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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 4) Anno B

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2012 08:06
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03/03/2012 08:14
 
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padre Lino Pedron


Il comandamento dell'amore, esteso indistintamente a tutti, è il supremo completamento della Legge (v. 17). A questa conclusione Gesù è arrivato lentamente dopo aver parlato dell'astensione dall'ira e dell'immediata riconciliazione (vv. 21-26), del rispetto verso la donna (vv. 27-30) e la propria moglie (vv. 31-32), della verità e sincerità nei rapporti interpersonali (vv. 33-37), fino alla rinuncia alla vendetta e alle rivendicazioni (vv. 38-42).
Il principio dell'amore del prossimo è illustrato con due esemplificazioni pratiche: pregare per i nemici e salutare tutti senza discriminazione. La più grande sincerità di amore è chiedere a Dio benedizioni e grazie per il nemico. Questo vertice dell'ideale evangelico si può comprendere solo alla luce dell'esempio di Cristo (cfr Lc 23,34) e dei suoi discepoli (cfr At 7,60). Colui che prega per il suo nemico viene a congiungersi con lui davanti a Dio. In senso cristiano la preghiera è la ricompensa che il nemico riceve in cambio del male che ha fatto.
Il precetto della carità non tiene conto delle antipatie personali e dei comportamenti altrui. Il prossimo di qualsiasi colore, buono o cattivo, benevolo o ingrato dev'essere amato. Il nemico è colui che ha maggiormente bisogno di aiuto: per questo Gesù ci comanda di offrirgli il nostro soccorso.
Il comandamento dell'amore dei nemici rivoluziona i comportamenti tradizionali dell'uomo. La benevolenza cristiana non è filantropia ma partecipazione all'amore di Dio. La sua universalità si giustifica solo in questa luce: "affinché siate figli del Padre vostro (v. 45), e "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (v 48). Il cristiano esprime nel modo più sicuro e più vero la sua parentela con Dio amando indistintamente tutti.
L'amore del nemico è l'essenza del cristianesimo. Sant'Agostino ci insegna che "la misura dell'amore è amare senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio.
In quanto figli di Dio i cristiani devono assomigliare al loro Padre nel modo di essere, di sentire e di agire. L'amore verso i nemici è la via per raggiungere la sua stessa perfezione.
La perfezione di cui parla Matteo è l'imitazione dell'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, anche se ingiusti e malvagi. Il cristiano è una nuova creatura (cfr 2Cor 5,17) e non può più agire secondo i suoi istinti e capricci, ma conformemente alla vita nuova in cui è stato rigenerato.
Gesù pone come termine della perfezione l'agire del Padre, che è un punto inarrivabile. L'imitazione del Padre, e conseguentemente di Gesù, è l'unica norma dell'agire cristiano, l'unica via per superare la morale farisaica. Essere perfetti come il Padre è in concreto imitare Cristo nella sua piena ed eroica obbedienza alla volontà del Padre, e nella sua dedizione ai fratelli. E' perciò diventando perfetti imitatori di Cristo, che si diventa perfetti imitatori del Padre.

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04/03/2012 08:58
 
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Gaetano Salvati
Obbedienza sofferta e offerta

La liturgia della parola odierna manifesta al credente che l'itinerario di fede quaresimale (del discepolato) esige la difficile scelta della libertà nella fede. Tale dramma non rimane circoscritto nel silenzio doloroso dell'esistenza; ma, nella fede, diviene obbedienza filiale sofferta e offerta. È l'esperienza saggiata da Abramo. La prima lettura, a riguardo, narra che Dio disse al patriarca di offrire in olocausto, su di un monte, il figlio Isacco (Gen 22,2). Abramo acconsentì alla richiesta del suo Signore; infatti, dopo aver costruito l'altare (v.9), "stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio" (v.10). L'angelo del Signore, però, lo fermò prima che portasse al termine il sacrificio (v.v.11-12). Come spiegare la sconcertante pretesa di Dio? È geloso, vendicativo? Oppure, è il Creatore che non si contenta solo delle parole, bensì, gradisce il graduale sviluppo della fede, da attuare in gesti d'amore verso i fratelli e accentando le prove che la vita concede? Il sacrificio chiesto ad Abramo, allora, rivela che ogni legame terreno, qualsiasi rapporto d'amore o di amicizia, deve essere messo da parte per far spazio all'amore verso il Signore. Nel suo amore, i nostri sentimenti riacquistano valore, poiché Egli è la fonte della vera gioia, l'inizio della nostra speranza, il principio della fede. Quale dono dell'Alto (Altro), la fede non vuole dominarci o essere posseduta da noi; gradisce, invece, essere sperata, attesa, meditata nelle vicende quotidiane. In questi eventi, potremmo provare angoscia; avvertire che la salita è troppo ripida. Forse, ci chiederemo: dov'è Dio, ora che abbiamo bisogno del suo aiuto? Come mai permette simili prove? Il silenzio di Dio di fronte a questi interrogativi, si fa voce nel Verbo incarnato. Solo Gesù di Nazaret, il Maestro, è in grado di insegnarci e dimostrarci che la fede è sempre dopo. Ne dà prova il momento successivo alla Trasfigurazione: san Marco dice che "mentre scendevano dal monte, (Gesù) ordinò di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti" (Mc 9,9). La Trasfigurazione, dunque, va compresa dopo l'evento pasquale. Le vesti bianche del Signore (v.3), infatti, testimoniano la gloria cui i credenti sono chiamati a partecipare; e indicano, parimenti, che la fede, pur raggiunta grazie al sangue dell'Agnello, va ricercata e, infine, conquistata quotidianamente attraverso l'offerta consepevole di sé a Dio e al prossimo. Offrire se stessi significa scorgere negli esigenti e incerti cammini della vita, la volontà di Dio, così da concretizzare nella propria carne la dignità, persa con il peccato, e riconsegnata allo splendore dal Salvatore: la figliolanza divina. Un simile cammino, non senza turbamenti, è sicuro e pacifico, perché in compagnia di Gesu; la sua presenza fa superare ogni ostacolo, ci fa rialzare se siamo caduti; non ci fa disperare se siamo sorpresi da un dolore inatteso. Se decidiamo di proseguire dietro di Lui, Egli sarà la decisione contro le nostre incertezze, la via diritta per ripartire con fiducia. Non lasciamoci ingannare dalla confusione del mondo, dall'inganno che tutto è perso, smarrito: Gesù ha vinto il mondo. Amen

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05/03/2012 07:26
 
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padre Lino Pedron


Dio è il punto di riferimento dell'agire cristiano. Tutta la preoccupazione del credente è ripetere nella propria vita i suoi comportamenti.
Gesù tenta di levarci dalla testa un Dio che siede come giudice in un tribunale, per sostituirlo con un Padre che siede in casa con i suoi figli ai quali non cessa di voler bene e di usare con essi tutta la sua comprensione paterna. Lo sforzo del giudice è quello di arrivare a una sentenza di condanna, quello del padre, così come quello del cristiano, a una assoluzione totale. Il cristiano è chiamato a ricopiare l'atteggiamento paterno di Dio verso tutti indistintamente.
L'amore dei nemici è una grazia che ci fa misericordiosi come il Padre.
Gesù ci insegna come dobbiamo comportarci nei confronti di quelli che non ci amano: non giudicate, non condannate, perdonate, date. E questi quattro comandamenti vanno praticati con una generosità sovrabbondante, smisurata, perché con la misura con la quale misuriamo, sarà misurato a noi in cambio da Dio.
Il desiderio dell'uomo è "diventare come Dio" (Gen 3, 5). Ora, dopo la rivelazione del vero volto di Dio in Gesù, è possibile capire la via per diventare Dio. L'essenza di Dio è la misericordia: "Poiché, quale è la sua grandezza, tale è la sua misericordia" (Sir 2,18).
La nostra esperienza fondamentale di Dio, dal momento che siamo nel peccato e nel male, è quella della misericordia che perdona e che salva. Questo amore di misericordia è l'unico possibile nella situazione in cui ci troviamo di fatto.
Se l'amore si esprime nel dono, la misericordia si esprime nel perdono, che significa super-dono, in modo che "dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20).
L'aggettivo che Luca usa qui per dire "misericordioso" è oiktìrmon, che indica l'espressione esterna della misericordia, sia come compassione che come intervento. Questo aggettivo, applicato a Dio, è usato solo due volte in tutto il Nuovo Testamento: qui e nella Lettera di Giacomo 5, 11. Nella traduzione detta dei Settanta oiktìrmon traduce l'ebraico rahamin, che indica l'utero. Questo significa che Dio misericordioso ci è presentato come padre, ma ancor più come madre. A questo proposito è prezioso quanto ha scritto san Clemente di Alessandria: "Per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza (sympathés) che ha per noi lo fa diventare madre. Amando, il Padre diventa femminile" (Quis dives salvetur, 37,2).
La prima immagine che l'uomo ha di Dio è di uno che giudica. E l'immagine di un Dio che giudica con severità è l'ultimo idolo che Gesù riesce a togliere, facendoci vedere che il nostro male lo porta lui sulla croce: "Ecco l'Agnello di Dio che porta via il peccato del mondo" (Gv 1,29).
La croce di Cristo è l'unico giudizio possibile al Padre della misericordia che giustifica tutti. Dunque, chiunque giudica un altro sbaglia sempre. E l'errore non sta nel fatto che il giudizio dell'uomo è fallace, ma proprio nel fatto stesso del giudicare perché è usurpare il potere a Dio e soprattutto perché Dio non giudica ma giustifica, non condanna ma condona.
Il giudizio finale di salvezza o di perdizione non è operato da Dio, ma da me; non in un tempo indeterminato o nascosto, ma ora nel rapporto quotidiano con i fratelli. Questa è la misericordia di Dio: lascia a noi il giudizio su noi stessi, ed è lo stesso giudizio che pronunciamo sugli altri. Se non giudichiamo gli altri, Dio non giudica noi. Se perdoniamo agli altri, Dio perdona a noi.
Nella misura in cui si dà al fratello, si riceve da Dio. L'unico metro di misura del dono che riceviamo è la nostra capacità di donare. Dio rinuncia a misurare come rinuncia a giudicare. Siamo misurati e giudicati da noi stessi, secondo il nostro amore verso gli altri.
Dio non conosce misura nel donarsi. L'unica limitazione alla misericordia di Dio è data dal nostro grembo, cioè dalle nostre viscere di misericordia.

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06/03/2012 08:19
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 23,1-12

1) Preghiera

Custodisci, o Padre, la tua Chiesa
con la tua continua benevolenza,
e poiché, a causa della debolezza umana,
non può sostenersi senza di te,
il tuo aiuto la liberi sempre da ogni pericolo
e la guidi alla salvezza eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 23,1-12
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno.
Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ''rabbì'' dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare ''rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ''padre'' sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ''maestri'', perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo.
Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato".

3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci riporta una critica di Gesù contro gli scribi ed i farisei del suo tempo. All'inizio dell'attività missionaria di Gesù, i dottori di Gerusalemme erano andati fino in Galilea per osservarlo (Mc 3,22; 7,1). Disturbati dalla predicazione di Gesù, avevano appoggiato la calunnia secondo cui era un indemoniato (Mc 3,22). Per tre anni crebbe la popolarità di Gesù. E al contempo crebbe il conflitto tra lui e le autorità religiose. La radice di questo conflitto stava nel modo in cui si ponevano dinanzi a Dio. I farisei cercavano la loro sicurezza non tanto nell'amore di Dio verso di loro, bensì nell'osservanza rigorosa della Legge. Dinanzi a questa mentalità, Gesù insiste nella pratica dell'amore che relativizza l'osservanza della legge e gli dà il vero significato.
? Matteo 23,1-3: La radice della critica: "Loro dicono, ma non fanno". Gesù riconosce l'autorità degli scribi e dei farisei. Loro occupano la cattedra di Mosè ed insegnano la legge di Dio, ma loro stessi non osservano ciò che insegnano. Ecco quindi l'avvertimento per la gente: "Fate ed osservate quanto vi dicono. Ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno!" E' una critica terribile! Immediatamente, come in uno specchio, Gesù mostra alcuni aspetti dell'incoerenza delle autorità religiose.
? Matteo 23,4-7: Guardare nello specchio per fare una revisione di vita. Gesù richiama l'attenzione dei discepoli sul comportamento incoerente di alcuni dottori della legge. Nel meditare su queste incoerenze, conviene pensare non ai farisei e negli scribi di quel tempo ormai passato, bensì a noi stessi e alle nostre incoerenze: legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non li muovono; fanno le loro opere per essere ammirati; amano posti d'onore ed anche sentirsi chiamare dottori. Agli scribi piaceva entrare nelle case delle vedove e recitare lunghe preghiere per ricevere denaro in cambio! (Mc 12,40)
? Matteo 23,8-10: Voi tutti siete fratelli. Gesù ordina di avere l'atteggiamento contrario. Invece di usare la religione e la comunità quali mezzi di auto-promozione per sembrare più importanti davanti agli altri, lui chiede di non usare il titolo di Maestro, Padre e Guida, perché uno solo è la Guida, Cristo; solo Dio nel cielo è Padre, e Gesù è Maestro. Tutti voi siete fratelli. E' questa la base della fraternità che nasce dalla certezza che Dio è nostro Padre.
? Matteo 23,11-12: Il riassunto finale: il maggiore è il minore. Questa frase è ciò che caratterizza sia l'insegnamento che il comportamento di Gesù: "Il più grande tra di voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà, sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato" (cf. Mc 10,43; Lc 14,11; 18,14).

4) Per un confronto personale

? In cosa critica Gesù i dottori della legge ed in cosa li elogia? Cosa critica in me e cosa elogerebbe in me?
? Hai già guardato nello specchio?

5) Preghiera finale

Chi offre il sacrificio di lode, questi mi onora,
a chi cammina per la retta via
mostrerò la salvezza di Dio. (Sal 49)

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07/03/2012 08:21
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore

Quanto infinito è l'abisso di pensiero che vi è tra Cristo Gesù e i suoi discepoli. Gesù si vede il Servo del Signore: "È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità" (cfr Is 52,13,53,12). Servo del Signore vuole ogni suo discepolo. Vuole ogni suo seguace perfetto imitatore del suo servizio di amore, salvezza, redenzione.

Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

I discepoli si vedono come i prodi di Davide: "Questi sono i nomi dei prodi di Davide: Is-Baal, l'Acmonita, capo dei Tre. Egli, impugnando la lancia contro ottocento uomini, li trafisse in un solo scontro. Dopo di lui veniva Eleàzaro, figlio di Dodo, l'Acochita, uno dei tre prodi che erano con Davide: quando i Filistei li insultarono, si schierarono là per combattere, mentre gli Israeliti si ritirarono sulle alture. Egli si alzò, percosse i Filistei, finché la sua mano, sfinita, rimase attaccata alla spada. Il Signore operò quel giorno una grande salvezza e il popolo seguì Eleàzaro soltanto per spogliare i cadaveri. Dopo di lui veniva Sammà figlio di Aghè, l'Ararita. I Filistei erano radunati a Lechì; in quel luogo vi era un campo pieno di lenticchie e il popolo fuggì dinanzi ai Filistei. Egli allora si appostò in mezzo al campo, lo difese e sconfisse i Filistei, e il Signore operò una grande vittoria?" (Cfr 2Sam 23,8-19). Vogliono essere sopra gli altri, non servi degli altri per amore, carità, santità, redenzione, ogni altro bene. I vizio del loro pensiero sta in una falsa interpretazione della verità del Messia di Dio. Questi è dalla discendenza di Davide, ma non sarà Messia alla maniera di Davide e neanche i discepoli di Gesù potranno essere servi di Cristo Signore alla maniera dei trenta prodi dell'antico re.



Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri discepoli di Gesù.

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07/03/2012 08:23
 
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padre Lino Pedron


Il brano è un contrappunto tra due glorie: quella del Figlio dell'uomo e quella degli uomini. La prima consiste nel consegnarsi, nel servire e dare la vita; la seconda consiste nel possedere, nell'asservire e dare la morte. E' una lotta tra l'egoismo e l'amore, dove l'amore vince con la propria sconfitta, e l'egoismo perde con la propria vittoria.
Il racconto è un dialogo di equivoci tra Gesù e i discepoli. Ciò che la madre dei figli di Zebedeo vuole da Gesù non è la Gloria, cioè Dio, ma la vana-gloria, cioè l'avere, il potere e l'apparire.
Il brano si articola in tre parti: la vera gloria del Figlio dell'uomo (vv. 17-19), la cecità dei discepoli che la scambiano con la gloria degli uomini (vv. 20-24) e il confronto tra le due glorie (vv. 25-28).
Questo testo ci prepara al successivo, con il quale fa un tutt'uno: l'illuminazione dei ciechi di Gerico sarà la caduta della vana-gloria, che ci impedisce di ricevere la Gloria.
La rivelazione del Figlio dell'uomo che sale a Gerusalemme è la luce che squarcia violentemente le nostre tenebre e svela ad ogni uomo la vera identità di Dio, la cui gloria è amare, servire e dare la vita.
In questo brano si confrontano e si scontrano il modo di pensare e di agire del mondo e quello di Gesù. L'uno è presentato nel comportamento dei grandi, nella loro volontà di oppressione e di dominio; l'altro è caratterizzato dalla condotta di Gesù, che è venuto per servire e dare la vita per l'umanità.
L'esempio di Gesù deve indurre a un cambiamento di mentalità. L'atteggiamento richiesto da Gesù non nasce spontaneo, non è congeniale all'uomo: richiede una conversione. S. Kierkegaard ha scritto: "Non hai la minima partecipazione a lui (a Cristo), né la più lontana comunione con lui, se non ti sei posto in sintonia con lui nel suo abbassamento".
"Diventare piccoli" è l'atteggiamento contrario a quello degli uomini, assetati di potenza e di grandezza. Gesù si è fatto piccolo fino alla morte di croce (cfr Fil 2,5-11). Tutti ci saremmo aspettati che il Figlio di Dio sarebbe venuto per essere servito e per far morire i peccatori. E invece no. E' venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti.
Le nazioni si organizzano come società, la Chiesa invece è una famiglia in cui non ci sono superiori e sudditi, padroni e subalterni, ma solamente fratelli (cfr Mt 18,15.21.35). Lo spirito di supremazia o di egemonia sui propri simili non è cristiano, ma diabolico (cfr Mt 4,1-11). Qualunque forma di autorità nella Chiesa non deve essere un dominio, una signoria, un potere, ma un servizio. Il Signore lo dice inequivocabilmente: "Chi vuol essere il più grande tra voi, deve essere il vostro servo; e chi vuol essere il primo, deve essere il vostro schiavo" (vv. 26-27). C'è un tale rovesciamento nel modo di intendere le funzioni del governo che la comunità cristiana non sembra ancora averne preso del tutto coscienza.
Il "servizio" è un concetto teologico prima ancora di essere un atteggiamento pratico. Non riguarda prima di tutto un modo umile di esercitare il potere, ma di concepirlo. Il servo non è il responsabile della casa, non ha nessun potere, tanto meno quello di sostituirsi al padrone, prendendo decisioni al suo posto, avocando a sé la responsabilità degli altri. Egli è solo un inserviente che coopera al buon andamento della casa, che non è sua, e per questo non deve considerarla tale. La Chiesa è di Dio, di Cristo (cfr Mt 16,18) che la governa direttamente (cfr Mt 28,18-20), prima che tramite particolari incaricati.
In quanto Dio, Gesù avrebbe potuto pretendere (secondo noi!) un trattamento da "signore", facendosi servire. Ma invece di far valere i suoi diritti sovrani vi ha rinunciato a favore delle moltitudini facendosi loro servo e donando la vita per il loro riscatto, ossia per la loro liberazione da assoggettamenti e schiavitù di qualsiasi genere.
Scegliendo la condizione servile si è proposto di essere più vicino a quanti vivevano in schiavitù e ridare ad essi la coscienza della loro dignità e libertà. Il testo ribadisce l'inno della Lettera ai Filippesi 2,5-7: pur essendo Dio è diventato servo, realizzando con la sua morte in croce il suo servizio. Pur essendo ricco, è diventato povero per arricchire noi (cfr 2Cor 8,9).
La vera grandezza e la libertà autentica è nell'umiltà del servire. Gesù è in mezzo a noi come colui che serve (cfr Lc 22,27; Gv 13,1-17).

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08/03/2012 08:24
 
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Comunità Missionaria Villaregia (giovani)


Oggi il Vangelo ci presenta una pagina molto plastica, una piccola scena in cui è descritta in poche battute la biografia di due personaggi ben diversi tra loro. Come in ogni "film" che si rispetti c'è una trama, una situazione ben precisa; per capirne il senso è necessario conoscere i personaggi.

Andiamo direttamente alla Parola di Dio:
Ricco epulone:
"Vestiva di porpora e di bisso" (forse non lo sappiamo perché non abbiamo mai visto un Re, ma queste sono le stoffe del Re)
"Tutti i giorni banchettava lautamente"
Lazzaro
"un mendicante"
"giaceva alla sua porta"
"coperto di piaghe"
"bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco".
Lazzaro è veramente un uomo povero, non ha una casa, è malato, è affamato, non c'è quindi nessuno che si prenda cura di lui. Diciamo pure che gli uomini lo hanno dimenticato.
ATTENZIONE:
Tra i 2 c'è un'altra diversità ben più grande e radicale, che li pone su piani completamente diversi: qual è?

(Un minuto di lettura personale della pagina del Vangelo di oggi - prima di continuare la lettura del commento - per capire qual' è la differenza. Un piccolo aiuto! Si trova nei primi due versetti della parabola).
L'hai trovata? Ti aiutiamo:
"un uomo ricco"
"un mendicante di nome Lazzaro"
Avete capito bene: MANCA IL NOME DELLA PERSONA RICCA. Questo tale NON HA UN NOME DAVANTI A DIO!!!

Se lo cose stanno così, qual è per noi il personaggio principale? Il povero o il ricco? Se fosse il povero la parabola risulterebbe un po' pericolosa, perché tutto è rimandato all'al di là dove ci sarà il rovesciamento delle situazioni presenti: i ricchi all'inferno e i poveri in paradiso, allora sarà fatta giustizia. I poveri devono solo attendere un po', giusto il tempo chi i ricchi finiscano il loro banchetto e abbiano la loro bella sepoltura... in Paradiso poi i vari Lazzari della storia si riprenderanno la rivincita. Attenzione: questo tipo di rassegnazione non rientra nello Spirito del Vangelo.
Il protagonista è quindi il ricco epulone. Che strano, nonostante sia il protagonista, abbiamo visto che la Bibbia ha dimenticato il suo nome (cosa che non è avvenuta per il povero Lazzaro). La cosa è tanto più strana se pensiamo al significato che il nome ha nell'ambiente ebraico, il nome esprime la realtà profonda delle persone, riassume la sua storia (Lazzaro ad esempio significa "Dio aiuta", "Yahweh viene in soccorso").
Perché il ricco non ha nome? Perché non ha storia. Ha costruito la sua esistenza sul vuoto. Ha smarrito il nome perché ha smarrito le vere ragioni del vivere. Non si può vivere per banchettare dimenticandosi dei fratelli che hanno bisogno.
In fondo, al ricco epulone della parabola si rimprovera il suo egoismo, la sua spietatezza nel non aver avuto una briciola di comprensione e di amore per il povero che sedeva alla sua porta e che vedeva ogni giorno consumarsi sempre di più.
IL RICCO HA PERSO IL NOME DAVANTI A DIO, NON PERCHÈ RICCO, MA PER L'USO SBAGLIATO DELLA SUA RICCHEZZA, USATA SOLO PER SÈ STESSO.
E NOI ABBIAMO MAI SMARRITO IL NOSTRO NOME? Quali nomi hanno preso il sopravvento? Denaro, carriera, potere, successo lavoro, hobby, il mio tempo...?
COME FARE PER RIACQUISTARE IL NOME DAVANTI A DIO? Mi viene alla mente il ritornello di un canto GEN di qualche hanno fa: Ama e capirai perché. La carità, l'amore verso i fratelli, la condivisione, l'entrare in questa scelta di vita, ci fanno sperimentare una vita piena, frutto dell'incontro con Dio.

Tempo fa ho conosciuto un giovane che all'età di 13 anni è entrato nel giro della droga fino a 18 anni. In quegli anni conobbe una famiglia che aveva una bambina cerebrolesa di nome Marta. Aveva bisogno di un'assistenza continua e di una rieducazione motoria. Ci disse: "Sentii dentro di me una spinta fortissima ad impegnarmi per Marta. Cominciai con due ore, poi rimanevo quattro ore. Alla fine passavo con questa bambina intere giornate. Inspiegabilmente, come per un miracolo, in me stava scomparendo l'esigenza dell'eroina. Da solo vinsi la crisi di astinenza; da lì la mia vita è cambiata".
Ama e capirai chi sei, il tuo nome, la tua identità. Sperimenterai la vita vera, quella pienezza che è già qui sulla terra anticipo di Paradiso anche nella fatica del cammino.

Purtroppo, ricordare i nomi dei poveri e dimenticare i nomi dei ricchi corrisponde alla logica del Vangelo. La logica del mondo è diversa... Da che parte stai?
Prova in questa settimana a segnare in un foglio il nome delle persone povere che incontri... A fine giornata puoi presentare i loro nomi a Dio: avrai qualche amico in più.

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09/03/2012 08:10
 
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Eremo San Biagio
Commento su Gen 37,17-18

Dalla Parola del giorno
Giuseppe andò in cerca dei fratelli e li trovò a Dotan. Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono di farlo morire.

Come vivere questa Parola?
Giuseppe è figlio di Giacobbe – Israele. Lo ha avuto in vecchiaia e verso di lui esprime una speciale tenerezza. Questa la ragione di una gelosia da parte dei fratelli che si tramuta in un tale odio da decidere, tutti insieme, si farlo morire. Più tardi prevalse l'idea di venderlo, per poco denaro, a certi mercanti israeliti che passarono di lì. E il provvido amore di Dio terrà le fila della storia di Giuseppe fino a farne sorgente di salvezza per molti, inclusi i suoi fratelli. In un mondo di violenza com'è il nostro vale comunque la pena di meditare su questa radice amara che, più o meno, abita il cuore degli uomini e su cui si passa oltre allegramente senza neppure chiamarla per nome. Sì, la gelosia a braccetto con la sua gemella, l'invidia, se ne vanno a spasso tra la gente e sono continuamente fonte segreta di rancori, di malevolenze, di vendette, odio. In fondo la storia della violenza è la loro storia. Giuseppe non fu ucciso, ma Gesù, di cui scribi, farisei, dottori della legge erano gelosi e invidiosi, fu messo a morte!

Oggi, nel mio rientro al cuore, voglio guardare se mai si annida in me qualche radice amara di gelosia o d'invidia. È così facile che si camuffi sotto l'aspetto di zelo o di rivendicazioni dettate da giuste e lodevoli ragioni!

Signore Gesù, so che la gelosia e l'invidia attecchiscono in me trovando terreno favorevole non nel mio cuore che cerca te ma nel mio ego che si nutre di quello che non è te. Dammi il tuo Spirito per scorgere queste radici amare. Dammi la tua forza di CrocifissoRisorto per estirparla da me.

La voce di Padre della Chiesa 
Molto si estende la rovina, molteplice e tristemente feconda, della gelosia. È la radice di tutti i mali, la sorgente delle stragi, il vivaio dei delitti, la sostanza delle colpe.
Cipriano

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10/03/2012 08:10
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La festa del perdono

È bello in questo tempo di quaresima, in cui siamo particolarmente sollecitati alla conversione e al ritorno a Dio, ascoltare ancora una volta una delle più affascinanti parabole che Gesù ci ha lasciato. Sulla scia del figlio pentito, che torna tra le braccia del Padre, si muove ancora la nostra povera umanità peccatrice. Il percorso è già segnato. Ci capita di cadere nell'assurdo di pretendere da lui la nostra parte di eredità, di reclamare solo per noi la libertà che egli ci ha donato, ci capita di subire la nausea del vero bene e di stancarci di Dio e della sua casa. Gli spazzi del mondo ci attraggono, l'idea di una libertà assoluta e senza norme ci seduce, il poter spendere senza limiti pare ci adorni di un grande potere e così perpetriamo le nostre fughe. Il Signore ci mostra in anticipo i precipizi che ci si parano dinanzi e dentro cui andremo a gemere. Per nostra fortuna però anche quando abbiamo tutto sperperato malamente e ci ritroviamo spogli di ogni bene, umiliati a grugnire con i porci, i morsi della fame del vero bene e del pane buono della casa paterna, la nostalgia delle braccia amorose del Padre, che ci avevano già stretto nell'innocenza, ci pulsano salutarmene dentro a suggerirci un pentimento ed un ritorno. I sensi di colpa però premono come macigni e dire «mi alzerò» e già preludio di grazia. Pensare onestamente di poter essere almeno annoverato tra gli ultimi degli schiavi della casa paterna, è già timido germoglio di speranza. Intraprendere il duro e lungo cammino verso casa, stremati dalla fame e dall'improba fatica del male, è come già intravedere i primi bagliori del bene perduto. Ciò che non si osa sperare è proprio ciò che avviene: il peso della croce se l'assume Cristo stesso e così egli agevola il cammino, il Padre l'attende a braccia aperte, per stringerlo a se con rinnovato ed cresciuto amore, per farlo rinascere con un abito nuovo alla vita della grazia. Poi la grande festa finale, solo in parte guastata dal comportamento del fratello maggiore: anche per chi rimane sempre fedele a Dio, è obiettivamente difficile comprendere la festa del ritorno per chi non ha sperimentato la misericordia e il perdono. Si finisce per soffrire proprio per le meravigliose sorprese che Dio riserva al peccatore pentito. Suscita stupore e invidia l'accoglienza riservata al fratello scellerato. Pare che certi giusti siano più propensi ad affermare e pretendere la giustizia che a comprendere l'amore. Dio invece sa coniugare splendidamente le due virtù.

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11/03/2012 06:46
 
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don Luciano Cantini
Si ricordarono...

Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 
L'uomo sembra aver bisogno del Tempio. L'uomo comunica con i sensi ed ha bisogno di vedere, toccare; il rito fa parte del suo modo di comunicare. Dio si è fatto vicino all'uomo e si è manifestato al popolo dell'esodo attraverso la nube e la colonna di fuoco, eppure l'uomo nella sua infantilità si è fatto un vitello d'oro. Allora Dio ha cercato altri modi per comunicare la sua presenza in mezzo al popolo d'Israele: La Tenda del Convegno. Luogo troppo labile e sottile, provvisorio per entrare nell'immaginario di un popolo che è diventato stabile e padrone di una terra. Allora l'uomo costruisce un tempio di pietra: grande, forte, stabile, ricco, degno dell'ideale umano. Come per ogni cosa umana, diventa segno di potere, di discriminazione, che si confonde con l'interesse ed il mercato. Ecco dunque i cortili che separano i gentili dallIsraele, le donne e dagli uomini e quello riservato alla casta sacerdotale; la sede del Sinedrio, le guardie, i mercanti. Questo è quello che ha trovato Gesù.

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio 
Ci meravigliamo di un gesto violento di Gesù, ma la sua non fu collera, ma compassione. Non ha messo sottosopra il tempio da richiamare le guardie ed innescare un tafferuglio come altre volte è successo nel tempio di Gerusalemme, quello di Gesù è stato piuttosto un gesto profetico dettato dall'amore di Gesù. Lo si comprende dall'atteggiamento dei discepoli che siricordarono il versetto della Scrittura. Non è tanto far venire alla mente quanto comprendere nella sua profondità quale fosse lo zelo di Gesù per la casa del Padre suo. Non tanto uno sdegno per un culto commercializzato quanto piuttosto per il degrado del cuore dell'uomo che ne è origine e causa. I veri adoratori adoreranno Dio in Spirito e verità, dirà alla Samaritana.
Non possiamo che il rapporto con Dio sia mediato da buoi o colombe, dalla formalità del denaro legale o dal privilegio di una famiglia sacerdotale.

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» 
Questa seconda parte del racconto il Tempio assume un significato altro. Anche il termine usato è diverso naós invece di hierón. Non è il tempio di belle pietre che conta, ma il santuario dell'uomo stesso. È la relazione tra Dio e l'uomo che chiede un cambiamento. Il gesto di Gesù non abbisogna un segno giustificativo perché è esso stesso segno. Il gesto e le parole di Gesù ci fanno scorgere la necessità di sostituire l'acqua degli otri della purificazione con il vino della nuova alleanza. Il tempio è destinato ad andare in rovina e non sarà più ricostruito perché è il Corpo di Gesù il tempio nuovo che lui edificherà per noi.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 
Sarà necessario attraversare l'evento pasquale per comprendere la profondità ed il senso dell'episodio che Giovanni ci narra; allora il discepoli si ricordarono? La parola ascoltata e l'esperienza vissuta entrano finalmente nel loro cuore e diventa concretezza: egli parlava del tempio del suo corpo.
Allora i discepoli credettero di appartenere al Corpo di Cristo, nuovo tempio in cui l'uomo vive la sua relazione con il Padre.
Il gesto di Gesù assume allora una valenza davvero profetica che supera la contingenza spazio temporale, ci viene chiesto di ricordare il senso ed il perché della Chiesa e la costante necessità di purificazione e di ricerca della verità della nostra relazione con Dio e del culto che a lui riserviamo.

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12/03/2012 14:02
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Nessun profeta è bene accetto nella sua patria

Gesù è nella Sinagoga di Nazaret. Rivela il compimento della profezia di Isaia sul Messia del Signore. Gli uditori non credono. Gesù proprio questo attesta ad essi. Il segno della verità di un profeta è dato proprio dalla non fede di quelli della sua patria e cita il caso di Elia: "Dopo alcuni giorni il torrente si seccò, perché non era piovuto sulla terra. Fu rivolta a lui la parola del Signore: «Àlzati, va' a Sarepta di Sidone; ecco, io là ho dato ordine a una vedova di sostenerti». Egli si alzò e andò a Sarepta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po' d'acqua in un vaso, perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; va' a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d'Israele: "La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra"». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia" (1Re 17,7-16).
Anche Eliseo guarì dalla lebbra solo uno straniero, non i suoi concittadini e connazionali: "Quando Eliseo, uomo di Dio, seppe che il re d'Israele si era stracciate le vesti, mandò a dire al re: «Perché ti sei stracciato le vesti? Quell'uomo venga da me e saprà che c'è un profeta in Israele». Naamàn arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: «Va', bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato». Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: "Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra". Forse l'Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d'Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?». Si voltò e se ne partì adirato. Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: «Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: "Bàgnati e sarai purificato"». Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato"(Cfr 2Re 5,1-27). Gesù è vero profeta perché nella stessa linea di Elia ed Eliseo. D'altronde, all'infuori di Mosè che operò prodigi per circa quaranta anni, nessun altro profeta o inviato del Signore ha compiuto miracoli nel significato stretto della Parola. Viste così le cose, Gesù è nella linea dei veri profeti. Questi sono veri per la Parola vera che essi dicono. La loro è una parola che si compie sempre. Una volta che è stata proferita, il compimento verrà di certo.


Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
La Parola ha bisogno di tempo, a volte anche lungo. Quelli di Nazaret si sdegnano e vogliono uccidere Gesù, facendolo precipitare dalla rupe sulla quale era posta la loro città. Gesù passa in mezzo a loro e si rimette in cammino. La sua ora non è arrivata.


Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera sapienza.

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13/03/2012 07:50
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 18,21-35

1) Preghiera

Non ci abbandoni mai la tua grazia, o Padre,
ci renda fedeli al tuo santo servizio
e ci ottenga sempre il tuo aiuto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 18,21-35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?" E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello".

3) Riflessione

? Il Vangelo di oggi ci parla della necessità deli perdono. Non è facile perdonare, perché certi magoni continuano a bruciare il cuore. Ci sono persone che dicono: "Perdono, ma non dimentico!" Rancore, tensioni, opinioni diverse, affronti, offese, provocazioni, tutto questo rende difficile il perdono e la riconciliazione. Cerchiamo di meditare le parole di Gesù che parlano di riconciliazione (Mt 18,21-22) e che ci parlano della parabola del perdono senza limiti (Mt 18,23-35).
? Matteo 18,21-22: Perdonare settanta volte sette! Gesù aveva parlato dell'importanza del perdono e della necessità di saper accogliere i fratelli e le sorelle per aiutarli a riconciliarsi con la comunità (Mt 18,15-20). Davanti a queste parole di Gesù, Pietro chiede: "Quante volte devo perdonare il fratello che pecca contro di me? Fino a sette volte?" Il numero sette indica una perfezione. Era sinonimo, in questo caso, di sempre. Gesù va molto più in là della proposta di Pietro. Elimina qualsiasi possibile limite al perdono: "Non ti dico sette, ma fino a settanta volte sette!" Ossia, settanta volte sempre! Poiché non c'è proporzione tra il perdono che riceviamo da Dio ed il perdono che noi dobbiamo offrire al fratello, come ci insegnerà la parabola del perdono senza limiti.
? L'espressione settanta volte sette era un'allusione chiara alle parole di Lamech che diceva: "Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" (Gen 4,23-24). Gesù vuole invertire la spirale di violenza entrata nel mondo per la disobbedienza di Adamo ed Eva, per l'uccisione di Abele da parte di Caino e per la vendetta di Lamech. Quando la violenza sfrenata invade la vita, tutto va male e la vita si disintegra. Sorge il Diluvio ed appare la Torre di Babele del dominio universale (Gen 2,1 a 11,32).
? Matteo 18,23-35: La parabola del perdono senza limiti. Il debito di diecimila talenti gira attorno alle 164 tonnellate d'oro. Il debito di cento denari valeva circa 30 grammi d'oro. Non c'è paragone tra i due! Anche se il debitore insieme a sua moglie ed ai suoi figli si mettessero a lavorare tutta la vita, non sarebbero mai capaci di riunire le 164 tonnellate d'oro. Davanti all'amore di Dio che perdona gratuitamente il nostro debito di 164 tonnellate d'oro, è più che giusto da parte nostra perdonare gratuitamente il nostro debito di 30 grammi d'oro, settanta volte sempre! L'unico limite alla gratuità del perdono di Dio è la nostra incapacità di perdonare il fratello! (Mt 18,34; 6,15).
? La comunità, spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. La società dell'Impero Romano era dura e senza cuore, senza spazio per i piccoli. Loro cercavano un rifugio per il cuore e non lo trovavano. Le sinagoghe anche erano esigenti e non offrivano un luogo per loro. E nelle comunità cristiane, il rigore di alcuni nell'osservanza della Legge portava nella convivenza gli stessi criteri della sinagoga. Oltre a questo, verso la fine del primo secolo, nelle comunità cristiane cominciavano ad apparire le stesse divisioni che esistevano nella società tra ricco e povero (Gc 2,1-9). Invece di fare della comunità uno spazio di accoglienza, si correva il rischio di farlo diventare un luogo di condanna e di conflitti. Matteo vuole illuminare le comunità, in modo che siano uno spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. Devono essere una Buona Novella per i poveri.

4) Per un confronto personale

? Perché è così difficile perdonare?
? Nella nostra comunità, c'è uno spazio per la riconciliazione? Come?

5) Preghiera finale

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua verità e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza,
in te ho sempre sperato. (Sal 24)

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14/03/2012 07:55
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto".

Come vivere questa Parola?
La Legge data da Dio a Mosè, non solo è al centro del culto di Israele ma anche della gestione politico/sociale del popolo. Infatti, è la Legge che ha plasmato il popolo come nazione. Attraverso i secoli, un cumulo di costumi e tradizioni si sono aggiunti alla Legge, oscurando la verità. Sono queste leggi umane a cui Gesù si oppone, non alla Legge in sé. Ci sono molti momenti nei Vangeli in cui Gesù esprime palesemente il suo rispetto per la Legge.
Gesù è il compimento della Legge, nel senso che questa era piuttosto indicativa, mirando all'unificazione del popolo, senza però la possibilità di salvarlo dal peccato. Gesù, mandato dal Padre per compiere la sua volontà, adempie l'Antica Alleanza con la Nuova Legge dell'Amore: amore di Dio che si fa Uomo e si sacrifica per salvarci. Amore che vuole che tutta l'umanità accolga il suo amore e si unisca liberamente a lui: amando lui e il prossimo. L'amore è l'energia che apre il cuore ad abbracciare la volontà di Dio nella sua totalità: "Chi ama, compie tutta la Legge" (Rm13,10).
Quindi, la nostra appartenenza al Regno dipende non dalla Legge mosaica ma dal comandamento nuovo dell'Amore.

Nella mia pausa contemplativa, oggi, mi chiedo se sono davvero impegnato a vivere secondo la nuova alleanza scritta nel sangue di Gesù. O se mi trovo ancora legato da tante prescrizioni o costumi fabbricati da uomini o da me stesso, che mi velano la verità e l'amore di Dio.

Signore Gesù, fa del mio cuore il tuo tabernacolo e di tutta l'umanità il tuo tempio, e la tua gloria si posi sopra la croce, là dove ogni vita umana si immola per amore. Amen

La voce di una mistica dei nostri tempi
Arde la nostalgia di tutte le creature! Arde lo spirito dell'oscurità dei culmini umani! Tutto è preso dall'amore, e tutto deve diventare amore.
Gertrud von le Fort

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15/03/2012 06:37
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde

Ognuno di noi, anche oggi, dobbiamo scegliere: se raccogliere o disperdere, se costruire o abbattere, se innalzare o distruggere, se vivere o morire, se progredire o retrocedere, se camminare oppure rimanere fermi. Gesù non dona molte possibilità in questa scelta. Ne dona una sola: o con Lui o contro di Lui. Non c'è neutralità. Non ci sono altre vie. La via è una sola, come una sola è la possibilità di bene: solo con Lui.
Il solo con Lui, oggi diviene e si fa "solo con il suo Corpo che è la Chiesa". Chi non è per il suo Corpo è contro il suo Corpo. Chi non raccoglie con il suo Corpo, disperde. Lavora invano e per niente. Sciupa il suo tempo. Si può applicare a Cristo Gesù quanto Dio dice per mezzo del profeta Aggeo: "«Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: "Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!"». Allora fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo questa parola del Signore: «Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l'operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Salite sul monte, portate legname, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e manifesterò la mia gloria - dice il Signore. Facevate assegnamento sul molto e venne il poco: ciò che portavate in casa io lo disperdevo. E perché? - oracolo del Signore degli eserciti. Perché la mia casa è in rovina, mentre ognuno di voi si dà premura per la propria casa. Perciò su di voi i cieli hanno trattenuto la rugiada e anche la terra ha diminuito il suo prodotto. Ho chiamato la siccità sulla terra e sui monti, sul grano e sul vino nuovo, sull'olio e su quanto la terra produce, sugli uomini e sugli animali, su ogni lavoro delle mani»" (Ag 1,2-11).
Cristo Gesù è il nuovo Tempio di Dio, la sua abitazione perenne sulla nostra terra. I farisei lo stanno distruggendo. Quale futuro potranno avere? Nessuno. Quali prospettive di salvezza sul loro lavora? Nessuna. O innalziamo il nuovo Tempio di Dio o non avremo alcun futuro di salvezza né per noi e né per gli altri.
Oggi Cristo Gesù sta per essere nuovamente distrutto, cancellato, radiato dalla mente e dal cuore. Se noi suoi discepoli non lo edifichiamo, non lo costruiamo, non lo formiamo, non impegniamo ogni nostra energia per la sua stabilità e diffusione nel mondo, in pienezza di verità, neanche per noi ci sarà futuro di salvezza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci vero Tempio santo.

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16/03/2012 07:16
 
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padre Lino Pedron


La domanda che lo scriba pone a Gesù non è oziosa. Data la molteplicità delle prescrizioni della legge (se ne contavano 613, ripartite in 365 proibizioni - quanti sono i giorni dell'anno - e 248 comandamenti positivi, quante si credeva fossero le parti del corpo umano), ci si poteva legittimamente interrogare sul loro valore e chiedersi quale fosse il comandamento più grande.
La risposta di Gesù che pone nell'amore di Dio e del prossimo il centro della legge, non è una novità assoluta: lo insegnavano anche i rabbini di allora. La novità consiste nell'avere unificato il testo del Dt 6,4-5 con il testo del Lv 19,18. Ma per cogliere questo centro sono necessarie due precisazioni. La Bibbia insegna che il nostro amore per Dio e per il prossimo suppone un fatto precedente, senza il quale tutto resterebbe incomprensibile: l'amore di Dio per noi. Qui è l'origine e la misura del nostro amore. L'amore dell'uomo nasce dall'amore di Dio e deve misurarsi su di esso. E qui si inserisce la seconda precisazione: chi è il prossimo da amare? La Bibbia risponde: ogni uomo che Dio ama, cioè tutti gli uomini, senza alcuna distinzione, perché Dio si è rivelato in Gesù come amore universale.
La nostra vita è amare Dio e unirci a lui (Dt 30,20), diventando per grazia ciò che lui è per natura. Il nostro amore per lui è la via per la nostra divinizzazione, perché uno diventa ciò che ama. Chi risponde a questo amore passa dalla morte alla vita, mentre chi non ama Dio e il prossimo rimane nella morte (1Gv 3,14). Dio è amore più forte della morte (Ct 8,6). La sua fedeltà dura in eterno (Sal 117,2). Quando noi moriamo, egli ci ridà la vita. "Riconoscerete che io sono il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri" (Ez 37,13). Dio ha creato tutto per l'esistenza, perché è un Dio amante della vita (cfr Sap 1,14; 11,26).
L'amore per l'uomo non è in alternativa a quello per Dio, ma scaturisce da esso come dalla sua sorgente. Si ama veramente il prossimo solo quando lo si aiuta a diventare se stesso, raggiungendo il fine per cui è stato creato, che è quello di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stesso. Alla luce di questa verità, dobbiamo rivedere radicalmente il nostro modo di amare: molto del cosiddetto amore, che schiavizza sé e gli altri, è una contraffazione dell'amore, è egoismo. Quanta purificazione, quanta grazia di Dio occorrono perché l'amore sia vero amore!

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17/03/2012 07:13
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo

L'umile, il povero, sono "categorie protette, amate" dal Signore. Così il Libro del Siracide: "Non corromperlo con doni, perché non li accetterà, e non confidare in un sacrificio ingiusto, perché il Signore è giudice e per lui non c'è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l'equità. Il Signore certo non tarderà né si mostrerà paziente verso di loro, finché non abbia spezzato le reni agli spietati e si sia vendicato delle nazioni, finché non abbia estirpato la moltitudine dei violenti e frantumato lo scettro degli ingiusti, finché non abbia reso a ciascuno secondo il suo modo di agire e giudicato le opere degli uomini secondo le loro intenzioni, finché non abbia fatto giustizia al suo popolo e lo abbia allietato con la sua misericordia. Splendida è la misericordia nel momento della tribolazione, come le nubi apportatrici di pioggia nel tempo della siccità "(Sir 35,14-26). Anche la Vergine Maria, nel suo Magnificat, proclama la stessa verità, mettendo in contrasto superbia e umiltà, ricchezza e povertà: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote" (Lc 1,51-53). Veramente l'umile penetra il cuore di Dio, nel quale vi è ogni ricchezza di misericordia, pietà, compassione, ogni abbondanza di carità.
Per i superbi non c'è posto nel cuore di Dio, perché nei loro cuori non c'è spazio né per il Creatore e né per la creatura. Il superbo si compiace di se stesso. È ricco di se stesso. Gli altri gli danno fastidio. Neanche possono stare alla loro presenza. Per questo li disprezzano, li umiliano, li distruggono nella loro miseria spirituale e materiale. Ignorano che il Signore tratta loro come essi trattano i loro fratelli. Poiché essi non hanno pietà dei miseri e de poveri, Dio mai potrà avere pietà di loro. La misericordia genera misericordia. La superbia, superbia. L'ipocrisia, ipocrisia. La perversione, perversione. Loro hanno ciò che producono. Si sono isolati nel loro castello di male, vivranno di solitudine eterna nel fuoco dell'inferno, senza alcun conforto.
Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
È triste la preghiera del fariseo. È una lode del suo niente. La sua santità consiste in poche misere cose: nel pagare la decima e nel digiunare due volte alla settimana. Tutto qui. Nient'altro. Lui poi non è ingiusto, non è adultero, non è ladro, secondo però la sua misura di ingiustizia, adulterio, furto, non secondo la divina verità e il puro comandamento del Signore. Questo suo niente spirituale ingigantito dalla sua superbia lo usa come metro per giudicare gli altri, condannarli, dichiararli indegni di presentarsi alla presenza del suo Dio. Il Dio del fariseo è in tutto superbo, arrogante, presuntuoso come lui. Non deve tollerare la presenza di un povero peccatore nel so tempio. Quanto differente è invece il Dio di Gesù Cristo. È il Dio che perdona, accoglie, fa festa quando il peccatore si converte e torna nella sua casa. È questo Dio che noi amiamo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci amare il Dio di Gesù.


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18/03/2012 09:03
 
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 di don Angelo Sceppacerca
Commento su Gv 3,14-21

Sulla croce si sale e dalla croce si scende; in qualche modo essa è il luogo dove si congiunge la nostra infinita tensione a voler scalare e conquistare il cielo all'infinita umiltà di Dio che scende fino al nostro niente per solo amore.

Di croce si muore e dalla croce si riceve la vita: è il mistero della fede che riesce a sciogliere il nodo ultimo dell'esistenza: perché il dolore? Perché la morte? Perché il dolore e la morte dell'innocente? Per sbrogliare queste domande, Nicodemo - fariseo, capo dei giudei, uomo giusto e saggio - si reca da Gesù, di notte.

Un colloquio notturno, quello fra Gesù e Nicodemo, a simboleggiare la notte protesa verso il giorno, il dubbio che cerca la luce della verità. E Gesù, in risposta, indica il segno misterioso della croce dove la notte si fa giorno, il dolore manifesta l'amore, la maledizione si tramuta in salvezza. La figura di Nicodemo tornerà al tramonto della vicenda umana dell'uomo di Nazareth: lo difenderà prima e ne seppellirà il corpo in una tomba nuova dopo la tragedia del calvario. In anticipo, però, Nicodemo viene istruito sulla possibilità di leggere e interpretare i segni in altro modo; non più "dal basso", secondo la sapienza e l'esperienza umana, ma "dall'alto", secondo la logica e la sapienza di Dio. Tornano, ancora una volta, le coordinate spaziali della croce: l'alto e il basso.

Ogni esperienza religiosa trova senso dinanzi alla croce di Cristo. Le religioni (tutte, nessuna esclusa), in parole semplici, non nascono solo "dal basso", e cioè dal desiderio religioso dell'umanità, ma anche e contemporaneamente "dall'alto" (o "dall'intimo"), e cioè dal rendersi presente del Mistero. Se la rivelazione pone l'accento sul movimento di Dio verso la creatura, l'ascetica e la mistica rendono evidente l'ascesa della creatura e il suo libero aprirsi all'azione di Dio che illumina e trasforma. Rivelazione e mistica sono, insieme, l'inizio e la meta dell'esperienza e della tradizione d'ogni religione.

Tutto questo processo è documentabile dalle scienze della religione (etnologia, sociologia e psicologia religiosa, storia delle religioni), esso però s'illumina di fronte a Gesù Cristo che è, allo stesso tempo, il Logos, la parola definitiva di Dio all'umanità, e anche Colui che si "svuota" di Sé sino a donare tutto sulla croce. In Gesù crocifisso e risorto rivelazione e mistica vengono a coincidere perché il Logos fatto carne, donando tutto di Sé, rivela l'Agape, l'Amore che è Dio. Di queste cose parlavano Gesù e Nicodemo, di notte.

Gesù è l'unico rivelatore delle cose del cielo. Fatto uomo per comunicare la vita di Dio. Un mistero di abbassamento e di rivelazione che si compirà sulla croce. Allora l'umanità potrà comprendere l'evento scandaloso e sconcertante della salvezza per mezzo della croce e guarire dal suo male, come gli ebrei nel deserto guarirono dai morsi dei serpenti velenosi guardando il serpente di bronzo che Mosè aveva fatto innalzare come segno di vita. Chi accetta Gesù evita la perdizione e ottiene la vita, chi lo rifiuta, rifiuta la salvezza.


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19/03/2012 08:10
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, [?E] gli fu accreditato come giustizia".

Come vivere questa Parola?
Qui S. Paolo, scrivendo ai Romani del suo tempo, fa memoria di Abramo la cui fede fu messa talmente a cimento da sembrare che Dio smentisse le promesse a lui fatte circa la moltitudine di suoi discendenti. Certo, che popolo poteva venire da lui se Dio gli chiedeva di sacrificargli, in vecchiaia, l'unico figlio avuto da Sara, vecchia e sterile. Ebbene, Abramo ebbe il coraggio di consegnarsi a Dio con assoluta fiducia in lui. Sì, il suo credere fu ardimento di speranza contro e sopra ogni aspettativa umana. Proprio a motivo di ciò, egli, ancora oggi, è nostro padre nella fede.
Che c'entra con l'umile figura di S. Giuseppe che oggi festeggiamo?
Il falegname di Nazareth fu scelto dal Signore per diventare custode casto della Vergine Maria ed anche in qualche modo l'ombra del Padre celeste presso Gesù bambino e adolescente.
Anche a lui fu chiesta una fede che fosse pieno affidamento a Dio e umilissima collaborazione al suo progetto di redenzione.
Non fu un'avventura facile. Si pensi solo all'ordine dell'Angelo circa il mettere in salvo il Bambino da Erode, con il viaggio in Egitto, portando con sé una puerpera e un bimbo tanto piccolo!
Non trova scuse, non spreca parole Giuseppe ma è tutto nell'assenso obbediente a Dio.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, sosto accanto a questo santo lontano nel tempo, ma tanto attuale. Non è vero che, proprio ai nostri giorni, il silenzio pervaso da un "sì" pieno di amore a Dio, è la radice sana per un nuovo modo di essere, di dialogare e di agire?

Signore, per intercessione di S. Giuseppe, fa' che io ami il silenzio (non il mutismo) da cui nasce la parola vera e l'azione giusta, costruttiva.

Le parole di un grande Padre della Chiesa
San Giuseppe è servo fedele che Gesù ha costituito come sostegno di sua madre e padre nutrizio della sua carne, cooperatore fedelissimo, in terra, del grande piano dell'incarnazione.
San Bernardo

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20/03/2012 09:03
 
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padre Lino Pedron


Gesù per la seconda volta sale a Gerusalemme in occasione di una festa ebraica non precisata. L'ambiente dove si svolge il miracolo è presso la porta delle pecore, un luogo riservato agli agnelli destinati ai sacrifici del tempio. Una piscina con cinque portici, accoglieva costantemente sul suo bordo "un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici" (v. 3).
La piscina di Betzaetà conserva resti di un culto pagano a divinità guaritrici. In questo luogo ci sono chiari segni di culto al Dio Asclepios-Serapis. L'attesa del moto dell'acqua ad opera di un angelo è forse il residuo di una leggenda popolare. Il movimento dell'acqua poteva essere il travaso da una vasca all'altra, o l'acqua che usciva a intermittenza dalla sorgente. L'angelo indicherebbe un incaricato al culto del Dio Asclepios.
Anche in questo caso è Gesù che prende l'iniziativa. Egli è presentato come padrone della salute e può guarire dalle malattie anche più gravi. La sua parola è tanto potente da produrre immediatamente la guarigione. Cristo è il vero guaritore di tutto l'uomo. In particolare il prodigio mette in luce che Gesù è il Salvatore dei più deboli, dei più abbandonati e trascurati da tutti.
Gesù guarendo di sabato imita la condotta del Padre, il quale opera continuamente, anche di sabato (Gv 5,17). Secondo Gesù "il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato" (Mc 2,27-28). Egli contesta le tradizioni umane che sono in contrasto con la carità.
Alcuni esegeti vedono nell'acqua della piscina di Betzaetà un'allusione alla legge mosaica che non può guarire, in contrasto con le parole di Gesù che invece guariscono. Scrive Loisy: "L'acqua di Betzaetà, come il battesimo di Giovanni, raffigura il regime della legge, e il caso del paralitico è destinato a mostrare che questo regime non porta alla salvezza. Vi è una paralisi inveterata che Gesù solo può guarire; egli solo infatti rigenera l'umanità con il dono della vita eterna".
Altri esegeti scoprono nei cinque portici della piscina una raffigurazione dei cinque libri della legge mosaica, mentre l'infermo che da trentotto anni attende la guarigione sarebbe tipo di quanti cercano invano la salvezza nella legge. Scrive Braun: "La cifra di trentotto anni verosimilmente è simbolica. Vi è una buona ragione di accostarla ai trentotto anni durante i quali, secondo Dt 2,15, gli israeliti avevano errato nel deserto, prima di giungere alle frontiere della terra promessa".
La guarigione dell'uomo infermo da trentotto anni, compiuta da Gesù, non è tanto un'opera di misericordia, quanto il manifestare l'opera di salvezza di Dio stesso, del Padre suo, attraverso la grazia del perdono e della salvezza.

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21/03/2012 08:15
 
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padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 5, 17-30

Per la tradizione rabbinica, solo Dio era dispensato dal riposo del sabato. Infatti, poiché l'uomo nasce e muore anche in giorno di sabato, Dio deve sempre dare la vita e giudicare. Egli, in questo giorno, non può rimanere inattivo, senza guidare la storia e il destino degli uomini, altrimenti il mondo avrebbe fine e sfuggirebbe al suo controllo. Questo è il senso della difesa che Gesù pronuncia davanti ai giudei: egli, come Figlio di Dio, ha gli stessi diritti divini del Padre. Va notato che il verbo operare è usato al presente e in senso assoluto sia per il Padre che per il Figlio, e indica uguaglianza e unica coordinazione nell'operare.

Circa la controversia sul sabato, dunque, Giovanni chiarisce che la discussione di Gesù non verte tanto sulla relatività della legge del riposo, ma sulla sua personale autorità, che è superiore all'osservanza del precetto. Egli intende far riscoprire il senso profondo e teologico del sabato, riproponendo il valore di Dio e della salvezza. Se Gesù opera in giorno di sabato è perché egli, che è Figlio di Dio, è in relazione col Padre e ne segue l'agire. Come il Padre è superiore al sabato e può lavorare anche in questo giorno, anzi può operare sempre, così Gesù, essendo uguale al Padre (v.18), è padrone del sabato e può affermare: "Il Padre mio opera continuamente e anch'io opero" (v.17). Per Gesù, dare la vita e la libertà interiore all'uomo, non è trasgredire il sabato, ma realizzarlo in pienezza secondo la volontà del Padre.

Gesù è il Figlio del Padre, l'inviato per la salvezza dell'uomo, colui che compie la stessa attività di Dio, incarnandone la volontà e il progetto. Essere con Gesù è essere con Dio. Agire contro Gesù è agire contro Dio.

Ascoltare la parola di Gesù e credere nel Padre sono due atteggiamenti religiosi che conducono l'uomo alla fede. Credere in Gesù e nel Padre vuol dire accettare il messaggio di Dio, il suo piano di salvezza per l'uomo; è possedere la vita eterna, perché per mezzo della parola del Figlio, l'uomo entra in comunione col Padre e, quindi, nella vita divina. La strada da seguire per giungere alla vita eterna è unica: dall'ascolto alla fede, e dalla fede alla vita.

Tutti gli uomini morti spiritualmente per il peccato sono in grado di udire la voce del Figlio di Dio, ma solo quelli che ascoltano, aprendosi alla dinamica della fede, possono entrare nella vita.

Oltre il potere di dare la vita, il Figlio dell'uomo ha nelle mani anche il potere del giudizio. Tutti, alla fine dei tempi, udranno la voce del giudice universale, e i morti, uscendo dalle loro tombe, riceveranno il premio o il castigo secondo le opere di bene o di male compiute. Coloro che avranno scelto il bene e l'amore, risorgeranno per la vita, coloro che avranno scelto il male e le tenebre, risorgeranno per la condanna. In questo giudizio Gesù avrà un solo criterio di valutazione: la volontà del Padre.

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22/03/2012 06:44
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me

Chi è Gesù, quest'uomo che sconvolge le vie degli uomini e riduce a nulla i pensieri dei cuori? Quest'uomo che mostra un volto nuovo del Padre, volto di compassione, misericordia, pietà, vera santità, giustizia perfetta, amore incondizionato? Quest'uomo che dice che Lui e il Padre sono una cosa sola? Quest'uomo al cui confronto appare all'istante ogni falsità che è nel cuore, secondo l'insegnamento del Libro della Sapienza? Ecco quanto la profezia annunzia dell'Uomo giusto per eccellenza: "Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l'educazione ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore. È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita non è come quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. Siamo stati considerati da lui moneta falsa, e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure. Proclama beata la sorte finale dei giusti e si vanta di avere Dio per padre. Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà. Hanno pensato così, ma si sono sbagliati; la loro malizia li ha accecati. Non conoscono i misteriosi segreti di Dio, non sperano ricompensa per la rettitudine né credono a un premio per una vita irreprensibile" (Sap 2,12-22). Veramente Gesù è quel segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. Questa è la sua verità.

Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C'è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio? Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Cosa dice oggi Gesù ai Giudei? Una verità semplicissima. Se loro conoscessero Dio, conoscerebbero anche Lui. Poiché essi Dio non lo conoscono, non possono neanche conoscere Lui e mai lo conosceranno. Perché i Giudei non conoscono Dio, pur facendo professione di autentica fede? Non lo conoscono perché la vera Parola di Dio è stata frantumata, stritolata, schiacciata, resa vana dai loro pensieri. Dio è il loro pensiero, la loro volontà, il loro cuore, ogni loro sentimento. Dio è il loro peccato, la loro ingiustizia, i loro vizi, le loro false interpretazioni della Legge e dei Profeti. Il vero problema non è Cristologico. È invece teologico. Quando loro conosceranno il vero Dio, sapranno anche che Cristo è dalla verità piena del Padre suo e lo accoglieranno.



Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la purissima verità di Dio.

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23/03/2012 06:51
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete.

Come vivere questa Parola?
Il rischio più grande che possiamo correre anche oggi, è proprio quello di credere di conoscere Gesù. Lo stesso Giovanni Battista, pur essendo suo cugino, riconobbe umilmente il limite della sua conoscenza, dichiarando: "Io non lo conoscevo" (Gv 1,31), finché Dio stesso non lo ha illuminato durante il battesimo nel Giordano. E Paolo affermerà che se prima si è "conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così" (2Cor 5,16).
C'è quindi una conoscenza più immediata ma parziale che, se assolutizzata, rischia di diventare fuorviante, e una conoscenza che si presenta come il progressivo disvelamento di un volto i cui tratti conservano sempre qualcosa di inafferrabile, e che proprio per questo spinge a cercare ancora.
Il cammino di fede fa passare dalla prima alla seconda forma di conoscenza di Cristo e si realizza sotto la mozione dello Spirito Santo: è dono del Padre e non conquista personale, anche se richiede la disponibilità ad accogliere il dono e a non considerarsi mai degli arrivati.

Oggi mi chiederò: la mia conoscenza di Cristo è secondo la carne o secondo lo Spirito, cioè si tratta di una conoscenza fondata su quello che so di lui e di cui mi sento appagato o di una conoscenza che non sempre è traducibile verbalmente perché attinge a un vissuto, a un incontro che rimanda oltre.

Padre, tu mi hai donato Gesù perché attraverso lui potessi conoscere te, il mistero di amore della tua vita a cui mi chiami a partecipare. Con la luce del tuo Spirito, dammi di non fermarmi a una conoscenza secondo la carne, ma di protendermi verso la contemplazione del suo autentico volto. 

La voce di una testimone
Ho veramente scoperto che Lui è la Via: in Lui trovavo tutto quello che il mio cuore cercava, in Lui trovavo la pace, in Lui trovavo la gioia, in Lui trovavo un senso alla mia esistenza, in Lui trovavo quei colori capaci di riempire, di colorare di cielo la mia piccola vita.
Chiara Amirante

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24/03/2012 08:21
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 7,1-2.10.25-30

1) Preghiera

Padre santo, che nei tuoi sacramenti
hai posto il rimedio alla nostra debolezza,
fa' che accogliamo con gioia i frutti della redenzione
e li manifestiamo nel rinnovamento della vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 7,1-2.10.25-30
In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne.
Andati i suoi fratelli alla festa, vi andò anche lui; non apertamente però, di nascosto.
Alcuni di Gerusalemme dicevano: "Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia".
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: "Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato".
Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora.


3) Riflessione

? Lungo i capitoli dall'1 al 12 del vangelo di Giovanni, si scopre la progressiva rivelazione che Gesù fa di sé ai discepoli ed alla gente. Nello stesso tempo e nella stessa proporzione, aumenta la chiusura e l'opposizione delle autorità contro Gesù fino al punto di deciderne la condanna a morte (Gv 11,45-54). Il capitolo 7, che meditiamo nel vangelo di oggi, è una specie di bilancio a metà del cammino. Fa prevedere come sarà il risvolto finale.
? Giovanni 7,1-2.10: Gesù decide di andare alla festa dei Tabernacoli a Gerusalemme. La geografia della vita di Gesù nel vangelo di Giovanni è diversa dalla geografia negli altri tre vangeli. E' più completa. Secondo gli altri vangeli, Gesù andò solamente una volta a Gerusalemme, la volta in cui fu preso e condannato a morte. Secondo il vangelo di Giovanni, Gesù fu per lo meno due o tre volte a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Per questo sappiamo che la vita pubblica di Gesù durò circa tre anni. Il vangelo di oggi informa che Gesù si diresse più di una volta a Gerusalemme, ma non pubblicamente. Di nascosto, poiché in Giudea i giudei volevano ucciderlo.
? Tanto qui nel capitolo 7 come anche negli altri capitoli, Giovanni parla dei "giudei", e di "voi giudei", come se lui e Gesù non fossero giudei. Questo modo di parlare rispecchia la situazione della tragica rottura che ebbe luogo alla fine del primo secolo tra i giudei (Sinagoga) ed i cristiani (Ecclesia). Lungo i secoli, questo modo di parlare del vangelo di Giovanni contribuì a far crescere l'anti-semitismo. Oggi, è molto importante prendere la distanza da questa polemica per non alimentare l'antisemitismo. Non possiamo mai dimenticare che Gesù è giudeo. Nasce giudeo, vive da giudeo e muore da giudeo. Tutta la sua formazione viene dalla religione e dalla cultura dei giudei.
? Giovanni 7,25-27: Dubbi degli abitanti di Gerusalemme riguardo a Gesù. Gesù si trova a Gerusalemme e parla pubblicamente alle persone che vogliono ascoltarlo. La gente rimane confusa. Sa che vogliono uccidere Gesù e lui non si nasconde davanti agli altri. Forse le autorità riconosceranno che lui è il Messia? Ma come Gesù può essere il messia? Tutti sanno che lui viene da Nazaret, ma del messia, nessuno sa l'origine.
? Giovanni 7,28-29: Chiarimento da parte di Gesù. Gesù parla della sua origine. "Voi sapete da dove vengo". Ma ciò che la gente non sa è la vocazione e la missione che Gesù riceve da Dio. Lui non è venuto per volontà propria, ma come qualsiasi profeta è venuto per obbedire ad una vocazione, che è il segreto della sua vita. "Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato". 
? Giovanni 7,30: Non era ancora giunta la sua ora. Volevano prendere Gesù, ma nessuno gli mise le mani addosso, "perché non era ancora giunta la sua ora". Nel vangelo di Giovanni chi determina l'ora ed il giro degli avvenimenti non sono coloro che hanno il potere, ma è Gesù. E' lui che determina l'ora (cf. Gv 2,4; 4,23; 8,20; 12.23.27; 13,1; 17,1). Perfino appeso alla croce, è Gesù che determina l'ora di morire (Gv 19,29-30).


4) Per un confronto personale

? Come vivo il mio rapporto con i giudei? Ho scoperto qualche volta un poco di antisemitismo in me? Sono riuscito ad eliminarlo?
? Come al tempo di Gesù, anche oggi, ci sono molte idee ed opinioni nuove sulle cose della fede. Come faccio? Mi afferro alle vecchie idee e mi rinchiudo in esse, o cerco di capire il perché delle novità? 


5) Preghiera finale

Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore. 
(Sal 33)

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25/03/2012 06:46
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!

Gesù muove le onde della storia. Tutti gli altri si lasciano travolge da esse. Lui però vi cammina sopra finché non giungerà la sua ora. Gesù muove le onde della storia perché vuole che ogni persona si pronunzi su di Lui. Solo così i cuori possono essere svelati, secondo la profezia di Simeone: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada tra figgerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». (Lc 2,34-35). Mettendo a nudo i pensieri di tutti, ognuno sa cosa l'altro ha nel cuore. Ognuno però può anche rendere testimonianza alla verità.
La forza del male è attinta soprattutto dall'inerzia del bene. Se tutti i credenti in Cristo Gesù oggi avessero la forza di rendergli vera testimonianza, il male si. ridimensionerebbe. Verrebbe a scoprirsi nella sua realtà. Non mostrerebbe più la sua sicumera, alterigia, arroganza, prepotenza, invincibilità. Invece il bene si ritira ed il male trionfa', avanza, conquista i cuori timidi e paurosi. Muovendo le onde della storia Gesù ci rivela un mondo inconsistente quanto a verità rivelata e creduta. Ci mostra anche un popolo nel quale pochi potenti riuscivano sotto minaccia a dominare la massa. Ci fa vedere l'astuzia di satana che si serve dell'ignoranza come scettro di ferro per governare il mondo. Anche oggi l'ignoranza è vera piaga del popolo cristiano.
Nicodemo osa appellarsi alle Legge e subito viene tacciato di ignoranza. Uno che non conosce neanche la lettera della Scrittura come osa parlare a loro che sono i garanti della giusta e santa interpretazione? Non c'è alcun bisogno di ascoltare né di sapere ciò che Cristo fa', ha fatto, ha intenzione di fare. Lui è un impostore perché si fa passare per Messia del Signore. Ora secondo la Scrittura, il Messia non viene da Nazaret. Dalla Galilea non sorgono profeti.
L'errore di questi uomini è grave, anzi gravissimo. La sola Scrittura non è sufficiente per determinare la verità di una persona che vive oggi e qui. Per conoscere la verità della Persona occorre la conoscenza della sua storia. E sulla conoscenza della storia che si applica la Scrittura. Senza possedere la verità storica di un uomo, la Scrittura rimane un libro ermetico, sigillato, mai applicabile ad una persona reale, che vive oggi, qui ed ora. La Scrittura è il metro che determina la verità o la falsità della persona, cioè della verità o della falsità che si conosce. Non volendo i Giudei conoscere Cristo Gesù secondo la verità della sua storia, si chiudono ogni possibilità di giudizio. Il loro giudizio su Cristo è falso perché non corredato dalla conoscenza, bensì dalla presunzione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, insegnaci la giusta via per la conoscenza della verità di Gesù Signore. Angeli e Santi di Dio liberateci da ogni falsità e menzogna.

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26/03/2012 08:28
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola

Una giovane donna, di uno sperduto villaggio di questo mondo, viene messa dinanzi ad un mistero eterno che deve compiersi nella sua vita. Lei dovrà essere la Madre del Figlio dell'Altissimo. Il Figlio di Dio dovrà prendere carne e sangue nel suo seno. Dovrà in Lei farsi uomo. Il Figlio di Dio in Lei si farà Figlio di Davide. Si compiranno in Lui tutte le profezie sul Messia del Signore. Chi rivela questo mistero è l'Angelo Gabriele, mandato da Dio per recare questo lieto annunzio.
La giovane donna dice semplicemente all'Angelo che Lei è vergine e che una vergine non può concepire. Lei non conosce uomo. L'Angelo le risponde che è proprio da Lei vergine che nascerà il Figlio di Dio. Sarà concepito non per mezzo di un uomo, bensì per opera dello Spirito Santo che scenderà sopra di Lei, avvolgendola con la potenza dell'Altissimo. Il mistero si fa ancora più fitto. Qui la mente si deve annullare. La ragione deve scomparire. C'è spazio solo per la fede o la non fede, per il sì o per il no, per accogliere le Parole dell'Angelo o per rifiutarle.
Quando il cuore è umile, semplice, puro, pieno di adorazione per il suo Dio, sempre il Signore viene in suo aiuto perché esso si apra alla fede. Nessuno potrà mai credere nella Parola di Dio senza il sostegno di Dio. Dio dona sempre il suo sostegno. Il cuore umile lo coglie e se ne serve. Il cuore altero lo rifiuta e si chiude nella sua incredulità. L'Angelo dice alla giovane donna che nulla è impossibile a Dio, dal momento che anche sua cugina, sterile e per di più avanzata negli anni, attende un bambino ed è ormai al sesto mese. Per l'onnipotenza di Dio è divenuta madre.
Che il cuore della giovane donna sia puro, semplice, umile, lo attesta il fatto che essa coglie perfettamente il segno di Dio e risponde con una fede senza alcuna incertezza: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola". Solo chi è umile può fare una tale professione di fede, consegnando l'intera vita al suo Dio e Signore. Solo chi ha il cuore puro riesce ad aprirsi a Dio nella sua Parola. Il cuore puro infatti vede Dio in ogni sua manifestazione naturale e soprannaturale. Per la Vergine Maria vale la beatitudine di Cristo Gesù: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". È questa la via della fede: la purezza del cuore, la semplicità dello spirito, la verginità dell'anima. Questa stessa verità canterà la giovane donna nel suo Magnificat: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote" (Lc 1,51-53). Senza umiltà, nella superbia ed arroganza, Dio resterà sempre lontano e la Parola della fede mai potrà attecchire.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci umili e puri di cuore.

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27/03/2012 08:24
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 8,24

Se non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati.
Gv 8,24


Come vivere questa Parola?

Quell' IO SONO è espressione altissima. Non significa certo (come in altri contesti) io esisto. O almeno trascende di molto questo significato. Attenzione! "Io sono" è il nome che Dio stesso rivela di sé a Mosè sull'Oreb quando gli parla dal roveto ardente.

Nell' Io sono pronunciato adesso da Gesù c'è il coincidere pienamente dell'essere con l'esistere che in un solo fiotto di vita sorgiva scaturisce da Colui che, pur avendo assunto la natura umana con tutto ciò che essa comporta, è persona divina.

In questo avvicinarsi alla settimana santa, tempo per eccellenza di salvezza là dove un credente vive ciò che crede, com'è importante lasciar risuonare in noi questa parola vertice di luce rispetto a Gesù.

Io sono può avere il predicato nominale, certo anche nei suoi riguardi.
Io sono la luce del mondo
Io sono l'unigenito del Padre
Io sono colui che ama di un amore eterno
Io sono la resurrezione e la vita.

Tutte denominazioni vere, altissime e rivelative. Ma quando Gesù dice di sé semplicemente Io sono, ci fa sfiorare la sua divinità, il suo mistero ineffabile che supera la nostra possibilità d'intendere e nello stesso tempo la esalta, chiamandola all'adorazione.

Signore Gesù, Verbo incarnato tra le umane tenebre del nostro peccato, Astro divino in cui la pienezza dell'essere coincide con la pienezza di un'esistenza integra e amante, illumina il nostro cammino, rendici capaci di vivere anche le umili realtà quotidiane nella gioia dell'adorazione.

La voce di un religioso e teologo 

Il carattere enigmatico dell' ego eimi non implica alcun dubbio, alcuna esitazione da parte di Gesù, della sua identità. Si deve riconoscere che... l'uso della formula implica un'audacia notevole.
Jean Galot

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28/03/2012 09:35
 
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padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 8, 31-42

La fede autentica non si riduce a un'adesione momentanea al Cristo, ma esige perseveranza e fedeltà con Gesù, Parola vivente del Padre. Il vero discepolo di Cristo si riconosce da questa permanenza continua e intima in Gesù. Solo allora si conosce la verità che libera da ogni schiavitù.

Si tratta di una conoscenza esistenziale e vitale, di una comunione intima con il Figlio di Dio. La conoscenza della verità non è dunque qualcosa di speculativo. La verità è Gesù in persona (cfr Gv 14,6). La verità, ossia Cristo stesso, in quanto manifestazione della vita divina, opererà la liberazione dell'uomo, come è chiarito in 8,36. Quindi la libertà piena si vive nella fede, credendo esistenzialmente in Gesù.

Le parole di Gesù provocano la reazione dei suoi interlocutori, offesi per le affermazioni sulla liberazione operata dalla verità. I giudei si proclamano persone libere e figli di Abramo. Essi protestano di non essere mai stati schiavi di nessuno. Per Gesù la libertà e la schiavitù sono di ordine morale, mentre i suoi interlocutori intendono questi termini in chiave politica.

Gesù parla della schiavitù e della libertà morale in relazione al peccato. Egli insegna che la vera schiavitù è quella di ordine religioso: è schiavo chi fa il peccato. In questi testi di Giovanni il peccato indica l'opzione fondamentale contro la luce, ossia l'incredulità. La frase "lo schiavo non rimane nella casa per sempre" contiene una velata minaccia di espulsione dei giudei dalla casa di Dio, dal regno e dall'amicizia con il Padre.

Nel v.35 il termine "figlio" è preso in senso generico, per essere applicato a tutti gli uomini; esso però è aperto al significato specifico divino, per indicare il Figlio unigenito del Padre. In realtà nel v.36 abbiamo questo passaggio. Qui si parla del Figlio liberatore. Gesù è il Logos incarnato, la verità personificata, che sola può liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato. Egli è il Figlio di Dio che rimane per sempre nella casa del Padre.

Dopo aver sviluppato la tematica della vera schiavitù e della vera libertà, Gesù contesta l'affermazione dei giudei di essere discendenza di Abramo e dimostra loro che sono figli di un altro padre.

E' un linguaggio misterioso che sarà chiarito nella scena successiva (v.44). Per discendenza naturale gli ebrei sono figli di Abramo, ma per l'animo e i comportamenti sono figli del diavolo. Tentando di uccidere Gesù fanno un'opera diabolica perché il diavolo è omicida fin dal principio.

I giudei, con la loro incredulità, rinnegano la loro origine da Abramo, uomo di grande fede. Il loro intento omicida si spiega con il rifiuto della rivelazione divina del Cristo: "La mia parola non penetra in voi".

L'opposizione tra Gesù e i giudei sta nell'influsso dei rispettivi padri. Il Logos incarnato rivela ciò che ha visto e continua a vedere nel Padre. I giudei rivelano ciò che ispira loro il demonio.

I giudei, con gli atteggiamenti pratici, rinnegano la loro discendenza da Abramo. Essi non solo non compiono le opere del patriarca, caratterizzate da una fede profonda in Dio e dall'adesione incondizionata alla sua parola (cfr Gen 12,1ss; 15,1-7), ma addirittura si oppongono all'inviato del Padre e cercano di ucciderlo. L'allusione finale di Gesù sulla vera paternità dei giudei suscita la loro protesta.

La fornicazione indica l'infedeltà idolatrica. I giudei quindi protestano la loro fedeltà all'alleanza mosaica e proclamano di non aver tradito il patto con Dio adorando altre divinità: "Abbiamo un solo padre, Dio". Questa espressione richiama l'inizio dello shemà: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo" (Dt 6,4). Nell'Antico Testamento Jahvè è presentato spesso come padre d'Israele.

Se i giudei avessero un solo padre, Dio, essi dovrebbero amare Gesù perché è stato mandato dal Padre. Gesù vuole dimostrare che i giudei non sono figli di Dio, perché non amano l'inviato di Dio che è uscito dal Padre.

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29/03/2012 07:51
 
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Movimento Apostolico - rito romano
In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono

Oggi Gesù riporta in modo definitivo l'umanità alle origini della loro storia, quando Adamo era nel giardino dell'Eden e il Signore gli indicò qual era la via della sua vita: l'ascolto della sua Parola, il non mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male che era nel centro del giardino: "Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai certamente dovrai morire»" (Gn 2,16-17).
All'uomo che vuole ritornare nella vita, che non vuole conoscere la morte, che vuole tenersi lontano da essa Gesù dice la stessa cosa: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno". Prima eravamo nella vita, per la disobbedienza alla Parola di Dio siamo passati nella morte. Ora per l'obbedienza alla Parola di Cristo Gesù possiamo passare tutti nella vita. Gesù Signore si proclama in tutto uguale a Dio. È uguale a Dio in tutto perché la sua Parola prende il posto di quella di Dio. Chi ascolta la Parola di Gesù non cambia però Dio, adora lo stesso Dio di Abramo, Giacobbe, Isacco, Mosè e tutti gli altri Profeti e Giusti dell'Antico testamento. Non cambia Dio perché il Dio di Abramo è il Padre di Cristo Gesù.
I Giudei non comprendono la verità che Gesù sta annunziando. Egli parla della morte dell'anima e di quella eterna. Loro comprendono come se Gesù parlasse della morte fisica. Sappiamo che per Gesù questa morte è un addormentarsi nel Signore. Essa non è la vera morte. La vera è quella eterna e prima ancora quella dell'anima. Per i Giudei, Gesù sta dicendo falsità, perché tutti sono morti: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, tutti i profeti e Giusti dell'Antico Testamento. Se la Parola di Dio Onnipotente non è riuscita a conservare in vita i loro padri, cosa potrà fare la parola di Gesù?
La Parola di Cristo Gesù non è Parola di Cristo Gesù. È Parola del Padre. Il Padre la dice per mezzo di Gesù Signore. Loro non conoscono il Padre. Gesù lo conosce. Loro non conoscono Abramo. Gesù lo conosce. Abramo vide il giorno di Gesù ed esultò. Esulto perché apprese tutta la verità della sua vita e della sua obbedienza al suo Dio e Signore. Abramo vide Gesù in vera visione profetica, con gli occhi del suo spirito. Lo vive perché Gesù è prima di Abramo, perché Dio e Dio gli ha fatto la grazia di vederlo nel mistero della sua incarnazione. È questo il significato della parola di Gesù: "In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". Sono io il Dio di Abramo. Abramo mi ha visto nella mia gloria. Con queste parole Gesù rivela ai Giudei la sua divinità, la sua eternità, la sua Signoria ed anche il mistero della sua incarnazione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a conoscere il mistero di Gesù in tutta la sua pienezza. Angeli e Santi, fateci rimanere nella sua Parola e avremo la vita

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30/03/2012 08:33
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 10,31-42

1) Preghiera 

Perdona, Signore, i nostri peccati,
e nella tua misericordia
spezza le catene che ci tengono prigionieri
a causa delle nostre colpe,
e guidaci alla libertà che Cristo ci ha conquistata.
Per il nostro Signore Gesù Cristo... 



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 10,31-42
In quel tempo, i Giudei portarono pietre per lapidare Gesù. Egli disse loro: "Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?"
Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio". Rispose loro Gesù: "Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre".
Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò. Molti andarono da lui e dicevano: "Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero". E in quel luogo molti credettero in lui.


3) Riflessione

? Siamo vicini alla Settimana Santa, in cui commemoriamo ed attualizziamo la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. Fin dalla quarta settimana di quaresima, i testi dei vangeli di ogni giorno sono tratti quasi esclusivamente dal Vangelo di Giovanni, due capitoli che sottolineano la tensione drammatica tra la rivelazione progressiva, da un lato, che Gesù fa del mistero del Padre che lo riempie completamente, e dall'altro la chiusura progressiva da parte dei giudei che diventano sempre più impenetrabili al messaggio di Gesù. L'aspetto tragico di questa chiusura è che viene fatta a nome della fedeltà a Dio. Loro rifiutano Gesù in nome di Dio.
? Questo modo che Giovanni ha di presentare il conflitto tra Gesù e le autorità religiose non è solo qualcosa che avviene nel lontano passato. E' anche uno specchio che rispecchia ciò che avviene oggi. In nome di Dio, alcune persone si trasformano in bombe ed uccidono altre persone. In nome di Dio noi membri delle tre religioni del Dio di Abramo, giudei, cristiani e mussulmani, ci condanniamo a vicenda, lottiamo tra di noi, lungo la storia. Tra di noi l'ecumenismo è difficile, e nello stesso tempo necessario. In nome di Dio sono stati commessi molti orrori e continuiamo a commetterli oggi giorno. La quaresima è un periodo importante per fermarsi e chiedersi: qual è l'immagine di Dio che abita nel mio essere?
? Giovanni 10,31-33: I giudei vogliono lapidare Gesù. I giudei preparano pietre per uccidere Gesù e Gesù domanda:"Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?" La risposta: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio." Vogliono uccidere Gesù perché bestemmia. La legge ordinava di lapidare queste persone.
? Giovanni 10,34-36: La Bibbia chiama tutti Figli di Dio. Loro vogliono uccidere Gesù perché si fa passare per Dio. Gesù risponde a nome della legge stessa di Dio: "Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?" 
? Stranamente Gesù dice: "la vostra legge". Avrebbe dovuto dire: "la nostra legge". Perché parla in questo modo? Qui traspare di nuovo la tragica divisione tra giudei e cristiani, fratelli, figli dello stesso padre Abramo, che diventarono nemici irriducibili fino al punto che i cristiani dicono "la vostra legge", come se non fosse la nostra legge.
? Giovanni 10,37-38: Credete almeno alle opere. Gesù parla di nuovo delle opere che compie e che sono la rivelazione del Padre. Se non compio le opere del Padre non dovete credere in me. Ma se le compio, anche se non credete a me, credete almeno alle opere affinché crediate che il Padre è in me ed io sono nel Padre. Le stesse parole che pronunciò nell'ultima Cena (Gv 14,10-11).
? Giovanni 10,39-42: Di nuovo lo vogliono uccidere, ma lui sfugge dalla loro mani. Non ci fu nessun segno di conversione. Loro continuano a dire che Gesù bestemmia ed insistono nell'ucciderlo. Non c'è futuro per Gesù. La sua morte è stata decisa, ma ancora non è giunta la sua ora. Gesù esce ed attraversa il Giordano dirigendosi verso il luogo dove Giovanni aveva battezzato. Indica così la continuità della sua missione con la missione di Giovanni. Aiutava la gente a rendersi conto della linea d'azione di Dio nella storia. La gente riconosce in Gesù colui che Giovanni aveva annunciato.


4) Per un confronto personale

? I giudei condannano Gesù in nome di Dio, in nome dell'immagine che hanno di Dio. Ho condannato qualche volta qualcuno in nome di Dio e poi ho scoperto che ero nell'errore?
? Gesù si dice "Figlio di Dio". Quando professo nel Credo che Gesù è il Figlio di Dio, qual è il contenuto che do a questa mia professione di fede? 



5) Preghiera finale

Ti amo, Signore, mia forza
Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.
Mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo;
mio scudo e baluardo, mia potente salvezza. 
(Sal 17)

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31/03/2012 08:04
 
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padre Lino Pedron


Questo brano illustra la reazione opposta al segno della risurrezione di Lazzaro: molti spettatori del miracolo credono in Gesù, i capi del popolo decretano la sua morte, ostinandosi nella loro cecità volontaria.
Gv 11,45-57 prepara la passione e la crocifissione del Cristo. Questo brano ha un profondo significato teologico. Non solo determina che Gesù deve morire, ma stabilisce anche lo scopo e l'effetto di questa morte: egli muore "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (v. 52).
Questo è uno dei pochi brani del vangelo di Giovanni che parla del valore salvifico della morte di Gesù.
Il prodigio della risurrezione di Lazzaro ha favorito la fede di molti giudei venuti da Maria. I segni operati da Gesù devono favorire la fede (cfr Gv 20,30-31). Bisogna credere nel Figlio di Dio almeno per i segni eccezionali da lui operati (cfr Gv 14,11). Tuttavia la fede profonda deve prescindere dal vedere, per cui Gesù proclama beati i discepoli che credono senza aver visto (cfr Gv 20,29).
Non tutti i giudei presenti a Betania hanno creduto, anzi alcuni andarono subito ad informare i sommi sacerdoti e i farisei i quali prendono occasione da questa notizia per radunare d'urgenza il consiglio supremo.
I sommi sacerdoti e i farisei mostrano la loro preoccupazione per il comportamento di Gesù e implicitamente riconoscono la loro impotenza dinanzi ai segni operati da lui. L'ammissione che Gesù compie molti prodigi non stimola i giudei a credere, ma al contrario li spinge a prendere misure repressive nei suoi confronti. La preoccupazione maggiore dei capi religiosi degli ebrei è di carattere politico: essi temono di perdere il potere.
Quando Giovanni scriveva il suo vangelo, la deportazione degli ebrei e la distruzione di Gerusalemme operata dai romani era un fatto compiuto. I capi del popolo che temevano dei disastri sociali a motivo della fede in Cristo, non previdero che questi mali sarebbero stati una conseguenza della loro incredulità, un castigo per aver rifiutati il loro Messia (cfr Lc 19,41-44).
Caifa nel suo intervento dichiara che è conveniente sacrificare un uomo per evitare la rovina dell'intera nazione. Per l'evangelista queste espressioni di Caifa acquistano un significato molto profondo. Gesù muore a favore dell'intera umanità, per donare la vita al mondo (cfr Gv 6,51), per salvare il gregge di Dio (cfr Gv 10,11.15), per santificare i discepoli nella verità (cfr Gv 17,19).
I figli di Dio sono i discepoli di Gesù, generati da Dio (cfr Gv 1,12-13). Il loro distintivo è la fede e l'amore. Questo popolo che è stato acquistato dal Signore (cfr 1Pt 1,19) è la Chiesa, la sposa santa e immacolata di Cristo (cfr Ef 5,25-27).
La morte di Cristo ha una finalità salvifica perché raduna in unità i dispersi figli di Dio. Il peccato è divisione, la salvezza è vita in unità con Dio e con i fratelli. La morte di Gesù realizza l'oracolo di Ezechiele 34,12-13 che prediceva la riunione delle pecore del Signore, radunandole da tutte le regioni nelle quali erano state disperse, per formare un solo gregge condotto da un solo pastore.
Dopo la decisione del sinedrio Gesù si ritira ai margini del deserto di Giuda. Questi avvenimenti si verificarono a pochi giorni dalla Pasqua. I giudei che abitavano in campagna salivano qualche giorno prima della solennità per purificarsi secondo le prescrizioni della legge, sottoponendosi ai riti di aspersione con il sangue degli agnelli (cfr 2Cr 30,15 ss). Questi pellegrini cercano Gesù. La loro ricerca era sincera. Questi pii campagnoli osanneranno Gesù in occasione del suo ingresso trionfale in Gerusalemme (cfr Gv 12,12).

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