cuori, e affidiamogli tutto quello che in questo momento desideriamo porre alla sua attenzione.


- vs 23-24: richiamano Rom 15, 2: "Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo." Quello che edifica è la carita (Co 8, 2) che non cerca il suo interesse (utile), come dice nell'inno alla carità del cap 13.

- vs 29-30: confermano che il testo non ci vuole dire fin dove arriva la nostra libertà, ma il modo per conservarla integra. La stessa creazione spera di entrare nella libertà dei figli di Dio. A questo testo si può avvicinare quello dell'effusione del profumo da parte di Maria Maddalena: il dono può essere conservato solo effondendolo ogni giorno. Tutto fate per la gloria di Dio, questa è la grande potestà che ci è data.

- vs 24: contiene concetti molto lontani da noi: non cercare l'utile proprio, ma quello dell'altro; è contrario al nostro modo istintivo di muoverci.


- L'interpretazione che emerge del vs 24, che è certamente centrale, è un po' deviante: la parola utile andrebbe evitata, perchè fissa una norma importante, ma bisogna andare oltre. Di fatto ognuno é quello che l'altro lo fa essere. Considerare la carità solo come la ricerca dell'utile dell'altro fa perdere tutto quello che tu ricevi dall'altro. Dio è Padre, ma è "Padre di suo Figlio". Bisogna considerare che per Dio l'elemento fondamentale della vita è la "relazione" con l'altro che ti fa diventare quello che sei. Nel cap 6 la relazione era fra l'uomo e Dio (il corpo per il Signore, il Signore per il corpo), oggi la relazione è col fratello: uno non deve cercare se stesso, ma l'altro. La libertà è la pienezza della mia relazione con Dio. Paolo oggi cerca di dirci che puoi tenerti la tua libertà fin che puoi (si può mangiare tutto, ricevere tutto come regalo di Dio, rendere grazie a Dio per tutto), ma se c'è uno che pone la domanda sulle carni, allora Paolo suggerisce di sacrificare il tuo rapporto con Dio a favore del rapporto col fratello. Dio infatti non vuole perdere nessuno e non sopporta le separazioni. Importante la regola del ringraziamento per capire se le cose vengono da Dio. La valorizzazione della relazione col fratello deve portare a relativizzare anche il tuo rapporto di libertà con Dio. Altrimenti sarebbe una cattiva interpretazione della libertà. Quello che conta è la carità: attaccarsi uno alla fede dell'altro nel mistero della carità per non precipitare nella solitudine. Ristabilire sempre la relazione nuziale col Signore è la cosa più importante e quando confessiamo le nostre colpe noi presentiamo al Signore le nostre relazioni spezzate e chiediamo un ripristino dei rapporti con lui e con i fratelli.

14-5-97 1 Corinti 10, 31-11, 1; Gv 15, 9-17 (Giovanni)


Fate tutto per la gloria di Dio


- Oggi nella liturgia si ricorda S. Mattia. La sua intercessione è di grande aiuto per entrare nel brano della lettera e per trasformare queste parole in una preghiera per la pace: pace fra le persone, fra i popoli, fra le culture, fra le fedi religiose. Quello che Dio ci comunica tramite la Parola è la possibilità di coniugare lo splendore della elezione divina con la pace di tutti. Purtroppo anche oggi ci sono molte divisioni, violenze, sangue sparso in nome di Dio. E questo perchè ci si riferisce ad altri dei, o si fanno deduzioni sbagliate rispetto al Dio vero. Così la lettera è ricca di quella "impossibile" ipotesi della pace, che solo in Gesù può attuarsi. Noi siamo i responsabili delle divisioni. Ognuno accusi il suo peccato, senza accusare il fratello, perchè questo è l'inizio della giustificazione del male. Dobbiamo invece affidarci alla preghiera del fratello che ci è accanto.


- vs 23: "piacere". S. Francesco dice che l'ubbidienza vera appaga sia Dio che il prossimo. La presenza della parola "salvezza" indica che questo "piacere a tutti" va fino alla propria croce.

- vs 31: "..fate tutto per la gloria di Dio". Paolo in realtà concentra tutto non tanto nel fare, quanto nell'essere (non siate di scandalo...siate miei imitatori). Questo "essere" Paolo lo può dire perchè lui cerca di imitare Cristo fino alla passione.

- vs 31: il verbo fare richiama il vangelo di oggi " Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando" (Gv 15, 14). Bisogna fare quello che ha fatto Lui: dare la vita.

- C'è un legame fra mangiare/bere e la gloria di Dio; sembra una specie di gelosia di Dio per l'aspetto biologico della vita. C'è un parallelo nel Padre nostro in cui il pane viene chiesto e ricevuto dal Padre e allora si capisce come il mangiare e bere possano essere per la gloria di Dio. Si può inoltre intuire che se il momento eletto è la croce, il mangiar e bere sono connessi alla gloria di Dio perchè il fedele diventa il cibo stesso.

- Il testo di oggi ci dà delle indicazioni concrete per come vivere le piccole cose della vita, inclusi i rapporti con le persone. Se uno dice :"Questo lo faccio per il Signore" tutto assume un volto nuovo. E' l'offerta quotidiana della vita. Spogliare ogni cosa da obiezioni è una spoliazione della propria volontà che dà leggerezza e slancio; certamente percepito anche da chi ci sta intorno. Anche la malattia e il dolore, se offerti al Signore, assumono un altro significato.

- vs 1: "fatevi" in realtà è "divenite". Al cap 12, 6 dice:"uno solo è Dio, che opera tutto in tutti". Quello che bisogna fare è accogliere la piccolezza in noi. Dopo si potrà fare tutto per la gloria di Dio.

- Va ancora sottolineato che tutto, anche le cose più piccole, serve per amare e fare amare il Signore.

- vs 33: Paolo si sforza di piacere a tutti senza cercare il suo utile, perchè gli altri siano salvati. C'è una relazione fra il comportamento proprio e la salvezza dell'altro. Da soli non si può far nulla.


- Da questo brano emerge un problema sempre attuale: il valore delle opere. Paolo non dà importanza all'azione, ma valorizza enormemente la tensione che sottende l'azione stessa. Importante non è quello che si fa, ma l'intenzionalità, la direzione. E' un problema interessante e delicato. Il testo dà garanzie di pace. Al vs 33 non direbbe che "si sforza di piacere", ma che "piace". Perchè piace? Perchè in tutto quello che fa non cerca mai il "suo".

La gloria di Dio è un concetto bello ma anche pericoloso. In nome della gloria di Dio si può fare di tutto, il bene e il male. Ma cos'è realmente la gloria di Dio? E' la vita donata, l'amore. Abbiamo già visto che una persona non vale mai per quello che è, ma per le sue relazioni d'amore verso gli altri. Infatti l'attributo più importante di Dio è che è padre. Anche in una vita dedicata a Dio ci possono essere problemi. La cosa importante è che non si cerchi il proprio bene, ma il bene dell'altro. Questo è il grande discrimine. Così per la gloria di Dio non ci è permesso odiare. Verginità e matrimonio sono compresenti, come volere la gloria di Dio e l'utile del fratello. Nessuno esaurisce in sè un dono: la verità di ogni dono è verificata dalla capacità di "partecipazione". La gloria di Dio e il bene del fratello vanno sempre connessi, se si separano si annullano. L'imitazione non è un vanto, ma un atto povero, perchè è la dichiarazione che il proprio valore è nell'altro. Poichè in qualche misura ognuno è imitatore di Cristo, dobbiamo imitare il fratello. E' l'atto più umile che si può fare nella carità. Se Paolo dicesse: "imitate me", non sarebbe cosa buona; ma imitare lui (il fratello) perchè imita Cristo va bene. Ogni rapporto positivo con l'altro arricchisce il rapporto con Dio. C'è una forza interna nella comunità cristiana: il rapporto con i fratelli è speciale, perchè tra di noi c'è di mezzo Gesù.


15-5-97 1 Corinti 11, 1-16; Gv 18, 1-11 (Giovanni)


Appartenenza e sottomissione


- La condizione del credente è legata alla libertà. Si è di Dio solo se si è liberi. Il Signore opera continuamente questa liberazione da tutti i nostri vincoli, perchè la vita è chiamata ad essere consacrata. Ogni nostro atteggiamento deve essere segno del desiderio di celebrare in noi la persona di Gesù. Chiediamo perdono per ogni mormorazione, per ogni pretesa di riappropriazione della nostra persona. Chiediamo di essere liberati per essere miti e per poter approfittare di ogni dono dello Spirito che ci consenta di esssere imitatori di Gesù.


- Oggi è centrale il discorso della carità come dimenticanza di sè in favore dell'altro. Prima era rivolto al fratello più debole, oggi al rapporto uomo-donna. Viene messa in evidenza l'appartenenza all'altro: a Dio per l'uomo, all'uomo per la donna. Ognuno non basta a se stesso, ha questo desiderio dell'altro e solo appartenendo l'uno all'altro ci si può dare gloria.

- vs 1: Paolo può affrontare il discorso che segue proprio grazie a questo versetto. In Gal 3, 23 aveva detto che prima che venisse la fede, la legge era come un pedagogo, ma appena giunta la fede "non c'è più uomo né donna, perchè siete uno in Gesù". In Gesù viene risolto ogni problema.

- vs 1: è importante metterlo in relazione col vs 3, cioè a come si colloca Cristo nei confronti dell'uomo e di Dio. Cristo è contemporaneamente capo e sottomesso; questo va tenuto presente per ogni altro rapporto. Il termine di paragone è quello del rapporto padre-figlio, anche nel caso di uomo-donna.

- vs 8: è controbilanciato dal vs 12, ed il vs 9 dal vs 11. Sembrano affermazioni che indicano un grande equilibrio fra uomo e donna, pur in una gerarchia: Dio, Gesù, uomo, donna. Il vs 10 è quello centrale per risolvere la questione del velo che è un segno di autorità (potere) sul suo capo. "A motivo degli angeli", come riferimento al mondo divino. Segno che c'è una autorità superiore. La donna ha il compito di mostrare, attraverso il velo, questi rapporti di sottomissione.Nessuno può porsi da sè.

- vs 11-12 riprendono la Genesi dove la stessa creazione dell'uomo è presentata in due modi. Sembra che tutto voglia dire che uomo e donna non sono abbandonati ad un rapporto chiuso. C'è il Signore, la grande novità, e tutto deve essere assunto nel rapporto con Dio.


- Una donna se vuole essere credente deve essere sottomessa all'uomo che è il segno di Cristo. Questo è un segno essenziale dell'umanità redenta. L'uomo non deriva dalla donna, come direbbe lo schema della natura, ma è la donna che deriva dall'uomo perchè l'umanità nuova deriva da Cristo e quindi l'uomo deve essere segno della gloria di Cristo. La donna deve accettare come sua propria funzione privilegiata l'obbedienza; l'uomo il dono di sè. (Vedi anche Ef 5: donna sottomessa, uomo che dà la vita). La non appartenenza è un segno di prostituzione, non certo di libertà. Anche nel rapporto di coppia, se non c'è la sottomissione della donna e la donazione della vita dell'uomo, la condizione è sbagliata. Dobbiamo trarne incitamento: le donne ad obbedire e a stare sottomesse come segno dell'umanità salvata, gli uomini ad imitare Cristo e a celebrare la gloria di Dio. Altrimenti l'uomo è abbandonato da Dio e la donna dall'uomo. Solo se obbediamo in modo rigoroso alla parte che ci è assegnata le cose vanno bene. Dando i segni della nostra dipendenza, si dà la prova che le nozze sono avvenute, se no non ci sono state nozze. Oggi l'uomo non riesce ad essere per la donna il segno di Cristo che dà la vita, che è la grande novità della storia. L'indipendenza delle donne è cosa vecchia, le donne di fede lo sanno bene. Ognuno deve essere fedele al dono e al compito che gli è stato affidato.



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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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