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COMMENTO DELLA LETTERA AI ROMANI

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2011 11:41
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22/11/2011 11:26
 
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ESORDIO
(1,1-17)

1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, 2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, 3riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. 5Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome; 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo. 7A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
8Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. 9Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi. 11Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, 12o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi - ma finora ne sono stato impedito - per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra gli altri Gentili. 14Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma.
16Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. 17È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede.

L’indirizzo della lettera è particolarmente ricco di motivi teologici:

La gratuità dell’elezione divina, la salvezza, mediante la fede, l’unità del disegno salvifico di Dio che, già preannunciato nelle scritture dell’AT, si attua mirabilmente nel vangelo di Cristo. Sono i temi che costituiscono la trama dell’intera lettera.

Vv. 1 - 2 - L’apostolo si dichiara servo di Cristo Gesù perché ormai ha legato il suo destino a quello del suo Signore. Il termine servo è da intendersi in senso religioso come lo ébhed Jahwèh dell’AT. Servo di Dio è colui che osserva la legge e presta a Dio il culto dovutogli (Sal 113,1; 135,1), oppure è stato scelto da Dio per una speciale missione (come Mosé, Davide, i profeti e soprattutto Cristo: Is 42,1; 49,3; 50,10; 52,13). Paolo è servo di Gesù Cristo perché ne è visibilmente il rappresentante, il portaparola, il plenipotenziario. Egli è apostolo per vocazione ossia è stato chiamato per essere mandato: per Paolo la vocazione alla fede è contemporaneamente vocazione all’apostolato. Dio lo ha messo a parte, separato, consacrato, scelto per essere totalmente al servizio del vangelo di Dio. In questa lettera non parla in nome proprio, ma nel nome del suo Signore perché egli è servitore di Cristo, sua proprietà e strumento di lui. Paolo non è un apostolo della chiesa, ma un apostolo di Gesù Cristo (1Cor 1,1; 2Cor 1,1; Col 1,1; Gal 1,1) dal quale soltanto sono derivate la sua missione e la sua autorità: egli afferma di aver ricevuto direttamente da Gesù Cristo o da Dio una delega o procura che lo mette alla pari di coloro che erano apostoli prima di lui. In questo brano Paolo afferma di essere apostolo per chiamata divina e non per una risoluzione propria o per un incarico dagli altri apostoli o da altre autorità. I cristiani sono chiamati da Dio tramite la predicazione del vangelo mentre invece Paolo è stato chiamato in una visione da Gesù stesso (1Cor 9,1) dal quale ha ricevuto direttamente la missione di annunciarlo ai popoli pagani (Rm 1,5; Gal 1,16; 2,6-9; At 9,15; 26,16).

Il vangelo proclamato da Paolo è quello stesso che Dio aveva proclamato per mezzo dei profeti nelle sacre scritture dell’AT ed è il vangelo che annuncia Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Vv. 3 - 4 - L’oggetto del vangelo predicato da Paolo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto: Gesù Figlio di Dio, nell’umiltà e nella bassezza della sua vita terrena, cioè secondo la carne, e nella gloria e potenza che ora possiede dalla risurrezione dai morti. L’espressione secondo la carne significa che il Figlio di Dio si è inserito totalmente nella storia umana, ha partecipato fino in fondo alla nostra debolezza e alla nostra morte, volontariamente impotente di fronte a questo tragico destino umano. Ma colui che è vissuto nella bassezza e nell’umiltà, che è morto e fu sepolto, è stato costituito Figlio di Dio potente dalla risurrezione dai morti.

Il v.4 significa: Cristo pur essendo dall’eternità Figlio di Dio (v.3), al momento della sua risurrezione è stato costituito Figlio di Dio con potenza, cioè ha cominciato a riversare abbondantemente sugli uomini le infinite ricchezze della sua filiazione divina, attuando così in pieno la sua potenza di salvezza e di redenzione.

Vv. 5 - 7 - Paolo ha ricevuto da Dio, tramite Gesù Cristo, non solo la grazia che agisce nel suo vangelo, ma anche l’incarico di apostolo dei pagani, ossia dei non ebrei. Presentando la fede come obbedienza a Cristo e alla verità, Paolo vuole mettere in evidenza la parte della libera volontà dell’uomo. La mancanza di fede viene chiamata disobbedienza in Rm 11,30-32. La gloria del nome di Cristo si realizza concretamente nell’accogliere la filiazione divina mediante la fede (1,5; 6,15-17; ecc. ) e la salvezza (Ef 1,6).

Notiamo gli appellativi con cui vengono qualificati i cristiani: i chiamati di Gesù Cristo, i diletti di Dio e chiamati santi. È bene sottolineare il significato di quest’ultima espressione. Chiamati santi o santi per vocazione non indica una chiamata individuale alla santità, ma quella chiamata che ha come scopo di formare l’assemblea dei santi, la chiesa. In questo modo i cristiani vengono designati come l’Israele del compimento, il popolo definitivo di Dio.

Non solo il vangelo è il compimento definitivo delle profezie, ma anche la chiesa è il compimento d’Israele. Forse la benedizione augurale che conclude questa intestazione o indirizzo (Vv.1-7) ricalca una formula che introduceva la celebrazione cultuale. Come fa nell’adunanza liturgica, così in questa lettera (che viene letta durante la liturgia), Paolo si rivolge a quelli che sono membri della santa assemblea per trasmettere ad essi la benedizione che viene da Dio e dal Signore Gesù Cristo e che reca grazia e salvezza. La comunità di Roma ascolta la lettera apostolica dopo aver ricevuto questa benedizione da Dio e da Gesù Cristo mediante l’apostolo.

Vv. 8 - 15 - Paolo esprime anzitutto un ringraziamento a Dio per la comunità cristiana di Roma, dichiara che si ricorda incessantemente di essa (Vv.8-9) e prega Dio perché gli consenta finalmente di andare a Roma (v.10) perché anche lì possa annunciare il vangelo che dischiude ai credenti la giustizia di Dio. Il ringraziamento dell’apostolo a Dio è fatto mediante Gesù Cristo: acquista così un peso infinito che trascende qualsiasi ringraziamento umano, pur essendo pronunciato da un uomo. Il Signore glorificato è fonte e tramite del ringraziamento dell’apostolo.

Collocato per vocazione tra Dio e gli uomini, Paolo descrive l’annuncio del vangelo concernente il Figlio di Dio come una liturgia, un servizio sacro, un’azione sacerdotale. Verso la fine della lettera ritornerà su questo valore della sua missione: A me è stata concessa da Dio la grazia di essere il liturgo di Cristo presso i pagani, esercitando l’azione sacra dell’annuncio del vangelo allo scopo di fare dei pagani un’offerta gradita e santificata nello Spirito Santo (15,15-16). Per lui l’annuncio del vangelo non è un mestiere, ma una tensione che, sotto l’impulso dell’amore di Dio, assorbe tutte le sue facoltà, la sua vita. Predicazione, lavoro, preghiera, viaggi, visite e fatiche sono sostenuti da un solo anelito: annunciare il vangelo per guadagnare tutti a Cristo.

Sebbene Paolo riveli un desiderio urgente di andare a Roma, tuttavia rimette la sua preghiera nelle mani di Dio e alla sua volontà. Paolo desidera fare la conoscenza dei cristiani di Roma e recare loro qualche dono carismatico, che procede dallo Spirito e dà lo Spirito. Tra lui e la comunità di Roma vi sarà un reciproco dare e avere e un mutuo consolarsi: la consolazione reciproca verrà dall’incontrarsi nella fede comune.

Paolo con il suo vangelo è in obbligo verso tutti, è debitore verso tutti. Il fondamento di questo obbligo e il suo carattere assoluto si possono dedurre da 1Cor 9,16: Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!

Davanti a questo obbligo svanisce ogni differenza di razza, di civiltà, di levatura intellettuale. Il vangelo non conosce impedimenti di nessun genere: per questo l’apostolo ha il dovere di annunciarlo a tutti indistintamente. Proprio questa disposizione ad annunciare il vangelo ovunque, spiega il forte desiderio dell’apostolo di recarsi a Roma: egli ha il dovere verso Dio di portare il vangelo a tutti i popoli.

Vv. 16 - 17 - Questi versetti danno la vera definizione del vangelo e il tema della lettera. Il vangelo è forza di Dio, cioè irresistibile potenza di conquista, di redenzione, di riscatto e di trasformazione interiore. La condizione richiesta all’uomo è quella di credere, cioè di affidarsi totalmente a Dio. E il vangelo possiede questa forza di salvezza perché in esso si manifesta la giustizia di Dio, cioè la bontà preveniente del Signore fedele ai suoi impegni e alle promesse fatte a Israele e, in lui, a tutti gli uomini. Non si tratta dunque della giustizia punitiva di Dio, ma della sua benignità e della sua fedeltà alle promesse di salvezza in Cristo.

Il contenuto del vangelo è una persona: Gesù. La forza di cui parla Paolo non è una ideologia, ma una persona: Gesù morto e risorto.

È lui, potente per la sua risurrezione, la forza della storia. È la sua presenza santificatrice che conduce alla salvezza quanti credono.

La salvezza di Dio si rivela nel vangelo entro i limiti della fede: l’unica condizione della giustizia di Dio che ci rende giusti è la fede. E la nuova economia basata sulla fede non è in discontinuità con l’antica. Infatti sta scritto nell’AT: Il giusto per la fede vivrà (Ab 2,4).

Il testo originale recitava: Il giusto vivrà per la sua fede. Forse Paolo ha soppresso l’aggettivo possessivo affinché l’espressione per la fede possa riferirsi a giusto così che l’espressione il giusto per la fede annuncia la prima sezione della parte dogmatica che tratta appunto della giustificazione mediante la fede, e insieme l’espressione per la fede possa riferirsi anche a vivrà così che l’espressione per la fede vivrà annuncia la seconda sezione della parte dogmatica che tratta appunto della salvezza mediante la fede.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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