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COMMENTO DELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/05/2019 17:13
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09/12/2011 21:40
 
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1 Corinti 9, 19-23; 



La legge di Cristo è Cristo stesso


- Affidiamo alla intercessione della Madonna la liturgia di oggi, e attraverso la liturgia tutta la nostra vita. In questi giorni il Signore fa emergere sempre più dalle scritture la persona di Gesù, la sua opera in mezzo a noi. E questo attraverso le vicende di Paolo che ci scrive. E' un segno straordinario della umanità nuova, che trova la sua più alta espressione in Maria. Paolo ci dice che la sua vita, essendo amata da Dio, è da Dio anche plasmata. Noi siamo ben consapevoli che l'unica via della salvezza è il viaggio di Dio verso di noi. Chiediamo al Signore di perdonare i nostri peccati con un giudizio di salvezza.


- vs 19: "Infatti, pur essendo libero..."; nel testo greco il "pur" non c'è. E' l'essere libero che permette di farsi servo, è il modo migliore di usare la propria libertà. Al cap 7 diceva che ognuno in realtà è libero, anche lo schiavo.

- Il termine "libertà", che fa si che Paolo si faccia Giudeo coi Giudei, ecc., cosa vuol dire? Nella lettera ai Galati Paolo dice che Tito, greco, non deve farsi circoncidere. In Atti 16, 3 Timoteo, il cui padre era greco, viene fatto circoncidere. Il pensiero di Paolo sembra oscillare, ma forse proprio questo è libertà.

- Paolo si è fatto servo per tutti: servo di Cristo a favore di tutti, poi si è fatto Giudeo per i Giudei ad esprimere che la sua vita è sottomessa a Dio per tutte queste persone.

- Nei brani degli ultimi 3 giorni si nota una progressione nell'importanza del vangelo per Paolo: prima si preoccupa di non creare inciampo, poi rinuncia a tutti i suoi diritti perchè la sua ricompensa è il vangelo, oggi spera di essere in comunione col vangelo ("per diventarne partecipe", vs 23), come se il vangelo fosse una persona di cui si vuole condividere la sorte.

- vs 19: "guadagnarne il maggior numero"; la parola guadagno richiama Mt 18,15: "se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello". Inoltre ricorda la sollecitudine di Maria nel vangelo di oggi. Generando gli altri nel vangelo, anche lui viene generato.

- vs 19: "mi sono fatto servo di tutti"; è per noi un giudizio severo. Paolo si è fatto schiavo. E' un richiamo forte alla nostra vita. La sua assoluta determinazione contrasta il nostro modo di comportarci.

- vs 22: "per salvare ad ogni costo qualcuno"; è uno dei vertici più alti del brano. Paolo si considera assimilato a Gesù; può quindi dire che salva, come fosse Gesù.


- Il brano di oggi ci porta a considerare "la legge di Cristo": c'è una qualità particolare di alcuni interlocutori, sono senza legge e Paolo si fa senza legge per loro. Ma qual'è questa legge? E' Cristo, la sua persona, la sua storia, quello che ha fatto per noi e che fa ogni giorno. Non ci bastano le memorie delle scritture, dobbiamo invocare lo Spirito Santo perchè ci faccia essere più vicino a Gesù. La Pentecoste sarà il sigillo. Libero vuol dire liberato dal Signore. A partire da questa condizione, c'è la possibilità vertiginosa dei figli del Figlio di percorrere la sua stessa strada. La vita cristiana è apparentemente piena di contraddizioni, perchè essere cristiano non vuol dire appartenere ad un club. C'è una straordinaria duttilità della coscienza cristiana. Ci sono infiniti modi di fare i cristiani, così come sono diverse le esperienze storiche e le nostre stesse persone. Più Paolo si fa povero di sè, più diventa ricco di Dio, di Gesù e degli altri. C'è la possibilità per tutti di partire da "mi sono fatto" (richiama "il Verbo si è fatto carne" del prologo di Giovanni). E' la straordinaria simpatia per il peccatore che fa si che Gesù si faccia carne. Il Signore è stato glorificato proprio dalla sua immersione nella storia ferita, che non l'ha contaminato. Così Paolo oggi celebra sia l'incarnazione che la passione di Cristo. Il cristianesimo è come una marcia in più, è un qualcosa in più del "dovuto". Paolo vuol parlarci dell'amore, ma non pronuncia mai la parola amore, lo fa attraverso la vicenda stessa di Gesù. Tutte le domande che ci siamo fatti sulla vicenda di Paolo hanno risposta nel fatto che lui ha voluto bene alla gente sempre: nella problematicità delle situazioni, e nella diversità delle persone. Dobbiamo essere riconoscenti a Paolo e alle persone che, come lui, senza troppo dirlo ci rivelano il Signore col loro comportamento.



9-5-97 1 Corinti 9, 24-27; Gv 17, 6-11 (Giovanni)



Convocazione totale nella "corsa" verso Gesù


- Siamo ormai vicini alla festa dell'Ascensione. La preghiera di Gesù nel brano del vangelo di oggi esprime l'indirizzo della nostra vita, in modo che la festa di domenica non celebri una separazione, ma il fissarsi nei nostri cuori del cammino della speranza. In questo ci soccorrono le ultime parole del cap 9 della lettera, che esprimono in Paolo la convocazione radicale di tutte le forze nel condividere l'infinita bontà e gloria di Gesù. E come se questa grande esortazione avesse come scopo il vivere bene la festa di domenica. L'atto penitenziale è su tutta la dispersione della nostra vita, su quello che in noi non è saldamente tenuto nella direzione della salvezza e della pace.


- Possiamo rivolgere a noi stessi una domanda: dopo tutte le parole ricevute dagli ultimi 3 capitoli, che ne è di noi, cosa ci è chiesto? Il testo finora ci aveva abituato a guardare fuori di noi (caratteristica tipica di ogni persona che vuol bene; chi ama è proiettato fuori, mentre chi non ama si occupa molto di se stesso). Come mai allora questi ultimi versetti ci invitano a guardare come siamo messi? Notare però che il paragone (atleta che mira alla corona) riguarda ancora una volta qualcosa proiettato fuori.

Il problema è che adattandoci ad un atteggiamento di mitezza assoluta e di piena fiducia nel Signore, corriamo il rischio di dimenticare il comandamento dell'amore. Di dimenticare che siamo chiamati ad amare con tutta la nostra mente, con tutto il cuore, e con tutte le nostre forze. Cioè convocando tutto il nostro essere. Altrimenti c'è il rischio di cadere nel fatalismo (non sono capace di fare niente, quello che il Signore mi dà è buono, ...). Dobbiamo meno preoccuparci di "sorvegliare" gli altri, e avere invece più tensione nella nostra vita. Bisogna spendere la propria vita. Il giudizio aggressivo verso le persone più vicine è una grave attenato all'amore. Dobbiamo ricordare che è nostro compito conquistare la corona. Altrimenti facciamo un cattivo servizio per chi è attorno a noi. Questa tensione/determinazione è molto bene espressa dalla Madonna: tutta la sua vita è un'unificazione sempre più forte col suo figlio. Avere quest'anno la Pentecoste in mezzo al mese di maggio, cioè Lei in mezzo a noi ad aspettare il dono dello Spirito, è un gran regalo.

C'è però un punto delicato: tutti corrono, ma uno solo ha la corona...E' la solita gara? No, perchè non c'è attenzione a cosa fa l'altro. L'unicità del premio ci dice che va preso a tutti i costi. Questa vita è preziosa e non può essere perduta. Ricevuto il vangelo, non possiamo permetterci di non arrivare alla nostra pasqua. Il premio, infatti, è Gesù. Tutte le diversità sono buone se esprimono quest'unica direzione della vita di tutti.

vs 25: "temperante in tutto". A noi "temperante" dà l'idea di una rinuncia. Invece il verbo usato significa tenere tutto, tutto dominare. Il Signore "tiene" a tutto, anche al nostro corpo. Nell'esempio del pugilato, i pugni non devono essere dati nè ad altri, nè all'aria, ma a noi stessi. In modo che tutto di noi sia "tenuto", anche il nostro corpo. Temperanza, quindi, in senso cristiano è tenere tutto e tutto raccogliere per poter tutto portare a Dio. San Francesco dimostra che la severità da chiedere alla vita e al proprio corpo non significa però diprezzo. Questa visione della temperanza richiama il comando dell'amore, perchè l'amore ingloba tutto.

Il tempo: parallelo con Filippesi 3, 8: "ormai...tutte queste cose le considero come spazzatura". Si capisce qual'è la meta: è Gesù. Ci sei arrivato? No. Questa gara è per tutta la vita, siamo in corsa fino all'ultimo istante. La descrizione del tempo presente è questa: cosa succede? stiamo andando verso il Signore, siamo orientati verso la pienezza del suo dono.



10-5-97 1 Corinti 10, 1-13; Gv 17, 12-19 (Giovanni)



Solo nella carità si può rispondere al dono



- Nella preghiera che facciamo a messa chiediamo più volte la nostra unità (..un solo corpo e un solo spirito..) perchè la nostra comunione è il segno più concreto della comunione con Dio. Essere partecipi del cammino dei nostri padri, di cui parla il brano odierno della lettera, è l'evidente manifestazione della volontà di Dio che ci vuole tutti riuniti, come dice anche Gesù nella sua preghiera al Padre nel vangelo di oggi. La comunione è il respiro di Dio. Quando ce ne priviamo, rimaniamo nel deserto del nostro orgoglio. La messa è la convocazione attorno alla radicale carità di Dio. Tornando a messa, torniamo a questa carità da tutte le nostre lontananze e da tutte le dispersioni del nostro spirito. Chiediamo perdono al Signore per il nostri peccati e confidiamo nella sua misericordia.



- La storia di Israele è un "tipo" che riguarda tutti, quindi anche noi oggi (vs 6 e 11). Questo ci responsabilizza molto, anche perchè la storia della salvezza si è completata in Gesù. In Ro 15, 4 dice: "tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perchè in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza." Il ricordo di quello che è accaduto ai nostri padri non è per scoraggiarci, ma è una spinta per andare avanti.

- vs 1: Paolo, dicendo "i nostri padri" ai Corinti che non sono Ebrei vuole sottolineare che la storia della salvezza Dio l'ha concepita per tutti.

- vs 5: "non si compiacque" ricorda il Salmo 94 ("non entreranno nel luogo del mio riposo"). E' anche legato al verbo squalificare del brano di ieri. Solo Cristo non è squalificato e può salvare. Che l'uomo non creda di riuscire a fare da solo.

- Si può pensare che parlando di cibo parli di eucarestia. C'è la citazione della manna, di cui gli Israeliti non erano soddisfatti. E' un problema importante, che si pone anche per noi.



- Fra il cap 9 e il cap 10 c'è un forte legame, anche se il discorso cambia completamente. Alla fine del brano di ieri parlava del grande rischio di essere squalificato (non provato; secondo la vulgata, reprobo). Per non correre questo rischio, invitava ad una convocazione completa di corpo (la corporeità è importante perchè individua la persona) e spirito verso la grande meta Nel testo di oggi ci dice che la prova non è andata bene per la maggior parte dei nostri padri. Con la ripetizione continua della parola "tutti", vuole sottolineare che la prova è una esperienza comune del dono di Dio. Però molti non hanno dato risposta. Leggendo le scritture, leggiamo quello che è successo anche a noi. Tutti siamo chiamati a dare una totale risposta al dono d'amore. Il vs 12 sottolinea che bisogna stare attentissimi a non isolarsi. La risposta al dono può solo essere data insieme, cioè nella carità. Il rischio è che ci separiamo, perchè pensiamo di farcela da soli. Ma non c'è possibilità di risposta se non nella carità.

L'elenco dei peccati nel deserto è importante. Vengono sottolineati peccati contro Dio e contro le nozze e la castità. In realtà sono peccati contro la carità. Se mi stacco dai miei fratelli, mi stacco da Dio, e Lui non si compiace di me (mi squalifica). I nostri padri non erano fedeli alle nozze. Se tutti siamo nella nube (la messa: un cuore solo e un'anima sola), ebbene questo sia il principio della nostra carità. Bisogna starci dentro nella severità delle parole di ieri. Se invece credi di stare in piedi da solo (vs 12), sta attento: è come mettere alla prova Dio.



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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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