È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

COMMENTO DELLA LETTERA AI ROMANI

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2011 11:41
Autore
Stampa | Notifica email    
22/11/2011 11:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

 3) Abramo padre di tutti noi nella fede (4,1-25).

1Che diremo dunque di Abramo, nostro antenato secondo la carne? 2Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. 3Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. 4A chi lavora, il salario non viene calcolato come un dono, ma come debito; 5a chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. 6Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:
7Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
8beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto
il peccato!
9Orbene, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. 10Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima. 11Infatti egli ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando non era ancora circonciso; questo perché fosse padre di tutti i non circoncisi che credono e perché anche a loro venisse accreditata la giustizia 12e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo hanno la circoncisione, ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.
13Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede; 14poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa. 15La legge infatti provoca l’ira; al contrario, dove non c’è legge, non c’è nemmeno trasgressione. 16Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi. 17Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli; [è nostro padre] davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono.
18Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. 19Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. 20Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, 21pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. 22Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.
23E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, 24ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, 25il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

Questo brano è un’ampia dimostrazione scritturistica delle considerazioni di 3,21-31. La giustizia mediante la fede e la giustizia di Dio non sono novità assolute: esse si trovano già nell’AT.

Abramo deve essere ritenuto padre di tutti i credenti, siano essi pagani o giudei. La circoncisione è soltanto il sigillo della sua giustizia ottenuta per fede, non il presupposto di essa; la promessa fu rivolta ad Abramo non perché avesse compiuto le opere della legge, ma perché aveva ottenuto la giustizia nella fede. Abramo è tipo di ogni credente.

Vv. 1 - 2 - Se Abramo fosse stato giustificato per le opere, avrebbe qualche motivo di vanto, ma non davanti a Dio. L’enunciato del v.2 è rivolto contro una certa interpretazione giudaica di Abramo, quale si rispecchia in alcuni testi apocalittici e rabbinici. A tutto ciò Paolo risponde che Abramo non trovò affatto benevolenza presso Dio a motivo delle sue opere. Questo gli avrebbe procurato soltanto gloria tra gli uomini.

V. 3 - Come si debba effettivamente intendere la giustizia di Abramo risulta dalla Scrittura. Qui viene citato quasi alla lettera Gen 15,3 LXX. Abramo, posto di fronte alle parole di Dio, le accolse con spirito di obbedienza, si affidò alla sua promessa e proprio per questo risultò nel giudizio di Dio come l’uomo che accetta quanto Dio ha stabilito per entrare in comunione con lui, ossia l’alleanza e i comandamenti, e in questo senso è giusto.

Vv. 4 - 5 - L’immagine del v.4 è questa: a colui che lavora la mercede viene pagata per dovere e non concessa come dono. Nel v.5 Paolo abbandona il discorso figurato e passa all’opposizione reale tra fede e opere della legge. Chi non esegue opere, ma ha la fede non approda a una ricompensa, ma ad essere giusto. L’empietà dell’uomo viene rimossa dalla giustizia di Dio con un atto di grazia assoluta.

La seconda citazione (Sal 32,1-2) pone in risalto che la giustificazione dell’empio comprende in sé il perdono dei peccati. La fede computata come giustizia indipendentemente dalle opere della legge indica nei confronti dell’empio il perdono dei peccati.

Vv. 6 - 8 - Giustificare l’empio vuol dire fargli sperimentare, per pura grazia, quella fedeltà di Dio al patto che si è pubblicamente manifestata con l’espiazione compiuta da Gesù Cristo, e che, nel concreto, significa la remissione dei peccati. Paolo afferma che proprio a una fede così intesa si riferiscono le parole di Gen 15,6: Abramo ebbe fede in Dio e che le parole e ciò gli fu computato a giustizia riguardano appunto la giustificazione per grazia, ossia la remissione dei peccati. Perciò Abramo non ha alcun vanto di fronte a Dio. Tutto il vanto spetta a Dio, perché tutto procede dalla grazia di Dio.

Vv. 9 - 17a - Paolo interpreta il Sal 31,1-2 alla luce di Gen 15,6. Secondo il pensiero della sinagoga questa beatitudine del salmo valeva soltanto per Israele: Egli perdona soltanto Israele. Quando Davide vide come Dio perdona i peccati degli Israeliti e usa loro misericordia, prese a dichiararli tutti beati e a magnificarli: "Beato colui al quale sono state rimesse le colpe..." (Pesiqta R. 45 |185b|).

Secondo Paolo invece il tutto è detto di Abramo, quando era ancora pagano non circonciso. Questa risposta concorda col racconto dell’AT, che la sinagoga interpretava nel senso che la circoncisione di Abramo, secondo Gen 17,10-11 sarebbe avvenuta 29 anni dopo la stipulazione dell’alleanza (Gen 15,10). È chiaro quindi che Abramo ricevette la giustizia per fede quando era ancora un pagano incirconciso. Dunque la giustificazione di Abramo non può essere avvenuta per effetto della circoncisione. Perciò Abramo di cui si dice che credette e fu giustificato non può essere padre solo d’Israele, ma anche dei pagani. Di conseguenza la circoncisione fu il sigillo della giustizia ottenuta per fede nello stato di incirconcisione. Qui è ripetuto chiaramente ciò che dice Gen 17,11: che la circoncisione è un segno: Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. La giustizia per fede non ha quindi il suo fondamento nella circoncisione, ma soltanto viene confermata o convalidata dal segno della circoncisione. Quali sono le conseguenze di quanto viene detto nel v.11a? Che per effetto della giustizia conseguita da Abramo con la fede e non con la circoncisione, egli è divenuto padre anche di tutti i pagani credenti che non sono circoncisi (gli etnico-cristiani) e così anche a costoro viene comunicata la giustizia di Dio. Abramo è padre anche dei circoncisi, purché questi non abbiano solo la circoncisione, ma, come Abramo, anche la fede.

Paolo dice che Abramo è padre dei giudei che hanno la fede in Cristo, ossia dei giudei cristiani, e non dei giudei che vivono confidando soltanto nella circoncisione. Quel che Abramo ricevette da Dio, fu accordato alla sua fede, e quel che egli fece, fu prescritto dalla sua fede. In tal modo egli divenne modello e guida dei suoi figli, i quali diventano tali in quanto si collocano nella schiera dei credenti (Schlatter).

Paolo ha quindi dimostrato che Abramo fu giustificato per la fede e non per la circoncisione, perché la circoncisione fu in realtà preceduta dalla fede e dalla giustificazione del patriarca. Nei versetti che seguono (Vv.13-17a) viene spiegato che neppure la legge è il fondamento della giustificazione. La legge non aveva avuto parte alcuna in quella promessa nella cui accettazione consiste la fede di Abramo.

La promessa rivolta ad Abramo consiste, secondo l’AT:

1. nella promessa di Dio che Sara avrebbe avuto un figlio (Gen 15,4; 17,16.19);

2. nella promessa della presa di possesso di Canaan (Gen 12,1.4; 13,14.15.17; 15,7.18-21; 17,8);

3. nella promessa di una discendenza innumerevole (Gen 12,12; 13,16; 15,1 ss; 17,5-6; 18,18; 22,17);

4. nella promessa di benedizione per tutti i popoli della terra (Gen 12,2-3; 18,18; 22,18). Questa promessa è rivolta, secondo Paolo, ad Abramo e alla sua discendenza, ai suoi figli nella fede, agli eredi nella fede (v.14).

Se le prestazioni offerte dall’uomo che confida in se stesso, e obbedisce così alla legge, fossero determinati per l’evento del futuro escatologico, non solo la via della fede sarebbe un’illusione, ma la stessa promessa risulterebbe fallita. Vi sarebbe allora, stando al v.15, soltanto il giudizio dell’ira di Dio, poiché la legge provoca la trasgressione. Questa affermazione si chiarisce meglio se si tiene conto di Rm 7,9ss. La legge provoca il giudizio dell’ira di Dio.

Perché? Perché l’esistenza umana è in balìa del peccato appunto per effetto della legge delle sue richieste, in quanto tali richieste vengono assolte in forma autonoma e autosufficiente.

In ragione della sua visione univeralistica Paolo riafferma di continuo l’idea che giudei e pagani sono compresi nella salvezza. E proprio perché la salvezza è universale, la fede è l’unica via per raggiungerla. A conferma che Abramo è padre di tutti i credenti, non solo dei giudei-cristiani ma anche dei convertiti dal paganesimo, viene citato ancora un testo della Scrittura, Gen 17,5 LXX: Io ti ho costituito padre di molti popoli.

V. 17b - La fede di Abramo si rivolgeva e aderiva al Dio che risveglia dalla morte alla vita e chiama dal non essere all’essere. Essa confida nell’onnipotente Dio creatore e redentore, il cui divino operare non può essere intralciato né dalla morte né dal nulla. Dio agisce continuamente con sconfinata potenza nel presente.

V. 18 - La caratteristica della fede di Abramo è brevemente delineata con una parafrasi di Gen 15,6 e dopo viene illustrata più diffusamente. Abramo credette contro ogni speranza nel senso che nessuna realtà terrena poteva suscitare la sua speranza. Vi era soltanto la promessa di Dio. Ma proprio questo risvegliò la speranza credente di Abramo, per cui egli credette contro ogni speranza umana, sperando solo nella potenza di Dio. La fede di Abramo è dunque speranza e poggia sulla speranza che la parola di Dio destò in lui che per la condizione terrena non aveva più alcun motivo di speranza. E proprio grazie a questa fede egli divenne, secondo la Scrittura (Gen 17,5), padre di molti popoli.

V. 19 - La fede di Abramo si qualifica per aver accettato, contro ogni dato visibile e stimabile, la promessa di Dio, semplice parola di fronte a dei fatti. I fatti erano il suo corpo incapace di generare e il grembo di Sara ormai infecondo.

V. 20 - Abramo non ebbe dubbi e incertezze; la sua fede nella veracità della promessa di Dio era e rimase semplice e schietta. Egli si attenne alla promessa di Dio e non diede ascolto alla sconsolata realtà dei fatti. In virtù della fede Abramo si libera da tutto e ascolta soltanto Dio, dando così a lui la sua gloria.

V. 21 - Abramo ebbe fede perché era pienamente convinto che Dio può fare quello che ha promesso.

In sintesi dunque la fede di Abramo è:

1. fede nella promessa di Dio, manifestata nelle sue parole;

2. fede nel Dio che fa vivere i morti e che, con la sua parola, chiama all’esistenza ciò che non esiste;

3. fede accompagnata da una speranza schiettissima, che non sorvola sulla realtà di questo mondo, ma la considera con occhio disincantato, senza lasciarsi però indurre da essa a mettere in dubbio la parola di Dio;

4. la fede di Abramo è quindi una fede collaudata e rafforzata dalla tentazione;

5. è fede persuasa che Dio è abbastanza potente da mantenere la sua parola;

6. è una fede che equivale a un rendere gloria a Dio (v.20).

Vv. 22 - 25 - Dopo aver spiegato la fede di Abramo, Paolo mette in chiaro il rapporto tra la fede di Abramo e la fede di noi cristiani. In effetti, come Paolo dirà più avanti, la Scrittura parla fondamentalmente per noi (Rm 15,4; 1Cor 9,8ss; 10,11) che viviamo nell’epoca finale, nell’epoca del compimento e del disvelamento, per noi che abbiamo il vangelo escatologico.

Anche noi siamo credenti come Abramo; anche noi crediamo al Dio che fa vivere i morti (v.17). Ma noi crediamo a questo Dio che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti. Nella nostra fede questa vittoria di Dio sulla morte assume concretezza e compimento nella risurrezione di Gesù dai morti. Egli fu consegnato alla morte per i peccati da noi commessi (Is 53); e fu risuscitato per la nostra giustificazione. Alla fede generica di Abramo nel Dio che risuscita i morti si è ora sostituita la nostra fede, la quale ha fatto esperienza di questo Dio nella risurrezione dai morti del Signore nostro Gesù Cristo. Il Dio in cui crediamo ha già mostrato in Gesù Cristo l’onnipotenza della sua grazia e della sua giustizia.

 

II°
I DONI DI GRAZIA DELLA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE
(5,1-8,39)

Con 5,1 comincia una parte nuova che è in un certo senso la più importante di tutta la lettera e che giunge fino a 8,39. Essa ha i suoi presupposti in 1,18-3,20 e soprattutto in 3,21-4,25. Nel mondo dei pagani che respingono Dio e dei giudei che mirano alle opere e si ritengono giusti per merito loro, Dio ha manifestato ed eseguito nella persona espiatrice di Gesù Cristo la sua giustizia, ossia la sua azione salvifica, di modo che noi, al pari di Abramo, diventiamo giusti non per le opere della legge, ma per la fede. Rispetto a ciò i cap. 5-8 hanno il compito di sviluppare questo annuncio della giustificazione per fede procurata dall’opera salvifica di Gesù Cristo e di svilupparlo sotto un aspetto ben determinato, spiegando tutto ciò che è implicito nell’essere giustificati per fede, elencando i doni che esso comporta.

1) La speranza di coloro che sono giustificati per fede (5,1-11)

1Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; 2per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. 3E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata 4e la virtù provata la speranza. 5La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
6Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. 7Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. 10Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione.

V. 1 - Paolo afferma che noi siamo stati giustificati per la fede.

Usando l’aoristo passivo egli si riferisce a qualcosa che è già avvenuto a noi e che ci contraddistingue in quanto cristiani. In 5,1 si allude evidentemente a un momento preciso della vita dei cristiani che appartiene al passato: si tratta del battesimo. Dalla data del battesimo si può dire che i cristiani sono giustificati per fede. Per Paolo il battesimo è il sacramento della fede perché esige la fede e conduce alla fede, e perché esso avvia il battezzato all’esistenza di fede. Nella fede postbattesimale si mantiene la giustificazione ricevuta per la fede e nella fede nel battesimo, e così il credente, giustificato una volta nel battesimo, riceve continuamente una nuova giustificazione. Ma in concreto che cosa ne è venuto a noi che siamo stati giustificati per la fede? Anzitutto abbiamo pace in rapporto con Dio. Questa pace si è instaurata quando noi nemici di Dio fummo riconciliati con Dio da Gesù Cristo. La pace non è dunque lo stato di equilibrio dell’animo e neppure una disposizione del nostro vivere. Pace non indica neppure primariamente il nostro comportamento pacifico. La pace è in primo luogo la pace di Dio intesa come lo stato di pace che ci sorregge e del quale siamo divenuti partecipi in quanto giustificati per la fede. Questa pace con Dio ci è data in continuità dal nostro rapporto con il nostro Signore Gesù Cristo.

Noi abbiamo la nostra salvezza non solo dall’unico e irripetibile evento della morte e risurrezione di Gesù Cristo celebrato nel battesimo, ma anche da una continua e perdurante azione di Gesù risorto e glorificato presente e operante nel suo Spirito.

Vv. 2 - 3 - Per mezzo di Cristo si è dischiusa e fatta accessibile la grazia in cui ci troviamo. La pace di cui si è parlato al v.1 ora viene considerata sotto un altro aspetto: è una pura grazia, una immeritata propensione di Dio verso di noi. La grazia è l’opera compiuta da Dio in Gesù Cristo la quale ci avvolge nel suo abbraccio.

Noi non soltanto ci troviamo in pace con Dio e investiti della sua grazia, ma ci gloriamo per la potenza della gloria di Dio. Per Paolo il gloriarsi è una fiducia profonda nella quale l’uomo si immerge gioiosamente e che si manifesta nella professione solenne e nella lode. Il gloriarsi è il condensato della fiducia. C’è un gloriarsi autonomo, il gloriarsi di sé che si potrebbe chiamare autoedificazione o gonfiarsi (cf 1Cor 3,21) e c’è un gloriarsi in Dio o in Gesù Cristo (Fil 3,3; 1Cor 1,31; 2Cor 10,17; Rm 2,17; 5,11) che effettivamente edifica, che costruisce l’esistenza, e che è l’agàpe. Per questo Paolo può dire: la carità non si gonfia (1Cor 13,4) e la carità edifica (1Cor 8,1). L’amore edifica perché in esso l’uomo respinge la tendenza ad autoedificarsi con le proprie qualità (con le proprie opere, con i riconoscimenti che riceve) e nell’amore del prossimo e di Dio rigetta la propria individualità egoistica. Ma gloriarsi rappresenta anche in un certo senso un modo di stabilire e di rafforzare la fiducia, come risulta chiaramente da Rm 2,17 e 2,23a. Quando un uomo trae il suo vanto dalla legge (o dalle opere della legge) egli, davanti a se stesso o davanti agli altri, si appoggia o si affida alla legge, la quale viene dunque ad essere il suo fondamento. Vantarsi è avere una fiducia radicale. Quando invece l’uomo si vanta di Dio e del Signore Gesù Cristo (1Cor 1,31; 2Cor 10,17; Fil 3,3, ecc.) allora al gloriarsi si lega il movimento della gioia e del giubilo. In questo caso il vantarsi assume il senso di un riconoscimento gioioso. Il vanto diviene un’attestazione di ringraziamento e di lode (Dt 33,29; Sal 88,17-18; Ger 17,14; ecc.).

Anche qui in 5,2 ci gloriamo va inteso in questo significato fondamentale di profonda fiducia, a cui si accompagna un’edificazione della vita e che prorompe in una giubilante sicurezza. L’oggetto e il fondamento di questo gloriarsi è posto nella speranza della gloria di Dio. E forse si può cogliere un nesso tra le due proposizioni abbiamo pace con Dio e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio nel senso che la pace con Dio che noi abbiamo in quanto giustificati per la fede, è la pace di coloro che vivono nella gloria di Dio presente e futura, e che si protendono verso di essa. Nello stato di grazia proprio di colui che è giustificato per fede, avere pace con Dio è anche avere speranza nel futuro nel quale irrompe il regno di Dio. È una pace che trascende ogni intelligenza (Fil 4,7) e che quindi non può essere compresa e sperimentata fuori di Cristo, fuori dell’ambito della fede. L’esistenza cristiana è una vita vissuta nella speranza (Rm 8,24; 12,12; 15,13). Anche le tribolazioni, che in definitiva servono a rafforzare la speranza, sono motivo di vanto perché da esse ricaviamo l’edificazione della nostra vita. Infatti in un tale vanto che paradossalmente intende la sciagura come salvezza e il tramonto della vita come inizio della vera vita, si dimostra la fiducia sconfinata e si corrobora la speranza.

Un buon commento all’affermazione di Rm 5,3: ci gloriamo anche delle tribolazioni è costituito da 2Cor 4,16-18: Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.

Coloro che sono giustificati per la fede e quindi vivono in pace con Dio, si trovano in uno stato di grazia e sono pieni di speranza nella gloria futura, sanno per esperienza che la tribolazione - intesa alla luce della fede e della speranza - produce la perseveranza (o pazienza). La speranza si manifesta nella pazienza.

V. 4 - Questa pazienza che è frutto della speranza, a sua volta produce una virtù collaudata. Da questa certezza di aver dato buona prova di sé nasce una nuova speranza. Coloro che sono giustificati per la fede possono anche vantarsi delle tribolazioni e trarne l’edificazione della loro vita.

V. 5 - La speranza non inganna, non conduce alla vergogna, perché lo Spirito Santo ha riversato l’amore di Dio nei nostri cuori. L’amore di cui si parla è quello che il Padre in Gesù Cristo, mediante lo Spirito Santo, nutre per noi. Tale amore afferra l’uomo nell’intimità più profonda dell’essere, là dove soltanto Dio può giungere e vedere, là dove i pensieri dell’uomo storico e le sue decisioni effettive sovente cozzano con le sue conoscenze e rappresentazioni oggettive. In questo centro dell’esistenza umana è penetrato, mediante lo Spirito, l’amore di Dio, che ora lo regola e lo muove. L’uomo giustificato per fede è afferrato e posseduto nel fondo della sua persona dall’amore di Dio tramite lo Spirito, perciò la speranza nella quale egli conduce la propria vita, che si ravviva anche e soprattutto nelle tribolazioni, è una speranza concreta ed infallibile. I Vv.6-11 ci spiegheranno di che amore di Dio si sta parlando. È il meraviglioso amore di Dio in Gesù Cristo morto per i nemici di Dio, l’amore che dischiuderà il futuro della salvezza ai giustificati e ai riconciliati.

Vv. 6 - 7 - Le argomentazioni di questi versetti servono solo a preparare l’enunciato vero e proprio, che si trova nel v.8. Cristo è morto per amore e a vantaggio dei deboli, dei peccatori, dei ribelli a Dio. Ciò è singolare, anzi sconcertante, poiché a stento si può trovare uno disposto a morire al posto di un uomo giusto. Cristo invece è morto per i peccatori e gli empi. Con i nostri criteri umani non è possibile darne una spiegazione: quella morte appare assurda.

V. 8 - Questo verso chiarisce meglio l’amore di Dio menzionato al v.5. Il costante amore di Dio per noi è l’amore attestato dall’evento della morte di Cristo per noi peccatori.

Vv. 9 - 10 - Coloro che sono giustificati per fede - nel sangue di Gesù Cristo - ora davvero saranno salvati dal giudizio dell’ira di Dio, e ora davvero coloro che sono riconciliati con Dio tramite la morte di Gesù Cristo verranno salvati grazie alla vita di Gesù Cristo risorto dai morti. Cristo è l’irrevocabile per noi di Dio (cf. 8,21-39).

V. 11 - Non ci vantiamo soltanto per tutto ciò che abbiamo detto su Gesù Cristo e sull’amore di Dio, che sono la garanzia della nostra futura salvezza, ma ci gloriamo anche di Dio stesso per mezzo di Gesù Cristo, il quale nella sua condizione di Risorto, concede a noi la riconciliazione e in virtù del quale edifichiamo con vanto la nostra vita nella speranza della sua gloria.

 2) Adamo e Cristo (5,12-21).

12Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. 13Fino alla legge infatti c’era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la legge, 14la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
15Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. 16E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. 17Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
18Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. 19Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
20La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, 21perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

L’apostolo prende ora in considerazione la storia dell’umanità nel suo complesso, quella storia che ogni singolo uomo trova davanti a sé come una realtà data, ma che anche contribuisce a fare. Questa storia dell’umanità reca l’impronta per un verso di Adamo e per l’altro di Cristo, di ciò che l’uno e l’altro hanno significato e hanno compiuto. Ogni uomo reca in sé, sia pure in modi diversi, il segno di questa origine.

Il discorso di Paolo procede faticosamente, perdendosi talvolta e riavviando poi il discorso.

V. 12 - Adamo è menzionato come un solo uomo (Vv.12.15.16. 17.18.19) per indicare che non è un qualsiasi individuo umano, ma in certo modo l’uomo primordiale che lascia la sua impronta decisiva e fatale su tutti gli uomini che vengono dopo di lui e rappresenta quindi il loro intrinseco destino. In che modo tramite lui il peccato sia entrato nel mondo qui non è detto. Ma al v.14 si parla della sua trasgressione, nei Vv.15.17 e 18 della sua colpa e della sua caduta, al v.19 della sua disobbedienza e al v.16 del suo peccato. Attraverso la trasgressione, la colpa e la disobbedienza di Adamo, dell’unico uomo, è entrato nel mondo il regime del peccato che ora vige nell’umanità e che la signoreggia in ciascuno dei suoi membri. E attraverso il regime del peccato, che trae origine dall’azione peccaminosa di Adamo, è di pari passo entrata nel mondo la morte o, meglio, il regime della morte, della morte come potenza cosmica (Rm 5,14.17; 7,5; 8,38-39; 1Cor 15,21.22.26; 1Cor 15,24; 2Cor 4,12; 1Cor 3,22; ecc.).

E questo regime della morte non si concreta soltanto nelle varie forme di distruzione fisica, psichica e spirituale; la morte è la manifestazione del giudizio di Dio, della sua ira, della sua condanna. È la morte intesa come la rovina e la distruzione che promanano dall’ira di Dio (Rm 9,22; Fil 1,28; 3,19; Rm 2,12; 1Cor 1,18; 8,11; 15,18; 2Cor 2,15; 4,9). Poiché in dipendenza da Adamo ogni uomo pecca, ogni uomo deve anche morire; ma poiché la morte è un effetto dell’ira di Dio, essa viene a cessare quando non ha più corso l’ira di Dio. Quindi la morte a cui tutti siamo sottoposti è in parte un’eredità di Adamo e in parte colpa nostra, in quanto col nostro modo di agire provochiamo l’ira di Dio. Non è questo l’unico testo in cui Paolo istituisce una connessione molto stretta fra peccato e morte. Non solo il peccato reca con sé la morte come sua punizione (Rm 1,32) o ricompensa (Rm 6,23), ma anche la carne dominata dal peccato anela, aspira (fronèi = medita, pensa) alla morte (Rm 8,6), ha una brama perversa di morte. La morte è il tèlos (il destino, il punto di arrivo) del peccato (Rm 6,21), è ciò a cui esso tende. Il peccato fa il gioco della morte (Rm 7,5). Esso stimola la morte come pungiglione (1Cor 15,56). Il peccato - e questa è forse la formulazione più comprensiva e pregnante - regna nella morte (Rm 5,21). In altre parole: la morte è la forma e il modo in cui il peccato esercita il suo dominio. Il regime del peccato, che attira sull’umanità il regime della morte, esercita di fatto il suo potere appunto in questo regime di morte.

E la potenza della morte è penetrata nel mondo in modo da dominare senza eccezione tutti gli uomini perché tutti gli uomini hanno peccato. La morte è un effetto e una manifestazione della potenza del peccato entrata nel mondo con il peccato di Adamo: tutti muoiono in Adamo (1Cor 15,22).

L’ingresso nel mondo del regime del peccato (insieme con la sua potenza di morte) viene motivato da Paolo in due modi:

1. per causa di Adamo e della sua disobbedienza (5,12a), e

2. in quanto tutti gli uomini hanno peccato (5,12d).

Il senso del v.12 risulta allora così: Come attraverso un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e attraverso il peccato la morte e così la morte si è estesa a tutti gli uomini perché tutti hanno peccato... Dopo Adamo i singoli individui hanno fatto una scelta personale a favore del peccato. Ma il peccato dei singoli non è una pura fatalità. L’esistenza di ogni uomo ha le sue radici nel passato (in definitiva in Adamo) e si manifesta negli atteggiamenti e nelle scelte libere del presente.

Vv. 13 - 14 - In questi versi Paolo svolge un’idea complementare ma necessaria. Essi ribadiscono l’enunciato del v.12 e ne difendono la giustezza contro una possibile obiezione che potremmo esprimere in questi termini: come può essere che attraverso un solo uomo (Adamo) il peccato e la morte siano entrati nel mondo e vi siano entrati in modo che questo peccato e questa morte passino in atto nei peccati concreti e nelle morti concrete dei singoli uomini? Com’è possibile, se è vero che da Adamo fino a Mosè non vi era legge, parlare di peccato se di peccato si può parlare solo quando vi sia una legge (cf 4,15)? Soltanto in 7,7-25 questo rapporto legge-peccato sarà trattato come tema specifico; qui è trattato brevemente e poi subito lasciato cadere. Per intanto Paolo risponde: Anche prima di Mosè c’era il peccato, ma non c’era ancora il peccato riconosciuto e qualificato dalla legge. Questa affermazione viene confermata dal v.14. La morte ha esercitato il suo dominio anche su coloro che, a differenza di Adamo, non hanno peccato nel senso di trasgredire una legge. Infatti anche il peccato non messo in conto è pur sempre peccato, e il peccato sprigiona sempre la morte. La morte ha regnato in tutti i tempi perché il peccato ha regnato in tutti i tempi. La morte ha regnato anche su coloro che non avevano prevaricato alla stessa maniera di Adamo, ossia trasgredendo un comando espresso. Adamo peccò violando un comandamento, commettendo una precisa trasgressione, mentre gli uomini dopo di lui, fino a Mosè, non agirono in maniera analoga. Eppure anch’essi peccarono e perciò anche su di loro regnò la morte entrata nel mondo a causa del peccato di Adamo. Il peccato e la morte sono, nel mondo prima di Cristo, fenomeni onnicomprensivi. Poiché essi provengono da Adamo e quindi da un solo uomo, questo uno è il tipo di un altro che qui viene chiamato colui che deve venire e che porta giustizia e vita per tutti coloro che si affidano a lui. Il vocabolo tupos significa figura, modello, esempio. Adamo è il tupos di Cristo; nella sua persona, per quanto essa significa nella storia della salvezza, è il prototipo che rimanda a Cristo come a suo antitipo. L’inizio del dominio universale del peccato e della morte in Adamo rimanda alla fine di tale dominio nell’Adamo escatologico, nel Cristo. I beni recati dall’Adamo che doveva venire, Cristo, sono incomparabilmente superiori rispetto alla rovina procurata agli uomini dal primo Adamo. L’Adamo-Cristo non rappresenta solo la compensazione del primo Adamo, e di ciò che questi ha prodotto, ma è molto di più, ha una superiorità non paragonabile con quella del primo Adamo, una superiorità infinita.

Vv. 15 - 17 - Paolo ci presenta queste verità: l’incomparabile superiorità del dono di grazia recato da Gesù Cristo per tutti (v.15), il carattere impareggiabile dell’evento di grazia che si compie per opera di uno e investe tutti (v.16), la grandezza senza paragone del dono di grazia e del destino di grazia per i credenti (v.17).

Posto che Adamo è figura di Cristo, ciò non significa un’equivalenza tra il suo passo falso (peccato) e il dono divino di grazia; al contrario, l’agire di Dio comporta sempre un sovrappiù, e il suo dono di grazia impersonato nell’unico uomo Gesù Cristo, è giunto in misura sovrabbondante a tutti. In questo caso oi pollòi, secondo l’uso ebraico (Dt 12,13; Is 56,6.11.12) significa tutti (harrabìm = i molti che non si possono calcolare).

Secondo la convinzione di Paolo, non è più possibile fraintendere il dono di Dio in Gesù Cristo come se fosse soltanto la compensazione di un errore o il bilanciamento del male che da Adamo in poi regna nel mondo. La grazia di Dio è essenzialmente sovrabbondanza, pienezza, una realtà inaudita e inesauribile.

Vv. 18 - 19 - Ciò di cui ora gli uomini possono e devono vivere è la vita offerta da Gesù Cristo e già attuata nella sua donazione per noi, quella vita che ci viene concessa dalla grazia di Dio. Dopo questa svolta, avvenuta nella storia, dal regime del peccato e della morte in Adamo al regime della sovrabbondante grazia e potenza di vita in Gesù Cristo, bisogna puntare sulla salvezza che si è manifestata in Gesù Cristo e che impronta di sé tutto il presente e tutto il futuro.

Vv. 20 - 21 - La menzione della legge nel suo rapporto con il peccato viene fatta in maniera incidentale. Soltanto in 7,1 ss. verrà assunto come tema specifico il rapporto tra legge e peccato.

Circa la legge si dice anzitutto che è sopravvenuta e in questa espressione forse c’è, come in Gal 2,4, un tono spregiativo nei confronti della legge. La legge è quindi un dato della storia. Non è, come insegnavano i rabbini, una della sette cose che furono create prima del mondo. Non è neppure, come si legge per es. in Abot 6,11, la mediatrice della creazione in quanto sapienza di Dio. La legge comincia ad esistere con Mosè ed è quindi un elemento della storia recente. Eppure essa aveva il suo compito assegnatole da Dio: per effetto di essa doveva moltiplicarsi il peccato. Questo moltiplicarsi del peccato di Adamo è una diffusione di quel peccato nei singoli peccati dei discendenti di Adamo. In che modo ciò avvenga per effetto della legge sarà spiegato in 7,7 ss. Eppure il moltiplicarsi del peccato ebbe come conseguenza il sovrabbondare della grazia. Là dove, per effetto della legge, ha preso forza e sviluppo il regno del peccato, ivi ha sovrabbondato la grazia eccedendo in ogni misura. In definitiva la legge ha solo in apparenza dispiegato la sua efficacia. La grazia ha vinto anche il peccato diffuso per la legge. Qual era dunque nell’intenzione di Dio, l’ufficio transitorio assegnato alla legge?

V. 22 - Questo versetto risponde alla domanda e così facendo ricapitola ancora una volta in maniera conclusiva la nuova situazione di Cristo succeduta a quella di Adamo. Il regime del peccato, che si concretizza e si manifesta nei singoli atti peccaminosi, ha esercitato il suo potere per mezzo della morte. La morte, intesa quale regime o potenza della morte, è lo strumento mediante il quale la potenza del peccato domina, è il modo in cui essa domina. Ma questa è la situazione passata dell’umanità. Ora è venuta la grazia sovrabbondante che ha sopraffatto il peccato e la morte. Questa grazia regna per mezzo della giustizia di Dio, attuata in Cristo Gesù, la giustizia della fedeltà di Dio al patto, la quale tutti comprende nella giustizia della sua grazia (3,21-22; 5,17). La grazia regna mediante la giustizia di Dio per condurre alla vita eterna per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore: la grazia che ci è stata data consiste nell’unico uomo Gesù Cristo. Attraverso il suo atto di giustizia procede per tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita (v.18), e per la sua obbedienza tutti sono diventati giusti (v.19).

3) Nel battesimo la liberazione dalla potenza del peccato (6,1-14).

1Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? 2È assurdo! Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? 3O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. 5Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. 6Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. 7Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
8Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, 9sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. 10Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. 11Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
12Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; 13non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio. 14Il peccato infatti non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia.

V. 1 - L’obiezione: Dobbiamo persistere nel peccato perché abbondi la grazia? si riallaccia al v.5,20b e ne stravolge il senso. Si tratta con ogni probabilità di un’obiezione rivolta a Paolo per la sua dottrina della giustificazione e della grazia. Infatti in 3,8 Paolo dichiara espressamente che certi calunniatori, falsando il senso delle sue parole, gli attribuivano un pensiero come quello qui riferito.

Paolo rileva un fatto oggettivo: la correlazione di grazia e peccato che è nei fatti della storia della salvezza: Dove ha abbondato il peccato, ivi ha sovrabbondato la grazia (5,20). Gli avversari di Paolo stravolgevano questa correlazione in un rapporto di causa ed effetto (poiché il peccato divenne così frequente e diffuso, anche la grazia si fece abbondante) e ne traeva la conseguenza pratica: Aumenta il peccato se vuoi aumentare la grazia! La domanda è dunque: Dobbiamo allora rimanere nel peccato, perché abbondi la grazia? Il peccato (hamartìa) è quella potenza e quel regime del passato di cui si è parlato nel cap. 5. Il rimanere nel peccato si attua nel compimento dell’azione peccaminosa, nel peccare. L’uomo resta nella potenza del peccato quando acconsente a questa potenza compiendo l’azione peccaminosa e, così facendo, si riallaccia concretamente al suo passato adamitico, alla sua origine: ritorna sotto il regime del peccato.

V. 2 - La risposta di Paolo a questa obiezione è un deciso me ghènoito, non sia mai, che in questa lettera ricorre ben sette volte. Il motivo è questo: siamo morti al peccato. Questa affermazione è comprensibile solo nella fede. Noi in quanto morti al peccato non possiamo più vivere in esso e quindi rimanere in esso. L’esistenza del cristiano non si svolge più sotto il regime del peccato e della morte, ma sotto la signoria del Risorto.

V. 3 - Nel battesimo siamo morti al peccato. Essere battezzati in Cristo Gesù significa diventare proprietà di Gesù Cristo. La locuzione eis to ònoma, nel nome, attestata nel linguaggio giuridico e commerciale ellenistico esprime il trapasso giuridico di qualcosa in proprietà di una determinata persona. Noi siamo morti al regime del peccato quando nel battesimo passammo in proprietà di Gesù Cristo e quando fummo realmente incorporati a Cristo (= immersi nella sua morte e nella sua risurrezione).

V. 4 - La conseguenza del battesimo è un essere stati sepolti con lui e in senso particolare la partecipazione alla risurrezione di Cristo.

La risurrezione di Cristo è avvenuta per la potenza della gloria del Padre, che è lo Spirito Santo. Nel battesimo siamo morti e sepolti con Cristo perché possiamo condurre una vita nuova in modo retto e conforme alla risurrezione di lui. La nostra risurrezione dai morti è implicita nella frase affinché noi camminassimo in una vita nuova.

Questa novità di vita è prodotta dal battesimo e fondata nella risurrezione di Gesù Cristo. È il nuovo regime dello Spirito (7,6), il nuovo modo di essere, creato dallo Spirito nel battesimo, la sfera nella quale viviamo. Nel battesimo, per la potenza dello Spirito, siamo in Cristo e quindi siamo nuova creatura (2Cor 5,17; Gal 6,15): è iniziata in noi la vita escatologica. Attraverso il battesimo questa dimensione della nuova vita escatologica è diventata il nostro spazio vitale in cui ci dobbiamo muovere e nel quale dobbiamo attuare la nostra nuova possibilità vitale. Noi dobbiamo camminare in modo conforme a questa possibilità che si è dischiusa a noi con la risurrezione di Gesù Cristo: dobbiamo testimoniarla nella nostra esistenza. Con questo imperativo, la domanda se dobbiamo rimanere nel peccato riceve una nuova risposta. No, non dobbiamo rimanere nel peccato perché nel battesimo siamo morti al peccato. Il battesimo, creando, in forza della risurrezione di Cristo, un modo di essere nuovo ed escatologico, esige da noi un’esistenza nuova.

V. 5 - La vita nuova si è instaurata in noi in quanto con il battesimo siamo divenuti partecipi della risurrezione futura.

V. 6 - Il nostro uomo vecchio non è una parte di noi, ma siamo noi prima del battesimo in quanto creature terrestri, viste alla luce dell’uomo nuovo. Questo uomo vecchio è stato crocifisso con Cristo. Ma quale effetto ha ottenuto la crocifissione battesimale? Qual era il suo scopo? Il nostro essere crocifissi con Cristo nel battesimo ha come scopo e conseguenza, in primo luogo, la soppressione del corpo del peccato e, in secondo luogo, la fine della nostra soggezione al dominio del peccato. Il corpo del peccato è il corpo sottomesso alla potenza del peccato, è la persona in balìa della morte perché in balìa di se stesso. Il cristiano è diventato una creatura nuova e quindi deve avere un comportamento nuovo. Il corpo del peccato è stato distrutto dal battesimo e quindi il battezzato è sottratto alla necessità di peccare. Non è più schiavo del peccato; può non peccare. Ora egli è soggetto a un’altra potenza alla quale può e deve dare tutto se stesso, ossia a Cristo.

V. 7 - Attraverso la morte battesimale avviene la liberazione dalla potenza del peccato.

Vv. 8 - 10 - Cristo è morto al peccato, a danno della potenza del peccato (Thüsing), nel senso che ha tolto al peccato ogni potere sugli uomini, in quanto egli stesso fu reso peccato dal peccato degli uomini, ne fu coperto (2Cor 5,21). La sua morte fu un evento unico, straordinario, definitvo, che, come tale, non può essere ripetuto ma può essere ripetutamente ripresentato, reso presente nella storia dei credenti. Il vivere per Dio esprime il docile orientamento a Dio e la pronta decisione a lui, ossia quell’atteggiamento di Cristo che contiene in sé un’eternità d’amore per noi e di intervento a nostro favore (8,34).

V. 11 - Come Cristo è morto al peccato, così i battezzati sono morti al peccato. Come Cristo vive per Dio, così i battezzati devono vivere per Dio. I cristiani, non solo possono, ma devono vivere per Dio e non per se stessi. Quando si è stati battezzati e incorporati in Cristo, il futuro si chiama Dio. Il credente in Cristo vive per Dio in quell’ambito della signoria di Cristo nel quale fu accolto nel battesimo in attesa del dispiegarsi definitivo della vita eterna. Quello che eravamo prima del battesimo, cioè soggetti alla potenza del peccato e della morte, è finito. Quel che saremo, ossia viventi con Cristo, è cominciato. Rimanere nel peccato sarebbe contro la nostra realtà di battezzati, contro il nostro nuovo modo di essere: sarebbe una assurdità. Come battezzati dobbiamo acquisire una nuova autocomprensione e trarne le conseguenze pratiche adeguate. La potenza del peccato e la morte che l’accompagna hanno perduto il loro dominio e non devono ripigliarlo. Va attestato concretamente che la potenza del peccato è stata vinta. Tale è il senso dei Vv.12-14.

Vv. 12 - 14 - Proprio perché liberati, non dobbiamo ricadere sotto i nostri vecchi padroni. Noi non abbiamo più il corpo del peccato e il corpo della morte, ossia non siamo più asserviti a queste potenze nella nostra persona. Ma abbiamo ancora il corpo mortale che è soggetto alle tentazioni. Nei suoi confronti dobbiamo e possiamo impiegare la nostra libera determinazione di fede.

La potenza del peccato può regnare solo se le si obbedisce: il cristiano non deve obbedirle. Il modo in cui si manifesta la potenza del peccato sono le concupiscenze: esse non sono morte con il battesimo.

Nelle concupiscenze l’uomo vecchio fa risentire la sua voce. Il peccato e la morte cercano di ripigliare il loro potere sul battezzato attraverso il suo egoismo e le concupiscenze della carne. Le membra sono l’io in quanto agisce di volta in volta in un modo o in un altro.

Nelle membra io metto a disposizione me stesso per il bene o per il male. L’enunciazione positiva voi siete sotto la grazia richiama 5,12 ss., ossia la svolta della salvezza e la nuova situazione salvifica si è instaurata col dono dell’atto di grazia (o di giustizia) compiuto da Cristo. Ma mentre in 5,21 il regime della grazia si oppone al regime del peccato, qui alla grazia viene opposta la legge.

La parola legge compare per la quinta volta nella lettera e ancora in maniera incidentale. La legge contrapposta alla grazia appare come una potenza che imperava prima di Cristo e produceva peccato. Là dove regna la legge ogni resistenza al peccato è vana. La legge infatti suscita il peccato (3,20; 4,15; 5,20). Ma ora regna la grazia e i cristiani sono soggetti non più alla legge delle opere, ma alla legge della grazia di Cristo, a quella legge che ci tiene a disposizione di Dio. Di nuovo è tutta la questione paolina della legge che vediamo delinearsi sullo sfondo. Essa però non viene ancora affrontata ma solo accennata.

Il contenuto di 6,1-14 può essere riassunto così: se conseguenza del peccato è la grazia (più peccati, più grazia) non dobbiamo forse insistere a peccare con tutte le forze? No! Perché nel battesimo noi siamo stati uniti alla morte di Cristo e si è aperta per noi una vita nuova in virtù della risurrezione di Cristo. La risurrezione si è dischiusa per noi come nostro avvenire. Noi non siamo più quelli che eravamo, ossia succubi del peccato e della morte: la crocifissione dell’uomo vecchio ha segnato per noi una rinascita, un nuovo principio, perché il nostro futuro è nuovo, ossia vivere con Cristo il quale non muore più, ma vive per Dio. Perciò dobbiamo considerarci morti al peccato e viventi per Dio in Gesù Cristo. In noi non regna più la legge, forza motrice del peccato, ma la grazia nella quale siamo stati collocati col battesimo.

 

 

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 13:50. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com