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LA PROFEZIA DELLE "SETTANTA SETTIMANE"

Ultimo Aggiornamento: 17/12/2021 11:24
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18/11/2011 23:32
 
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LA TRADIZIONE CATTOLICA SOSTIENE L’INTERPRETAZIONE MESSIANICA DELLA PROFEZIA

Da sempre la tradizione cattolica vi ha visto una formidabile profezia messianica realizzata. Lo dimostra l’antico testo liturgico della Kalenda col quale tuttora si annuncia al mondo la nascita di Gesù nella notte di Natale («nella sessantacinquesima settimana, secondo la profezia di Daniele»). Anche nel Catechismo maggiore di Pio X c’è un appendice dove si dichiara compiuta questa profezia con la passione e morte di Gesù. Nel Dictionnaire de la Bible (1912), curato da insigni biblisti, si legge che l’interpretazione cattolica della profezia delle “Settanta settimane”, legge il suo avveramento nell’uccisione di Gesù e nella distruzione del Tempio e di Gerusalemme[27]. Tutto questo è bene sottolinearlo per capire in quale pasticcio sia caduta l’esegesi cattolica postconciliare che invece ha deciso improvvisamente di non interpretare più questa profezia in termini messianici, appoggiato la tesi razionalista. Lo vedremo più sotto.

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ANCHE GIUSEPPE FLAVIO VIDE IL COMPIMENTO DELLA PROFEZIA NEL 70 d.C.

Non c’è poi alcun dubbio che la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C. siano stati giudicati anche da molti autori ebrei come il realizzarsi della profezia delle «Settanta settimane». Così afferma in “Guerra giudaica” il già citato storico ebreo Giuseppe Flavio (37-103 d.C.), appartenente all’élite politica, religiosa e intellettuale di Israele di allora. Egli vede nelle profanazioni e nei crimini degli zeloti la causa immediata della distruzione, così come l’aveva predetta il profeta Daniele. In realtà, il profeta Daniele disse che avrebbe dovuto essere l’uccisione del Messia innocente il vero antefatto da cui sarebbe derivata poi la distruzione delle città e del Tempio, ma comunque, a parte questo tentativo politico di Giuseppe Flavio (antizelota e filoromano) di incolpare gli zeloti, è evidente che i suoi scritti confermano che quello era il tempo in cui ci si attendeva la realizzazione della profezia di Daniele.
Lo storico ebreo riporta pure un discorso che lui fece, richiamando tale vaticinio: «Chi ignora ciò che fu scritto dagli antichi profeti e l’oracolo che incombe su questa misera città e che sta ormai per avverarsi?»[28]. Anche nel libro 10 di Antichità giudaiche, opera scritta nel 93-94 d.C., Giuseppe Flavio conferma esplicitamente che la profezia delle «Settanta settimane», preannunciatrice della distruzione di Gerusalemme e del Tempio, si riferisce agli eventi del 70 d.C. Parlando del profeta Daniele come «uno dei più grandi profeti», egli infatti afferma: «i libri che scrisse e lasciò da noi si leggono anche adesso, e da essi ci convinciamo che Daniele parlava con Dio, perché non soltanto preannunciava le cose future come gli altri profeti, ma segnò anche il tempo nel quale sarebbero avvenute». Giuseppe parla di “libri” poiché -come abbiamo già accennato- quello che noi conosciamo come “Libro di Daniele”, è composta da parti scritte in tempi e autori diversi. Ma la parte decisiva è quando Giuseppe afferma che Daniele vide «molti anni prima che avvenissero» gli «sfortunati eventi sotto Antioco IV Epifane» che «per tre anni impedirà l’offerta dei sacrifici». Poi aggiunge: «Allo stesso modo Daniele scrisse anche a proposito dell’impero dei Romani, che Gerusalemme sarebbe stata presa da loro e il tempio distrutto. Tutte queste cose rivelategli da Dio, egli tramandò per iscritto, sicché quanti le leggono e osservano come esse accaddero, si stupiscono dell’onore fatto da Dio a Daniele»[29]. E’ evidente quindi che Giuseppe Flavio, scrivendo nel 90 d.C., stia interpretando i fatti del 70 d.C. come il compimento della profezia delle «Settanta settimane» e ci informa che Daniele era l’unico profeta che aveva previsto il momento esatto in cui le profezie si sarebbero compiute.
Riprendiamo ancora una volta le già citate parole di Giuseppe Flavio in “Guerra giudaica”, quando accenna alla profezia delle Settanta settimane: «Quello che maggiormente li incitò alla guerra [parla degli ebrei, nda] fu un’ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle sacre scritture, secondo cui in quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo»[30]. Abbiamo già spiegato sopra perché lo storico definisca “ambigua” questa profezia, interpretandola in chiave politica. Egli dimostra in ogni caso che vide il compimento della profezia nel 70 d.C. anche se non riconobbe il Messia in Gesù Cristo. La storia ci dice però che sia Vespasiano che Tito scomparvero con il loro potere pochi anni dopo. Colui invece che rimase fu Gesù di Nazareth, ancora oggi unico “dominatore del mondo”, ovvero riconosciuto come Re e Signore dell’universo da miliardi di persone su tutta la terra.

Dopo il 70 d.C., comunque, anche i primi autori ebrei interpretarono la profezia di Daniele come fece Giuseppe Flavio, compiutasi dunque con la distruzione del Tempio e di Gerusalemme. Illustri ebrei continuarono ad attribuire a questa profezia il carattere messianico, come Saadias ha-Gaon, R. Salomon Jarchi, Aben-Esra, Abarbanel. Nel III secolo d.C., il rabbino Rab (Abba Arika) riconobbe che «tutte le date predette erano passate» (da Talmud babilonese, Sanhedrin, 97b).

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