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COMMENTO DELLA LETTERA AI COLOSSESI

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2018 12:00
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28/11/2011 12:10
 
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LETTURA E COMMENTO

Saluto iniziale
(1,1-2)

1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, 2ai santi e fedeli fratelli in Cristo dimoranti in Colossi grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro!

Questo inizio reca il nome di Paolo, aggiunge il titolo di apostolo, presenta Timoteo quale secondo mittente, designa i destinatari dello scritto e rivolge ad essi il saluto con cui si augura loro grazia e pace. I due primi versetti corrispondono allo schema del formulario usato in tutte le lettere di Paolo.

v. 1. Al nome Paolo viene immediatamente aggiunto il titolo di "apostolo" che dà carattere ufficiale allo scritto diretto alla comunità. Per volontà di Dio, Paolo è stato chiamato ad essere ambasciatore plenipotenziario del Signore glorificato (Gal 1,1.15-16) e perciò parla alla comunità in forza di questa autorità che gli è stata conferita.

Accanto a Paolo è posto Timoteo, come suo aiutante e cooperatore. Il suo nome è messo accanto a quello di Paolo per testimoniare alla comunità che egli, come l’apostolo, predica e insegna lo stesso Vangelo. Timoteo ha sostenuto Paolo con instancabile fedeltà, ha trasmesso alle comunità comunicazioni e incombenze e ha richiamato di continuo alla parola di Paolo (1Cor 4,17; Fil 2,19-24).

v. 2. I cristiani di Colossi sono detti "santi" perché sono il popolo santo che Dio si è scelto, che gli appartiene in proprio e invoca il nome del Signore.

Santo è ciò che è stato sottratto dall’uso profano ed è stato messo a parte, come unica proprietà di Dio. La comunità di Dio è santa non per virtù propria, ma per elezione divina. I santi sono coloro che sono stati battezzati nel nome del Signore Gesù Cristo e che sono sotto il suo dominio (1Cor 6,11). Essi sono la chiesa, il corpo di Cristo, la cui signoria abbraccia l’intero cosmo (1,18.24). Nella singola comunità locale (4,16) come anche nel piccolo gruppo che si riunisce in una casa (4,15), è raccolto il popolo santo di Dio. La scelta di Dio, mediante la quale i credenti sono messi a parte come suoi santi, è stata da essi accolta in ubbidienza e viene ora seguita con fiducioso abbandono.

I santi sono fratelli credenti in Cristo, non per parentela naturale, ma per azione di Dio, come membri della famiglia di Dio. La formula "in Cristo" nelle lettere di Paolo indica il vivere nella sfera sovrana del Signore risorto. I fratelli in Cristo sono i cristiani che, come membra del corpo di Cristo, sono consociati in comunità. Il messaggio proclamato al mondo intero, tende a questo: "presentare ogni uomo perfetto in Cristo" (1,28). La nuova vita in Cristo significa un comportamento obbediente al Signore.

La grazia e la pace vengono da Dio, che i credenti, con piena fiducia, chiamano loro padre.

 

Rendimento di grazie
(1,3-8)

3Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, 4per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi, 5in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l’annunzio dalla parola di verità del vangelo 6che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 7che avete appresa da Èpafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele ministro di Cristo, 8e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito.

Paolo, all’inizio delle sue lettere indirizza un ringraziamento a Dio, padre di Gesù Cristo, per magnificarlo per tutto quello che egli ha concesso alla comunità. La lettera ai colossesi offre il più ricco sviluppo formale di ringraziamento. I vv. 3-8 formano un’unica frase di difficile comprensione.

v. 3. Anche se talvolta nella lettera si dice "noi", chi parla è solo Paolo. In tutta la lettera perciò deve essere udita la sola voce dell’apostolo, che si affatica per la comunità, che soffre per essa e per essa prega Dio. La preghiera di ringraziamento è rivolta a Dio Padre. Dio si è manifestato Padre, risuscitando Gesù Cristo dai morti (Gal 1,1). L’apostolo è sempre ricolmo di gratitudine per Dio quando, nella preghiera, volge la mente alla comunità. In ogni sua preghiera a Dio, Paolo ringrazia per tutto ciò che egli ha accordato alla comunità e intercede per essa.

v. 4. L’occasione per una preghiera colma di ringraziamento è data dalle buone notizie sullo stato della comunità.

La triade "fede, speranza e carità" si trova ripetutamente nelle lettere di Paolo. Nella formula la fede occupa sempre il primo posto. Infatti l’essere cristiano trova il suo fondamento nella fede, la quale dimostra la sua portata nella carità e nella speranza. L’espressione "in Cristo Gesù" non indica il contenuto della fede, ma l’ambito in cui la fede vive e opera. I battezzati in Cristo (Rm 6,3) sono stati inseriti nel corpo di Cristo (1Cor 12,13). Essi sono, così, sottratti al dominio del peccato, della legge e della morte e vivono d’ora innanzi in Cristo, rinati a vita nuova nell’obbedienza al Signore. L’inserimento nel corpo di Cristo è avvenuto per l’azione di Dio. La salvezza viene accolta e mantenuta nella fede.

La fede si dimostra con la carità: "la fede opera attraverso la carità" (Gal 5,6). Nell’agàpe i cristiani si prestano vicendevole servizio (Gal 5,13).

v. 5. Come la fede si fonda sull’evento di Cristo valevole una volta per sempre, come la carità operosa ha efficacia nel presente col suo volgersi a tutti i santi, così la speranza si dirige ad una pienezza non ancora realizzata. Fede e carità designano la vita cristiana della comunità, mentre la speranza indica il contenuto del messaggio, ascoltato e accolto dalla comunità.

Questa speranza abilita i cristiani alla saldezza nella fede e all’esercizio della carità verso tutti i santi. Da Paolo la speranza è strettissimamente unita alla fede. Essa non si dirige alle cose visibili, perché non abbiamo bisogno di sperare ciò che possiamo vedere (Rm 8,24-25).

Essa si fonda sulla fede, la quale, "sperando contro ogni speranza" (Rm 4,18), si affida alla promessa di Dio e non è delusa, perché essa è certa dell’amore di Dio (Rm 5,5). La fede dà alla speranza un solido fondamento, di modo che si protende in avanti e con fiducia attende il compimento della cosa sperata. La speranza tende al traguardo che ci sta innanzi, cioè all’adempimento e alla realizzazione della promessa fatta da Dio. La speranza è la destinazione fissata da Dio per l’uomo, è l’eredità preziosa depositata per lui nel posto giusto. Questo posto è il cielo. La speranza cristiana è diretta al Signore Gesù, che è assiso alla destra di Dio (3,1) e che si identifica con "la speranza della gloria" (1,27). Questa speranza è il contenuto del Vangelo (1,23). Certo, il bene prezioso di questa speranza è ancora lassù, nascosto all’occhio umano, ma diverrà palese "quando Cristo si sarà manifestato" (3,4).

Il pensiero e il comportamento dei credenti vanno orientati alle cose di lassù (3,1). Di questo celeste patrimonio della speranza la comunità ha udito parlare da lungo tempo (1,23) per mezzo dell’annuncio del Vangelo. Il Vangelo annunciato da Paolo con la parola e con lo scritto contiene la retta dottrina a cui le comunità devono attenersi e a cui possono pienamente affidarsi.

v. 6. Questa parola della verità del Vangelo è giunta alla comunità di Colossi, lì è rimasta e si è conquistata una salda posizione nella vita della comunità. C’è un accenno al carattere ecumenico dell’annuncio: in tutto il mondo il Vangelo porta frutto e dispiega la sua crescita. Non è la persona del messaggero, non è la sua abilità nel porgere che ha la parte determinante nella propagazione e nel dispiegamento del Vangelo. Ma è Dio stesso ad essere in azione, riempiendo tutta la terra del lieto annuncio.

In connessione col ringraziamento introduttivo Paolo incita nuovamente la comunità a ricercare la retta conoscenza. Con ciò si indica alla comunità come possa smascherare e ripudiare la falsa dottrina. In 3,10 ritornerà il concetto della conoscenza per sottolineare con energia che la retta conoscenza deve manifestarsi nel comportamento dell’uomo nuovo.

v. 7. La comunità di Colossi ha ricevuto l’annuncio del Vangelo da Epafra. Paolo richiama alla comunità il ricordo di ciò che ha appreso da Epafra; solo così essa sarà adeguatamente collegata all’ammaestramento nella retta dottrina che essa ha accolto e nella quale deve stabilmente permanere.

Epafra è garante che la comunità è stata istruita nella retta fede. Egli e Paolo sono servitori che Dio ha scelto e stabilito per il suo servizio. Colui che Dio ha stabilito come suo servitore non deve presentare i propri pensieri e le sue riflessioni personali, ma trasmettere esclusivamente l’annuncio che gli è stato affidato.

v. 8. Epafra ha trasmesso a Paolo notizie sull’andamento e sulla condotta della comunità. L’amore, operato dallo Spirito, riempie la vita della comunità e la rende atta a un aiuto concreto nei confronti degli altri cristiani. La bella immagine della vita dei cristiani che ne risulta, esprime anche il dovere di esercitare anche in avvenire la fede e l’amore, di tenere gli occhi fissi ai beni della speranza già custoditi nei cieli, di rimanere saldi, senza sviamenti, nel Vangelo annunciato dagli apostoli, come fu appreso fin dall’inizio.

 

Preghiera di intercessione
(1,9-11)

9Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, 10perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; 11rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto;

v. 9. Da quando Paolo ha avuto notizie sullo stato della comunità, tra lui ed essa si è stabilito uno stretto legame. Egli prega per essa senza interruzione e con fervore. La preghiera è presentata come un essere riempiti, che Dio solo può operare. La conoscenza, richiesta per la comunità, non mira a scoprire mondi superiori, ma a conoscere la volontà di Dio. La volontà di Dio esige ubbidienza e deve essere eseguita nei fatti. Solo chi compie la volontà del Padre celeste troverà accesso al regno di Dio (Mt 7,21). La conoscenza, la speranza e l’intelligenza ricevono la loro specificazione cristiana da questo orientamento pratico che si contrappone a una concezione speculativa della sapienza. Ai credenti è stato partecipato, in larga misura, lo spirito dell’intelligenza spirituale (2,2), cioè la conoscenza del mistero di Cristo, nel quale sono racchiusi tutti i tesori della sapienza e della scienza (2,2-3).

La sapienza e l’intelligenza spirituali non sono virtù che l’uomo è in grado di conseguire con le proprie forze. Esse sono date da Dio come doni dello Spirito.

v. 10. La retta conoscenza deve tradursi in una retta condotta. In questa lettera, senza spendere neppure una parola sulla relazione della fede con le opere, è espressa l’ammonizione che la comunità cristiana deve dimostrare la sua crescita e la sua maturità mediante le opere buone.

v. 11. Per poter mantenere una condotta degna del Signore la comunità deve essere ripiena della forza di Dio. La potente forza di Dio rende atta la comunità ad ogni pazienza e longaminità. La upomonè (= pazienza) è la perseveranza incrollabile che si deve dimostrare in battaglia dove la posizione occupata deve essere tenuta contro qualsiasi attacco nemico.

La makrothumìa (= avere il cuore grande) riguarda il rapporto col prossimo e richiama la longanimità con cui si deve attendere pazientemente.

Perciò upomonè e makrothumìa indicano l’attegiamento fedele del cristiano che non si lascia smuovere per nessun motivo dalla speranza e che non si stanca di amare.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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