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COMMENTO DELLA LETTERA AI FILIPPESI

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2018 18:43
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22/11/2011 12:02
 
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PARTE PRIMA

PREGHIERA DELL’APOSTOLO
PER LA COMUNITÀ
(1,3-11)

L’esordio di questa lettera è il più lungo di tutte le lettere di Paolo e si articola in tre punti:

1) La preghiera di ringraziamento per la comunità (1,3-6);

2) Assicurazioni personali (1,7-8);

3) Intercessione per la comunità (1,9-11).

La base di tutta l’introduzione è la preghiera. Solo in questa lettere la preghiera di ringraziamento e quella di intercessione vengono accuratamente distinte l’una dall’altra.

 

Preghiera di ringraziamento per il buono stato della comunità
(1,3-6).

3Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo di voi, 4pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, 5a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, 6e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.

v. 3. In questa lettera la preghiera di ringraziamento è particolarmente diffusa e questa circostanza fa pensare all’esistenza di ottimi rapporti tra l’apostolo e la comunità di Filippi. Nella lettera ai Galati, per es., si accentua fin dall’inizio una perturbazione e una crisi nel rapporto tra la comunità e il suo fondatore (Gal 1,6). Nella lettera ai Filippesi, Paolo si rivolge a Dio al singolare, ed è così sciolta la comunanza con Timoteo, sottolineata nell’indirizzo. L’accento personale della preghiera si esprime in quel "mio Dio" al quale è rivolta. I sentimenti dell’apostolo davanti a Dio sono colmi di riconoscenza al ricordo della comunità di Filippi: egli l’assicura infatti di ringraziare Dio ogni volta che la pensa.

v. 4. Questo versetto si presenta come una parentesi tra i vv. 3 e 5: Paolo prega con gioia per tutti loro. Risuona così per la prima volta l’accordo della gioia che determina i rapporti dell’apostolo con la comunità di Filippi. C’è una corrispondenza tra la preghiera di intercessione dell’apostolo per i Filippesi e la loro preghiera d’intercessione per l’apostolo prigioniero (1,19). Si deve dunque pensare che l’assicurazione della sua intercessione è collegata alla sua presente situazione di prigioniero.

v. 5. La pienezza di gratitudine che investe l’apostolo al pensiero della comunità di Filippi è motivata dalla "comunione con il vangelo" che essi hanno con lui. La comunione che lega una comunità cristiana con il vangelo è molteplice: in primo luogo essa è nata come comunità cristiana nel momento in cui ha ottenuto di partecipare al vangelo, così che il vangelo accettato per fede è la ragione della sua esistenza; in secondo luogo si esprime soprattutto in una diretta cooperazione all’annuncio del vangelo agli altri.

Questo impegno missionario dovette essere una caratteristica particolare della comunità di Filippi. Per lui prigioniero sarà stato una vera consolazione sapere che il vangelo continuava ad essere annunciato dai Filippesi, che si erano dedicati con impegno alla predicazione fin dal primo giorno.

v. 6. Il rendimento di grazie sfocia nella fiducia. Guardando all’inizio e agli sviluppi della comunità di Filippi. egli ha fiducia che la situazione resterà tale fino al "giorno di Cristo Gesù". Il buono stato della comunità è frutto della grazia divina. Dio ha iniziato un’opera eccellente nel momento in cui fece diventare i Filippesi una comunità vivente. "Il giorno di Cristo Gesù" è il giorno della rivelazione finale di Cristo (1Cor 1,7-8; 2Cor 1,14; ecc.). Insieme con la sua comunità Paolo sperò che questa fine fosse imminente.

 

Lo stretto legame tra Paolo e la comunità
(1,7-8)

7È giusto, del resto, che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del vangelo. 8Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù.

v. 7. La preghiera di ringraziamento è conclusa. Paolo assicura la comunità che le sue espressioni precedenti sono sincere e riafferma il suo costante ricordo, la sua gioia, la sua fiducia. Sono i sentimenti del padre spirituale della comunità che erompono al ricordo di una creatura particolarmente amata. Il motivo del suo comportamento affettuoso è l’amore: "perché vi ho nel cuore". Il cuore, nella Bibbia, è il centro della vita interiore, spirituale, e quindi l’ "io". Paolo parla della sua grazia che non consiste solo nella sua vocazione apostolica, ma soprattutto nella sua sofferenza attuale: egli soffre per il vangelo. La sua prigionia può servire così alla difesa e al consolidamento del vangelo.

v. 8. Ciò che muove l’apostolo è certamente un amore di tipo personale, ma questo amore è elevato a un piano superiore perché è l’amore di Cristo Gesù, reso concreto nell’amore dell’apostolo. L’amore umano è purificato nell’amore di Cristo. E questo amore cristiano non è esclusivo privilegio dell’apostolo, ma si fonda nella comunione con Cristo alla quale ogni credente ha pieno accesso.

 

L’intercessione
(1,9-11)

9E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, 10perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

vv. 9-10. A questo punto diventa esplicito il contenuto della preghiera per la comunità. Il primo desiderio espresso nella preghiera per la comunità riguarda un amore sempre più abbondante: la vita cristiana deve essere sempre in crescita; se non progredisce avvizzisce. L’agàpe, l’amore è un dono dello Spirito (Rm 5,5) e va quindi chiesta nella preghiera. Questo amore divino deve prendere forma nei rapporti all’interno della comunità e con tutti gli uomini. Ciò che Paolo vuole insegnare alla comunità è che essa non deve sprecare sprovvedutamente l’amore operante in essa, ma deve realizzarlo in azioni degne e sensate: "in conoscenza e pienezza di discernimento".

Il fine è l’attuazione delle "cose che è opportuno fare". Appare qui chiaramente la differenza tra la dottrina ellenistica e giudaica sull’agire morale. Nella comunità cristiana i principi fondamentali sono determinati dall’agàpe e da questa viene dedotto l’agire.

La filosofia morale ellenistica procede in senso inverso; parte dalla situazione e cerca di stabilire ciò che è di volta in volta la cosa migliore. Per l’ebreo il punto di partenza è la legge, in base alla quale egli conosce la volontà di Dio e decide le cose da fare. "Puri e irreprensibili". Il loro comportamento deve brillare alla luce del sole come l’oro puro.

v. 11. "Puri e irreprensibili" ha qui il riscontro in "ripieni del frutto di giustizia": il frutto che consiste nella giustizia, che ci viene per mezzo di Gesù Cristo.

È il frutto dello Spirito Santo come è spiegato in Gal 5,22: "il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace pazienza, dominio di sé". "Ripieni del frutto di giustizia..." equivale alla santificazione divenuta possibile nella comunione con Cristo. Il senso della dossologia finale "a gloria e lode di Dio" significa che lo scopo ultimo della vita cristiana è Dio; essa consiste nel glorificarlo e lodarlo.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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