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IL SENSO DELLA VITA: UN MISTERO RIVELATO

Ultimo Aggiornamento: 31/10/2012 23:42
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09/11/2011 21:58
 
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PRESENTAZIONE

Come è detto nel titolo, questo piccolo testo è un invito a riflettere su temi che ciascuno di noi porta già dentro di sé e che certamente sono affiorati, almeno sotto forma di doman­da o di dubbio, nella mente di tutti.

Sono i temi fondamentali della nostra esi­stenza e del nostro destino di uomini che esi­gono (questa è appunto la tesi del libro) la fede per essere compresi e risolti.

La fede non è, come pensano molti, una sorta di alienazione o di fuga dalle realtà terre­ne; al contrario essa presuppone queste realtà delle quali è anzi l'unica spiegazione e la più completa valorizzazione. Essere uomini di fede non significa essere meno uomini, ma essere uomini completi.

La fede è certamente un dono di Dio, ma va preparata e quasi attirata dentro di noi con la riflessione personale e con la preghiera.

Queste pagine, lungi dal voler imporre la verità a chicchessia, desiderano solo aiutare il lettore a formarsi personalmente le sue con­venzioni e (perché no?) a formulare nell'inti­mo del cuore una segreta preghiera.

Ma a questo punto la fede avrebbe già fatto il suo ingresso nell'anima e il libro avrebbe esaurita la propria missione di invito per cede­re il posto alla luce di Dio.

Don Angelo Albani

Don Massimo Astrua


NOI SIAMO UN MISTERO A NOI STESSI

IL PUNTO DI PARTENZA di ogni rifles­sione che possa veramente illuminare la vita di ciascuno di noi, siamo noi stessi.

Le domande: chi sono io? perché esi­sto? qual è il mio destino? perché devo morire? che mi attende dopo la morte? e simili, sono il primo passo da compiere se vogliamo dare un senso alla nostra vita.

Ma, come vedremo, noi siamo incapa­ci di rispondere a tali domande.

Dopo secoli di riflessione filosofica su tale argomenti i punti interrogativi rimangono, e con essi rimani il mistero.

O meglio: rimane LA CONSAPEVOLEZZA DELLA NOSTRA INCAPACITÀ a svelare il mistero; il che è già un passo avanti, perché ci avvia sulla strada giusta: quel­la di rivolgere la domanda ad un "Altro" che ne sa più di noi (1).

(1) Qualche Lettore potrà a questo punto non condi­videre la soluzione da noi anticipata. Noi Lo preghiamo di voler terminare la lettura almeno di questo primo capi­tolo e di dare poi il Suo giudizio.


Esamineremo quindi - tra le tante - cinque realtà per noi misteriose alle quali non possiamo sottrarci, ma delle quali dobbiamo poter dare una spiega­zione: che serve infatti all'uomo scopri­re i misteri dell'atomo o quelli del cosmo se poi non riesce a chiarire i misteri della propria esistenza?

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09/11/2011 21:59
 
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LA NOSTRA ESISTENZA È UN MISTERO

Ogni bimbo che viene al mondo si rirtova ad esistere sen­za saperlo.

Di fatto nes­sun uomo è li­bero di decide­re se esistere o no.

E’ NATO UN BIMBO. E’ nato senza voler­lo, anzi senza neppure saperlo: s'è trova­to al mondo e nulla più!

Ogni giorno nascono sulla Terra più di centomila bambini come lui, ma nes­suno di essi ha scelto di esistere.

NOI TUTTI SIAMO NATI COSÌ. Siamo al mondo senza averlo voluto; siamo nati da genitori a noi sconosciuti; siamo nati in un tempo e in un luogo non scelti da noi. Siamo nati mentre avremmo potuto non nascere...

Chi allora ha deciso la nostra esisten­za? chi l'ha realizzata? chi ci ha donato questi genitori e non altri? chi ha stabi­lito che nascessimo in questo secolo e non in un altro?

Veramente la nostra esistenza è un grande mistero: un mistero che adom­bra la presenza di Uno che tutti ci sovra­sta e ci domina, e che decide e realizza a suo piacimento la venuta nel mondo di ciascuno di noi (2).

(2) Il «mistero della nostra esistenza» non è legato tanto alla nostra esistenza «corporea», quanto alla nostra esistenza «spirituale».

Sappiamo infatti che il nostro corpo è il risultato di una evoluzione biologica che inizia col concepimento e cessa con la morte.

Ma in noi c'è qualcosa di più: ognuno di noi è «co­sciente di esistere», «sa di essere lui» e non un altro; sa di possedere il proprio corpo come «suo», di essere «soggeto di azioni responsabili», di essere «persona».

Ebbene, è proprio in questo «avere coscienza di sé» («l'autocoscienza», come la chiamano i filosofi), in que­sto riconoscersi esistente come individuo, come un «io» personale distinto dagli altri, che si manifesta il mistero della nostra esistenza.


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09/11/2011 22:01
 
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2

CIÒ CHE SIAMO È UN MISTERO

Divenuto grandicello, il bimbo si acorge di avere testa, mani e piedi. In realtà o­gnuno di noi è costretto ad ac­cettare se stes­so così come è.

PASSANO GLI ANNI: il bimbo si apre alla vita e incomincia a scoprire se stes­so. Le sue mani, per esempio, cosi agili ed utili. I suoi occhi, che si aprono come due finestre sul mondo. E poi la sua intelligenza che legge il significato delle cose; e il suo potere d'amare...

NOI TUTTI CI SIAMO RITROVATI COSÌ; due mani per lavorare, due occhi per vede­re... l'intelligenza e l'amore.

Nessuno di noi ha potuto sottrarsi dall'essere quello che è; noi tutti siamo stati costretti a subire noi stessi (3).

(3) Notiamo che anche i genitori sono costretti a «subire» ed «accettare» i propri figli così come sono: essi infatti non sono che semplici collaboratori di «Qualcuno» che li ha progettati e voluti così.


Chi allora ha deciso la forma del nostro corpo e le attitudini della nostra anima? Più ancora: chi ha deciso che dovessimo avere un corpo ed un'anima? chi ci ha ideati e voluti così?

Ancora una vola dobbiamo risponde­re: Qualcuno più grande di noi, che ci ha fatti come meglio ha voluto, decidendo tutto per noi.


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09/11/2011 22:02
 
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3

LA NOSTRA MORTE È UN MISTERO

Passano gli anni e il bimbo di allora è oggi un vecchio vici­no a morire.

Anche l'in­vecchiamento e la morte sono realtà che tutti dobbiamo sub­ire in silenzio. LA VITA È PASSATA VELOCE ed è giun­ta al suo termine: il bimbo di allora è oggi un vecchio che attende la morte. Anche noi - tutti, senza eccezioni - SAPPIAMO DI DOVER UN GIORNO MORIRE possiamo allontanarne il pensiero ma non la certezza; possiamo tentare di ritardarne l'evento, ma sappiamo di non poterlo evitare per sempre.

Davanti a un fatto così sconvolgente, così non voluto eppure così certo e così universale, ognuno si chiede: ma perché non posso vivere sempre? Chi ha stabili­to che l'uomo debba morire, che io debba morire? (4).

(4) Nel problema della morte è contenuto anche il pro­blema del male fisico: la morte infatti è come la «somma» di tutti i mali che ci possono colpire su questa terra.

Pertanto, alla domanda «Perché la morte?» devo aggiungere le domande: «Perché il dolore, specialmente quello degli innocenti, perché le malattie? perché le car­stie, i terremoti, le alluvioni? perché le ingiustizie socia­li, gli inquinamenti, 1a fame nel modo, le guerre?».

Di tutti questi mali (dei quali la morte è la somma) a noi preme ora non tanto stabilire causa (ma anche que­sta ci sarà svelata da «Colui che ci ha fatti», ed è il pecca­to), quanto piuttosto conoscere la loro «funzione» nella nostra vita concreta: il male fisico è un assurdo o ha uno scopo? è per noi solo una «perdita» o ha invece una sua «contropartita» che chiude il bilancio in vantaggio per noi? E vedremo che l'ipotesi giusta è proprio quest'ultima.


E di nuovo il pensiero corre a Colui che è padrone della vita dell'uomo e che ha scelto per l'uomo questo destino: un destino per noi misterioso e apparente­mente crudele ma che non può non avere un suo senso e una sua spiegazione.

Un senso e una spiegazione che solo Lui può svelarci.


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09/11/2011 22:03
 
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4

DOPO LA MORTE: UN ALTRO MISTERO

La tomba è veramente il tra­guardo finale della vita del­l'uomo? O inve­ce non è che un passaggio al di là del quale egli continua la pro­pria esistenza? ,,

QUANDO VERRÀ LA MORTE e il nostro corpo giacerà senza vita, che sarà di noi? Cadremo di colpo nel nulla come se mai fossimo stati, o continueremo ad avere la coscienza di esistere?

Cosa esperimenteremo in quell'istante supremo? Avverrà l'incontro con Colui che ci ha dato l'esistenza, o la Sua presenza continuerà a restare misterio­sa per noi?

E inoltre, saremo felici per il bene compiuto e puniti per il male commes­so? rivedremo i nostri cari e potremo restare sempre con loro?

NESSUNO PUÒ RISPONDERE a queste domande, neppure il più grande filoso­fo, neppure tutti i filosofi dell'umanità uniti insieme, perché nessuno di loro sa queste cose.

Sarà allora la nostra morte un salto nel buio?

È mai possibile che la conclusione di tutta la nostra esistenza di uomini, ben­ché inevitabile, sia incerta come un gioco d'azzardo?

Ancora una volta il pensiero corre a Colui che ci ha fatti e ci ha fatti morta­li. Lui - e Lui solo - sa quel che ci atten­de dopo la morte. Lui - e Lui solo - può dircelo.


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09/11/2011 22:03
 
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5

IL SENSO DELLA STORIA UMANA

La Terra vi­sta dallo spazio ci porta a riflet­tere sul senso della storia u­mana. Possibile che tutto finisca quaggiù? Ecco LA NOSTRA TERRA vista dallo spazio. Su questa piccola sfera vagante nell'universo l'umanità intera ha inizia­to e vissuto la sua storia e si appresta a vivere il proprio futuro.

È qui che gli uomini hanno costruito le loro grandi civiltà ed è qui che queste civiltà sono, ad una ad una, crollate.

È qui che migliaia di generazioni umane hanno incominciato felici la pro­pria esistenza, ed è qui che tutte sono ritornate ad essere polvere.

È qui che la nostra generazione guarda oggi fiduciosa al futuro, ma è pure qui che, domani, noi tutti saremo sepolti. QUESTO CICLO di nascita, di vita e di morte è essenziale all'umanità così come storicamente esiste. Qualunque progres­so scientifico, qualunque conquista tec­nica, qualunque benessere sociale realiz­zabile dall'uomo potranno ritardarne la conclusione, ma non annullarlo.

VIENE ALLORA DA CHIEDERSI: qual è il senso della storia umana? Possibile che tutto quanto l'uomo costruisce sulla terra non lasci traccia per lui al di là della morte? Possibile che l'umanità intera, a ondate successive, perisca nel nulla, dopo aver lavorato e sofferto per millenni sulla terra?

O invece la morte non è che una porta, al di là della quale la storia umana continua e trova il suo senso e il suo compimento?

A queste domande nessun uomo ha saputo rispondere, né mai lo potrà. Il mistero è più grande di noi. Le conget­ture e le ipotesi non possono certamen­te bastare. La risposta sicura va cercata al di fuori dell'uomo; meglio, al di sopra dell'uomo: in Colui che lo ha fatto.

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09/11/2011 22:04
 
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II

COLUI CHE CI HA FATTI

IL DILEMMA è evidente:

- o rinunciare a una spiegazione sul senso della nostra vita (e molta gente fa questa rinuncia...)

- o chiedere questa spiegazione ad un «Altro» che ne sa più di noi.

Di questo «Altro» abbiamo già intuito la presenza negli «interrogativi» che la nostra esistenza porta con sé.

A questo «Altro» abbiamo già dato anche un nome, e lo abbiamo chiamato «Colui che ci ha fatti».

Chiediamoci ora: QUESTO «ALTRO» ESISTE DAVVERO? Veramente oltre il mondo nel quale viviamo c'è un Essere dal quale questo stesso mondo dipende?

RISPONDIAMO DI SI, e ne vediamo ora il perché.


1- IL MONDO CI RIVELA COLUI CHE LO HA FATTO

1) UNA PREMESSA:

Ognuno di noi comprende benissimo che una cosa che ancor non esiste non può darsi l'esistenza da sé: sarebbe UN ASSURDo pensare il contrario. Dal nulla infatti non può nascere nulla.

2) UN FATTO:

L'ESPERIENZA Ci mostra però che ogni realtà che vediamo nel mondo è prodot­ta da un'altra realtà che già c'era prima di lei: le spighe del campo derivano dal chicco di grano, l'uomo deriva dall'uo­mo, gli astri attuali da precedenti forma­zioni di materia... Tutti gli oggetti che ci circondano sono frutto di trasformazio­ni (operate dalla natura o dall'uomo) di altri corpi preesistenti.

Di questo nessuno dubita.

3) LA CONSEGUENZA:

Eppure proprio da questa premessa e da questo fatto ammessi da tutti scaturi­sce una verità sulla quale non tutti riflettono: se ogni cosa deriva da un'altra che già c'era prima di lei, ALL'INIZIO di tutta la serie di cose prodotte DEVE ESISTERE UN ESSERE NON PRODOTTO DA ALCUNO, UN PRINCIPIO NON PRINCIPATO, CHE ESISTE PER PROPRIA VIRTÙ.

DIVERSAMENTE non sarebbe mai potu­ta iniziare la serie delle cose che vedia­mo nel mondo (1).

(1) I filosofi dicono le stesse cose introducendo i con­cetti di «relativo» e di «assoluto».

Tutto quanto esiste nel mono (essi dicono) non ha in sé la ragione della propria esistenza, ma l'ha in un altro dal quale l'ha ricevuta: la sua esistenza è cioè «RELATI­VA » ad un altro.

Ma le realtà «relative», quando esistono (ed il mondo nel quale viviamo esiste), proprio perché non hanno in sé la ragione della propria esistenza, ci testimoniano l'esi­stenza di «un Altro» che ha in Sé la ragione della propria esistenza, che esiste da Se stesso, cioè di un «ASSOLUTO» senza del quale il mondo «relativo» non esisterebbe.

L'esistenza del «relativo» (il mondo) ci testimonia l'e­sistenza dell'«Assoluto», cioè di Dio.


IN TAL MODO, proprio la riflessione sulle realtà terrene ci conduce alla sco­perta dell' "Altro" che esiste all'inizio di esse, e che vi esiste per propria virtù: ci conduce cioè alla scoperta di DIO.


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09/11/2011 22:05
 
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2 - UNA DIFFERENZA IMPORTANTE: DA SEMPRE - DA SÉ

A QUESTO PUNTO può sorgere sponta­nea una domanda: SE l'universo nel quale viviamo fosse eterno, cioè ESISTES­SE DA SEMPRE, che necessità vi sarebbe di un Dio creatore per spiegare l'inizio di tutte le cose esistenti?

Il dubbio è insidioso, ma è solo appa­rente e si dissolve riflettendo che altro è dire che una cosa esiste «da sempre» e altro è dire che una cosa esiste «da sé».

"Da sempre" si riferisce al tempo dell'esistenza di una cosa.

"Da sé" si riferisce alla causa che ha fatto esistere quella cosa (2).

(2) «Tempo» e «Causa» sono due concetti diversi che non interferiscono a vicenda, come ad esempio il «colore» e la «grandezza». Io posso avere un oggetto rosso piccolo oppure grande, senza che il colore rosso sia meno rosso nel primo che nel secondo. Allo stesso modo il tempo più o meno lungo dela esistenza di una cosa non elimina la necessità di una causa che faccia esistere quella cosa.


Ci sia consentita UNA IMMAGINE: Qualunque film, sia breve che lun­go (e questo ri­guarda il tempo)... ... ha un autore, un "regista" che lo ha fatto (cioè una causa): diversa­mente il film non potrebbe esistere.

La lunga durata del film (tempo) non elimina la ne­cessità del regista (causa), ma anzi la presuppone ancor più, tanto che se ci fosse un film eterno, (ossia di durata infinita) si deve a maggior ragione conclu­dere che anche il regista che lo ha fatto è eterno.

COSÌ AVVIENE DELL'UNIVERSO nel quale viviamo: quand'anche esso fosse eterno cioè esistesse da sempre (3)

(3) La scienza attuale non ha dimostrato l'eternità dell'u­niverso, e dispone anzi di elementi (Secondo e Terzo pricipio della Termodinamica) che inducono a concludere che l'uni­verso nel quale viviamo ha avuto un inizio nel tempo.


- ciò non porterebbe a concludere che si è tatto da sé, ma al contrario, che la Causa (Dio) che lo ha fatto è essa pure eterna!


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09/11/2011 22:09
 
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3 - COLUI CHE CI HA FATTI: L’INFINITAMENTE PERFETTO

SEGUENDO LA NOSTRA RAGIONE e riflettendo su noi stessi e sul mondo, Dio ci si impone come LA REALTÀ SUPREMA che esiste necessariamente e da sempre. Realtà totalmente diversa da ogni altra realtà che vediamo nel mondo, perché queste ultime "ricevono" l'esse­re, mentre Dio è "la Sorgente" del­l'Essere, Cioè L'ESSERE STESSO INFINITO. L'immagine del sole e dei raggi che da esso­ promanano può aiutarci a comprendere i rap­porti tra Dio, sorgente infinita di ogni perfezio­ne, e le creature che sono da Lui dipendenti e limitate nelle loro per­fezioni.

Ne viene che mentre le realtà che vediamo nel mondo sono limitate nelle loro perfezioni ‹vitalità, potenza, sa­pienza, bellezza, bontà, felicità...), Dio invece È INFINITO nelle Sue perfezioni. Ciò significa che Dio è vita infinita, è potenza infinita (e come tale può realiz­zare tutto ciò che vuole, anche creare dal nulla), che è sapienza infinita, bontà infinita, felicità infinita... in una parola che è PERFEZIONE INFINITA (4).

(4) É ovvio che la «perfezione infinita» di Dio non si esaurisce nella vita, nella potenza, nella bontà, ecc. - tutti "attributi" che noi sappiamo essere in Lui perché li vedia­mo riflessi nelle cose da Lui create - ma sono infinita­mente di più, sia nel numero che nella perfezione.


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09/11/2011 22:10
 
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4 - L'Universo è stato creato da Dio

Dio STA DUNQUE ALL'INIZIO di tutto l'Universo; questo lo abbiamo accertato senza ombra di dubbio.

Ora vogliamo chiederci: IN CHE MODO Dio ha dato inizio all'Universo?

A questa domanda una sola risposta è possibile: facendolo dal nulla, dato che precedentemente nulla ancora esisteva.

E "fare dal nulla" si dice "CREARE".

Da questo fatto scendono due consi­derazioni che fissa­no la nostra posi­zione di fronte a Dio.

Il raggio di luce dipende dal sole nel suo stesso esistere

1) L'Universo creato, e noi uomini in esso, DIPENDIAMO DA Dio per la nostra stessa esistenza; siamo cioè Sua pro­prietà nel senso più vero e Dio è vera­mente nostro Padrone e Signore.

II raggio di luce di­pende dal sole nelle sue perfezioni (calore, luce, ecc.).

2) Tutto quanto c'è in noi di positivo, di buono, di bello, di vero, È PURA PARTE­CIPAZIONE della bontà, della bellezza, della verità infinita di Dio.

Ecco allora i due fondamentali ATTEG­GIAMENTI che tutti noi dobbiamo assu­mere nei riguardi di Dio:

1) RICONOSCERE LA NOSTRA TOTALE DIPEN­DENZA DA Lui: Ognuno di noi deve confes­sare a se stesso che Dio è "il Tutto" e che noi (da noi stessi) siamo "il nulla".

Questo riconoscimento e questa con­fessione si esprimono nella ADORAZIONE di Dio, che è perciò il primo dovere del­l'uomo, il primo omaggio alla verità.

2) RICONOSCERE CHE TUTTO QUANTO NOI SIAMO E POSSEDIAMO è "DONO GRATUITO" DI DIO.

Questo riconoscimento si esprime nel RINGRAZIAMENTO per quanto Dio ci ha donato e nella DOMANDA per avere anco­ra da Lui.

Il riconoscimento della VERITA - che si fa adorazione, ringraziamento e domanda - è il contenuto di ogni rap­porto e di ogni nostro colloquio con Dio, cioè di ogni PREGHIERA: per questo l'uo­mo che non prega è fuori della verità.


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09/11/2011 22:12
 
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5 - La creazione è stata un atto di amore

QUANDO Dio ci HA CREATO DAL NULLA, non lo ha fatto per sé, ma per noi; non ha inteso accrescere la Sua felicità (ne lo avrebbe potuto, essendo già infinita!), ma donare a noi un raggio della Sua felicità.

La Creazione è stata UN ATTO DI AL­TRUISMO, UN ATTO DI AMORE.

Tuttavia questo atto di amore di Dio non poteva avere come scopo SUPREMO che LA GLORIA E L'ESALTAZIONE DI DIO STESSO, e ciò per due motivi:

- anzitutto perché Dio non può sub­ordinarsi alla sua creatura;

- e poi perché la creatura non può trovare la propria felicità se non in Dio, sorgente unica ed infinita di felicità.

Dio crea l'uomo per farlo felice; ma non può farlo felice se non unen­dolo a Sé.

COSI’ DIO CI CREA PER FARCI FELICI, ma Cl FA FELICI CREANDOCI PER SÉ.

L'uomo, questa creatura che può pilo­tare liberamente la propria esistenza verso mete diverse, deve sapere e ricor­dare che l'unico porto ove lo attende la propria felicità è il "porto di Dio", e che di conseguenza l'unica rotta da seguire è "la volontà di Dio" su di lui.

L'OBBEDIENZA A DIO è quindi per l'uomo il massimo atto di saggezza, come la disob­bedienza a Dio è la stoltezza suprema per­ché la prima lo conduce e la seconda lo distoglie dal conseguire la propria felicità.

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09/11/2011 22:14
 
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III

NOI E DIO

1 -L'iniziativa dell'uomo: la religiosità umana.

CHIUNQUE, o perché illuminato dalle pagine precedenti o per suo proprio intuito, sia giunto a condividere i pen­sieri fin qui esposti e a riconoscere nel suo intimo la realtà di Dio, non potrà non porsi un altro problema: quello dei propri rapporti con Dio, cioè IL PROBLE­MA RELIGIOSO (1).

(1) La parola "Religione" deriva dal latino «re-legare» (legare insieme) e designa comunemente il legarne, ossia i rapporti che intercorrono tra gli uomini e Dio.


La religiosità egiziana è uno dei grandi ten­tativi compiuti dall'uomo per stabilire un proprio rapporto con Dio.

Gli uomini di tutti i tempi - anche se semplici e indotti - lo hanno affrontato ritenendolo il loro primo dovere di uomini, anche se poi lo hanno risolto in modo parziale e spessissimo errato:

- hanno cercato anzitutto di "identificare Dio", di scoprirne il volto e il luogo della presenza in mezzo a loro; e spesso lo hanno concretizzato nelle forze della natura o negli astri del cielo, e gli hanno eretto templi ove poterlo incontrare.

- poi hanno cercato di "stabilire un rapporto con Lui", che non poteva esse­re che di sudditanza, offrendogli il culto della preghiera e del sacrificio.

- da ultimo "hanno teso l'orecchio alla voce di Lui", pensando di udirla - e con ragione - nel dettame interiore della propria coscienza.

È nato cosi - per iniziativa dell'uomo - un "legame" nuovo con Dio, una "re­ligione" appunto, che chiameremo "UMANA".

L'ORIGINE "UMANA" di questa religiosi­tà rende ragione di alcuni fatti oggi non bene interpretati:

1) del numero e della varietà di queste forme religiose.

Proprio perché nascono dall'uomo, ogni uomo è - per così dire - il fonda­tore della propria religiosità, anche se poi, nel corso dei secoli, le singole reli­giosità, sotto la guida di persone più dotate, si sono riunite in correnti religio­se alle quali molti uomini ed interi popo­li si sono aggregati.

2) dei loro difetti e dei loro limiti.

Proprio perché frutto della limitata intelligenza dell'uomo che vuol penetra­re l'infinita Realtà di Dio, le religioni "umane" attingono solo parte della Ve­rità e contengono inevitabilmente erro­ri, assumendo talvolta, nella pratica, forme di culto aberranti e crudeli, anche quando l'intenzione era di rendere con esse omaggio a Dio.

3) del fondamento razionale di que­ste forme religiose.

Queste forme di religiosità, infatti, sono nate dall'uomo in quanto razional­mente consapevole della propria dipen­denza oggettiva da Dio, e non non sono affatto proiezione fantastica e irraziona­le del proprio bisogno di sicurezza in un essere immaginario (2).

(2) Questa è appunto la tesi marxista sulla religione, secondo la quala l'uomo trasferisce (alienandosi) le sue aspirazioni alla felicità totale in una entità inesistente che immagina al di fuori di lui e che chiama Dio.

Per il marxismo (ma anche per tante forme di filosofie contemporanee che cercano nell'uomo la spiegazione di tutto), l'alienazione religiosa è quindi una "illusione", seguendo la quale l'uomo si allontana dalla realtà.

Ma questa tesi trova la sua confutazione proprio in ciò che è detto in queste pagine, nelle quali proprio la ragio­ne umana ci ha condotti a capire che la vera e fontale Realtà è Dio e che solo avvicinandosi a Lui l'uomo può veramete realizzare se stesso.


Pur nella loro limitatezza e imperfe­zione queste religioni "umane" sono tut­tavia lo sbocco più nobile della attività dell'uomo, e preparano il terreno nel qu­ale potrà germogliare e fruttificare l'ini­ziativa di Dio.


2 - L'iniziativa di Dio: la religione divina

DIO HA CREATO L'UOMO e l'ha creato bisognoso di Sé: bisognoso di cono­scerLo, bisognoso di adorarLo, biso­gnoso di ubbidirLo.

Le religiosità umane - delle quali abbiamo parlato - sono questo sforzo che l'uomo ha compiuto per incontrare Dio e stabilire rapporti con Lui, anche se ha dovuto cercare nel buio, come a tastoni, senza raggiungere mai certezze profonde e definitive.

MA SE IN QUESTO BUIO DIO ACCENDESSE UNA LUCE, se Dio prendesse Lui l'iniziati­va di manifestarsi all'uomo, se gli par­lasse di sé come un padre parla ai suoi figli, allora la ricerca di Dio sarebbe compiuta.

E QUESTO DIO LO HA FATTO: ha acceso la Sua luce nelle nostre tenebre e ci ha par­lato de sé. Si è manifestato all'uomo senza ombra di dubbio, lo ha illuminato sui problemi fondamentali della propria esistenza e del proprio destino, ha stabi­lito con lui un legame autentico, una "RE­LIGIONE" che, essendo da Lui rivelata, chiameremo giustamente "DIVINA" (3).

(3) La religione "divina", cioé stabilita per iniziativa di Dio, si dice «rivelata» (da «re-velare», togliere il velo) per­ché in essa Dio ci manifesta Se stesso, come se togliesse un velo che Lo nascondeva a noi.

Ci pare pure importante precisare alcune caratteristi che che distinguono la religione "divina" da quelle "umane":

1) Le religioni "umane" sono molte, tante quanti sono gli uomini o i gruppi di uomini che le hanno espresse; quella "divina" è una, come uno è Dio che l'ha rivelata e una è la Verità.

2) Le religioni "umane", proprio perché elaborate da uomini che non conoscono tutta la verità, contengono molti errori. La religione "divina" è invece infallibilmente vera, cioè rispecchia fedelmente la realtà.

3) Le religioni "umane" sono vie imperfette per rag­giungere Dio e, come tali, incerte e provvisorie. La religio­ne "divina" è la via perfetta che conduce a Dio e, come tale è sicura e definitiva.

4) Le religioni "umane" sono accettate da Dio, perché manifestazione della buona volontà di uomini che, senza loro colpa, ancora Lo ignorano; ma la religiobe "divina" è esigita da Dio da parte di coloro che l'hanno conosciuta, perché è l'unica espressione oggettivamente vera dei rap­porti tra l'uomo e Dio.


Ecco rappresentata simbolicamente la differen­za tra le molteplici religioni umane (a sinistra) nate per iniziativa degli uomini che cercano Dio e l'unica Religione Divina, nella quale è Dio -. che si manifesta (si "rivela") all'uomo e gli comunica la Verità, su Dio e sull'uomo, senza erro­re ed in modo comprensibile a tutti.

Certamente per conoscere quale sia l'unica Religione "divina", ossia l'unica "vera", è necessario conoscere “1e prove razionali” (ossia comprensibili dalla ragione umana) della sua verità.

Queste prove le daremo nel capitolo IV, anche se, nel seguente n° 3 - allo scopo di poter valutare la forza delle stes­se prove - anticiperemo la conclusione alla quale tali prove ci condurranno.


3 - La religione divina è il Cristianesimo

A questo punto vogliamo anticipare una affermazione che per chi scrive è certezza e per chi legge - se già non lo è - lo potrà (e lo dovrà) diventare:

QUEST'UNICA VERA RELIGIONE RIVELATA DA Dio, che sola ci fa conoscere Dio qua­le è veramente e che sola ci può perfet­tamente congiungere a Lui, È IL CRISTIA­NESIMO.

Il lettore chiederà: Le prove? Rispondiamo: le prove ci sono, e le esporremo. Prima però ci preme descri­vere, condensandolo in pochissime righe, il Cristianesimo stesso: diversa­mente il lettore non potrebbe valutarlo in modo adeguato né in sé né nelle prove che Dio ci ha dato per garantirlo come proveniente da Lui.

Qual è dunque L'ESSENZA DEL CRISTIA­NESIMO?

La condenseremo in tre punti, stretta­mente legati tra loro:

Perché l'uo­mo potesse u­nirsi a Dio, Dio stesso si è fatto uomo in uomo Gesù Cristo realizzando in Cristo l'unione uomo dell'uomo con Dio.

1) Il Cristianesimo È LA PARTECIPAZIONE DELL'UOMO ALLA STESSA VITA INFINITA DI Dio, è la "divinizzazione" dell'uomo. Già sappiamo che l'uomo non può trovare la propria felicità se non unen­dosi a Dio, sorgente unica di felicità: ebbene, Dio ha voluto che questa unione dell'uomo con Lui fosse la massima pos­sibile, cioè l'unione di vita.

2) Dio ha realizzato questa unione FACENDOSI LUI STESSO UOMO COME NOI e prendendo il nome di Gesù.

In altre parole questa «unione di vita», per un misterioso disegno di amore, è iniziata da Dio: Lui stesso ha voluto farsi uomo in Gesù Cristo il quale è così diventato il «primogenito» di molti fratelli, modello e causa della divi­nizzazione di ogni altro uomo (1).

(1) Perché il lettore possa comprendere il senso esatto di queste affermazioni, vogliamo qui ricordare i due prin­cipali Misteri della Fede cristiana:

1) Il Mistero della Santissima Trinità, nel quale ci è rivelato che l'unico Dio vive in tre Persone, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.

2) II Mistero della Incarnazione, nel quale ci è rivelato che la seconda Persona della Santissima Trinità, cioè il Figlio, si è fatto uomo come noi, nascendo da Maria Vergin e prendendo il nome di Gesù.


3) Ogni singolo uomo che, nell'unica ed irrepetibile vita terrena, si RISOLVE LIBERAMENTE PER CRISTO, coopera con Dio a realizzare la propria divinizzazio­ne.

L'adesione a Cristo inizia con la fede in Lui, si perfeziona con l'amore per Lui e si conclude nell'unione perfetta ed eterna con Lui, meta suprema della spe­ranza cristiana.

Ecco dunque cos'è il Cristianesimo: È DIO CHE SI FA UOMO (IN CRISTO), PERCHÉ L'UOMO POSSA (IN CRISTO) DIVENIRE DIO (2).

(2) Questa espressione, che a prima vista può sembra­re forte, rispecchia fedelmente la realtà: l'uomo, pur rima­nendo «creatura», partecipa veramente alla Vita del suo «Creatore».


Tutto il resto, benché importantissi­mo, è orientato alla realizzazione di que­sto supremo disegno d'amore.

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IV

LE GARANZIE DI DIO

Ed eccoci ora alla domanda centrale: QUALI GARANZIE Dio ci dà che il Cristia­nesimo è veramente la religione divina?

Diciamo subito che le prove che Dio ci offre non sono così travolgenti da co­stringere il lettore ad aderivi. SI tratta piuttosto di segni validi, anzi validissi­mi, ma che richiedono, per essere accet­tati, la disponibilità personale di chi li esamina.

Il proverbio: «non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere», qui calza a pen­nello. Dio infatti si mostra solo a chi lo vuole sinceramente vedere e si nasconde a chi non vuol saperne di Lui.

Al lettore di buona volontà che si è messo sinceramente alla ricerca di Dio, noi esporremo ora alcuni di questi «segni», ognuno dei quali ha certamen­te le caratteristiche di uno speciale intervento divino, ma la cui forza pro­bante appare completa quando venga considerato insieme con gli altri.


1 - Il «segno» dell'Antico Testamento

Tra le esperienze religiose dell'umani­tà ce n'è una che si stacca nettamente da tutte le altre: l'esperienza religiosa del popolo d'Israele.

Mentre infatti tutti gli altri popoli della storia esprimono religiosità che col tempo degradano e si fossilizzano, quasi contenessero in sé i germi della decomposizione, il popolo d'Israele vive una religione che non solo si conserva intatta nel tempo, ma che si perfeziona e si spiritualizza sempre più.

QUESTA ASSOLUTA ORIGINALITÀ DELLA RE­LIGIONE D'ISRAELE, testimoniata dai libri dell'Antico Testamento, si manifesta soprattutto così:

1) nella fede che questo popolo ha in un unico Dio, fede che conserva intatta nel corso dei secoli pur in mezzo a mille tentazioni di idolatria.

2) nell'attesa, crescente nel corso dei secoli, che si realizzino le promesse divi­ne, specialmente quella del Messia, cioè del Cristo salvatore (1).

(1) Per una lettura facile e dell'Antico Testamento, rac­comandiamo il volume: Lettura Catechistica dellAntico Testameno, edito dalla Mimep-Docete di Pessano, cura­to da Mons. Enrico Galbiati, dove sono messi in rilievo i progressivi sviluppi storici e profetici dell'Antico Testamento.


Tutto ciò è espresso in modo semplice e quasi plastico da un grande biblista italiano (2),

(2) Galbiati-Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Bevilacqua e Solari, Genova, 1954, pagg. 26-28.


al quale cediamo la parola, certi di affidare il lettore a un maestro che per la immensa cultura biblica e il profondo senso della storia merita la sua fiducia e la sua piena adesione.

«Supponiamo di controllare dall'alto di una collina, per lungo tratto, il corso di un fiume. Il fiume scorre largo e lento, e noi distinguiamo sulla superfi­cie delle acque tronchi, rami frondosi divelti dalla bufera e detriti di ogni genere.

Tutto questo materiale si muove nella stessa direzione: la direzione della corrente. Di tanto in tanto qualche colpo di vento fa oscil­lare tronchi, rami e detriti: si urtano, sembrano retrocedere per un momen­to, qualcuno va ad arenarsi in un'insenatura e vi rimane come in riposo, mentre gli altri continuano il loro corso fatale, sempre nella stessa direzione, sempre alla deriva. È naturale, c'è la forza dell'acqua che li spinge: non può avvenire diversamente.

Ma ecco che fissando lo sguardo vediamo ap­parire, giù infondo dove vanno scomparendo i i tronchi e i detriti, un punto nero che avanza in direzione contraria e sta avvicinandosi lentamente. Che è mai ciò? Come può muoversi, non per qual­che istante, ma con movimento sicuro e continuo, sempre in direzione contraria alla corrente, aggirando abilmente gli ostacoli?

Non c'è che una risposta: quella zat­tera, o barca che sia, è guidata da un essere intelligente, capace di risalire la corrente, perseguendo una meta ben definita».

Dall'immagine, il biblista passa ora alla sua significanza storica:

«È cosi che scopriamo l'indizio non equivoco dell'avvenuto intervento divino nella storia religiosa dei popoli. Noi li vediamo deviare nei millenni sempre secondo le stesse direzioni fatali: la magia, la consuetudine, l'indifferenza morale. Di tanto in tanto c'è qualche oscillazione: qualcuno scopre un fram­mento di verità: il monoteismo di certi pensatori, l'amore degli Stoici per la virtù, la brama di purificazione del Platonismo, il disprezzo dei valori terreni presso i filosofi indiani. Ma nulla si oppo­ne efficacemente all'universale degrada­re del senso religioso delle masse. Di tanto in tanto qualche tronco si arena e arresta il suo corso: sono le religioni con­suetudinarie, fossilizzate in uno stato di quiete, senza rimorsi e senza speranze.

MA ECCO, IMPROVVISAMENTE, SPUNTA L'I­DEA MONOTEISTA in un piccolo clan, in una famiglia di seminomadi che fa la spola tra il deserto Siriaco e il sud della Palestina.

«Nessuna meraviglia - qualcuno commenta - e un caso, ma passerà: quel piccolo clan finirà per assorbire le idee dei suoi vicini...».

Ma dopo qualche secolo il clan è diventato un piccolo popolo ed ha anco­ra la stessa idea; in più ha una Legge, imperniata su quell'idea; un decalogo morale, e un luogo di culto. Qualcuno commenta:

«Strano! ma passerà; il contatto po­litico e culturale con i grandi popoli dell'Asia anteriore farà andare alla deriva anche Israele...».

Se non che, dopo qualche secolo ancora, in seno a quel popolo appaiono e Profeti. Altro fenomeno psicologico inspiegabile! Non è uno, non sono pochi sognatori; è una serie che si protrae nei secoli, svariatissima nei soggetti, sem­pre coerente e progressiva nell'idea.

La religione monoteistica è salva ed è ormai ben delineata: Provvidenza divi­na, impegno morale, retribuzione, mes­sianismo.

FINALMENTE VIENE CRISTO: arriva come una persona attesa da secoli, col lieto messaggio della Redenzione uni­versale, coll'onda vivificatrice della Grazia, col sublime programma della Carità.

Il patrimonio religioso di Israele non solo è salvo ma potenziato ed impre­ziosito fino all'inverosimile, parte alla conquista del mondo».

Ed ecco infine l'interpretazione di questo fenomeno storico: «Domandiamoci ora lealmente: per­ché questa idea ha camminato contro corrente, procedendo sempre nella medesima direzione, come per seguire un piano prestabilito? Donde questa continuità di disegno in un viaggio mil­lenario? Perché questa idea religiosa non fu travolta nella comune deriva?»

E risponde:

«E’ DIO CHE HA PARLATO! E’ DIO CHE SI E’ INSINUATO NELLA STORIA DEGLI UOMINI!»


2 - Il «segno» del Vangelo

Il Vangelo - come sappiamo - è la narrazione, scritta da testimoni oculari o da persone che hanno interrogato i testi­moni oculari, di quello che Gesù Cristo ha fatto ed ha detto. Il Vangelo è quindi prima di tutto un libro storico (1).

(1) Invitiamo il lettore che volesse avere qualche basi­lare notizia sulla Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) come documento storico, a leggere l'Appendice.


Usando quindi il Vangelo come docu­mento che riferisce fatti realmente avve­nuti, vogliamo mettere in evidenza DUE ASPETTI STRAORDINARI DELLA FIGURA DI CRISTO, inspiegabili senza riconoscere l'in­tervento divino a suo favore: e cioè l'avve­ramento in lui delle profezie antiche e il carattere unico della sua personalità.

1) IN GESÚ SI SONO AVVERATE LE PROFE­ZIE DELL'ANTICO TESTAMENTO.

Il primo fatto straordinario (inspiega­bile umanamente e unico nella storia) è che l'Antico Testamento annuncia con anticipo di secoli la venuta di un uomo - il Cristo - nel quale «saranno bene­dette tutte le nazioni della terra» (Genesi, 22,18).

Di questo uomo l'Antico Testamento profetizza con precisione molti partico­lari che non avrebbero mai potuto esse­re realizzati a bella posta, perché indi­pendenti dalla volontà umana (come il luogo e il tempo della nascita e le circo­stanze della morte), ma che di fatto si realizzarono in Gesù Cristo.


1) IL LUOGO DELLA NASCITA: BETLEMME Michea 5,2 Luca 2,1-7

2) IL TEMPO DELLA NASCITA Aggeo 2,7 Luca 2,1-7 Daniele 9,24-27 Luca 2,1-7 Malachia 3,1; 4,5 Luca 2,1-7

3) NASCERÀ DA UNA VERGINE Isaia 7,14 Luca 1, 26-38

4) CIRCOSTANZE PARTICOLAREGGIATE CHE ACCOMPAGNANO LA SUA MORTE:

a) sarà flagellato, coronato di spine, sputacchiato Isaia 50,6 Giovanni 19, 11 Matteo 27, 27-30

b) subirà una ingiusta condanna a morte Isaia 53, 7-12 Luca 23, 20-25

c) le sue mani e i suoi piedi saranno perforati Salmo 21,17 Marco 15, 22-25

d) berrà fiele ed aceto Salmo 68, 22 Giovani 19, 28-30

e) nei suoi dolori sarà deriso Salmo 21, 8-9 Matteo 27, 39-44

f) le sue vesti saranno tirate a sorte e divise Salmo 21, 19 Giovanni 19,023-24

g) sarà trafitto da una lancia Zaccaria 12, 10 Giovanni 19, 31-37

5) RISORGERÀ DALLA MORTE Salmo 15, 8-11 Matteo cap. 28 (Mc. 16, Luca 24; Gv. 20).


A prova di ciò, nella pagina 48 abbia­mo elencato, nella colonna di sinistra, alcune di queste profezie dell'Antico Testamento, e nella colonna di destra la loro realizzazione in Gesù Cristo, come ci è testimoniata dai Vangeli.

A questo proposito ci piace qui ricor­dare ciò che quel grande genio che fu Biagio Pascal lasciò scritto nei suoi cele­bri "Pensieri": «Gesù è stato preannun­ciato, Maometto no. Per questo io credo in Gesù!» (Pensieri, n. 599).

2) GESÙ CRISTO È LUI STESSO GARANZIA DELLA SUA ORIGINE DIVINA.

Il secondo aspetto straordinario che accompagna la figura di Gesù è Lui stesso.

a) Coloro che hanno conosciuto Gesù (e furono moltissimi!) ce lo hanno descritto come un uomo perfetto, ed ancor oggi noi stessi, leggendo i Vangeli, non possiamo sottrarci al fascino del suo equilibrio, della sua bontà, del suo senso di giustizia, della sua profonda onestà e sincerità, della sua straordinaria unione con Dio: in una parola, della sua santità.

b) Ma c'è di più. Dalla bocca di Gesù è uscito un inse­gnamento che ha veramente risolto gli eterni problemi dell'uomo: da quello della sua origine a quello del suo desti­no, da quello dei rapporti con i propri fratelli a quello dei rapporti con Dio.

Anche i misteri del dolore e della morte cessano di esser indecifrabili e quadrano perfettamente nel suo inse­gnamento come tessere di un grande mosaico che, per la prima volta, ci rivela la nostra grandezza di uomini.

c) Ma c'è ancora di più. Durante la propria vita (e le prove sto­riche sono schiaccianti) Gesù ha operato meravigliosi gesti di potenza (i "segni miracolosi") che testimoniano l'inter­vento di Dio in suo favore: Gesù domina e comanda alle forze cieche della natura, guarisce i malati, fa risorgere i morti; soprattutto fa risorger sé stesso dalla morte; e tutto questo alla presenza non solo di amici, ma anche di nemici che mai hanno potuto negare e neppur dubi­tare della verità storica dei fatti.

Questi «gesti meravigliosi di poten­za», tutti volti al bene degli uomini spe­cialmente dei più sfortunati, non solo sono in perfetta armonia con tutto l'in­segnamento di Gesù, ma sono compiuti proprio in appoggio al suo insegna­mento, specialmente alla sua dichiara­zione di essere Lui, Gesù di Nazaret, il Figlio stesso di Dio fattosi uomo!

Davanti a un uomo che assomma in sé tanta santità, tanta sapienza, tanta misericordiosa potenza, come non «intuire» che li, in Lui, è la Verità che cerchiamo?

3 - La convergenza dei «segni»

Se ora consideriamo tutti insieme i «segni» che abbiamo descritto, e cioè:

- la storia religiosa del popolo d'Israele che da secoli attende il Cristo Salvatore,

- le profezie dell'Antico Testamento e la loro particolareggiata realizzazione in Cristo,

- l'equilibrio umano e la santità della Persona di Cristo,

- la novità e sublimità inarrivabile del suo insegnamento,

- la rivelazione per l'uomo di un destino (il più alto possibile!) di divina felicità,

- la garanzia dei «segni miracolosi», ci accorgiamo che tutti convergono in un'unica testimonianza a favore di Cristo.

Ripetiamo: se questi segni, presi iso­latamente, possono anche non avere per tutti una forza risolutiva, LA LORO CON­VERGENZA IN FAVORE DI CRISTO non può non lasciare pensosa un'anima retta e amante della verità.

Non siamo ancora alla fede, ma siamo alla consapevolezza che la fede in Cristo non solo è ragionevole e possibile, ma che è ormai divenuta la meta di una ricerca personale alla quale io non posso più, in coscienza, sottrarmi.


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V

IL MIO INCONTRO CON CRISTO

Il «centro» del Cristianesimo è dun­que Cristo, Dio fattosi uomo.

Ma come può avvenire il nostro (il mio!) incontro con Lui?

Diciamo subito che questo incontro è qualcosa di unico nella vita di un uomo, proprio perché è l'incontro con Dio, e come tale si realizza in modo del tutto singolare.

Vediamone le linee maestre:

1) Nell'uomo nasce dapprima l’INTE­RESSE PER CRISTO.

Non però un interesse puramente intelletuale, di erudizione, ma persona­le, interiore, vitale.

Si ha l'intima percezione che Cristo è per noi, per me, colui che fin'ora c'è mancato e nel quale soltanto troveremo la soluzione di ogni nostro problema umano.

Questo interesse è suscitato in noi da Dio stesso: è un dono di Dio, è il primo appello alla fede.

2) A questa prima fase fa seguito (ma anche può sovrapporsi; i tempi, infatti, non contano in questo processo: posso­no essere lunghi o brevissimi) LA RICER­CA DI CRISTO, non certo sui libri, ma nel popolo in cui Egli vive, ciò nella Chiesa.

C'è infatti un popolo che ha già incon­trato Cristo, che già crede in Lui e già vive la Sua vita divina: ed è lì che biso­gna cercarLo. È un popolo di uomini ancora peccatori ma che cammina sulla via di Dio, guidato da coloro (il Papa e i Vescovi) che fin dall'inizio Cristo ha sta­biliti come continuatori della Sua mis­sione divinizzatrice.

3) Se la ricerca sarà umile e sincera, se saprà, sotto la cenere delle debolezze che incontrerà, nella Chiesa, scoprire il fuoco della Parola e della Vita di Dio; si sarà perseverante nella preghiera, allora certamente avverà L'INCONTRO CON CRISTO.

Come avvenga questo incontro non è possibile dirlo in modo compiuto, ma solo adombrarlo:

L'uomo, per dono gratuito di Dio, INTUISCE CHI È GESU’, l'onnipotente ed eterno Dio che si è fatto uomo per lui e che per lui è morto e risorto.

In quello stesso istante l'uomo RICONOSCE IN CRISTO IL SUO UNICO MAESTRO la cui parola, proprio perché parola di Dio, è da lui accettata con assoluta certezza come la Verità. Una luce nuova, prove­niente da Dio, illumina la sua intelligen­za che ora vede la realtà attraverso gli occhi di Cristo (1).

(1) La fede cristiana è uindi prima di tutto Fede in Cristo-Dio e, solo attraverso Cristo, in tutte le altre real­tà divine da Lui rivelate.


Proprio perché la fede è un modo di vedere «divino», è cioè un dono di Dio che scende dall'alto, l'uomo non può meritarla, ma solo chiederla ed accettar­la in ginocchio, nella preghiera.

E quello di PREGARE è proprio l'ultimo invito che rivolgiamo al lettore.

Tanti uomini (e tanti filosofi) sono rimasti o sono ritornati nel buio perché hanno voluto cercare da soli, irrigiden­dosi in piedi: se avessero piegato le ginocchia e chiesto aiuto, come il bimbo chiede aiuto alla mamma, sarebbero certamente «entrati nel regno dei cieli» (Matt. X8,3).


Amico lettore, se queste pagine sono valse a rompere il velo della indifferenza e della sfiducia che forse prima avvolgeva la sua anima, compia ora il gesto più bello e più digni­toso che un uomo possa compiere: si metta in ginocchio, e preghi almeno così:

«Signore, se ci sei, parlami al cuore, perché io ho bisogno di Te».

O ripeta con il povero padre del pove­ro ragazzo che chiede a Gesù di guarirlo: «Signore, io voglio credere, ma Tu aiuta la mia incredulità!» (Marco, 9,24).

E poi si presenti a un buon Sacerdote che a nome di Cristo chiarisca i suoi dubbi, ma soprattutto le doni, col perdo­no misericordioso di tutti i peccati, l'a­micizia e la Vita divina con la quale Gesù ardentemente desidera infiammare il suo cuore (Luca, 12,49).

Dopo questo, dimentichi pure tutto quello che ha letto fin qui, e prosegua nell'umile preghiera, finché «Colui che sta alla porta e bussa» (Apoc. 3,20) sia entrato a prendere definitivo possesso dell'anima sua.


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31/10/2012 23:42
 
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Il vuoto di senso percepito dal mondo
e la risposta cristiana

 

di Costantino Esposito, docente di filosofia all’Università di Bari
da Avvenire, 19/10/12


 

La grande ipotesi di lavoro che Benedetto XVI ha lanciato alla Chiesa e al mondo intero, aprendo l’Anno della fede, è come uno sguardo inedito sul nulla. Il nulla che pervade la cultura contemporanea e che si annida nelle pieghe della nostra esistenza, tutte le volte che avvertiamo il venir meno del significato, il vuoto di senso che si nasconde dietro la grande “scena” del mondo. Già avere questa percezione non è affatto scontato: essa è possibilesolo a chi avverte tutto il bisogno di senso e tutta l’esigenza del vero che costituiscono la nostra ragione. E l’avverte proprio perché è stato “preso” dal significato, ha visto la presenza del Logos, ha ascoltato la sua voce.

Il deserto avanza, affermava Friedrich Nietzsche già a fine Ottocento, indicando l’inarrestabile tendenza della storia «metafisica» dell’Occidente all’esaurimento dei suoi valori e battendo con il suo «martello» sugli idoli per auscultare il vuoto che si nasconde dentro i simulacri. Ma è possibile riconoscere e attraversare davvero questo vuoto, e coglierne tutta la drammaticità, senza stare in qualche modo su un “pieno”? È possibile guardare questo deserto, e riconoscerlo come tale, senza vederlo da un luogo che deserto non è? Torna alla mente ciò che ha scritto Emanuele Severino«Lo sguardo che vede crescere il deserto non appartiene al deserto. Sta “dall’altra parte”. E in esso è riposta ogni possibilità di salvezza» (da Téchne, 1979). Ma questo non appartenere al deserto, che permette di vedere che cosa sia veramente il deserto, nella riflessione del Papa significa che il deserto diventa una formidabile occasione per avvertire il bisogno di essere che ci segna come enti finiti, e l’esigenza dell’essere come apertura a un significato più grande di noi stessi e del mondo. Come ci siamo sentiti dire l’11 ottobre in Piazza san Pietro, «è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto chepossiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere».

La fede cristiana, qui, non è proposta come una fuga spirituale dal deserto, e nemmeno come il mero distacco o la dura rinuncia alle “tentazioni” del mondo (come pure alcune volte si è tentati di sublimare il deserto), ma come l’impegno più semplice e direttocon la sete di vita che ci muove: «Così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza». Ogni qual volta questa sete vien fuori, è come se il nulla fosse squarciato, e la voce afona di chi cerca il significato di sé e del mondo si facesse udire.

Il dramma del nichilismo contemporaneo è quello di non riconoscere più e non avvertire la mancanza da cui pure esso era nato. L’ipotesi di Benedetto XVI è che solo una risposta presente può far riconoscere questa attesa: la fede non è la mera “credenza” in qualcosa che non si vede, ma è la possibilità di vedere quello che c’è e di cui spesso non ci accorgiamo nemmeno. Perciò l’Anno della fede è stato proposto come«un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale», cioè il fatto sorprendente che il «Senso ultimo» si è reso carne, ha parlato – parla – e chiede di essere ascoltato e riconosciuto dal nostro bisogno. Solo per questo l’uomo che vive la fede può portare in sé e con sé, in una lieta drammaticità, tutta l’inquietudine del mondo.

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